Anime & Manga > City Hunter/Angel Heart
Segui la storia  |       
Autore: EleWar    18/10/2019    6 recensioni
L’aria era satura di elettricità, immobile.
Due persone si fronteggiavano sulla terrazza di un palazzo di mattoni.
Una tempesta stava per scoppiare.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kaori Makimura, Ryo Saeba, Saeko Nogami
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Eccomi con il secondo capitolo. Sono contenta dei commenti incoraggianti che ho ricevuto da voi che sempre mi leggete, vuol dire che sono riuscita a farvi appassionare a questa storia anche se "sembra" assomigliare ad altre... amnesie ^_^
Grazie di cuore.
Vi lovvo



Cap. 2 Amnesia
 
Il silenzio piombò sulla stanza.
Tutti erano rimasti interdetti e senza più parole; lentamente presero a guardarsi l’un l’altro, poi, inaspettatamente, Reika sbottò con:
“Di nuovo??? Kaori, non è possibile che ogni volta perdi la memoria!”
“Reika smettila!” la redarguì subito sua sorella Saeko.
“E perché dovrei? Non è mica la prima volta che succede!” e si rivolse a Ryo in cerca di sostegno. Sperava che lui se ne uscisse con una battutaccia delle sue, invece lui la guardò severamente.
Reika si zittì all’istante.
“Ragazzi, non litigate per colpa mia. Io sto bene, e voi siete stati così gentili con me!” poi, rivolgendosi direttamente a Ryo: “Signore? Mi farebbe un favore?”
Ryo taceva, l’espressione imperturbabile, ma a quella domanda, annuì; lei proseguì: “Potrebbe far in modo di avvertire mio fratello? Si chiama Hideyuki Makimura, se non mi vede tornare poi si preoccupa, è così apprensivo!” e il sorriso dolce che gli rivolse, parlando in quel modo di suo fratello, gli lacerò il cuore.
Come era possibile? Kaori aveva perso la memoria, non li riconosceva, eppure era convinta che suo fratello fosse ancora vivo.
Il suo socio non si era ancora riavuto dallo shock, che lei riprese:
“Le do l’indirizzo di casa e il numero di telefono che è….” ma Ryo la interruppe con un gesto della mano. Non sopportava di sentirla parlare così. Davvero aveva dimenticato che Maki non c’era più? Che era stato ucciso per colpa delle Union Teope… che lei d’allora era andata a vivere con lui; che erano diventati colleghi, partner; che si amavano, anche se ancora non se lo erano detti apertamente. Non era forse questo il motivo per cui stavano litigando la sera prima sulla terrazza? Davvero lei aveva dimenticato lui?
Ryo nascondeva il suo profondo turbamento dietro la solita maschera da duro: si sentiva sotto la lente d’ingrandimento del resto della banda, e davanti a sé aveva la sua amata Kaori in quello stato.
Raccolse le sue forze e le rispose, più dolcemente che poté:
“Non ce n’è bisogno, io conosco Maki, siamo colleghi di lavoro”
“Ah ecco bene… e lei è…è Saeba…?”
“Il mio nome è Ryo Saeba, sì…”
“Ryo Saeba… non credo che ci siamo mai incontrati, altrimenti me ne sarei ricordata… ma non fa niente” e gli regalò un sorriso che per Ryo fu come uno schiaffo “allora mi farebbe il favore di avvertirlo?”
“Maki non è in città attualmente” riuscì ad improvvisare “è impegnato in un caso e non ho modo di contattarlo, eravamo d’accordo che appena avesse terminato il lavoro si sarebbe fatto sentire lui. Ma stai tranquilla, solo lavoro di routine, niente di pericoloso”.
Kaori parve credere alle parole di Ryo; quell’uomo, inspiegabilmente, le ispirava tanta fiducia, e si rilassò.
Il resto della compagnia era rimasto in un silenzio imbarazzato; la sorpresa era stata spiazzante per tutti quanti, e chi meglio di Ryo avrebbe potuto gestire quella strana situazione con la sua compagna? Loro due insieme erano City Hunter e qualunque cosa ne dicesse Ryo, loro erano molto di più che partner di lavoro: erano due anime gemelle destinate a stare insieme; la loro sintonia aveva qualcosa di soprannaturale, a volte: si capivano anche senza parlare e, soprattutto, si amavano profondamente.
Ma, inaspettatamente, prese la parola proprio il più taciturno fra i presenti, Falcon, che disse:
“Bene, direi che è ora di andare”
Ma sua moglie non riuscì a trattenersi e, avvicinandosi al letto di Kaori, le disse:
“Tornerò a farti visita, anche a casa se vorrai. Magari potrei aiutarti a cambiare la medicazione…”
“Oh grazie, sei davvero un’amica” rispose con occhi luminosi la sweeper.
“Sì, e lo siamo… realmente… io sono… io sono Miki”
“Piacere Miki, io sono… Kaori Makimura” e le allungò una mano, che l’ex mercenaria strinse nella sua. Era così strano doversi ri-conoscere, dopo tutto quello che avevano passato insieme.
Gli altri non aggiunsero altro, ma poco prima che scomparissero dietro la porta Kaori li richiamò:
“Scusate? Volevo… volevo dirvi grazie. Sento che siete delle persone straordinarie anche se non vi conosco”
Le donne, profondamente commosse, repressero un singhiozzo, qua e là, mentre Mick si attardò un attimo sulla porta, aprì la bocca come per dire qualcosa, poi la richiuse pensoso, infine sorrise e le inviò un bacio con la mano che la fece arrossire enormemente.
 
Quando nella stanza rimasero solo Ryo e il Doc, quest’ultimo disse alla convalescente:
“Kaori come ti senti?”
“Un po’ dolorante, ma per il resto bene. Cosa mi è successo esattamente?”
“Ieri sera sei stata colpita di striscio da un fulmine, durante un temporale”
“Veramente? Che fortuna poterlo raccontare! Quando lo dirò a Hide ci rideremo come matti” e le sfuggì una risatina.
Ryo si sentì stringere lo stomaco da una mano gelida.
“Lo immagino” rispose bonariamente il professore “Ora cerca di riposare un po’, poi ti farò portare una bella colazione sostanziosa. E quando ti sentirai sufficientemente in forze, potrai lasciare la clinica”
“Va beeeooooohhhwwwne” rispose sbadigliando. Poi si ridistese sul letto, e si addormentò quasi subito.
 
I due uomini uscirono dalla stanza, e una volta fuori si allontanarono in silenzio; percorsero i lunghi corridoi della clinica senza dire una parola, fino a raggiungere il giardino.
Si fermarono nei pressi dello stagno. Il Doc aveva ancora un’aria meditabonda e continuava a tacere esasperando Ryo, che, nonostante anche lui non fosse da meno a mutismi, sbottò con un:
“Allora? Come la spieghi questa cosa?” C’era una nota di panico nella sua voce.
“In realtà ci sto ancora pensando e una risposta non ce l’ho. Le ho fatto tutti gli accertamenti del caso, non ha lesioni cerebrali e questa specie di amnesia selettiva è davvero strana…”
“Questo l’avevo capito anche io!” rincarò la dose lo sweeper “È vero che non è la prima volta che ha un’amnesia, ma ora sembra diverso: è convinta che suo fratello sia ancora vivo. Ha dimenticato gli ultimi dieci anni della sua vita, ha dimenticato tutto quello che è successo dopo… Ha dimenticato… me
“Già, molto strano…” commentò il Doc “Sembra quasi che oltre a non ricordare, lei abbia voluto rimuovere un trauma, di sicuro la morte dell’amato fratello, ma non è escluso che inconsciamente voglia dimenticare anche qualcos’altro… Cosa stavate facendo sulla terrazza, poco prima che scoppiasse il temporale?”
“È colpa mia” rispose seccamente Ryo, e fece per andarsene, senza rispondere al professore.
“Aspetta, Ryo!”
Lo sweeper si fermò sul vialetto, continuando a dargli le spalle.
“Entro oggi credo che potrai portarla a casa. Questa volta dovrai aiutarla a ritrovare la memoria: dovrai starle vicino, perché tu sei l’unico che può farlo. Tu hai conosciuto suo fratello e soprattutto… tu sei il suo partner, e lo sai che lei ti ama”
“Lei voleva lasciarmi!” rispose lapidario. Poi, dopo una pausa carica di dolore, riprese: “Quando è scoppiato il temporale stavamo litigando… ha detto che mi odiava e voleva andarsene”.
Doc trasalì; mai avrebbe pensato di udire una cosa simile! Kaori, la ragazza più dolce e pazza della terra, che si era innamorata di quello sweeper donnaiolo e perennemente allupato, che la trattava male e la umiliava; Kaori che, nonostante questo, vedeva in lui un uomo giusto e onesto capace di fare tanto del bene; Kaori che gli perdonava tutto, che lo amava più della sua stessa vita e che, pazientemente, aspettava che lui si decidesse a ricambiare i suoi sentimenti… Kaori, si era infine stancata di aspettare e aveva deciso di lasciarlo.
Non riusciva ancora a crederci, poi guardò le grandi spalle di Ryo, che sembravano sempre reggere tutto il peso del mondo, ma che in quel momento erano piegate in avanti in segno di sconfitta, e seppe che era vero.
“Ora che farai?”
“Sistemerò un paio di cose, poi tornerò a riprenderla. La porterò a casa con me… m’inventerò una scusa per farla restare. Ma di sicuro, quando avrà riacquistato la memoria, lei vorrà andarsene, quindi… Non so cosa farò dopo”
“Ryo… nulla è perduto. Questa potrebbe essere un’opportunità per te, per voi… ”
Ma l’uomo era già scomparso dietro l’angolo.
Doc sospirò.
Non aveva mai conosciuto una coppia d’innamorati impossibili come loro due: riuscivano a complicarsi la vita in ogni modo possibile e immaginabile, pur di non confessarsi apertamente che si amavano.
 
Le ombre si allungavano per le strade di Shinjuku e il caldo si stava lentamente attenuando.
Un uomo dal passo pesante, mani in tasca, aveva varcato la soglia della clinica e si dirigeva verso la stanza n. 19-11. Bussò leggermente e una voce femminile, gioiosa e squillante, rispose “Avanti!”
Ryo non si era fatto vedere tutto il giorno, aveva la testa piena di pensieri e non era sicuro di saper affrontare quella prova, da solo, senza l’aiuto della sua formidabile socia che, in quel momento, non sapeva nemmeno chi lui fosse.
Nonostante avesse il cuore perennemente stretto in una morsa d’acciaio, aveva pensato di andare da lei con un mazzo di fiori, i suoi preferiti: i garofani bianchi.
Quando entrò nella stanza, inondata dalla calda luce del tramonto, Kaori sembrava circonfusa da un’aura di dolcezza ed era più bella che mai, anche se aveva ancora quella vistosa fasciatura sulla testa. Aveva uno sguardo luminoso e fiducioso, e un pensiero attraversò la mente dell’uomo, fulmineo e doloroso insieme: era proprio perché aveva dimenticato lui e tutto il male che le aveva sempre fatto, che lei poteva essere così serena e felice. Quello evidentemente era il suo vero io, ciò che era costretta a nascondere perché sopraffatto dalla rabbia, dalla frustrazione, dalla gelosia. A vederla così non sembrava affatto una ragazza irascibile, pronta a brandire martelloni di svariate tonnellate da schiantare sulla sua testa bacata. In ogni caso, da dopo l’incidente, non aveva nessunissima voglia di provare se ne fosse ancora capace.
Era tutto troppo tragico e penoso.
Non riusciva ad interessarsi alle altre donne che aveva intorno, si sentiva prigioniero di un incubo, e il senso di colpa lo stava strangolando ogni minuto di più.
Stare in sua compagnia era un tormento, e non sapeva come avrebbe fatto a gestire la cosa quando sarebbero tornati a casa, ma Doc aveva ragione: lei aveva bisogno di lui e lui era l’unico che poteva prendersi cura di lei, magari fingendo tutto il tempo che Maki fosse ancora vivo, rimandando il più possibile il momento della verità. Per Kaori sarebbe stato come perderlo di nuovo e lui non voleva che soffrisse… ancora.
Però, più lei era solare e sorridente, e più lui s’incupiva e chiudeva in sé stesso.
 
Le porse i fiori, impacciato, ma lei, che già lo aveva accolto col sorriso, vedendoli s’illuminò ancora di più.
“Grazie, signor Saeba, sono i miei preferiti!”
“Ti prego… chiamami solo Ryo”
“Come vuole, signor Ryo”
“No-no, non hai capito: diamoci del tu”
“Ah… va-va bene, come vuole, ehm come vuoi tu” e le venne da ridere.
Perché era tutto così difficile?
“Il Doc ha detto che puoi tornare a casa, ma visto che Maki è fuori città e potresti avere bisogno di aiuto, propongo di ospitarti a casa mia. Giusto il tempo di rimetterti un po’ in sesto, poi ritornerai al vostro appartamento”.
Kaori si fermò un attimo a valutare la proposta.
Poteva fidarsi di un uomo incontrato così per caso? Aveva detto che era un collega di Maki e le era stato vicino fin dall’inizio. Quando si era svegliata quella notte, lo aveva ritrovato lì, che dolcemente le teneva la mano. Emanava una tale forza, che se ne sentiva rassicurata appena lo vedeva. Anche tutte quelle persone che aveva conosciuto quella mattina sembravano avere fiducia in lui. E poi… i suoi occhi… avevano qualcosa di magnetico, così neri, così profondi, ma anche così tristi. Si sentì stringere lo stomaco. Forse quell’uomo stava soffrendo tantissimo e lei magari avrebbe potuto aiutarlo. Sì, avrebbe ricambiato così il suo favore. Giusto il tempo che Hide finisse il suo lavoro.
Guardò Ryo dritto negli occhi e, arrossendo suo malgrado, rispose:
“Va bene”.
Provò a scendere dal letto, ma le sfuggì un gemito; subito Ryo fu da lei per sorreggerla.
“Mi sentivo così bene, che ho dimenticato di avere la schiena ustionata e lo sterno malconcio” sorrise a denti stretti.
“Aspetta, ti aiuto io”
“Oh grazie Ryo, sei così gentile” e gli scoccò un sorriso disarmante, che lo fece vacillare. Immediatamente desiderò che lei lo guardasse sempre così, liberamente, come non aveva fatto mai.
Appena Kaori si rimise in piedi e fu in grado di camminare, con naturalezza si aggrappò al solido braccio dell’uomo, e lo guardò con gratitudine e infinita dolcezza.
Per la prima volta da quella notte sulla terrazza, Ryo sentì nascere dentro di sé un sorriso e lo lasciò andare. Per un attimo il suo cuore si alleggerì.
Forse non sarebbe stato così difficile ricominciare a vivere con lei.
 
Durante il tragitto fino a casa, Kaori non la smise di ciarlare allegramente; era così piena di vita, così piena di progetti; era la classica persona felice di stare al mondo, e Ryo ascoltava divertito i suoi discorsi, scoprendo di volta in volta tantissime cose della sua socia, che evidentemente lei aveva tenuto per sé e che aveva preferito tacere davanti a lui, con il timore di essere presa in giro o sminuita. Ma ora lei aveva davanti una persona nuova, con cui fare amicizia, e poter parlare di tutto e di niente; non aveva remore perché non conosceva il carattere bizzoso dell’uomo seduto accanto a lei.
 
Quando arrivarono al palazzo di mattoni era già sera.
Ryo l’aiutò a scendere dalla macchina e le fece strada su per le scale fino all’appartamento.
Era così strano riportarla a casa, in quella stessa casa da cui lei voleva fuggire… L’aveva definita casa tua, negandosene l’appartenenza, come se in quei dieci anni che avevano vissuto insieme sotto lo stesso tetto, lei fosse stata solamente un’ospite di passaggio.
Basta Ryo”, si disse, “smettila di rimuginare su ogni cosa, altrimenti non andrai da nessuna parte e presto o tardi t’impantanerai in qualche situazione strana e non saprai come uscirne”.
Aprendo la porta dell’appartamento le disse:
“Mi scuserai, ma vivo da solo e non ho fatto in tempo a preparare la cena. Ti andrebbe bene, magari solo per stasera, un po’ di pizza? Poi da domani ci organizzeremo diversamente”
“Oh certo, adoro la pizza, potresti prendermela…”
“… sì, funghi freschi e cipolla, come piace a te…” gli sfuggì.
Kaori, stupita, rimase a bocca aperta giusto una frazione di secondo, poi disse:
“Sì, è la mia preferita! Ma come facevi a saperlo?”
Ryo, preso alla sprovvista, non sapeva come rimediare alla gaffe appena fatta; iniziò a sudare freddo, ma lei venne in suo aiuto: prima scoppiò a ridere con quella sua bellissima risata argentina, poi disse:
“Ma certo! Non ho smesso di parlare per tutto il tempo, di sicuro te l’ho detto io prima, quando eravamo in macchina!”.
Ryo riprese a respirare. C’era mancato poco. Annuì e non aggiunse altro.
 
Quando Kaori si trovò nell’ampio soggiorno, iniziò a guardarsi intorno meravigliata.
“Complimenti! Hai davvero un bellissimo appartamento, spazioso e moderno, non come il nostro; lo dico sempre a Hide che dovremmo trovarcene uno più grande, ma lui ci è così affezionato…” poi sfiorando i mobili riprese “Devi averne gran cura perché non c’è un filo di polvere” e poi portandosi la mano alla bocca “Ops, scusa!” e ridacchiò a disagio “non avrei dovuto dirti una cosa del genere, ma sai, sono una vera maniaca delle pulizie, e per essere un uomo che vive da solo, tieni molto bene questa casa… quasi quasi ci vedo una mano femminile…”
Lui bofonchiò qualcosa, poi, per rompere l’imbarazzo:
“Dovremmo mettere i fiori in un vaso, prima che appassiscano” e borbottando si mise a cercarlo “… se solo riuscissi a trovarne uno… chissà dove li tiene Kao…” e si bloccò appena in tempo, ma lei non aveva colto il senso della frase.
Accidenti, devo stare più attento!” si redarguì mentalmente.
Vedendolo aprire forsennatamente tutti gli sportelli dei mobili, la ragazza suggerì:
“Perché non provi nello sportello in basso a destra?”
Ryo eseguì senza pensarci e tac! Trovò il vaso. Si voltò di scatto a guardare la sua socia: che avesse ricordato qualcosa? Ma lei sorrideva serenamente e non sembrava particolarmente interessata a quel suo guizzo.
Lui, che per un attimo ci aveva sperato, si sentì deprimere.
 
Finì di farle fare il giro della casa, ed ogni stanza era una sorpresa per lei; ma più di tutto rimase stregata e affascinata dal poligono.
Esordì con:
“Non ho mai preso in mano una pistola in vita mia, perché anche quando Maki faceva il poliziotto, non me la lasciava nemmeno guardare, figurarsi maneggiare! Ad essere sincera, anche se mi fanno un po’ paura le armi, mi piacerebbe saperle usare, per difendermi e per difendere… Tu dici che è sbagliato tutto questo?”
Ryo deglutì a fatica; cosa poteva risponderle?
Lui le aveva lasciato proprio la pistola di Hideyuki; all’inizio gliel’aveva modificata affinché non potesse mai uccidere nessuno, e lei si era esercitata parecchio a sparare proprio perché pensava che fosse un’inetta; sospettava che addirittura Mick l’avesse aiutata di nascosto da lui. Ma quando gliel’aveva restituita, ormai perfettamente funzionante, le aveva fatto promettere che l’avrebbe usata solo come arma da difesa.
In quel momento avrebbe potuto dissuaderla definitivamente, così, se proprio non fosse ritornata quella di prima, non avrebbe provato il desiderio di rimanere in quel mondo maledetto, e ne avrebbe preso le distanze. Aveva la possibilità di plasmare la sua personalità, ma ne aveva il diritto?
Ma soprattutto, pensò, se lei non fosse ritornata quella di prima, lui, lui cosa avrebbe fatto? Sarebbe stato in grado di andare avanti per la sua strada? Sarebbe stato capace di vivere senza di lei, senza di lei come era prima?
Perché lui non voleva una nuova Kaori, voleva quella di prima, con le sue sfuriate, le sue martellate, il suo entusiasmo di salvare il mondo, con il suo grande cuore pieno d’amore, con la sua sconfinata fiducia nel prossimo.
Di certo anche questa Kaori gli piaceva tantissimo: era così dolce, così tranquilla, che avrebbe potuto amarla lo stesso; ma era anche così ingenua, così indifesa, così trasparente nei sentimenti. Lui invece era pazzo della Kaori combattiva, della Kaori casinista che, dopo aver fatto un guaio, scoppiava a ridere e a cui non si riusciva mai a dire di no; amava quella Kaori che si era fatta donna affrontando le difficoltà giorno dopo giorno; quella Kaori così come era diventata dopo aver perso l’amato fratello. Quella Kaori che… amava lui e che infine, esasperata, aveva deciso di lasciarlo.
Si trovava ad un bivio.
Doveva aiutarla a ricordare, anche se l’avrebbe persa, o doveva instillarle nella testa false verità per preservarla, nella sua ingenuità di persona normale, da quella vita e da lui?
L’avrebbe persa in ogni caso.
Sospirò.
Ma prima che potesse rispondere alla domanda della sua amata, lei cambiò repentinamente discorso esordendo con un:
“Perdonami se ti ho annoiato con questi discorsi da ragazzina” e gli regalò un altro dei suoi soliti sorrisi disarmanti.
 
Risalirono al piano di sopra e poco dopo arrivò la pizza che avevano ordinato. La cena si svolse senza intoppi, ma al termine la ragazza iniziò a sbadigliare rumorosamente:
“Scusami, non sta bene, ma credo che sia colpa di quegli antidolorifici… mi danno una tale sonnolenza” e sbadigliò ancora “Non so ancora come riuscirò a dormire però, con tutte queste scottature”
“Vieni, ti mostro la tua stanza e poi magari, se vuoi, ti spalmo un po’ della pomata che ti ha dato il Doc” ma a quell’ultima frase, Kaori arrossì come un peperone, e iniziò a ridacchiare:
“Emmm emmm emmem, non so se è il caso… intendo della pomata”
“Oh perdonami, hai ragione, in fondo io sono un perfetto sconosciuto…” e, contagiato dal suo imbarazzo, iniziò a ridacchiare anche lui. Poi però la razionalità prese il sopravvento e disse:
“Però il Doc è stato categorico: devi metterci l’unguento, se no le ustioni potrebbero infettarsi e darti la febbre; e poi prima guarisci e meglio è, no?” e le sorrise: un altro sorriso nato spontaneo, un raro sorriso che la ragazza apprezzò profondamente, e che le fece provare un brivido di piacere; si sentì arrossire.
Finì per capitolare, e convenne che Ryo aveva ragione.
Giunti davanti alla porta della sua stanza, Kaori lesse soltanto stanza degli ospiti sulla targhetta, perché lui si era premurato di togliere il suo nome e di far sparire tutti i suoi effetti personali. Gli era costata fatica, ma non si sentiva ancora pronto a forzarla. E poi come avrebbe fatto a spiegarle che lei viveva lì, che era la sua collega, e che quindi Maki non c’era più? Era troppo ingarbugliata la cosa. Per il momento quella era la soluzione migliore.
Le aveva lasciato nell’armadio solo un po’ di vestiti, mentre aveva messo via la foto incorniciata con suo fratello e, naturalmente, aveva nascosto tutto l’arsenale dei suoi martelli.
La ragazza sorrise entrando in quella stanza e disse:
“Che strano, mi sento così a mio agio in questa camera da letto…”
Ryo però non commentò. E quando Kaori trovò sul letto, piegato, un bel pigiamone comodo, guardò interrogativamente quello che considerava il suo ospite; allora lui si affrettò a dire:
“Sono passato a casa tua a prendere qualche vestito di ricambio e i tuoi pigiami, ricordi che so dove abiti?”
“Ah sì, è vero” e poi “Però è davvero strano… se tu conosci così bene Maki e casa nostra, vuol dire che ci sei stato diverse volte. Allora perché io non mi ricordo di te? Possibile che non ci siamo mai incontrati, nemmeno sulle scale?”
Ryo accusò il colpo e imbarazzato fece spallucce.
 
Poco prima di uscire le disse:
“Quando sei pronta, chiamami che vengo a spalmarti l’unguento”
“Ok, non ci metterò molto”.
Infatti, poco dopo lo sweeper era di nuovo lì dentro, e seduto sul letto con il tubetto in mano, rabbrividiva di fronte alle ustioni della ragazza. Provava una tale pena immaginando il suo dolore, e soprattutto temeva di fargliene ancora. Non riusciva a guardare la sua bellissima schiena, deturpata da quella specie di squarcio incandescente; si augurò che guarisse al più presto, e che non le lasciasse dei segni indelebili.
Intuendo la sua ritrosia, la ragazza gli venne incontro dicendo:
“Su, non farti scrupolo: sono ancora sotto effetto degli antidolorifici e sono sicura che sarai delicato. E poi l’hai detto anche tu: prima guarisco e meglio è” e pur non vedendola in viso, capì dal tono della voce che stava sorridendo.
Quando Ryo finì di medicarla, Kaori dormiva già; lui allora, dopo averle messo delle garze pulite, le riabbassò la casacca del pigiama e tirò su le coperte. Ogni gesto era carico d’amore e gentilezza, e lasciandola, mentalmente le disse “Buona notte amore mio”.
 
Tornò in soggiorno, e si accese una sigaretta, non prima di aver spalancato la finestra sulla città in pieno fermento notturno.
Di sicuro non sarebbe uscito quella sera; non poteva lasciarla sola e soprattutto non ne aveva voglia. Non c’era gusto a sgattaiolare via da lei senza il timore di essere beccato a martellate, non c’era gusto a trasgredire, anche se… lui più di bere e fare un po’ lo stupido non faceva mai, ma questo lei non lo poteva sapere.
Negli ultimi tempi, soprattutto dopo la confessione della radura, usciva solo per abitudine e per fare il giro consueto degli informatori. E molto più di prima, quando lo faceva, era per scappare da lei, e dalla sua presenza. Perché pur avendole confessato i suoi sentimenti, poi non era riuscito ad andare oltre, si era bloccato e la situazione fra loro si era fatta tesa; non erano tornati semplicemente indietro, si erano impantanati in un menage fatto di ripicche, screzi e litigate furiose, che non erano altro che lo sfogo di una frustrazione che li stava lentamente rovinando.
Non erano più il Ryo e la Kaori di una volta, che si amavano e che avevano paura di dirselo; erano… erano cosa? Due estranei? Due persone logorate dall’attesa, dai mutismi, dalle parole non dette che pesavano molto di più di quelle estorte.
Kaori aveva avuto ragione, la sera prima, lassù sulla terrazza.
Lui era un vigliacco, che si era tirato indietro per l’ennesima volta, che si ostinava a recitare la parte del cinico sweeper che non ha bisogno di niente e di nessuno.
Da quanto tempo non si facevano più una bella risata? Da quanto tempo non uscivano per una semplice passeggiata? Non erano più nemmeno amici come prima.
 
Rilasciò con un fiotto rabbioso il fumo che aveva trattenuto, e si passò una mano fra i capelli.
Poi il suo udito fine percepì dei rumori indistinti provenire dalla camera di Kaori; gettò il mozzicone e corse da lei.
Si stava agitando nel sonno, ma non era per via delle ferite: stava avendo degli incubi, ed era in un bagno di sudore; emetteva frasi smozzicate senza senso, brandelli di parole che lui faticava a capire: odio, belle donne, travestito, mokkori, mezzo uomo, Sayuri; poi la sentì pronunciare più volte il suo nome, detto prima con rabbia, poi con disperazione, poi con il pianto nella voce, e poi ancora il nome di suo fratello, fra i singhiozzi.
Era uno spettacolo da stringere il cuore. Ryo si sentiva morire, ma non sapeva cosa fare; avrebbe dovuto svegliarla?
Forse stava lottando con la sua memoria che voleva tornare.
Non poteva però restarsene lì impalato, doveva farla smettere in qualche modo, stava soffrendo troppo.
Decise di avvicinarsi: Kaori era ancora bocconi, come l’aveva lasciata; lui si sedette sul pavimento e le prese la mano che agitava fuori dal letto. A quel tocco parve calmarsi.
Ryo si accomodò meglio con la schiena appoggiata alla parete, e con l’altra mano prese ad accarezzarle il braccio. Nonostante il sonno, quel gesto arrivò fino a lei, si tranquillizzò definitivamente e, in un sospiro dolcissimo, disse: “Ryo”.
Lui si sentì rimescolare tutto e fu preso da un’emozione indicibile.
Tante volte l’aveva vegliata nel sonno, e aveva passato ore e ore di nascosto nella sua stanza, a guardarla dormire. Era una cosa che lo faceva stare bene e gli calmava lo spirito sempre in subbuglio, ma mai si era azzardato a toccarla; al massimo le aveva sfiorato un ciuffo di capelli, ma era sempre stato attento a non svegliarla. Ora si era permesso di prenderle la mano per rassicurarla e lei… lo aveva sentito. Nel sonno si era ricordata di lui e l’aveva riconosciuto. Certo, evidentemente aveva passato in rassegna tutte le emozioni che lui le suscitava, però quell’ultimo tenerissimo bisbiglio lo aveva definitivamente annientato.
Nella loro vita di prima, raramente lei lo aveva chiamato con quel tono di voce, e lui ne era rimasto affascinato, completamente avvinto. Prepotentemente sentì nascere dentro di lui il desiderio di udire ancora quelle tre sole lettere, che formavano il suo nome, ma che se dette da lei e in quel modo, erano come la poesia più bella che lui avesse mai udito.
Per un attimo ripensò a ciò che gli aveva detto il Doc, quando affermava che quella poteva essere un’occasione per entrambi, un’opportunità per ripartire da zero ed essere finalmente felici.
Sarebbe stato davvero così?
 
 
   
 
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > City Hunter/Angel Heart / Vai alla pagina dell'autore: EleWar