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Autore: Emmastory    20/10/2019    5 recensioni
Dopo essersi unita al suo Christopher nel sacro vincolo del matrimonio, Kaleia è felice. La cerimonia è stata per lei un vero sogno, e ancora incredula, è ancora in viaggio verso un nuovo bosco. Lascia indietro la vecchia vita, per uscire nuovamente dalla propria crisalide ed evolvere, abituandosi lentamente a quella nuova. Memore delle tempeste che ha affrontato, sa che le ci vorrà tempo, e mentre il suo legame con l'amato protettore complica le cose, forse una speranza è nascosta nell'accogliente Giardino di Eltaria. Se avrà fortuna, la pace l'accompagnerà ancora, ma in ogni caso, seguitela nell'avventura che la condurrà alla libertà.
(Seguito di: Luce e ombra: Essere o non essere)
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Luce e ombra'
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Luce-e-ombra-III-mod
 
 
Capitolo XXVII

Vecchia casa, nuovo dolore

Solo poche ore avevano abbandonato il bosco, fuggendo come i poveri animali che avevo visto sparire nella selva durante il mio viaggio verso la grotta delle care ninfe, e non riuscendo a parlare, tacevo. Con Christopher al mio fianco, non ero certo sola, ma nonostante tutto, la paura era tornata ad annidarsi nel mio animo. Respirando a fatica, mi guardai nervosamente intorno, e quasi senza volerlo, mi morsi il labbro. “Kia, tesoro, tranquilla, sai che non ti fa bene.” Mi sussurrò, avvicinandosi lentamente di qualche passo, abbastanza da riuscire ad abbracciarmi. Colta dal freddo dettato forse dall’aria che ci spirava attorno, lo lasciai fare, e crogiolandomi nel suo calore, inspirai tenendo gli occhi chiusi, di nuovo felice. “Bene, così, pensa anche al piccolino.” Continuò poco dopo, il tono gentile e la voce bassa per calmarmi. Annuendo lentamente, lasciai uscire l’aria attraverso la bocca, e reagendo prontamente alle mie emozioni, il mio ciondolo prese a brillare di una luce verde come il mio elemento. La natura che anche in quella spelonca avevo attorno, e che circondandomi mi faceva sentire a casa. Stando alla quiete appena fuori da quelle mura di roccia, Sky e la sua tempesta sembravano essersi calmate, e in silenzio, volsi lo sguardo altrove. Fu quindi questione di un attimo, e il magnifico lago dei cigni Honor e Promise entrò nel mio campo visivo, e con esso anche il luccichio dell’acqua in cui nuotavano. Lieti di vedermi, parvero farmi entrambi una sorta di occhiolino, e sorridendo, mi portai una mano al ventre. Ancora piatto e affatto pronunciato, certo, ma sempre indice della mia attuale condizione. In attesa da poco, alcune volte mi ritrovavo a fantasticare sull’arrivo del mio bambino, su quanto sarebbe stato bello tenerlo fra le braccia, sentire i suoi primi vagiti, vederlo dormire beatamente nella sua culla, e su tutte quelle cose a cui sicuramente mia madre aveva pensato prima di adottarmi. Allora non avevo che sei anni, non ero certo una neonata, e a dirla tutta neanche Sky, che di anni ne aveva otto, ma conoscendo quell’umana forse meglio di me stessa, ero sicura che avesse provato le stesse identiche sensazioni guardandoci giocare, divertirci  e vivere la vita come le pixie che eravamo, senza problemi né pensieri  a turbare le nostre piccole menti. Ormai erano passati più di dieci anni, ma non m’importava. Era bello ripensarci, rivedere ogni volta l’immagine del suo viso richiamata alla mia mente dai miei stessi ricordi, e proprio ora, ritrovarmi in una situazione così simile a una che lei aveva già affrontato. Mancava ancora molto, e lo sapevo, ma Christopher ed io avevamo già deciso, e avremmo rivelato il mio segreto alle nostre rispettive famiglie al momento giusto. Ora quel che conta è aiutare Sky, unirci e prestarle soccorso prima che sia troppo tardi. In genere non sono così fatalista, tutti i miei amici possono confermarlo, ma in questo preciso momento, pur godendomi lo spettacolo offerto dai cigni e dalla presenza di mio marito al mio fianco, che cercandomi mi ha abbracciata e ora mi stringe la mano, soltanto una parte di me è davvero tranquille. Fra le due in cui il mio animo si divideva, proprio quella umana, più emotiva e a volte meno razionale. Pensavo a mia sorella e al suo futuro, ma anche al minuscolo esserino che avevo più e più volte giurato di proteggere. Non l’avevo mai detto a nessuno, neanche a Christopher, ma per come la pensavo, il desiderio di schierarsi in prima linea per i più deboli era sempre stato un istinto umano. Era stato quello a spingermi ad aiutare Lucy quando si era persa, Lune quando la paura di mutar climi e ambienti la bloccava, e Christopher con i suoi dubbi sul riuscire ad amarmi e allenarmi al tempo stesso. Sorridendoci, la fortuna aveva voluto che ognuno dei loro problemi trovasse una soluzione, e malgrado spesso sostenessi di non aver fatto molto, ma anzi, solo il mio dovere di amica, loro rispondevano che mi sbagliavo, a volte neanche verbalmente, e solo con un abbraccio o un sorriso. Persa in quei ricordi, schiusi le labbra in uno pieno di luce, e all’improvviso, sentii la stretta sulla mia mano farsi più forte. Sorpresa, spostai lo sguardo, e fu allora che lo vidi. Christopher. Preoccupato, si era fatto ancora più vicino, e ora sembrava non voler lasciarmi andare. Innamorata, lo lasciavo fare gioendo di ogni più piccolo gesto d’amore e attenzione, certa con ogni minuto che passava che ben presto le cose sarebbero cambiate andando sicuramente per il meglio. Forse sbagliavo, e forse ero troppo ottimista, ma ignorando gli sguardi, i pensieri e le opinioni altrui, avrei continuato ad esserlo. Tacendo ogni volta, mi imponevo il silenzio a riguardo, ma era stata proprio quella parte del mio carattere a rendermi la persona, la fata che ero, e se proprio dovevo essere sincera, anche a conferirmi una parte dei miei poteri. Il segno che avevo sul polso aveva un significato e un valore inequivocabili, certo, ma c’era qualcosa dentro di me, una sorta di sesto senso, che mi suggeriva quella strana ipotesi. Probabilmente era solo mia, e per questo non aveva alcun credito, eppure ne ero convinta. In fin dei conti, la magia legata alla natura non era stata creata per offendere, ma anzi, per l’esatto contrario, ossia difendere, cosa che io non facevo altro che continuare a fare sin dal giorno in cui l’avevo scoperto. Ricordavo ancora il giorno in cui allenandomi assieme a Christopher mi ero punta con una spina, e solo allora le radici e i viticci che ero in grado di far spuntare dal terreno si erano trasformati in un rovo. Tutto era dipeso dalle mie emozioni, mandate fuori controllo proprio dal dolore di quella ferita, simile ad una che avevo cercato di curare spalmandovi sopra della resina. Avevo tentato, ma troppo debole, avevo fallito, e a volte, ripensandoci, tendevo a provare le stesse sensazioni. Una vista orribile per gli occhi del mio amato, che vinto dalla preoccupazione, non esitava mai a consolarmi. Volendo essere sincera, dovevo ammettere che c’erano ancora tante cose che non conoscevo sul suo mondo e sul mio, ma fiduciosa, affidavo ogni dubbio prima a lui e poi a una preghiera, conservando nel cuore la speranza di vederli dissiparsi uno per uno, finendo poi per svanire come nebbia portata via dal vento. Aria che ora non si muoveva se non gentilmente, e che più calma, riuscivamo a sopportare. Brillando meno intensamente, anche il mio ciondolo parve calmarsi, e notando l’ambiente attorno a noi perdere lentamente luce e colore, capii che il mattino era diventato pomeriggio, e che anche questo si preparava a lasciarci. Stanca, mi coprii la bocca con una mano per uno sbadiglio, e anche prima che potessi lamentarmi, Aster e le sue sorelle agirono per noi, stendendo sul pavimento di pietra dei giacigli di foglie e rami d’albero. Incerta sul da farsi, esitai, ma la compostezza di Carlos, in piedi accanto a lei e con un braccio stretto intorno alla sua spalla, mi convinse. “Fate pure, noi riposeremo con i boccioli. Sono ancora piccoli, non riescono ad addormentarsi da soli.” Ci disse, tranquillo come al solito mentre si allontanava in compagnia della fidanzata, diretto verso l’angolo opposto della grotta. Lenta, mi sdraiai facendo attenzione ad ogni movimento così da non farmi male, e mai lontano, Christopher scelse di imitarmi. Quando finalmente chiusi gli occhi, il sonno non tardò a cogliermi, e nella quieta notte animata solo dal frinire dei grilli e dal bubolare di alcuni gufi, passai una buona notte. Così, alcune ore scomparvero dalla mia vita senza lasciare alcuna traccia, e poco prima di addormentarmi definitivamente, ripensai a mia madre e a ciò che doveva star provando ora che era tornata con Sky a casa al bosco di Primedia. Dormendo, sprofondai in un sonno quasi privo di sogni, eccezione fatta per alcune immagini che pregai non corrispondessero al vero. Il mio bosco di nascita, la mia vecchia casa e la camera di Sky, ridotta a un disastro dai suoi poteri ormai fuori controllo. Non volendo pensarci, evitavo ance di dirlo, ma a quanto sembrava, lei era ancora nella nostra vecchia casa, fortunatamente non costretta ad affrontare da sola quel profondo, nuovo e a me ancora sconosciuto dolore.

 
   
 
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