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Autore: Stellato    24/10/2019    20 recensioni
Un'insolita accoppiata di personaggi si confronta - senza peli sulla lingua - nell'ufficio di Oscar, sorseggiando tè.
Ne verranno fuori una scommessa e una scoperta...
Genere: Commedia, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alain de Soisson, André Grandier, Oscar François de Jarjayes, Victor Clemente Girodelle
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Al rientro da un turno di pattuglia avevano trovato la nobile figura in attesa al cancello della caserma, a cavallo.
I lunghi capelli ondulati svolazzanti nel vento teso dell’autunno, il sorriso da damerino nonostante l’aria infreddolita.
 
“Ciao André, che fortuna incrociarti! Oggi vorrei aspettare madamigella Oscar all’interno, se posso. Questo vento è davvero peculiare per essere solo settembre, non è vero? Ah… E potrei chiederti di portarmi del tè caldo nel suo ufficio? La aspetterò là.”
 
***
 
“Non vorrei odiarlo, io lo so che è un brav’uomo”
“E falla finita André! Puoi incazzarti e provare emozioni come uno normale? C’è già il comandante a fare l’asceta.”
“Non si tratta di essere distaccati… è che Girodel lo conosco da anni, ne abbiamo passate tante insieme io lui e Oscar. È una persona leale e gentile; si dà qualche aria, certo, ma una volta presa confidenza è…”
“Una brava persona. Se me lo ripeti ancora una volta vomito, giuro. Lo capisci che è normale che ti stia sulle palle? Vuole sposare la tua donna! Dovresti essere di là a sputargli in faccia e invece te ne stai qui seduto a tesserne le lodi! Già che ci sei fai questi discorsi con il comandante, dalle la tua benedizione, santo che non sei altro!”
André si prese la testa tra le mani, scombussolò la chioma nera senza delicatezza, sfogando su quella la sua frustrazione. Scelse accuratamente le parole meno patetiche per provare a spiegare anche ad Alain i dubbi su cui si arrovellava.
“Ma vedi, io non posso non considerare tutto ciò che ha lui e io no. Solo a voler riassumere ci sono: soldi, un titolo, due occhi funzionanti.”
“Ma smettila, come se…”
“No, smettila tu, sai benissimo che tempi pericolosi corrono!” Continuò in un tono più grave, quasi rabbioso: “Se questo matrimonio può in qualche modo garantire la salvezza di Oscar come suppone suo padre, allora io non sono nessuno per fermarla. Posso solo sperare che sia felice, che sappia…”
Si interruppe. Lacrime traditrici cominciavano a formarsi, la commozione a serrargli la gola. Era troppo.
“Basta… dai, fammi andare, è ancora lì ad aspettare il tè.”
“Scordatelo, tu non ci vai dal damerino, vado io!”
“Ma che dici, Alain? Tu? A servire il tè a qualcuno?”
“Non sarà mica così difficile, cazzo ci vuole, il brevetto della regina d’Inghilterra?”
 
In effetti poteva preparargli il vassoio e lasciare che se la vedesse lui… che male ci sarebbe stato? Non poteva succedere nulla di grave, o almeno, non voleva pensarci; conoscendo Alain tutto poteva essere, ma la sola idea di poter evitare quell’incontro gli tolse un macigno di varie tonnellate dal petto ed era più che intenzionato ad accettare il favore dell’amico.
 
“Va bene, ma a una condizione.”
“Quale?” chiese Alain incuriosito.
“Metti anche un grembiulino!” disse André scoppiando a ridere.
“Sai una cosa? Fottiti Grandier.”
“No, dai, ti prego… scherzavo. Grazie, Grazie di cuore, Alain.”
 
***
 
Aprì la porta spingendola col fianco e il rinculo fece traballare il contenuto del vassoio accuratamente sistemato da André. Il rumore di porcellana tremolante per un momento gli fece temere il peggio, ma era solo fuoriuscito un po’ di tè e un po’ di latte da quel bricco più piccolo del suo mignolo, nulla di grave, sentenziò senza perdere un’oncia di spavalderia.
Il conte inarcò un sopracciglio al suo ingresso, ma non si scompose più di tanto nonostante il casino; doveva riconoscergli un certo sangue freddo o una profonda superbia.
Incrociò quello sguardo di ghiaccio e il primo pensiero che gli balenò nel cervello riguardò l’approssimazione all’azzurro che aveva la gente nel descrivere le iridi. Ad esempio in nessun modo quel grigio poteva essere paragonato alla profondità degli occhi del comandante, ma in molti nel vedere quel bel tomo avrebbero detto che aveva gli occhi azzurri. Ma per favore. Scambiare le pozzanghere per il mare.
I capelli, non una parrucca, quelli sì, erano notevoli. Castani incipriati… potevano essere così ondulati naturalmente? Secondo lui c’era lo zampino di un ferro. Immaginò la scena della messa in piega con una Oscar disgustata ad attendere, neo-mogliettina di un uomo che certamente si curava più di lei.
No, era tutto sbagliato, non poteva essere, non sarebbe mai accaduto, si ripeté perforando l’ospite con lo sguardo, la nobile imperturbabilità messa alla prova dal lungo silenzio che si era creato.
Qualcosa scattò nella mente di Alain.
Un fastidio.
Forse curiosità, e certo la voglia di prenderlo in giro.
Aveva a che fare con il senso di rivalsa per il suo amico? Con la lotta di classe? Con il senso di possessività che lui stesso si riscopriva a provare nei confronti del comandante?
Non lo sapeva.
Ma fosse l’ultima cosa che faceva, lui e questo tizio profumato avrebbero scambiato quattro chiacchiere da uomini. Se poi il comandante l’avesse saputo… ciccia; bisogna pur affrontare i rischi nella vita.
 
“Mi par di ricordare che prima di entrare in una stanza si usasse bussare. Una volta, almeno, si faceva così.”
 
Cominciamo benissimo.
 
Alain sfoderò le zanne in quello che sembrò un comune sorriso.
“Non capita tutti i giorni di servire un tè qui in caserma; ne sappiamo parecchio sulle armi da fuoco, ma bussare alle porte trasportando vassoi non fa ancora parte dell’addestramento.”
Sbatté con malagrazia le tazzine e la teiera sulla scrivania perfettamente sgombra, Oscar contrariamente a tutti i suoi predecessori riusciva a non restare indietro con nessuna scartoffia, tutto aveva un suo posto e quell’ambiente a stento registrava la sua presenza grazie a qualche libro sugli scaffali e la sedia più comoda che aveva fatto sostituire.
L’ospite per rispetto aveva occupato l’altra, lasciando libera la seduta di velluto verde dove senza dire altro si piazzò Alain.
 
“Prego???” Fece l’altro, di stucco.
Alain non fece una piega. Senza aspettare obiezioni, versò il tè nella tazza di Girodel e in quella che avrebbe dovuto essere di Oscar e buttò le enormi spalle contro lo schienale pronto a godersi la sua stessa scena.
“Dite un po’… conte, giusto? Volete sposarvi il nostro comandante” ridacchiò. “Non c’è che dire, vi piacciono le sfide!”
Già solo l’espressione basita dell’altro lo fece gongolare. Poteva finire malissimo, ma ormai.
“Noi qui non ce la volevamo all’inizio, le abbiamo anche reso la vita parecchio difficile” ammise. “Ma adesso mi seccherebbe vederla andar via; sarebbe veramente uno spreco se una così finisse a fare la calza come una donna qualsiasi, non trovate?”
Girodel ancora stentava a crederci. Ma per quanto surreale, quella situazione lo incuriosiva. Questo bestione poi aveva tutta l’aria di voler arrivare ad un punto col suo farneticare e si chiese quanto potesse sapere, quanto ci fosse da carpire di madamigella Oscar in una simile conversazione con qualcuno che verosimilmente trascorreva molto più tempo di lui con lei.
Chi era costui? Un altro pretendente? Non bastava André Grandier a seguirla da tutta la vita come un’anima in pena? La spavalderia che dimostrava era forse sintomo di qualche grazia ricevuta, di una simpatia o peggio… poteva essere il suo amante?
Lì nell’ufficio dove quest’uomo sembrava tanto a suo agio, al riparo dagli sguardi, lontana dalla corte dove tutti sanno tutto, la sua eterea Oscar poteva essersi concessa ad un simile buzzurro, sulla stessa scrivania dove si trovavano adesso? Era quello a piacerle? La trasgressione?
La sua fantasia imbizzarrita lo riscosse.
“Con chi ho il piacere…?” recuperò.
“Alain de Soisson, compagnia B dei soldati della guardia.”
“De Soisson? Avete un titolo nobiliare?” incalzò Girodel, nuovamente stupito e con un tono completamente diverso.
“Roba decaduta” rispose Alain disgustato da quell’immediata apertura nei suoi confronti a menzionare la setta dell’aristocrazia. Una setta a cui più che mai non sentiva di appartenere e si detestò per il modo in cui l’altro adesso sfoggiava un’aria più comprensiva nei suoi confronti. Quasi complice.
“Non c’entro niente con la nobiltà. Già alla mia nascita non era rimasto che il nome” insisté.
L’altro continuò ad annuire comprensivo, irritandolo a dismisura.
 
A quella dimostrazione di trasparenza Girodel sorrise; il suo interlocutore era decisamente meno avvezzo di lui alla conversazione salottiera. Era un personaggio semplice, forse un po’ infantile, nonostante l’aspetto.
“E dite, Alain, di cosa volevate parlarmi?” chiese allungandosi a prendere lo zucchero in un movimento netto, misurato.
 
L’altro raccolse le idee e diede un sorso alla bevanda mai provata prima. Lo trovò insulso e puntò anche lui allo zucchero e poi al latte, in abbondanza. Doveva improvvisare, non aveva mica un piano preciso.
“Prima di tutto volevo vedervi da vicino, capire chi potesse volere per moglie una donna come il nostro comandante.”
“Trovate così strano che qualcuno si interessi a madamigella Oscar?”
Alain non si degnò neppure di restituirgli lo sguardo, girava rumorosamente il cucchiaino nella tazza che osservava scrupoloso, aspettando si sciogliesse il quintale di zucchero che vi aveva riversato. Aveva voglia di insultarlo, di prenderlo in giro per quei suoi modi femminei e delicati, c’era da far battute a non finire sulla sua sessualità, ma dubitava lo avrebbe portato da qualche parte sfogarsi.
“Ah perché è perfettamente normale chiedere in moglie una tizia che fino al giorno prima era il vostro comandante, che si veste e si comporta come un uomo ed è più avanti negli anni rispetto qualsiasi sposina della vostra buona società.”
Tornò a osservare il conte di sottecchi. Sorrideva, quell’aria sofisticata e altezzosa ancora intatta. Forse aveva già sentito quelle obiezioni fino alla nausea, ma se ne infischiava, era evidente. Forse proprio per quel motivo sentiva un rispetto crescente nei suoi confronti. Per quello e per il fatto che contrariamente ai pronostici non l’aveva scacciato indignato, ma anzi erano finiti con l’intavolare una conversazione.
“È perfettamente normale, dal momento che è la donna che io amo” sentenziò. “Non c’è buon partito che tenga di fronte all’amore.”
 
Dannazione ad André, questo tizio era veramente una “brava persona”.
Pure un po’ melenso come il suo amico. Chissà se questo per il comandante costituiva un pro o un contro, lei che solo con Diane e in poche altre occasioni aveva visto trasformarsi in una creatura dolcissima, amorevole. E quando sorrideva. Oscar aveva la capacità di trasmettere un calore, una comprensione per il mondo intero in un solo sorriso che aveva del soprannaturale. Sospettava covasse in lei un aspetto molto vulnerabile ai sentimenti altrui. Quale che fosse la sua intenzione riguardo il matrimonio, di certo non le era indifferente questo sfoggio di romanticismo da un uomo così sincero, Alain non ne dubitava.
 
Ma allora cosa avrebbe deciso?
 
Carino da parte vostra, ma non mi sembra che l’oggetto dei vostri sentimenti aspiri a una vita diversa dall’attuale; non credo sarebbe contenta di diventare l’angelo del focolare di nessuno, conte.”
“Chi vi dice che io non sia d’accordo a farle fare ciò che desidera?”
Alain ghignò soddisfatto. “Addirittura? Accettereste che vostra moglie continuasse a lavorare e a fare carriera militare, con i tempi che corrono e il suo ruolo nella guardia cittadina? Devo ammettere che non vi immaginavo così moderno, mi stupite!”
“Sarà padronissima di continuare a far carriera militare, ma come già stabilito con suo padre, tornerà nella guardia reale. È quello il suo posto, lo sappiamo tutti.”
 
Il tizio in effetti non era malvagio, ma gli mancava qualche venerdì se pensava di convincere il comandante a tornare sui suoi passi. Sapeva da André che era stata una decisione repentina, quella. Doveva avere qualche significato che non si poteva minimizzare, non c’era da illudersi a riguardo.
Se avesse visto l’impegno con cui aveva affrontato il nuovo incarico, se avesse sentito parlare i suoi compagni di quanto quella donna fosse il miglior comandante mai avuto… Non sapeva un bel niente, questo Girodel.
Era questo il suo posto. Oscar non era una bambola di corte.
E nessuno poteva difenderla dalle scelte che avrebbe compiuto di lì in avanti, neppure André, che pure avrebbe sacrificato un milione di volte la sua felicità pur di saperla al sicuro.
Ma in quell’istante ebbe la certezza che Oscar non sarebbe andata via.
Mentre loro di lì a poco avrebbero dovuto scegliere cosa fare, il comandante già lo sapeva.
Si stupì della forza della sua stessa intuizione.
 
“Non tornerà.”
“È la vostra opinione.”
“La sua l’avete chiesta?”
“Ho chiesto la sua mano, non siamo ancora ai dettagli.”
“Non sono dettagli, fidatevi.”
“Non so neppure perché ne stia parlando con voi, non vedo perché dovrei addirittura fidarmi. Siete un suo confidente?”
Non poteva rispondergli “Per interposta persona”. Scosse la testa in segno di diniego.
 
“Piace anche a voi, non è vero?”
Quest’uomo incipriato e tutto sapeva andare al sodo, doveva riconoscerglielo.
“Come dite?”
“L’ho vissuto anch’io, posso ben capirlo. Mi sono innamorato di lei da suo sottoposto, è stato graduale, ma inevitabile.” Soffiò sulla bevanda ormai fredda, ma invece di berla posò nuovamente la tazza e prese a scrutarlo, serio come un gatto col suo gioco.
“Magari ci assomigliamo più di quanto sembri, voi ed io.”
 
Alain lo squadrò dal lato opposto della scrivania e provò a specchiarsi in quegli occhi grigi e sottili che lo osservavano a loro volta. Vide la pelle diafana delle mani delicate che non conoscevano la fatica. Il ricco broccato della sua uniforme, la seta dei dettagli, i gradi guadagnati chissà come. Non avrebbero potuto essere più diversi e se qualcuno avesse detto il contrario lo avrebbe preso a pugni, ecco cosa pensò, ma quel “graduale e inevitabile” gli risuonava familiare.
Eccome, se suonava familiare.
“Se anche fosse, mi vedreste come una minaccia, conte?” chiese divertito.
“No. Affatto.” Si affrettò a rispondere l’altro stirando un sorriso sul suo bluff.
“Fate bene; non sarò io a insidiare la vostra bella...”
Girodel attese la continuazione sorseggiando sobriamente il tè, mentre l’altro l’aveva inghiottito d’un sorso, accompagnando il tutto con una smorfia poco convinta. Il rumore delle tazze sui piattini di porcellana divenne assordante, nel silenzio assoluto dell’ufficio.
“E chi, allora?” chiese infine spazientito il conte.
 
“André Grandier.”
 
Girodel si mise a ridere. Una vera risata piena, mica uno di quei ghigni di superiorità che aveva concesso finora.
Forse fu in quel momento che cominciò davvero a sentirsi a proprio agio, a capire il quadro completo dietro quella chiacchierata forzata.
Sentì nonostante tutto una stima crescente per questo Alain, per la sua lealtà nei confronti dell’amico.
“E a cosa è dovuta la vostra convinzione, sentiamo” chiese il conte ricomponendosi, tornando a bere il tè con gli occhi ancora scintillanti d’ilarità.
“Li conoscete da molto tempo, di certo da più tempo di me. Sarei curioso di sapere perché siete così sicuro che sia impossibile.”
“Madamigella Oscar è cresciuta con il suo attendente, ecco il motivo della loro confidenza. Se mi state chiedendo se pensi che lui sia innamorato è un conto, lo vedrebbe anche un cieco che le è devoto oltre la ragione, ma se credete che il sentimento sia reciproco vi state sbagliando di grosso. André non è un pericolo per nessuno, sa benissimo qual è il suo posto.”
“Ne siete certo.”
“Certissimo.”
Un sorrisetto beffardo si allargò sulle labbra del soldato della guardia.
“Ci scommettereste qualcosa?”
“… In che senso?”
Alain sbuffò a quella lentezza. “Nel senso di soldi. Da.na.ro. Grana.” Disse accompagnando il tutto con un gesto spiccio delle grosse mani. “Tanto non vi manca e ne siete certo, no?”
“E la scommessa sarebbe che André Grandier riuscirà a far innamorare di sé madamigella Oscar?”
Aveva ancora una faccia troppo divertita per pensare che stesse considerando davvero l’ipotesi. Sorpreso, ma interessato.
“Esattamente.”
“C’è un limite di tempo a questa scommessa?”
“Vediamo… è il caso che prenda un foglio per mettere questo e gli altri accordi per iscritto, non trovate?”
“Mi offendete” obiettò il conte con calma, infondendo grazia in ogni sillaba. “Tra gentiluomini basta la parola.”
 
Confabularono a lungo sui termini della scommessa, non si accorsero neppure dei passi in avvicinamento e quando André e Oscar spalancarono la porta, l’uno preoccupatissimo e l’altra di stucco, si trovarono davanti l’insolito spettacolo di Alain e Girodel che si stringevano la mano, a suggello del patto.
 
“Cosa sta succedendo?” chiese lei allarmata, realizzando solo in quel momento che André l’aveva intrattenuta per tenerla lontana da lì.
I due si alzarono in un solo movimento, ma con nonchalance, come se non ci fosse nulla di strano in quel quadretto.
“Madamigella Oscar, vi aspettavo” esordì il conte. “Gradirei riaccompagnarvi a casa, se avete intenzione di rientrare, stasera.”
Lo sguardo azzurro si spostò con sospetto dall’uno all’altro, poi dal servizio da tè ad André.
“Sì… pensavo di rientrare adesso, Girodel.”
“Venite allora, andiamo. Non avete un mantello? Fa fresco oggi.” Disse quello aprendole la strada nel corridoio, senza neppure degnare d’un saluto gli altri due.
Oscar osservò il duo di soldati rimasti nel suo ufficio, gli ormai inseparabili André e Alain. Il primo perplesso come lei e il secondo… divertito? Ne nacque un dialogo a tre senza parole e un palleggio di sguardi che si concluse con quello minaccioso di Oscar.
Significava: "Domani facciamo i conti."
 
***
 
3 di messidoro, 1794
 
Quest’anno il raccolto era stato decisamente migliore dei precedenti.
Alain si era spezzato la schiena, aveva anche accettato un aiuto da un ragazzetto del paese tanta era stata la roba da fare nei campi e quasi non ci credeva, visto che per quel poco che era riuscito a tirar su le scorse stagioni le sue forze bastavano e avanzavano.
Ora a guastargli il buonumore ci si metteva la corrispondenza, che suo malgrado aveva ricominciato a fluire da quando l’aveva scovato Bernard, pochi mesi prima.
Un plico misterioso dalla Svizzera, senza mittente. Non ci voleva.
Da quando si era ritirato sulla costa viveva con ansia ogni contatto con il mondo che si era lasciato alle spalle. Parigi. Il Terrore. Quegli annunci ininterrotti di condanne a morte. Non potevano dimenticarlo, come lui provava a fare con loro?
Svolse il plico. Nella luce solare abbagliante il foglio sembrò quasi bianco, ma una volta riparato con la falda del suo cappello di paglia distinse una grafia sconosciuta, minutissima ed elegante.
 
Alain, spero che questa lettera ti trovi bene.
Come vedi ho abbandonato ogni formalità; d’altronde non so se in questo mondo nuovo ci sarà più spazio per la cortesia, non ne ho vista molta in giro, di recente.
Comunque, spero perdonerai se mi prendo la libertà di darti del tu.
Ho scoperto solo di recente che eri sopravvissuto, leggendo l’intervista che hai rilasciato a Bernard Chatelet per il suo libro. Leggerla è stato straziante, ma ti ringrazio di aver condiviso quei ricordi.
Sono passati molti anni dall’accordo che prendemmo nell’ufficio di madamigella Oscar, ma non l’ho mai dimenticato.
Sulla carta posso aver perso il mio titolo, ma resto un uomo di parola, e fin da quando sono venuto a conoscenza dell’esito della nostra scommessa, non riuscendo a rintracciarti nel periodo concitato della rivoluzione, ho optato per una soluzione che mi sembrava confacente alla tua e forse alla sua volontà, se mi capisci.
La cifra che avevamo pattuito e che ti spettava come vincitore viene versata ogni anno al Fondo Per Gli Orfani Della Rivoluzione; nel caso in cui tu desiderassi usufruire della somma in modo diverso puoi rivolgerti al mio amministratore a Parigi, ti allego il suo indirizzo sul secondo foglio del plico, sa che potresti contattarlo e ha istruzioni in merito.
Io non penso di ritornare, non a breve… forse mai più.
 
Forse, ancora una volta, ci assomigliamo.
Avevi ragione su tante cose, Alain, ma almeno su questo non mi ero sbagliato, ne sono certo.
Buona fortuna a noi, a sopravviverci.
 
 
V.C.F. de Girodel
 
***
 
 
Per qualche minuto non ci fu che il ronzare delle cicale.
Il vento fresco della Bretagna muoveva le spighe di grano cariche, onde in competizione col mare poco distante, ma dorate e non azzurre, quasi pronte per la mietitura.
Alain si sentiva allo stesso modo, l’animo inquieto e ricolmo come quella distesa pungente nel vento. Vulnerabile, per la prima volta dopo tanto tempo.
Ai ricordi, alla falce.
Gli sembrava di sentirla la voce di André che ripeteva È una brava persona. E una singola lacrima accompagnò quell’illusione.
 
 
“Altro che brava persona, è un bastardo” disse ai gabbiani con le ali spiegate, sospesi tra il cielo e l’oceano.
“Persino quando perde deve farlo con eleganza.”

  
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