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Autore: KiarettaScrittrice92    24/10/2019    1 recensioni
Midoriya Izuku ha finalmente ottenuto la licenza provvisoria per eroi, ma improvvisamente qualcosa che sembra essere diventata più importante del suo sogno di diventare un eroe, si fa strada nel suo cuore: un sentimento che cambierà drasticamente la sua vita alla UA.
Bakugo Katsuki ha sempre odiato quella mezza calzetta che gli sta tra i piedi fin da quando erano bambini, ma da quando ha scoperto il segreto del suo quirk non riesce più a guardarlo nello stesso modo e questa cosa lo irrita ancora di più.
Todoroki Shōto è cresciuto con l'idea che nessuno l'avrebbe mai potuto apprezzare davvero, ma fin da quando ha affrontato il suo compagno di classe al Festival, ha compreso che dipendeva soltanto da lui. Da quel giorno è cambiato e in qualche modo sono cambiati anche i suoi sentimenti verso le persone.
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AVVISO!
Questa fan fiction comincia dopo la terza stagione dell'Anime, perciò non sto calcolando gli avvenimenti successivi già visti nel Manga e casomai non la finissi prima dell'uscita della quarta stagione: continuerò a non calcolarli.
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Izuku Midoriya, Katsuki Bakugou, Shouto Todoroki
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Threesome, Triangolo, Violenza
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La rabbia di Bakugou
 

Non capivo affatto perché mi avesse chiesto di vederci lì; ad essere sinceri non sapevo nemmeno perché avessi accettato di vederlo. Era dal duello notturno che non gli rivolgevo la parola, se non si considerava il breve scambio di richieste durante la punizione e le volte in cui lo insultavo, come d'altronde facevo sempre. 
Odiavo quella mezza calzetta: il suo modo di approcciarsi con il mondo e il suo essere sempre maledettamente positivo e insistente, soprattutto da quando aveva ottenuto un quirk tutto suo. Sorrisi stizzito, non era nemmeno suo quel quirk, era di All Might. 
All Might, il nostro idolo fin da quando eravamo bambini, colui che ammiravamo assieme, l’unica cosa che ci aveva accomunati fin dall'asilo, aveva scelto quella nullità di Deku come suo erede. Perché? Cos’aveva di speciale? Cosa ci aveva visto quando aveva deciso di donargli uno dei quirk più potenti al mondo, anzi il più potente in assoluto.
La risposta s’insinuò nella mia testa come un insetto fastidioso, piccolo e ronzante proprio come il verde: altruismo e coraggio. Odiavo ammetterlo, lo odiavo con tutto me stesso, ma se c’era una cosa che avevo sempre invidiato a quella mezza cartuccia era il suo prodigarsi per gli altri. Noi due eravamo cresciuti con lo stesso identico sogno: diventare degli eroi proprio come All Might, dei simboli di giustizia e di pace; ma da quando avevamo cominciato a frequentare entrambi la UA mi ero reso conto che lui aveva un qualcosa in più, un qualcosa che era sempre stato nel suo carattere, ma che forse per via dell’assenza di un quirk non era mai uscito fuori: l’istinto incondizionato di mettere a rischio la propria vita per salvare quella degli altri. 
Ingoiai la bile che mi si era creata in gola nel ripensare a quel maledetto nerd in lacrime che tentava di salvarmi da quel villain, scavando nella melma che pian piano mi stava risucchiando; o lo stesso che sempre piangendo tentava di raggiungermi, mentre venivo rapito dall'Unione dei Villain.
«Kacchan... Grazie di essere venuto...» fece la sua vocina intimidita, distogliendomi dai quegli insopportabili pensieri, che stavano prendendo una piega che non mi piaceva affatto.
Mi voltai, incrociando le braccia al petto e rivolgendogli il peggior sguardo che mi potesse uscire: come se quei pensieri insopportabili di ammirazione che mi facevano tanto ribrezzo dipendessero solamente da lui e non dalla mia mente confusa.
«Mi dici perché cazzo hai voluto che ci vedessimo di nascosto qui? – domandai, per poi fare un ghigno derisorio – Non dirmi che vuoi la rivincita...» proposi. Se era quello che voleva, gliel’avrei sicuramente data: anche a costo di finire nuovamente in punizione gli avrei inferto una sonora lezione che non avrebbe dimenticato mai più. La sua risposta però negò ogni mia aspettativa.
«No, no... – fece, agitando nervosamente le mani davanti al viso – Voglio... Voglio solo parlare...» disse.
Lo guardai storto, notando finalmente che c’era qualcosa di diverso in lui quel giorno. L’avevo sempre visto parecchio nervoso e intimidito davanti a me, soprattutto quando lo minacciavo, ma quella volta sembrava quasi imbarazzato. Non so per quale motivo, forse perché ero ancora troppo giovane, forse perché lo odiavo ancora troppo per rendermene conto, ma non riuscivo davvero a capire il perché si stesse comportando in quel modo.
«Avanti, muoviti allora, ho ben altro da fare che ascoltare i tuoi piagnistei!» lo invitai, anche se non era affatto vero: a quell’ora tarda l’unica cosa che potevo fare era rintanarmi in camera mia a fare l’unica cosa al mondo che non odiavo, ossia leggere le Grafic Novel di All Might.
Lui però non parlò, si morse solamente il labbro inferiore nervosamente e quel suo comportamento stava cominciando ad irritarmi.
«Deku, vuoi deciderti a...» cominciai, muovendo leggermente le dita e percependo le prime scintille percorrermi le articolazioni, pronto a dargli una svegliata a forza delle mie esplosioni.
«Va bene, va bene... Te lo dico... – fece lui agitando nuovamente le mani – È che non è facile...» cercò di giustificarsi, distogliendo il suo sguardo verde dal mio: una cosa che faceva spesso quando ci ritrovavamo a parlare, ma che ultimamente notavo più spesso del solito.
A quel suo gesto sentii aumentare l'irritazione, non tanto per quel suo inspiegabile imbarazzo, ma più per il disgusto verso la mia sensazione di dispiacere nel non sentire più l’attenzione dei suoi occhi smeraldini addosso. Mi faceva incazzare solo il pensiero di provare quella forma di delusione e in qualche modo cercai di auto convincermi che la colpa era sua e non mia.
«Rendilo facile.» sbottai appena, cercando di trattenere quella rabbia che sentivo ribollire nel mio corpo e risvegliava il mio quirk esplosivo.
«Ecco... È da un po’ che... No, in realtà ieri... Il fatto è che...»
«Insomma merdeku, vuoi deciderti a dire una frase di senso compiuto? – cominciai a gridare, mentre lui continuava a balbettare parole senza senso – Non ho tempo da perde...»
«Kacchan, tu mi piaci!» gridò all’improvviso, come se anche lui fossi esasperato dalle mie lamentele.
A quelle tre semplici parole sentii il sangue gelarmisi nelle vene. Per un attimo sembrò che il mondo si fosse fermato in quel piccolo angolo nascosto del cortile dell’accademia: lui era davanti a me, con gli occhi serrati come se avesse paura della mia reazione; mentre io li tenevo sbarrati, completamente sconvolto. Non potevo credere a ciò che aveva detto, o forse non volevo crederci.
Nella mia testa si stava creando il caos, ma tra tutte le mie emozioni sicuramente c’era la frustrazione di sentirmi in quel modo: ero a disagio e quel disagio mi faceva incazzare ancora di più.
In un attimo, da che ero rimasto gelato, cominciai a tremare dalla rabbia e digrignai i denti, proprio nel momento in cui lui aprì un occhio per tentare di vedere la mia reazione.
Lo afferrai per il bavero della divisa grigia, sollevandolo leggermente da terra e sbattendolo contro il muro, provando quasi una sensazione di godimento nel vedere la sua smorfia di dolore provocata molto probabilmente dalla sua schiena che sbatteva contro il cemento dell’edificio.
«Mi stai prendendo per il culo?!» ringhiai.
«No...no... Io...» cercò di proteggersi con le braccia; mentre i suoi occhi, finalmente di nuovo aperti, diventavano mostruosamente espressivi, scombussolando le mie viscere.
«Sono anni che ci conosciamo ed ora te ne esci con questa stronzata?!»
«È che... Io... Anche io me ne sono accorto da poco...» cercò di dire, ma la mia rabbia era cresciuta talmente tanto che non riuscivo nemmeno a controllarla.
Iniziai a muovere le dita della mano libera, percependo le scintille del mio quirk che scoppiettavano febbrili.
«Stronzate!» gridai.
«Kacchan... dico sul serio... tu mi p...»
«Non ti azzardare a ripeterlo un’altra volta o giuro che ti faccio fuori!» sbottai, bloccandolo prima che completasse la frase. Non volevo più sentire quella confessione, non volevo più sentire lui.
Preso da un moto di furia, liberai il mio quirk, puntando dritto al suo viso, ma lui prontamente si parò con le braccia.
Il rumore dell’esplosione si propagò per tutto il cortile, ma vista l’ora tarda probabilmente non ci aveva sentito nessuno.
Mollai la presa su di lui, che scivolò a terra: le maniche della divisa completamente a brandelli e leggermente fumanti per il colpo.
Non me ne fotteva niente però, almeno non in quel momento. Lo mollai lì, allontanandomi e dirigendomi verso il dormitorio. Avevo bisogno di chiudermi in stanza e non uscire fino all'indomani mattina o sarei stato capace di fare fuori qualcuno.

 

Arrivato in camera mi chiusi la porta alle spalle. Ero furioso: sentivo chiaramente i miei muscoli tesi fino al limite, come se dovessero strapparsi da un momento all’altro, per non parlare del dolore alla mascella che avevo irrigidito dal momento in cui avevo incrociato quella faccia di merda.
Non riuscivo in nessun modo a calmarmi, più che altro perché allora non comprendevo con esattezza cosa stavo provando. Prima di allora, nella mia testa, io e Deku eravamo stati rivali, nemici; per me lui era solo un maledetto ostacolo alla mia gloria. Ma con quella confessione lui aveva stravolto tutto: aveva messo in dubbio i miei stessi sentimenti, la mia stessa indole, mi aveva aperto gli occhi su una realtà che non volevo assolutamente vedere. Non era possibile che gli piacessi, come non era possibile che lui piacesse a me, era qualcosa di inconcepibile; come poteva provare qualcosa per me dopo tutti i miei insulti, le mie botte, il mio bullizzarlo costantemente fin da quando eravamo bambini.
Tirai un pugno al muro, cercando di trattenere il mio quirk e rischiare di distruggere il muro, che comunque s’incrinò leggermente sotto le mie nocche che cominciai subito a sentir pulsare e bruciare.
Non avevo nemmeno la più pallida idea di come avrei dovuto sfogarmi, fosse stato per me avrei tirato pugni al muro per tutta la sera e per tutta la notte, fino a quando mi sarei ritrovato stremato e con le nocche sanguinanti. Eppure il mio buon senso, quel poco che mi era rimasto, me lo impedì.
«Fanculo!» sussurrai appena, e non sapevo nemmeno se fosse rivolto a lui o semplicemente alla situazione in generale. Dopodiché mi tolsi la giacca della divisa, mi allentai la cravatta, buttandomi sul letto come fossi stanco di quell’essere costantemente incazzato.

  
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