Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: aeru_    27/10/2019    0 recensioni
[Eren✘Armin]
[Attack on Titan Modern AU]
Eren è uno studente testardo prossimo alla bocciatura, e che viene da una famiglia disastrata. Armin è il suo paziente e dolce tutor, la cui vita però non sempre lo è altrettanto. Nonostante le differenze, alla fine, gli opposti sono destinati ad attrarsi.
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➖ Questa fan fiction è stata scritta e pubblicata su Wattpad da @mychemicalarmin, che mi ha dato il permesso di tradurla. Tutti i diritti e i crediti della storia appartengono esclusivamente all'autrice.
This fan fiction has been written and published on Wattpad by @mychemicalarmin, who gave me the permission to translate it. All the rights and the credits of the story belong exclusively to the author.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Armin Arlart, Eren Jaeger
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: Contenuti forti
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Capitolo Uno

- POV Eren -   

 

 

 

 

 

     I giorni d'autunno erano i miei preferiti. Adoravo la sensazione nostalgica di quell'aria frizzante e fresca. Portava i ricordi degli Halloween passati, dei tuffi nei mucchi di foglie e delle risate forti al punto da farmi venire male ai polmoni. Volto a guardare il paesaggio fuori dalla finestra dove il sole risplendeva, osservavo le foglie scarlatte con attenzione, mentre una moltitudine di pensieri turbinava nella mia testa.

 

     "Eren Jeager?"

 

     Una voce mi riportò alla realtà. Alzai lo sguardo a guardare la segretaria, che mi fissava dall'alto al basso con i suoi occhi da gufo attraverso degli occhiali spessi e tondi.

 

     "Adesso è pronta per riceverti." 

 

     Nell'ufficio della preside, mi accomodai su di una poltroncina soffice, e presi a sballottare fra le mani avanti e indietro il cubo di Rubik poggiato sulla scrivania. Lei picchiettava la tastiera del computer, e ogni tanto le sue labbra esalavano dei sospiri frustrati. Sulla targhetta che portava faceva capolino il suo nome in caratteri dorati ― Valerie Perez, e giusto accanto c'era una fotografia di lei in abiti informali, e che teneva per mano due identiche gemelline.  

 

     Dopo un minuto di noiosa contemplazione di quell'ufficio che oramai conoscevo fin troppo bene, la signora Perez si voltò finalmente verso di me sulla sua sedia girevole. Riuscivo a vedere i miei voti che figuravano sullo schermo del computer alle sue spalle.

 

     "Eren, rischi la bocciatura in tre dei tuoi corsi."

 

     Guardai cinicamente quell'austera e riservata donna con addosso il suo elegante completo nero, e il cui sguardo appariva tanto intransigente persino a quella vicinanza relativamente stretta.

 

     "Ah, sì? E allora?" Risposi roteando gli occhi, mentre calciai il tappeto con la punta dei miei anfibi.

 

     "Allora, avrai bisogno di un aiuto speciale. Ripetizioni. Ne ho già parlato con tua madre, e incontrerai un tutor per tre ore ogni mercoledì, a partire dalla settimana prossima."

 

     Sbuffai. Ripetizioni? Neanche per sogno, conclusi. Non avevo né il tempo né la voglia per starci dietro. Le mie attività sportive mi tenevano già abbastanza impegnato, e quando ero finalmente libero preferivo dedicarmi agli amici. Tre ore a settimana con un tutor mi avrebbero privato di suddetto tempo prezioso, senza contare che come esperienza suonava una vera e propria rottura.

 

     "È fuori discussione, non lo faccio!" protestai allungandomi in avanti sulla sedia, per poi battere sulla scrivania, finendo così portare una tazza, per mia fortuna vuota, che stava ordinatamente posata lì sopra.

 

     La signora Perez contrasse le labbra, imperturbabile. I suoi occhi erano incolori, come se avesse già avuto la stessa conversazione tante altre volte. "Credo invece che lo farai", mi sfidò. "Altrimenti niente diploma. Trovo sia un giusto compromesso, non credi?"

 

     Sospirai chiudendo gli occhi e riflettendo sull'offerta. Non è che avessi molta scelta, specialmente sapendo dell'ira di mia madre che incombeva su di me. 

 

     Riaprii gli occhi incontrando il suo sguardo, ricercai il mio sangue freddo mentre incrociavo le braccia tutto tronfio. "D'accordo" accettai. "Ma non mi piacerà."

 

 

 

 

 

 

 

* * *

 

 

 

 

 

 

 

 

     La parte che più detestavo di ogni giornata di scuola, era il rientro a casa. Era impossibile stabilire in che aggressiva luna avrei trovato mia madre, o se avessi potuto cenare nel caso in cui il frigo non fosse stato già svuotato dai suoi amichetti spacciatori, oppure ancora se ce l'avrei fatta ad entrare dalla porta sul retro senza dover schivare una bottiglia di birra volante. 

 

     Per farla breve, odiavo stare a casa.

 

     Camminando avanti e indietro per la lunghezza del parcheggio, attesi finché nel mio campo visivo non fece capolino una familiare e spaiata coppia di ragazze. Ymir e Christa erano inseparabili, in pratica non si vedeva mai una delle due senza l'altra, ed erano completi opposti. Ymir era tutta spigolosa, sempre con jeans strappati e maglie da uomo fuori misura, e Christa era la sua controparte angelica, una tipa da gonne rosa pastello e gialli crop-top, e con la personalità più dolce che si potesse mai immaginare. Io ero amico di Ymir sin dal primo anno di liceo, e visto che avevamo entrambi una vita orribile in casa, le nostre situazioni in comune ci tenevano legati. Christa era un'aggiunta più che ben voluta, benché non fossimo vicini allo stesso modo.

 

     "Ehi, Eren!" urlò Ymir facendosi più vicine. Le risposi con un cenno di saluto. Raggiunta la sua vecchia auto arrugginita ― Trusty Rusty, l'aveva chiamata così ― si voltò verso di me, passandosi una mano fra i bruni capelli spettinati.

 

     "Che mi dici?" mi chiese, infilando la chiave nella serratura, lasciando la mano di Christa nel mentre. Gettò lo skateboard sui sedili posteriori, che si fece tutt'uno con il caos che regnava in quella macchina. Christa ammiccò un saluto, coperta da un dolcevita rosa, le ciocche bionde che splendevano sotto il sole. "Ciao, Eren! Come va?"

 

     "Bah, tutto okay," feci spallucce. "A quanto pare ho bisogno di ripetizioni, perciò... Diciamo che non è esattamente qualcosa di piacevole da sentirsi dire il lunedì mattina."

 

     "Cazzo, che rottura, capo. Però, voglio dire, hai bisogno di superare gli esami per diplomarti," disse Ymir, tirandosi fuori una sigaretta dalla tasca. Christa la fulminò con un'occhiataccia, le unghie smaltate strinsero la stoffa della sua gonna. Discutevano spesso sul vizio del fumo di Ymir. Lei aveva promesso di smettere, più e più volte, ma puntualmente finiva sempre per ricominciare. E Christa era stufa di rimproverarla, nonostante la cosa la infastidisse non poco. 

 

     "Suppongo di sì..." borbottai. "Comunque, che fate oggi? Vi spiace se mi aggrego?"

 

     Ymir aspirò a denti stretti. "Scusa, capo. Sai che ti direi di sì, ma... I genitori di Christa mi vogliono a cena da loro stasera. Questo significa che devo darmi una sistemata, quindi..." gesticolò indicando i suoi larghi jeans macchiati di vernice e le sue sue Vans nere tutte consunte. Venni pervaso dallo sconforto.

 

     "Nessun problema" sforzai un sorriso, e le salutai. "Godetevi la serata, ragazze."

 

     "Grazie, capo."

 

     "Grazie!" Si aggiunse Christa, i suoi grandi occhi azzurri sorridenti. "Mi spiace tanto di non poter uscire insieme. Ma domani si può fare sicuramente!" 

 

 

     "Fa niente, tranquilla." Me ne stavo già andando, e le loro figure erano diventate delle chiazze tutte sfocate. "Ci si vede!"

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

* * *

 

 

 

 

 

 

 

     Jean non si vedeva da nessuna parte, e per di più la sua macchina lussuosa non era parcheggiata al solito posto. Sospirando, i miei occhi scansionarono la pista alla ricerca di Mikasa e dei nostri compagni di squadra, e subito individuai i suoi capelli corvini volteggiare come dei nastri mentre faceva il suo riscaldamento. Da quando avevo abbandonato l'atletica a causa dei miei pessimi voti, era fin troppo penoso a stare lì a guardare gli allenamenti, nell'attesa che Mikasa finisse e mi riaccompagnasse a casa. Molto spesso si fermava fino a tardi, a perdersi in interminabili discussioni con i coach circa i suoi progressi. Non avevo intenzione di aspettarla per altre tre ore, non importava quanto detestassi stare a casa. 

 

     Alla fine pensai che mi sarei semplicemente fatto una passeggiata.

 

     Impiegai un'ora intera a tornare. Me l'ero presa con molta calma. La mia testa era completamente impegnata a riflettere su quelle tre ore di ripetizioni che mi aspettavano e in cosa sarebbero consistite. Per me, uno studente iper-attivo e dislessico che non riusciva mai a concentrarsi sui suoi compiti per casa, tre ore suonavano come un'eternità. Ma poi, se il mio tutor fosse stato un tipo antipatico, severo e senza pazienza nei miei confronti? O se mi avesse lasciato perdere, infischiandosene se avessi fallito o meno? C'erano troppi fattori da considerare, talmente tanti che la mia testa continuò a girare finché non mi ritrovai di fronte all'ingresso di casa mia. 

 

     Come mi intrufolai dentro, il cuore che andava mille, constatai che non c'era alcuna traccia di mia madre. Soffiai allora un sospiro di sollievo, per poi stravaccarmi sul divano e lasciando cadere le palpebre dei miei occhi, abbandonando per un attimo le galassie dei miei problemi. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

* * *

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

     Arrivò il mercoledì. Era il mio primo giorno di ripetizioni. Tre lunghe ore. Sarei decisamente morto. A parte questo, non sapevo assolutamente nulla del mio tutor. Nemmeno come fosse fatto, o come si chiamasse. La signora Perez mi aveva detto di lasciare un cartellino su un tavolo col mio nome sopra, e aspettare che il tutor sarebbe arrivato. 

 

 

     Avrei tenuto la sessione di studio nella biblioteca locale, un vasto edificio con un gigantesco e inquietante leone in pietra a guardia dell'entrata. Arrivai alle quattro in punto, pronto per essere annoiato a morte. Il tragitto in macchina fin lì era stato un inferno. Avevo già ricevuto sufficienti  strilla sbronze e diversi fastidi nei giorni precedenti, e la paternale extra in macchina non aveva fatto altro che incrementare la mia irritazione. Come uscii dalla macchina sbattei la portiera con particolare violenza, andando a toccare inconsciamente un tasto dolente alle mie spalle.

 

     Il rigido portone rimase bloccato per un momento quando lo urtai, la mia mano stringeva con forza la maniglia congelata mentre con uno spintone lo aprii ed entrai finalmente nella biblioteca. Era immensa, esattamente come appariva dall'esterno, con una reception che si arcuava da una parte all'altra sulla distesa di un tappeto e con una moltitudine di scaffali su cui stavano disposti un sacco di libri di vario genere. Mi era stato detto che l'incontro sarebbe stato in fondo alla sala, dove c'erano molti tavoli. Iniziai ad avviarmi verso quella direzione, superando un bel po' di persone che leggevano e studiavano per conto loro o con qualcun altro. Ridendo di me stesso, mi lasciai cadere su un posto ad uno dei tavoli designati per le ripetizioni, e tirai fuori il cartellino col mio nome. Ero l'unico che si trovava lì, a parte una coppia che discuteva su un testo qualche metro più in là. Chiunque fosse il mio tutor, mi avrebbe trovato molto facilmente.

 

     Ero in anticipo, così tirai fuori il cellulare e presi a scorrere per un po' le milioni di notifiche Snapchat da parte di Jean. La metà di questi erano video di mia sorella che correva sulla pista, accompagnati con tanto di emoticon con occhi a cuoricino. Infilai il telefono nella mia tasca roteando gli occhi, quando avvistai una figura dirigersi verso di me.

 

     La prima cosa che notai furono i suoi occhi. Erano profondi e blu come l'oceano, circondati da un paio di occhiali dalla montatura color verde scuro. I capelli color girasole gli arrivavano fino al collo e aveva una frangetta che ondeggiava sulla sua fronte. Le maniche della felpa verde smeraldo erano lunghe al punto dal coprirgli le mani. I suoi occhi guizzavano agitati da una parte all'altra, quando prese a venire verso di me non appena individuò la targhetta su cui faceva capolino il mio nome scritto con una disordinata calligrafia.

 

     Lo so, lo so che suonerà prevedibile, ma... Quando l'ho visto da più vicino, mi ha tolto respiro. Era bello in un modo che non saprei proprio spiegare. Anche adesso, guardando indietro, non saprei trovare le parole per descriverlo.   

 

 

     Il tutor poggiò a terra la sua borsa. "Scusami, sono in ritardo" mormorò, portando una ciocca di capelli dietro un orecchio. Mi limitai ad annuire, ipnotizzato da ogni suo movimento. 

 

     "Allora... Eren, giusto?" Sembrava timido, mentre si mordeva il labbro roseo e guardava fisso il suo quaderno costellato da scritte ordinate. "I-Io sono Armin. Arlert. Armin Arlert. Sono, uhm... Uno studente dell'ultimo anno, come te."

 

     Ci fu una lunga pausa prima che mi ripresi del tutto, ritornando nuovamente sulla terra. Distesi la mano verso di lui. "Piacere, signor Arlert" lo motteggiai. Scosse la testa imbarazzato, ma afferrò ugualmente la mia mano. Al suo contatto cercai di ignorare il lieve fremito di ali di farfalla nel mio stomaco. 

 

     "Non devi chiamarmi così, sai. Abbiamo entrambi diciassette anni." Prese la sedia di fronte a me, accomodandosi e tirando fuori dal suo zaino un enorme raccoglitore, che mi accorsi essere fatto in modo da somigliare al Tardis del Doctor Who. Ridacchiai fra me e me non appena prese a sfogliarlo.

 

     "Allora, Armin" esordii, lasciandomi andare iniziando a parlare senza pensare ― la mia specialità. "Sei tipo... Super intelligente o cosa?"

 

     Immediatamente, una tinta rossa prese a colorire le sue guance d'avorio. Per evitare di guardarmi, si tenne impegnato a scribacchiare qualcosa nel suo impeccabile e ordinato raccoglitore. 

 

     "N-non saprei... Forse dovremmo iniziare a lavorare" riprese, aggrottando la fronte mentre guardava fisso il raccoglitore. "Voglio dire... Riconosco la mia intelligenza, altrimenti non starei facendo questo."

 

     Alzò lo sguardo di colpo, i suoi occhi sorprendentemente blu penetrarono i miei per un momento, ma interruppe subito il contatto visivo, chiaramente per niente pratico in questo genere di cose. 

 

     "Hai tutto il tuo lavoro?" mi domandò sviando l'argomento.

 

 

     "Sì, credo" risposi scrollando le spalle, deciso a non fargli più pressione. Quanto meno riuscivo a capire quando qualcuno era a disagio, e in ogni caso l'avevo appena conosciuto.

 

     "Puoi... Tirare fuori i tuoi compiti, per favore?"

 

     "Come vuoi". Mi allungai verso il mio zaino, tirandone fuori la mia disorganizzata accozzaglia di quaderni e fogli. Non ho mai brillato nello studio, perciò penso che in qualche modo gli fossi grato per il suo aiuto, ma ero comunque ancora un po' restio nell'accettare quell'insolito cambiamento.

 

     E tre ore. Avete idea di quanto tempo sia? 

 

     Armin era agitato, continuava a cambiare posizione sulla sua sedia mentre tiravo fuori il mio materiale, studiandosi le sue unghie e aggiustandosi i capelli di continuo. Sembra piuttosto nervoso per essere un tipo che dà ripetizioni a gente come me, pensai. Sapevo che alle volte esageravo ― qualcuno diceva anche che fossi intimidatorio ― ma non volevo rendergli la sessione impossibile. Ero senza peli sulla lingua, l'avevo punzecchiato e schernito anche se ci eravamo appena incontrati, ma non volevo essere sgarbato con lui. Avevo avuto l'impressione che fosse un tipo timido e tranquillo, decisamente per niente abituato ad una personalità come la mia.

 

     Una volta tirato fuori tutto l'occorrente, lo allugai verso Armin, che si morsicò il labbro non appena ci diede un'occhiata, mettendosi finalmente fermo.

 

     Alzò lo sguardo dopo un minuto, la sua espressione era incolore e gli occhi acuiti dalla concentrazione. "Dunque... Modulo due di algebra, fisica e inglese?"

 

     "Già" dissi in un filo di voce sorridendo. "Faccio schifo in matematica, quindi sono piuttosto indietro... Fisica è solo parecchio complicata, e non sono un bravo lettore. Mai stato e mai lo sarò."

 

     Armin aggrottò la fronte. "Possiamo lavorarci. Non dubitare così tanto di te stesso. Questo fa parte del tuo problema. Devi credere che tu possa farcela."

 

     Facile da dire per lui. È quello che mi sta dando ripetizioni.

 

     "Allora, con cosa vuoi iniziare?" Chiesi con noncuranza, lasciandomi andare sulla sedia e scrutando il biondo con occhi diffidenti. 

 

     Armin ci pensò su, battendo la sua penna sul tavolo. La mina rimbalzò al suo interno. "Che ne dici se partissimo con inglese?"

 

     Inorridii, immaginando risate crudeli riversarsi fuori dalle sue labbra mentre io faticavo a leggere anche la più semplice delle parole. Ma se era così cervellone come diceva, non avrebbe mai riso della mia dislessia. Mi ero convinto del fatto che chiunque fosse più intelligente di me ― e quanto pareva lo erano tutti ― eccetto mia sorella ovviamente, la prendesse come uno scherzo. Era così da quando in terza elementare la mia classe era scoppiata a ridere, da tutte le minacce di trattenermi e dalle sfuriate di quell'apatica di mia madre.

 

     Nonostante le mie paure, afferrai riluttante il grande libro di antologia, aprendo la pagina del breve testo e le domande a esso inerenti che ci erano state assegnate come compiti per casa, con l'aggiunta di un saggio breve da svolgere entro due giorni. Ero già stanco al solo pensiero di tutta la fatica che avrebbe implicato.

 

     Armin stava dicendo qualcosa, ma io avevo già smesso di ascoltarlo. Tornai di nuovo sulla terra quando disse bruscamente "Eren", e sbattei le palpebre, notando i tratti del suo viso dipinti di un leggero fastidio, uno strano sguardo da vedere su di lui.

 

     "Stai attento" ordinò, ma persino il suo fare austero aveva un che di gentile. "Sto cercando di aiutarti".

 

     "Scusa" mugugnai, sentendomi subito in colpa. Mi sedetti più dritto, e Armin stava indicando qualcosa. Il primo paragrafo del testo. 

 

     "Leggilo per me". Sospirai, piegandomi in avanti e fissando il testo che si profilava di fronte a me. Digrignai i denti e strinsi i pugni, la frustrazione che mi ribolliva nel fegato. Ero stanco. Stufo, a dire la verità. Non feci che peggiorare le cose, le parole che nuotavano e si rimescolavano sotto i miei occhi, come una zuppa di lettere.

 

     Dovevo aver aspettato per un bel po', perché Armin mi chiese "Eren, tutto bene?" Alzai lo sguardo vedendo una sincera preoccupazione, sottolineata particolarmente dall'espressività dei suoi tratti. 

 

     "Sto... È tutto a posto, sono solo..." mi interruppi, e lui mi guardò ancora più perplesso.

 

     "Adesso comincio," conclusi. Tante gocce di sudore iniziarono ad accumularsi sulla mia fronte.

 

     Tornai a fissare la pagina. Le parole galleggiavano fuori da essa per poi ritornarci sopra. Strizzai gli occhi, pur sapendo che sarebbe stato inutile, sentivo le lacrime pronte ad uscire dai miei occhi, la rabbia che prendeva il posto della frustrazione traboccava dalla bocca dello stomaco.

 

     "Eren, se c'è qualche problema—"

 

     "Non ho nessunissimo problema!" Sbottai, e Armin si ritrasse al mio improvviso cambiamento di tono. Ero troppo orgoglioso per ammettere il fatto. Armin aggrottò le sopracciglia, un'altra strana espressione da vedere considerando quanto mi fossi già abituato a vedere i suoi grandi occhi blu e il suo sorriso insicuro.

 

     "Non c'è bisogno di urlare" disse deciso. "Posso aiutarti. Non c'è niente di cui tu ti debba vergognare. Io sono il tuo tutor."

 

     Scossi la testa lentamente, mortificato. "Posso andare in bagno, per favore?"

 

     Armin liberò un sospiro sconfitto. "Va bene, vai."

 

     Scattai dalla sedia e schizzai verso il bagno per rimettere insieme i miei pensieri, inspirando profondamente mentre fissavo i miei occhi contornati di rosso riflessi nello specchio. Sembrava tutto impossibile. Ero tentato di andarmene, scaricando lì il mio tutor, per correre via giù per la strada senza guardarmi indietro. Però poi pensai al biondino, seduto tutto solo al tavolo, ad aspettarmi, e sentii un'ondata di sensi di colpa più forte di qualsiasi altra frustrazione.

 

     Sbuffai con stizza, e decisi di tornare. Dopo essermi preso qualche altro momento di respiri decisi e dopo essermi stropicciato gli occhi, ritornai al tavolo. Armin sembrò molto più che sollevato di rivedermi, e si aggiustò gli occhiali in tutta fretta.

 

     "Oh, bene, sei tornato" sospirò, sorridendo lievemente. "Sei stavo via per un po', credevo te ne fossi andato via o chissà che altro...  È ridicolo, scusami..." 

 

     Perché era lui a scusarsi? Semmai, avrei dovuto essere io a chiedere scusa per il mio comportamento bizzarro.

 

     Risi nervosamente, mentre riprendevo posto evitando il contatto visivo con quel mieloso biondino. "Ma va, non dirlo nemmeno. Comunque, uh... Direi di riprendere con questa roba".

 

     Il resto della lettura fu abbastanza penoso, ma non potei fare nulla per costringermi a comportarmi come avrei fatto solitamente. C'era qualcosa in Armin che lo distingueva da tutti gli altri. Nonostante le mie difficoltà nel leggere, era incredibilmente paziente. Nonostante le mie difficoltà nel capire i vari concetti di matematica e scienze, non si è arreso con me, e non mi considerava un peso. Non ero abituato ad essere trattato così, e alla fine della sessione realizzai che alla fin fine quel ragazzo mi piaceva, con tutte le sue particolarità e le sue stranezze.

 

     Forse, questa cosa delle ripetizioni non sarebbe stata poi così male.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

「 Questa storia è stata scritta e pubblicata su Wattpad da mychemicalarmin, da cui mi è stato accordato il permesso di tradurla e pubblicarla. Tutti i diritti e i crediti appartengono esclusivamente all'autore. 

 

This story has been written and published on Wattpad by mychemicalarmin, who gave me the permission to translate it and publish it. All the rights and the credits belong exclusively to the author. 」

   
 
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