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Autore: Exentia_dream    31/07/2009    3 recensioni
Dall'8 capitolo: Non vi sarà nessun preavviso, se non quello di una maga che riuscirà a condurre da sè le Predestinate e tutto avrà inizio di lì a poco, al confine tra il bene e il male, dove questi si fonderanno e diventaranno una cosa sola. Il cielo diverrà scuro e non ci sarà luce, se non quella delle fiamme che bruceranno le città e mai la terra sarà così arsa di sangue innocente e tutto diventerà del colore del sole al tramonto. Mai gli uomini si sentiranno così afflitti, ma la pioggia concederà alle loro forze un breve riposo, poi tutto tornerà: ogni uomo avrà tra le mani una spada, ma solo due di queste riusciranno a ferire il male nel suo profondo. E non saranno mani forti a sferrare i colpi, bensì gracili ed esili mani. Le Predestinate si troveranno di fronte al loro peggior nemico e dovranno combattere, rinnegando anche sè stesse. Urleranno di dolore per gli affetti che perderanno: calde lacrime righeranno il loro viso e mai sentiranno così forte il desiderio di pregare gli dei, per far spezzare il filo delle loro vite. Mai più questo mondo vivrà una guerra simile: la GRANDE GUERRA. Alla fine di tutto, il sole brillerà di una luce fioca e debole, oscurata ancora dalle colonne di fumo nero e nei campi, i sopravvisuti passeranno tra un numero imprecisato di corpi senza vita, e in onore di essi ricostruiranno ciò che è stato distrutto. Delle Predestinate non ho più visto il volto e non so se saranno tra quei corpi morti, nè se le ninfe saranno capaci di ridare la vita a coloro che l'avranno persa. Ma il cielo tornerà ad essere limpido e il sole a splendere alto, senza più la minaccia di venire oscurato. E' la prima volta che provo a scrivere un fantasy... perciò vi prego di lasciare i vostri commenti e le vostre critiche soprattutto. Non so bene su quale filo proseguirà la storia, non ne ho la minima idea, ma spero di riuscire a scrivere qualcosa di piacevole. Ringrazio in anticipo tutti coloro che leggeranno e recensiranno.
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Giava


Il panorama da lì era stupendo: le praterie che si stendevano ai piedi di quella montagna sembravano infinite, al punto di fondersi con l'orizzonte. E poi c'era il castello che sembrava nascesse dalle rocce e la cascata che lo circondava sembrava avere qualcosa di magico: di giorno rifletteva tutti i colori dell'arcobaleno, ad intervalli regolari; di notte si colorava di un blu così intenso da sembrare nero e nel punto in cui la corsa dell'acqua terminava per essere accolta da quel tappeto d'acqua ferma, pareva che fossero contenute tutte le stelle dell'universo.
Noir si trovava spesso sotto quell'albero ad ammirare quello che la circondava: immaginava il suo futuro e sorrideva all'idea di poter essere artefice del proprio destino, ma restava lì ad aspettare che il tempo passasse e completasse il disegno che il destino aveva preparato per lei.
Giava era un paesino circolare, con vicoli stretti che si alternavano ad alcuni più larghi. Ogni vicolo accoglieva casette e grossi palazzi e su ogni porta era inciso a fuoco il simbolo delle casate a cui appartenevano. Il centro del paese era disegnato da un'enorme fontana, attorno alla quale si izzavano tendoni e bancarelle del mercato.
Le giornate trascorrevano tranquille, disturbate solo dalle urla di qualche contadino contro un mendicante affamato che rubava una mela.
Noir lavorava nella locanda del padre, Kiof, che da parte sua cercava di accontentare qualche zingara, conservando qualche avanzo anche per sè e per sua figlia. La locanda bastava per assicurare loro i viveri necessari per non cadere in miseria e in quel periodo era piena di mercanti e stranieri. Era sempre così durante la fiera: ogni locandiere faceva a gara, confrontandosi poi la sera su chi avesse ospitato più clienti. Noir serviva ai tavoli, mentre Kiof si affaticava ai fornelli per accontentare i suoi avventori. L'orto alle spalle della locanda era un vero tesoro e permetteva al locandiere di risparmiare, producendo ciò che gli serviva, invece di andarlo a comprare al mercato. Noir, per un attimo, si era persa tra i suoi pensieri: guardava quell'uccello in gabbia che pizzicava un osso di seppia e si guardava intorno, come se quelle sbarre potessero sparire da un momento all'altro.
"Noir." la voce tuonante del vecchio fece sobbalzare la ragazza.
"Sì."
"Un tavolo per questa mercante."
La ragazza si affrettò a prendere qualche straccio per coprire il legno del tavolo e porse alla donna una ciotola colma di un infuso di gelsomini e radici.
"Mamma anche io ne voglio." disse offesa la bambina che la donna aveva accanto.
"No piccola. Tu puoi avere solo acqua. E' possibile averne un pò?" chiese gentilmente a Noir.
"Certo." rispose la ragazza dopo un pò.
Tornò al tavolo con una ciotola d'acqua e un pò di carne e verdura.
Guardava la bambina. Come aveva potuto non notarla? Eppure era lì, affianco alla donna.
"Grazie." disse gentilmente la donna.
"Si figuri. Le serve anche una camera per la notte?"
"Sì, grazie."
Così Noir corse al piano di sopra, per preparare la stanza alla donna e alla bambina.
"Mamma, mamma..." una voce in lei continuava a ripetere. La ragazza si sedette per un pò, tenendo la testa tra le mani, come se questo gesto avesse potuto fermare la stanza, che le sembrava avesse iniziato a girare. Cos'era? Perchè quell'improvviso senso di vuoto?
"Mamma, mamma..." da quanto tempo Noir non pronunciava quella parola?
Tornò alla locanda, dopo che Kiof l'aveva chiamata per servire ad un altro tavolo.
La sera tardi, Noir si stese sul suo giaciglio di paglia e stringeva tra le mani un ciondolo: due sottili braccia metalliche che stringevano una pietra color del cielo. Si addormentò così.
La mattina seguente si svegliò di buon'ora e si guardò allo specchio. Qualcosa in lei stava cambiando: gli occhi erano sempre neri, come i suoi capelli, le labbra sottili e il naso piccolo. Sul corpo slanciato e magro iniziavano a prendere forma le curve di una donna, ma non dipendeva da questo il suo cambiamento e Noir lo avvertiva da una sorta di irrequieta ansia che la dominava da quando quella bambina aveva pronunciato quella parola.
La bambina corse verso Noir e la tirò per il grembiule, la guardò per un secondo. "La mamma dice che sei molto bella."sbottò, sorridendo.
"Oh, grazie. Anche tu sei molto bella." disse Noir, accarezzandole una guancia.
"C'è del pane?"
"Si, c'è anche una buonissima crema di cereali e bacche."
"Ne voglio un pò e anche la mamma."
"Ve ne porterò subito una buona quantità."
Si avvicinò dopo poco al tavolo e sorrise alla donna.
"Mamma hai visto che bella colazione?" chiese la bambina.
"Che buon odore. Cos'è?"
"Questo è pane caldo e questa è una crema di cereali e bacche, fatta con le mie mani." Noir sorride, agitando le mani. "Spero che le piaccia signora. Buona giornata."
Si allontanò dal tavolo e incrociò lo sguardo triste del padre, ma non ci fece molto caso... forse non lo aveva neanche realmente guardato negli occhi. Si sedette lontano dai tavoli e fissava quella bambina che rideva e giocava con la madre, le guardava mentre si affrettavano ad uscire dalla locanda. Sentiva una fitta allo stomaco, ma credeva fosse la fame.
Molti mercanti entrarono e si fermarono per pranzo in quella locanda, qualcuno chiedeva anche una camera e Noir si apprestava a pulire e rendere il tutto più confortevole per gli ospiti.
La sera scese presto su Giava e la donna con la bambina tornò alla locanda. La donna aveva l'aria stanca e si diresse quasi subito in camera. Noir la seguì, portandole una ciotola con dell'acqua e una con dell'estratto di menta.
"Grazie." disse la donna, sorridendo.
"Signora..." Noir deglutì, arrossendo leggermente.
"Si?"
Noir la fissava, chiedendosi tra sè e sè se parlarle realmente di quello che provava. "Volevo chiederle... dirle che se ha bisogno di qualcosa, può mandare la bambina da me e io la accontenterò. Sono nella camera in fondo al corridoio di fronte." disse, dopo qualche attimo di esitazione.
"Ti ringrazio. Buona notte."
Noir si avviò verso la sua stanza, con passo lento e incerto. Spesso si voltava a guardare la porta della donna, ormai chiusa. Si fermò per un attimo, poi decise di stendersi sul suo letto. Guardò per un pò fuori dalla finestra e fissò il cielo scuro sopra di lei... Sorrise, guardando le stelle e ripensava alla cascata del castello. Decise di tornarci l'indomani, quando avrebbe avuto un pò di tempo libero... erano giorni che non si perdeva tra il verde della prateria e l'arcobaleno che nasceva dall'acqua della cascata.
La notte sembrava lunga, interminabile, ma Noir chiuse gli occhi. Presto il sonno la sovrastò e iniziò a sognare.

"Non avvicinarti troppo al lago, Chandra. Potrebbe essere pericoloso."
Una bambina correva, seguendo quella magra figura di donna "Mamma, mamma, aspettami..." gridava la bambina. I lunghi capelli neri della bambina e quelli rossicci della donna si abbracciarono, così come le due figure vicine al lago.
Una voce maschile giungeva lontana, quasi incomprensibile. "Chandra, Chandra" poi il vuoto.

Noir aprì gli occhi, ansimando. Si guardò intorno e asciugò il sudore dalla fronte e dal corpo con un panno di canapa.
Si stese ancora sulla paglia, facendo spezzare un'asta di legno che ne sorreggeva il peso. Aveva lo sguardo fisso verso il soffitto e le girava la testa. Aveva ancora il respiro affannato e quando guardò fuori dalla finestra, vide che il cielo era buio: la notte sarebbe stata ancora lunga.

   
 
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