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Hayden Landing
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10 giugno 1975
“Nessuno andrà
in quella parte del bosco, quest’anno. Nessuno, per
nessun motivo. Sono stata chiara?”
La voce di mia madre è
stridula, nonostante sia poco più di un
sussurro. Il suo tono è duro e io e Tommy, mio fratello,
capiamo subito: quello
è un ordine.
Nonostante lei non si aspetti di
essere contraddetta, si volta
verso nostro padre, che è al volante dell’Impala
di famiglia, e lo fissa in
attesa di un suo cenno.
So che papà se
n’è accorto, ma continua a guardare dritto davanti
a sé, cercando di ignorarla. La strada è ancora
lunga e casa di zio George, a
Hayden Landing, è parecchio distante, lo so
perché siamo partiti da Buffalo
appena tre ore fa e in macchina ce ne vogliono ancora un bel
po’ per arrivare
nel Maine.
Alla fine mio padre cede, sospira e
annuisce con il capo. Mamma si
volta verso il sedile posteriore, guarda con uno sguardo triste Tommy e
lui
annuisce esattamente come ha fatto papà.
Quando mamma posa il suo sguardo
dove sono seduto io, i suoi occhi
si riempiono di lacrime, probabilmente perché io la guardo
senza rispondere
così, quando dalle sue labbra esce un singhiozzo trattenuto,
mi affretto ad
annuire anch’io.
Mio padre posa una mano su quella
di mamma, ma sembra quasi che
lei non se ne accorga perché non reagisce. È
tornata a guardare avanti a sé,
persa nel suo mondo come fa da un po’ di tempo.
Per almeno venti minuti nessuno
dice niente: mio fratello mi
lancia strane occhiate dal sedile accanto al mio, mia madre piange
silenziose
lacrime guardando fuori dal finestrino e mio padre continua a guidare
lungo la
strada come se fosse l’ultima missione della sua vita.
L’auto è
silenziosa, non c’è musica in sottofondo,
è un viaggio
totalmente diverso dall’anno scorso, quando abbiamo cantato a
squarciagola
tutti e quattro la nuova canzone di Bowie: Rebel Rebel. Invece
quest’anno la
radio è spenta e nessuno accompagna il nostro viaggio.
Poi, improvvisamente, mamma
esclama: “Non posso! Non ci riesco!
Non voglio andare a Hayden Landing, Ryan... riportaci a casa, ti
prego...”
La sua voce è acuta e
fastidiosa e io, che so di esserne il
responsabile, sento un dolore nel petto che mi stringe forte.
Mio fratello si volta ancora verso
di me e sospira.
“Mi dispiace”
mimo con le labbra per non parlare ad alta voce e
lui annuisce esattamente come ha fatto prima con la mamma, ma poi
scuote la
testa, come se ci avesse ripensato, e mi sorride tristemente.
Io voglio tornare a Hayden Landing.
Voglio andare nel bosco. Non
andrò nel Bosco Sacro,
quella parte
del bosco a cui si riferiva la mamma, ma voglio tornare nel bosco dei
pini
bianchi, dove ho lasciato le mie cose un anno fa.
Papà riesce a consolare
la mamma senza dover fermare la macchina e
la convince a non tornare indietro, parlandole sottovoce. Spezzoni di
frasi
tipo ‘non è colpa di nessuno’ o
‘andrà tutto bene’ mi arrivano dal
sedile anteriore
e io, che cerco di non sentirmi in colpa, inizio a ignorarle.
Quando non sento più
niente, immagino che mia madre sia stata
convinta e che stia annuendo anche lei.
Sono mesi che nella nostra famiglia
si è instaurato una sorta di
silenzio. Mesi di parole sussurrate per non disturbare, mesi di sguardi
di
compassione, mesi di muti discorsi. È iniziato
tutto quando mi hanno
trovato svenuto nel bosco accanto alla ragazza morta.
Tutti gli anni, io e Tommy passiamo
l’estate in montagna dallo zio
George. Lo abbiamo sempre fatto, da quando ho memoria o, più
probabilmente, da
quando siamo diventati abbastanza grandi da badare a noi stessi. A
Tommy piace
molto andare in giro con gli altri ragazzi del posto: loro cacciano
rane,
rincorrono le lepri e qualcuno degli altri ha già iniziato a
sparare ai cervi.
A me non piace cacciare, non piace
stare con gli altri e non mi
piacciono le avventure che loro vivono per tutta l’estate:
rotolarmi nel fango,
sporcarmi e fare il bagno nel Dead River, non è proprio il
mio concetto di
divertimento. Ma mi piace il bosco.
Nel bosco, posso ascoltare il
rumore degli animali e il fruscio
fra le fronde degli alberi. Mi piace tantissimo portarmi uno dei miei
libri e
leggerlo finché non diventa buio, il bosco si riempie di
suoni soffocati e i
sussurri del vento mi fanno immaginare creature fantastiche che vivono
ai piedi
delle montagne e di cui invento storie.
Mi rendo conto da solo di essere
una palla al piede per mio
fratello e gli altri, perché non sono capace di acchiappare
le lepri e le rane
mi fanno ribrezzo, soprattutto quando Sean o Connor, i ragazzi
più grandi di
Hayden Landing, le infilzano con uno stecchino per cuocerle sul fuoco.
Due anni fa ho vomitato quando li
ho visti tenere ferma la rana
con la mano aperta e spingere il bastoncino fra le zampe posteriori.
Ricordo
ancora il rumore viscido e il rantolo della rana mentre il legno
attraversava
il suo povero corpicino e ho visto la punta uscire dalla testa. Sean
aveva riso
quando aveva visto la mia faccia inorridita, mi aveva chiamato
‘fottuto
ragazzino di città’ e, per darmi il colpo di
grazia, aveva spaccato il capo
alla rana con un sasso piatto, lasciando scorrere il sangue lungo la
pietra su
cui l’aveva posata. Aveva raccolto le gocce più
grosse che colavano, con il dito,
portandoselo alla bocca e succhiando la punta. È stato
lì che ho vomitato. Ho
sognato tutta l’estate quella tortura e urlavo quando mi
svegliavo.
Così, per non
infastidire Tommy, che spesso veniva preso in giro
per avere un fratello cacasotto come me, l’anno scorso gli ho
detto che non
sarei andato con loro. Mi ero portato una decina di libri ben nascosti
nello
zaino e ho deciso di passare l’estate da solo.
Avevo trovato, nel bosco di
conifere, un albero alto e robusto,
con quello che doveva essere stato, a suo tempo, un fortino o una casa
sull’albero di qualcuno ormai emigrato dalla contea e ne
avevo fatto il mio
rifugio. Avevo dovuto sostituire qualche pezzo di legno del pavimento,
ma la
costruzione era stata fatta veramente bene e io me ne ero appropriato.
Sembrava che nessuno sapesse dove
fosse e, effettivamente, era
difficile scorgerla dal sentiero, perché era molto in alto e
chi era passato
prima di me, aveva realizzato una scala di pioli inchiodati robusta e
ben
nascosta.
Così avevo iniziato a
passare nel bosco di conifere tutto il mio
tempo libero. Zio George pensava che fossi con Tommy e gli altri
ragazzi e a
mio fratello e gli altri non interessava sapere cosa combinassi,
così eravamo
tutti contenti.
*
Zio George ci viene incontro prima
ancora che l’auto si fermi. Sembra
più vecchio dell’ultima volta che l’ho
visto e quest’anno l’ho visto anche
d’inverno,
a causa della ragazza morta. Ma i suoi occhi sono affettuosi quando si
posano
sui miei genitori e lui abbraccia calorosamente mia madre, dandole
piccoli
colpetti sulla schiena. Lui è molto più alto di
lei, che è piccolina e sparisce
fra le sue braccia.
Zio George ha i capelli tutti
bianchi e troppo lunghi sul collo,
come dice la mamma, e i suoi occhi azzurri sembrano esser stati troppo
lavati
dalle acque del Dead River da tanto sono chiari, mentre mamma ha i
capelli
ricci e scurissimi e, fra di loro, il contrasto di quei colori nel loro
abbraccio è così forte che mi affascina.
A mamma non piace per niente Hayden
Landing, ma dice che Zio
George è un brav’uomo, quindi ci permette di stare
qui. In verità è lo zio di
papà, non un suo fratello, infatti è molto
più grande di lui. So che papà è
molto affezionato a lui perché è suo zio che si
è preso cura di lui quando i
suoi genitori sono morti ed è qui che ha passato gli ultimi
quattro anni prima
di andare al college e conoscere mia madre.
Osservo mio padre scaricare i
bagagli dalla macchina insieme a
Tommy e mi stupisco di quanto siano simili: tutti e due hanno i capelli
lisci e
chiari, un biondo che deve aver avuto anche lo zio da giovane, mentre i
loro
occhi hanno quel colore che hanno il guscio delle nocciole prima di
essere
rotto e ho sentito dire a più di una ragazza per le vie di
Buffalo che quelli
di mio fratello sono veramente magnetici. Io ho provato a mettergli
vicino una
calamita, quando non se ne accorge, ma non succede niente, quindi non
so bene
cosa intendessero dire. Tommy ha compiuto sedici anni e
quest’anno è alto quasi
quanto papà ed entrambi hanno le spalle larghe e le gambe
muscolose.
Purtroppo io non assomiglio a loro,
sono mingherlino e basso come
la mamma, ho i capelli ricci e scuri come lei e anche i suoi occhi
chiari. Una
volta le ho detto che mi sarebbe piaciuto assomigliare di
più al papà e lei mi
ha detto che ho ereditato da lui la mia curiosità e il buon
cuore. Anche questa
deve essere una frase ‘da ragazza’
perché non so cosa vuol dire avere un ‘buon
cuore’. Se il cuore è cattivo vuol dire che
è un cuore malato e non batterebbe,
quindi non può esistere qualcuno con un cuore cattivo. Ma
quando l’ho spiegato
a mia madre, lei si è messa a ridere, dicendo che
capirò quando diventerò
grande.
Mi avvicino alla Chevrolet per aiutare con i bagagli prima di entrare in casa.
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