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Autore: ONLYKORINE    01/11/2019    11 recensioni
1975
Jimmy ha dieci anni e molta fantasia, ma non è come i suoi coetanei: piuttosto che correre e rotolarsi nel fango preferisce passare l'estate nel bosco da solo, a leggere. L'anno scorso ha lasciato nella casetta del bosco i suoi libri e i suoi tesori e ora deve assolutamente tornare là a prenderli. Ma... e se i libri non fossero l'unico motivo per cui Jimmy sente il bisogno di andare nel bosco?
Genere: Avventura, Generale, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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01. Hayden Landing

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Hayden Landing

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10 giugno 1975

“Nessuno andrà in quella parte del bosco, quest’anno. Nessuno, per nessun motivo. Sono stata chiara?”

La voce di mia madre è stridula, nonostante sia poco più di un sussurro. Il suo tono è duro e io e Tommy, mio fratello, capiamo subito: quello è un ordine.

Nonostante lei non si aspetti di essere contraddetta, si volta verso nostro padre, che è al volante dell’Impala di famiglia, e lo fissa in attesa di un suo cenno.

So che papà se n’è accorto, ma continua a guardare dritto davanti a sé, cercando di ignorarla. La strada è ancora lunga e casa di zio George, a Hayden Landing, è parecchio distante, lo so perché siamo partiti da Buffalo appena tre ore fa e in macchina ce ne vogliono ancora un bel po’ per arrivare nel Maine.

Alla fine mio padre cede, sospira e annuisce con il capo. Mamma si volta verso il sedile posteriore, guarda con uno sguardo triste Tommy e lui annuisce esattamente come ha fatto papà.

Quando mamma posa il suo sguardo dove sono seduto io, i suoi occhi si riempiono di lacrime, probabilmente perché io la guardo senza rispondere così, quando dalle sue labbra esce un singhiozzo trattenuto, mi affretto ad annuire anch’io.

Mio padre posa una mano su quella di mamma, ma sembra quasi che lei non se ne accorga perché non reagisce. È tornata a guardare avanti a sé, persa nel suo mondo come fa da un po’ di tempo.

Per almeno venti minuti nessuno dice niente: mio fratello mi lancia strane occhiate dal sedile accanto al mio, mia madre piange silenziose lacrime guardando fuori dal finestrino e mio padre continua a guidare lungo la strada come se fosse l’ultima missione della sua vita.

L’auto è silenziosa, non c’è musica in sottofondo, è un viaggio totalmente diverso dall’anno scorso, quando abbiamo cantato a squarciagola tutti e quattro la nuova canzone di Bowie: Rebel Rebel. Invece quest’anno la radio è spenta e nessuno accompagna il nostro viaggio.

Poi, improvvisamente, mamma esclama: “Non posso! Non ci riesco! Non voglio andare a Hayden Landing, Ryan... riportaci a casa, ti prego...” 

La sua voce è acuta e fastidiosa e io, che so di esserne il responsabile, sento un dolore nel petto che mi stringe forte.

Mio fratello si volta ancora verso di me e sospira. 

“Mi dispiace” mimo con le labbra per non parlare ad alta voce e lui annuisce esattamente come ha fatto prima con la mamma, ma poi scuote la testa, come se ci avesse ripensato, e mi sorride tristemente.

Io voglio tornare a Hayden Landing. Voglio andare nel bosco. Non andrò nel Bosco Sacro, quella parte del bosco a cui si riferiva la mamma, ma voglio tornare nel bosco dei pini bianchi, dove ho lasciato le mie cose un anno fa.

Papà riesce a consolare la mamma senza dover fermare la macchina e la convince a non tornare indietro, parlandole sottovoce. Spezzoni di frasi tipo ‘non è colpa di nessuno’ o ‘andrà tutto bene’ mi arrivano dal sedile anteriore e io, che cerco di non sentirmi in colpa, inizio a ignorarle.

Quando non sento più niente, immagino che mia madre sia stata convinta e che stia annuendo anche lei.

Sono mesi che nella nostra famiglia si è instaurato una sorta di silenzio. Mesi di parole sussurrate per non disturbare, mesi di sguardi di compassione, mesi di muti discorsi. È iniziato tutto quando mi hanno trovato svenuto nel bosco accanto alla ragazza morta.

Tutti gli anni, io e Tommy passiamo l’estate in montagna dallo zio George. Lo abbiamo sempre fatto, da quando ho memoria o, più probabilmente, da quando siamo diventati abbastanza grandi da badare a noi stessi. A Tommy piace molto andare in giro con gli altri ragazzi del posto: loro cacciano rane, rincorrono le lepri e qualcuno degli altri ha già iniziato a sparare ai cervi.

A me non piace cacciare, non piace stare con gli altri e non mi piacciono le avventure che loro vivono per tutta l’estate: rotolarmi nel fango, sporcarmi e fare il bagno nel Dead River, non è proprio il mio concetto di divertimento. Ma mi piace il bosco.

Nel bosco, posso ascoltare il rumore degli animali e il fruscio fra le fronde degli alberi. Mi piace tantissimo portarmi uno dei miei libri e leggerlo finché non diventa buio, il bosco si riempie di suoni soffocati e i sussurri del vento mi fanno immaginare creature fantastiche che vivono ai piedi delle montagne e di cui invento storie.

Mi rendo conto da solo di essere una palla al piede per mio fratello e gli altri, perché non sono capace di acchiappare le lepri e le rane mi fanno ribrezzo, soprattutto quando Sean o Connor, i ragazzi più grandi di Hayden Landing, le infilzano con uno stecchino per cuocerle sul fuoco.

Due anni fa ho vomitato quando li ho visti tenere ferma la rana con la mano aperta e spingere il bastoncino fra le zampe posteriori. Ricordo ancora il rumore viscido e il rantolo della rana mentre il legno attraversava il suo povero corpicino e ho visto la punta uscire dalla testa. Sean aveva riso quando aveva visto la mia faccia inorridita, mi aveva chiamato ‘fottuto ragazzino di città’ e, per darmi il colpo di grazia, aveva spaccato il capo alla rana con un sasso piatto, lasciando scorrere il sangue lungo la pietra su cui l’aveva posata. Aveva raccolto le gocce più grosse che colavano, con il dito, portandoselo alla bocca e succhiando la punta. È stato lì che ho vomitato. Ho sognato tutta l’estate quella tortura e urlavo quando mi svegliavo.

Così, per non infastidire Tommy, che spesso veniva preso in giro per avere un fratello cacasotto come me, l’anno scorso gli ho detto che non sarei andato con loro. Mi ero portato una decina di libri ben nascosti nello zaino e ho deciso di passare l’estate da solo.

Avevo trovato, nel bosco di conifere, un albero alto e robusto, con quello che doveva essere stato, a suo tempo, un fortino o una casa sull’albero di qualcuno ormai emigrato dalla contea e ne avevo fatto il mio rifugio. Avevo dovuto sostituire qualche pezzo di legno del pavimento, ma la costruzione era stata fatta veramente bene e io me ne ero appropriato.

Sembrava che nessuno sapesse dove fosse e, effettivamente, era difficile scorgerla dal sentiero, perché era molto in alto e chi era passato prima di me, aveva realizzato una scala di pioli inchiodati robusta e ben nascosta.

Così avevo iniziato a passare nel bosco di conifere tutto il mio tempo libero. Zio George pensava che fossi con Tommy e gli altri ragazzi e a mio fratello e gli altri non interessava sapere cosa combinassi, così eravamo tutti contenti.

 

*

Zio George ci viene incontro prima ancora che l’auto si fermi. Sembra più vecchio dell’ultima volta che l’ho visto e quest’anno l’ho visto anche d’inverno, a causa della ragazza morta. Ma i suoi occhi sono affettuosi quando si posano sui miei genitori e lui abbraccia calorosamente mia madre, dandole piccoli colpetti sulla schiena. Lui è molto più alto di lei, che è piccolina e sparisce fra le sue braccia.

Zio George ha i capelli tutti bianchi e troppo lunghi sul collo, come dice la mamma, e i suoi occhi azzurri sembrano esser stati troppo lavati dalle acque del Dead River da tanto sono chiari, mentre mamma ha i capelli ricci e scurissimi e, fra di loro, il contrasto di quei colori nel loro abbraccio è così forte che mi affascina.

A mamma non piace per niente Hayden Landing, ma dice che Zio George è un brav’uomo, quindi ci permette di stare qui. In verità è lo zio di papà, non un suo fratello, infatti è molto più grande di lui. So che papà è molto affezionato a lui perché è suo zio che si è preso cura di lui quando i suoi genitori sono morti ed è qui che ha passato gli ultimi quattro anni prima di andare al college e conoscere mia madre.

Osservo mio padre scaricare i bagagli dalla macchina insieme a Tommy e mi stupisco di quanto siano simili: tutti e due hanno i capelli lisci e chiari, un biondo che deve aver avuto anche lo zio da giovane, mentre i loro occhi hanno quel colore che hanno il guscio delle nocciole prima di essere rotto e ho sentito dire a più di una ragazza per le vie di Buffalo che quelli di mio fratello sono veramente magnetici. Io ho provato a mettergli vicino una calamita, quando non se ne accorge, ma non succede niente, quindi non so bene cosa intendessero dire. Tommy ha compiuto sedici anni e quest’anno è alto quasi quanto papà ed entrambi hanno le spalle larghe e le gambe muscolose.

Purtroppo io non assomiglio a loro, sono mingherlino e basso come la mamma, ho i capelli ricci e scuri come lei e anche i suoi occhi chiari. Una volta le ho detto che mi sarebbe piaciuto assomigliare di più al papà e lei mi ha detto che ho ereditato da lui la mia curiosità e il buon cuore. Anche questa deve essere una frase ‘da ragazza’ perché non so cosa vuol dire avere un ‘buon cuore’. Se il cuore è cattivo vuol dire che è un cuore malato e non batterebbe, quindi non può esistere qualcuno con un cuore cattivo. Ma quando l’ho spiegato a mia madre, lei si è messa a ridere, dicendo che capirò quando diventerò grande.

Mi avvicino alla Chevrolet per aiutare con i bagagli prima di entrare in casa.

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