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Autore: EleWar    01/11/2019    5 recensioni
L’aria era satura di elettricità, immobile.
Due persone si fronteggiavano sulla terrazza di un palazzo di mattoni.
Una tempesta stava per scoppiare.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kaori Makimura, Ryo Saeba, Saeko Nogami
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
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Salve a tutte! E siamo al capitolo 4, il penultimo, di questa mia fic che, sono contenta, vi appassiona così tanto.
Quindi non posso non ringraziare le mie care e fedeli Briz65, Kaory06081987, 24giu, Valenicolefede, e tutte le lettrici silenziose, vecchie e nuove.
GRAZIE!!! *.*
Se avrete ancora voglia di seguirmi, sappiate che ho in serbo per voi altre cosucce ;-)




Cap. 4 In cerca della verità
 
Si diressero in cucina, e diedero inizio ai preparativi per il pranzo.
Ridevano come matti divertendosi un mondo; ogni tanto Ryo pensava al fatto che Kaori non fosse veramente la sua Kaori, ma poi si convinceva che lei era anche così, era lì con lui, tutto il resto non contava.
Passarono delle ore spensierate, prima a cucinare, poi a mangiare con appetito, e poi ancora a riordinare la cucina; sempre insieme, e non bisticciarono quasi mai, in ogni caso erano piccole prese in giro, ironie e scherzetti a cui sottostavano con allegria.
Quando, esausti, si buttarono sul divano, si lasciarono sfuggire entrambi un sospiro soddisfatto.
Si sorrisero.
Poi, improvvisamente, tacquero.
Tutta quella vicinanza, la forte attrazione che provavano reciprocamente, il ricordo di quel bacio che, per tutto il tempo, era tornato prepotente alla mente dei due, li faceva sentire di colpo in imbarazzo.
Kaori non avrebbe voluto lasciarsi andare di nuovo, anche se quel ragazzo esercitava su di lei un richiamo molto intenso; non riusciva a spiegarsi perché, ma sentiva che non era solo attrazione fisica. Però, da quando aveva saputo che lui era innamorato di un’altra, non voleva approfittarne; se il suo cuore apparteneva alla sua collega, di sicuro non si sarebbe innamorato di lei, e non voleva che fosse solo un’avventura, la loro, di poco conto.
Ryo, esaltato da quella ritrovata atmosfera complice e rilassata, si sentiva più che mai attratto dalla compagna, e il desiderio di riaverla indietro lo spingeva dove non era mai arrivato prima, anche se una parte di lui gli ricordava che ancora Kaori non lo aveva riconosciuto. Ma lei era così arrendevole, senza filtri, senza remore, spontanea, che ne era stato contagiato anche lui, e gli veniva di essere più espansivo e di scoprirsi di più. Per una volta nessuna barriera o paura li frenava.
Poi un pensiero malizioso gli balenò in testa e, accomodandosi meglio, disse:
“Ora tocca a me fare le domande”.
Lei si voltò a guardarlo con disinvoltura, in atteggiamento aperto e disponibile e rispose:
“Spara!”
“E tu? Una bella ragazza come te, chissà quanti spasimanti avrai alla tua porta! Non hai un innamorato che ti fa battere forte il cuore?”
Kaori rimase un attimo stupita da quella domanda, poi si disse che effettivamente era il suo turno di confidarsi e… perché no? Si concentrò e iniziò a dire:
“In realtà io… in realtà… io…” poi fece una smorfia di dolore e terrore, e si portò una mano alla testa.
Ryo, pentitosi di averla costretta a ricordare e vedendola soffrire, balzò più vicino a lei e subito prese a dire:
“Scusami, scusami… non dovevo… lascia stare”.
Ma lei gli sedeva di fronte con sguardo attonito, perso chissà dove, con le pupille dilatate, e non lo vedeva nemmeno.
Nella sua mente vorticavano immagini sovrapposte: le sembrava di cadere all’interno di un gorgo spaventoso, fatto di istantanee di vita più o meno familiari, e ogni volta che cercava di afferrare un brandello di ricordo, questo inesorabilmente scappava via, si dissolveva, esplodeva in mille frammenti, ed era così frustrante! Improvvisamente si sentì la gola secca, la bocca aperta esprimeva tutta la sua incomprensione; non capiva, non ricordava, era come rivedere milioni di film tutti insieme, con le scene in sequenza sfalsata, storie che conosceva, ma che improvvise prendevano un'altra via, e lei si ripeteva che no, non doveva andare così, che conosceva il finale, e appena era sicura di aver trovato un filo logico, un secondo dopo le idee si confondevano ancora.
Lacrime di rabbia iniziarono a pungerle gli occhi.
Perché non ci riusciva? Perché?
D’improvviso tornò in sé, e si trovò a stringere le mani del suo ospite, così tanto che le nocche erano sbiancate. Non si era nemmeno accorta di averle afferrate con disperazione; finalmente mise a fuoco quel volto turbato e preoccupato che la stava fissando.
All’inizio sembrava non riconoscerlo, e apparve sul suo viso un’espressione interrogativa, che lentamente si addolcì e si fece tenerissima, tanto che Ryo si sentì sciogliere; poi, come la notte precedente, quando l’aveva bisbigliato nel sonno, lo chiamò per nome, con lo stesso tono caldo e avvolgente; e lui, sentendolo, ebbe come una vertigine.
Avrebbe voluto baciarla ancora, ma si trattenne; l’attirò a sé in un abbraccio rassicurante, con il cuore impazzito, sicuro che lei se ne sarebbe accorta.
Lei si rannicchiò sul suo petto e disse soltanto:
“Perché?”
 
Fino a quel momento non si era pienamente resa conto di aver perso la memoria, perché quelle persone, quegli ambienti, si era detta, semplicemente non li aveva mai conosciuti prima di allora, visto che abitava dall’altra parte della città; lei aveva la sua vita, aveva suo fratello, perché avrebbe dovuto frequentare il quartiere di Shinjuku?
Ma in quella specie di incubo ad occhi aperti, aveva finalmente capito che c’era una parte della sua vita che non le tornava, che sotto c’era qualcosa di più.
Ryo era in preda a sentimenti contrastanti: voleva proteggere la sua amata Kaori dai tormenti che stava vivendo, ma voleva anche che ricordasse, e il tutto era esasperato dal bisogno prepotente di baciarla ancora, di sentire ancora il sapore di quelle morbidissime labbra, perché da che si erano baciati, lì sulle scale, aveva capito che non sarebbe più riuscito a farne a meno.
Stringerla così, fra le sue braccia, non gli bastava più, e non era un impulso erotico che lo muoveva, ma una voglia di condivisione, di fusione, voleva dimostrarle quanto l’amasse, ma lei… lei non lo riconosceva!
Non poteva, no, non poteva baciarla ancora, anche se un fuoco lo stava consumando dall’interno; sentiva che stava perdendo la ragione, e ne era esaltato e spaventato insieme, perché non gli era mai successo prima con nessuna donna, mai.
Senza che se ne accorgesse iniziò a bisbigliare: “Kaori, Kaori” con un’intonazione così accorata e struggente, che la ragazza rialzò il viso a guardarlo, e lui annegò definitivamente in quei magnifici occhi nocciola, ripetendo il suo nome come una preghiera.
Lei, turbata e avvinta dallo sguardo trasognato e adorante di Ryo, immobile lo fissava, come se non esistessero altri al mondo che loro due.
Allungò una mano a sfiorargli la guancia virile, e lui per un attimo socchiuse gli occhi, come qualcuno che trovasse temporaneamente sollievo da un tormento, poi lei si sporse verso di lui e lo baciò.
Fu un bacio travolgente, che li catapultò a mille miglia dalla terra, che li portò lontano; fu un bacio carico di passione, ma anche di tormento, amore e desiderio.
E quando si ritrovarono lì, in quell’accogliente salottino, dentro quel palazzo di mattoni, nel quartiere di Shinjuku, ansanti faticarono a ritornare alla realtà.
Appena riacquistato un barlume di lucidità, Kaori si sentì estremamente in colpa, perché c’era ricaduta un’altra volta e le sembrava di essere diventata improvvisamente l’altra donna, nel complesso rapporto che legava Ryo alla sua collega, mentre lui si dava dello stupido per non essersi sottratto in tempo.
La ragazza si ritrasse in un moto di profondo disagio e, arrossendo fino ai capelli, riuscì a dire:
“No-non avremmo dovuto, io non avrei dovuto… tu… tu ami la tua partner”.
Ryo, tornato improvvisamente con i piedi per terra, si sentì male a quelle parole: aveva dimenticato l’amnesia della sua amata, e in più ora lei era convinta che lui fosse innamorato di un’altra.
Certo, anche lui pensava che non avrebbero dovuto baciarsi, ma solo perché lei non sapeva chi fosse lui in realtà.
Sentì formarsi dentro di sé come un nodo di angoscia, e avrebbe voluto urlare; si dominò a stento e disse:
“Sugar, baciarti è stata l’esperienza più incredibile che mi sia mai capitata di fare, e non rinnego niente… non l’ho fatto perché volevo approfittarmi di te o sedurti, io… io… sono innamorato di te!”
Lei lo fissò allibita: come poteva dire una cosa del genere, se le aveva appena confidato di amare la sua socia? Non era possibile amare due donne contemporaneamente!
L’uomo, vedendola smarrita e incredula, proseguì con più ardore:
“Kaori, ascolta, SEI TU LA MIA COLLEGA!!”
Ma la giovane non reagì, troppo frastornata dalla situazione: prima quel bacio fantastico, poi quelle parole… cosa stava dicendo quel Ryo Saeba?
Lui riprese, incalzante:
“Sì, sei tu la mia collega, la donna che amo! Sei tu quella che ha litigato con me e che aveva deciso di andarsene perché io non ti dicevo mai che ti amavo. Sono io che ti ho fatto sempre soffrire e ti chiedo perdono. Sono io che sono disperato, perché tu ora non mi riconosci e hai dimenticato chi sono. Sono io che odi…”
A quelle parole veementi, Kaori si sentì mancare.
Fin dall’inizio aveva provato una forte attrazione per quel giovane uomo, così ombroso e tormentato, che però le dava sicurezza e a cui doveva la vita; un uomo che si era dimostrato così tanto dolce e gentile con lei, che si era ritrovata a pensare, in un attimo di follia, che sarebbe stato bello essere la sua ragazza.
Era stato come un colpo di fulmine, e in un certo senso si era subito innamorata di lui.
Ma Ryo era così bello, affascinante, così carismatico… come poteva anche solo sperare che s’interessasse ad una come lei?
E poi cosa voleva dire che lei era la sua collega? Non era Maki il suo partner? Inoltre, esattamente, che lavoro facevano?
Nella sua mente ripresero a vorticare le immagini che poco prima l’avevano sconvolta, ma cercava di tenerle a bada perché voleva concentrarsi sul presente, e su ciò che le stava dicendo quell’uomo.
La testa aveva ricominciato a dolerle e pensò che fosse sul punto di scoppiare.
Lui riprese a parlarle in maniera pressante, perché voleva disperatamente spiegarle cosa provasse per lei, e allo stesso tempo voleva richiamare la sua memoria:
“L’altra sera eravamo sulla terrazza, stavamo litigando, tu eri furente, a ragione, e mi hai gridato che eri stanca della nostra situazione, e del fatto che non mi decidessi mai a ricambiare i tuoi sentimenti, perché tu mi ami… mi amavi… Poi hai detto che mi odiavi e che volevi andartene. Ma mentre eravamo lì è scoppiato un temporale, e sei stata colpita da un fulmine… Kaori, quando ti ho visto a terra, priva di sensi, sanguinante, ho creduto d’impazzire, pensavo di averti perso per sempre, ero disperato! Ho cercato di rianimarti e quando sei rinvenuta ti ho portato in clinica”.
Fece una pausa, e la guardò intensamente per vedere se era riuscito a smuovere qualcosa, ma lei si era presa la testa con entrambe le mani, e la scuoteva ripetendo sommessamente:
“No, no, no, non può essere”.
Allora lui riprese:
“Sei tu che normalmente dormi nella stanza degli ospiti: l’anello che hai visto è il tuo. Insieme siamo City Hunter e ci occupiamo di ripulire la città dalla feccia dei criminali, aiutiamo la gente. E quelle persone che hai visto ieri mattina, sono i nostri più cari amici, la nostra famiglia”.
Però ancora Kaori non ricordava; l’uomo si spinse ancora più avanti e disse:
“Seguimi” la prese per mano, e la condusse davanti alla porta di uno sgabuzzino. Quando l’aprì, rotolarono fuori decine di martelloni di diversi tonnellaggi.
“Questi li usi con me, quando faccio lo stupido e il maniaco con le altre: con Miki, Saeko, con le clienti, con le donne incontrate per caso. Avanti, imbracciane uno e dammi una martellata!”
“Ma che stai dicendo??? Com’è possibile che io riesca a sollevare un affare di quel peso?”
“Tu ci riesci sempre, perché quando ti arrabbi con me o sei gelosa, diventi fortissima, sei una forza della natura…”
Kaori era sempre più sopraffatta da quei ricordi che disordinatamente vorticavano nella sua mente, uniti alle parole dello sweeper, così incomprensibili, così inverosimili.
La testa le pulsava e si portò di nuovo entrambe le mani alle tempie; con una smorfia di dolore cadde in ginocchio, si piegò in due e un rivoletto di sangue uscì dal naso, gocciolando sul pavimento. La ragazza fece giusto in tempo a guardare l’uomo, e a rivolgergli un “Ryo?” interrogativo, che si accasciò fra le sue forti braccia e svenne.
Questi la sollevò amorevolmente e, senza farsi prendere dal panico, che minacciava di travolgerlo, la portò in camera sua e l’adagiò delicatamente sul letto, poi telefonò al Doc perché venisse a visitarla.
 
Il professore fu subito da lui e, dopo averla esaminata, disse ad un angosciato Ryo:
“Tranquillo, ha solo avuto un crollo emotivo, ma è normale nella sua situazione. Quella parte di lei che ha temporaneamente dimenticato, sta cercando di riemergere, e si scontra con delle barriere invisibili che, chissà perché, proprio lei ha eretto. Quando è stata colpita dal fulmine, stava vivendo un forte stress, e il cervello ha attuato un meccanismo di difesa, rimuovendone il trauma. Lo shock ha fatto il resto. Kaori però vuole ricordare, perché quello che ha dimenticato è troppo importante per lei”.
Il Professore tacque. Poi toccò leggermente il braccio di Ryo, che sembrava essere perso nei suoi pensieri, e guardandolo negli occhi aggiunse:
“So che può sembrarti doloroso, ma quello che stai facendo è necessario. Se ha avuto questa reazione alle tue parole, vuol dire che sono state efficaci, che hanno raggiunto il suo subconscio. Lei vuole ricordarsi di te, e della vostra vita insieme; quella che si sta svolgendo dentro di lei è una dura battaglia. Non forzarla, questo no, però stalle vicino, e prenditi cura di lei; parlale e vedrai che tutto si sistemerà”.
Lo sweeper sospirò:
“Non sopporto di vederla in quello stato, però… ho bisogno che lei torni da me… mi manca così tanto… ”
Il Doc sorrise benevolo; era la prima volta che lo sentiva ammettere apertamente i suoi sentimenti verso la sua partner; quella strana avventura non sarebbe finita senza conseguenze, magari sarebbe stata la volta buona, per quei due ragazzi.
Prima di prendere congedo si voltò un’ultima volta verso il giovane e gli disse:
“Ora sta riposando, ma è perfettamente cosciente… vai da lei” e gli strizzò l’occhio.
 
Ryo si fermò sulla porta, e cercò con lo sguardo la sua socia; la trovò supina, con gli occhi al soffitto, aveva ripreso colore, ma sembrava pensierosa.
Avvertendo la sua presenza, si voltò verso di lui e gli fece segno di entrare.
Lui avanzò silenziosamente, poi si sedette sul bordo del letto. Lei cercò la sua mano e gliela strinse e, vedendolo preoccupato, gli sorrise. L’uomo si rincuorò.
“Allora caro il mio Ryo, puoi smettere di preoccuparti per me!”
“Per il momento!” rispose deciso, poi però sorrise anche lui “Come ti senti ora? Sei ancora confusa?”
“No, ora sto bene: la mia mente è sgombra e limpida, anche troppo!” ridacchiò. Poi più seria, e con aria dispiaciuta, aggiunse “però ancora non mi ricordo di te, di prima intendo. Di… di noi…” Era davvero affranta.
“Tranquilla, abbiamo tutto il tempo, non c’è fretta” e le regalò un sorriso accattivante. Poi, con tono più grave, aggiunse:
“Ascolta, io stasera devo uscire per fare il giro dei miei informatori, ed accertarmi se è vero o meno che sta per scoppiare l’ennesima guerra fra capi yakuza. È importante che mi faccia vedere per calmare gli animi. Devo proprio, non posso farne a meno ma, credimi, non sai quanto vorrei restare qui con te, specialmente ora che… che… insomma, non sei completamente tu”.
Stava pensando che se Kaori non ricordava di essere una sweeper esperta, se aveva anche dimenticato come fare per maneggiare un martellone, era potenzialmente indifesa; e se uno qualsiasi, di quei malviventi da strapazzo, avesse provato a farle del male, non sarebbe stata in grado di difendersi. Ma non voleva spaventarla inutilmente; lei non ricordava i pericoli che costantemente costellavano la loro vita; era così ignara che voleva lasciarla tranquilla.
“Preferirei che ci fosse qualcuno qui con te, che ne so, magari Miki, o Mick che abita qui di fronte…”
“Ma io sto benone! E anzi, sta di nuovo facendo effetto quel dannato antidolorifico, e ho un sonno…” e sbadigliò rumorosamente, e poi: “Scusa” e gli fece la linguaccia come una bambina birichina, “Penso che, giusto il tempo di uscire da quella porta, e io crollerò addormentata, quindi per quanto mi riguarda, non credo di aver bisogno di niente. Tu, piuttosto… Tu… torna presto, ok?” e arrossì vistosamente.
Ryo sentì un rimescolio strano nello stomaco, e d’improvviso desiderò con tutto sé stesso di poter rimanere lì con lei, anche solo seduto sul suo letto come ora, e guardarla dormire, o continuare a parlarsi in quel loro modo così intimo e dolce. Dannazione, quella bega proprio non ci voleva! Non sarebbe stato meglio che quei balordi si uccidessero a vicenda, tutti, finché non ne fosse rimasto nessuno? Ma lui era un giustiziere e sapeva fin troppo bene che in queste guerre fra criminali, ci andavano di mezzo sempre gli innocenti, non poteva restarne fuori.
Sospirò, fra il frustrato e lo sconfitto.
“Dai, non pensare a me. Vai a fare il tuo la-la-lavorooo…” concluse sbadigliando, prima di crollare addormentata.
Lo sweeper si rialzò lentamente, per non svegliarla; s’incantò ancora una volta a guardarla: come era bella, nonostante quel vistoso cerotto sulla fronte, che la faceva sembrare così piccola e indifesa, e quei capelli ora più che mai arruffati; si chinò di nuovo a sfiorarglieli con le labbra.
Doveva proprio andarsene, altrimenti, se avesse tardato un secondo di più, non si sarebbe più staccato da lei, a costo di dormire lì sul pavimento.
Si riscosse e si disse che prima fosse andato, prima sarebbe tornato. Avvertì Mick di stare all’erta e di tenere d’occhio il suo appartamento. Non lo voleva dentro casa però, sia per non impensierire Kaori, sia perché quello era un vecchio seduttore, che avrebbe potuto approfittarsi della debolezza della sua socia e, dopo, chi l’avrebbe protetta da lui? Senza martelli per giunta?
 
Scese in garage, salì sulla Mini e partì sgommando. City Hunter stava arrivando.
 
   
 
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