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Autore: Ghost Writer TNCS    02/11/2019    1 recensioni
Da quando la sua famiglia è stata uccisa, Tenko ha combattuto ogni giorno, decisa a sopravvivere solo per compiere la sua vendetta. Ma il suo nemico è il Clero, la più potente istituzione del mondo, fondata dagli dei per garantire pace e prosperità a tutti i popoli.
Vessata dal destino, Tenko dovrà affrontare i suoi sbagli, le sue paure così come i suoi nemici, per scoprire che – forse – un modo esiste per distruggere il Clero: svelare le vere origini del loro mondo, Raémia.
Ma dimostrare le menzogne degli dei non sarà facile. Il Clero è pronto a schierare tutte le sue forze per difendere la dottrina, e gli dei stessi non si faranno scrupoli a distruggere chiunque metta in dubbio la loro verità.
La sua è una guerra persa, un suicidio, o peggio. Ma che importa? Quando ti tolgono tutto, non hai più nulla da perdere.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie '1° arco narrativo'
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37. Il giorno dell’esecuzione

Era passata almeno una settimana dal loro arrivo in prigione quando un manipolo di guardie si presentò davanti alle celle dei quattro prigionieri. Portavano dei robusti ceppi per le mani e avevano tutti un’espressione soddisfatta.

«In piedi, feccia!» ordinò il capitano di turno. «È arrivato il giorno dell’esecuzione!»

I quattro fecero come ordinato e si mantennero a qualche passo di distanza dalle sbarre, lo sguardo serio.

Due militari infilarono le chiavi nelle toppe delle due celle e cominciarono a ruotare. Gli scatti avvennero quasi all’unisono, come un conto alla rovescia mal sincronizzato. All’ultimo schiocco, le porte vennero aperte emettendo un cigolio sinistro che echeggiò in tutta la prigione. Era il momento: i quattro scattarono come molle, avventandosi sulle guardie. Tenko sferrò un pugno e Leonidas caricò con una spallata. Persephone sferrò un calcio e Zabar si fece da parte, cercando con gli occhi le chiavi dei collari. Le guardie indietreggiarono, sorprese dalla veemenza dei prigionieri.

«Fermateli!» gridò il capitano. «Fermateli, idioti!»

Spinti anche fisicamente dal loro superiore, i militari si riversarono sui prigionieri. Li afferrarono per le braccia e li schiacciarono a terra. Tenko e Leonidas opposero maggiore resistenza, ma proprio per questo vennero colpiti con maggiore forza. Storditi dalle percosse, anche loro finirono per capitolare e i pesanti ceppi di legno e metallo si chiusero intorno ai loro polsi.

«Siete degli imbecilli!» imprecò il capitano. «Cosa cazzo pensavate di fare? Pensavate di fuggire?! Eh?! Muovetevi, figli di puttana!»

Nuovamente sconfitti, i quattro vennero messi in riga e costretti a camminare. Sapevano fin dall’inizio che sarebbe finita così, ma avevano voluto ugualmente tentare. Cos’avevano da perdere?

Usciti dalla prigione, vennero fatti salire su un robusto carro trainato da quattro ippolafi. Pensavano di venire giustiziati in qualche piazza, invece il cocchiere e la scorta si diressero con decisione verso il maestoso anfiteatro di Theopolis, famoso per essere uno dei più grandi al mondo. Si diceva che nella sua ampia arena combattevano i migliori gladiatori di tutto il continente, alcuni dei quali si erano addirittura guadagnati il favore di un dio grazie alle loro gesta.

Entrarono da uno degli ingressi secondari, abbastanza grande da consentire il passaggio del carro e della scorta, e in breve si ritrovarono nei sotterranei dell’anfiteatro. Videro molti animali esotici chiusi in celle piccole e sporche, ma anche grandi montacarichi pronti per essere messi in moto da gruppi di manovali. Era all’incirca mezzogiorno e sopra di loro si sentiva un gran fragore: evidentemente c’era già uno spettacolo in corso.

Le guardie li trascinarono fuori dal carro e poi li chiusero in un’altra cella, in attesa che venisse il loro turno.

Appena ricevettero il segnale che lo spettacolo precedente si era concluso, le guardie li liberarono dai ceppi e consegnarono loro delle armi: spade e scudi di scarsa fattura.

«Che gentili, non è che avete anche una frusta?» li schernì Tenko.

Le guardie si limitarono a sogghignare tra loro e si allontanarono.

Poco dopo la cella in cui erano rinchiusi cominciò a salire con un leggero cigolio. Arrivò fino in cima, appena sotto l’arena, e poi si arrestò. Davanti a loro c’era una rampa, ma la cella era ancora sbarrata, così come l’apertura in alto.

Dovettero attendere ancora qualche minuto, poi una voce potente li raggiunse dall’arena sopra di loro: «Popolo di Theopolis! Quella di oggi non sarà una semplice esecuzione! Oggi la giustizia colpirà i criminali più pericolosi che il nostro amato mondo conosca.»

Il passaggio si aprì davanti a loro e i quattro vennero inondati dalla luce del sole.

«La minaccia più grande alla pace e alla libertà di tutti voi!»

Alcuni addetti li spinsero con dei bastoni, costringendoli a salire la rampa. In un attimo si ritrovarono nel bel mezzo dell’arena, circondati da una nuvola di polvere. Gli spalti erano immensi, sembrava quasi che l’intera città si fosse ammassata sulle tribune per assistere alla loro morte.

«Questi eretici hanno compiuto massacri! Razzie! Hanno profanato i nostri templi! Non si è mai visto un tale disprezzo verso la società e verso di noi!»

I quattro guardarono verso l’origine della voce. Proveniva da una tribuna in prima fila, ampia e lussuosa. Persephone l’aveva già riconosciuta: era Horus in persona che stava decantando le loro colpe. Insieme a lui, seduto su un altro dei maestosi troni, c’era Maahes, dio della guerra dalla testa di leone. Entrambi gli dei erano scortati da un inquisitore: due uomini dall’aria marziale completamente devoti al loro scopo.

«Una semplice esecuzione non sarebbe stata sufficiente!» proseguì il dio del sole. «Questi eretici dovranno affrontare le loro colpe, e soccomberanno sotto il peso della giustizia!»

Un’altra botola si aprì dalla parte opposta dell’arena, sollevando anch’essa una nuvola di polvere. In un istante gli sguardi degli spettatori vennero catturati dalle quattro figure al suo interno e l’intero anfiteatro esplose in un boato di approvazione. I quattro gladiatori indossavano delle armature molto scenografiche, ma il dettaglio più importante era un altro.

«Siamo… noi» realizzò Zabar, poco abituato a vedere altre persone con la sua carnagione blu e i capelli arancioni.

Tenko osservò la sua copia, che al contrario di lei aveva ancora le ali. La falsa Persephone indossava un’armatura troppo grande – evidentemente non avevano trovato niente della sua misura – Leonidas in versione gladiatore invece calzava a pennello e aveva l’aria più minacciosa dei quattro.

Horus allungò un braccio verso l’arena, soddisfatto e risoluto. «Questa è la nostra volontà. Che l’esecuzione abbia inizio!»

L’anfiteatro esplose in un’altra ovazione, deciso ad accompagnare l’avanzata dei quattro fantocci degli dei.

«Sono solo delle cazzo di copie, possiamo farcela!» esclamò Tenko, decisa più che mai a sgozzare la sua replica. Vedere l’altra sé stessa con ancora le ali le aveva suscitato un misto di rabbia e tristezza, ma non intendeva mostrarlo: non voleva dare peso a quell’ennesima denigrazione.

Aveva appena finito di parlare che la copia di Persephone cominciò a brillare, proprio come accadeva all’originale quando invocava la benedizione di Horus. La replica di Zabar evocò delle fiamme con la sua bacchetta mentre l’arco del falso Leonidas venne avvolto da minacciosi fulmini.

«Merda, così non vale!» imprecò Tenko.

«Pensavi avrebbero giocato pulito?» ribatté Persephone.

La demone, presa in controtempo, si limitò a un ringhio sommesso. Quando tornò a concentrarsi sulla sua copia, si accorse che i suoi muscoli sembravano diventati improvvisamente più evidenti. La falsa demone si abbassò sulle gambe e spiccò un balzo. Increduli, i quattro prigionieri videro la replica schizzare verso il cielo. Troppo tardi capirono che dovevano spostarsi: provarono a correre, ma la copia si schiantò proprio in mezzo a loro, facendo tremare il suolo. Una nuvola di polvere si sollevò in ogni direzione e sbalzò a terra i quattro malcapitati.

Tenko si rialzò tossendo. Sollevò lo sguardo, ma la sua copia era già davanti a lei. La giovane arretrò di un passo, vide che l’altra era disarmata e allora scattò subito al contrattacco. Mirò all’incavo del collo, lasciato scoperto dall’armatura. Riuscì a colpirla, fece forza con tutto il corpo, ma la lama non riuscì a bucare la pelle. La sua avversaria non si era nemmeno mossa: la osservava con aria soddisfatta, forte della sua invulnerabilità. Con ogni probabilità era stato il dio Maahes a donarle quell’incredibile resistenza.

Tenko capì che i suoi sforzi erano inutili e allora si affrettò a prendere le distanze. La sua spada era del tutto inutile, o forse no? Forse se sfruttava gli insegnamenti dei teriantropi aveva ancora una chance.

Provò a raccogliere la concentrazione, a infondere la sua magia nella lama, ma il collare vanificò tutti i suoi sforzi. Tempo di rendersene conto, la sua avversaria le era già addosso. La copia la colpì con un pugno allo stomaco, l’afferrò per i capelli e la scaraventò a terra.

La demone, sopraffatta dal dolore, rimase a terra tremante. Non aveva mai subito un colpo così devastante, nemmeno dagli uomini più grandi e robusti che aveva affrontato.

Se Tenko era in difficoltà, gli altri tre non erano certi messi meglio. Le loro copie disponevano tutte di attacchi a distanza, quindi per loro era impossibile anche solo avvicinarsi.

Zabar, che più di tutti si sentiva perso, stava facendo del suo meglio per schivare gli attacchi di fuoco del suo avversario. Il misero scudo che gli avevano dato era già mezzo carbonizzato e anche i suoi vestiti non erano privi di bruciature. A causa del collare non poteva usare nessun incantesimo, quindi sapeva che era solo questione di tempo. Gli dei volevano vederli correre nell’arena, impotenti. Si stavano prendendo gioco di loro per affermare una volta di più che nessuno poteva mettere in discussione la loro autorità.

«Persephone, vorrei provare a farli colpire tra di loro, se siete d’accordo» affermò Leonidas, il cui addestramento lo spingeva a cercare comunque una soluzione per sopravvivere.

«D’accordo» annuì Persephone, che per quanto scettica sul buon esito del piano non aveva idee migliori. «E ti ho già detto di non darmi più del “voi”. Non sono più un’inquisitrice.»

 I due ex militari si mossero per cercare di dividere le loro copie, dopodiché corsero uno verso l’altro, ponendosi proprio in mezzo alle due repliche.

La falsa Persephone, che come la copia di Tenko non riportava le mutilazioni dell’originale, attaccò per prima con un poderoso raggio di luce. I due ex militari schivarono per un soffio, ma altrettanto fece il falso Leonidas.

Quelle copie potevano anche essere delle mere imitazioni, tuttavia non erano così stupide da colpirsi da sole.

Tenko avrebbe voluto riunirsi agli altri, magari aiutare Zabar, ma la falsa lei era troppo rapida: era impossibile sfuggirle. Dopo l’ennesimo attacco andato a vuoto, la copia la colpì al polso, facendole perdere la spada. La sollevò come fosse un fuscello e poi la scaraventò contro il muro che circondava l’arena, così forte da farle mancare il respiro.

Ancora stordita dal colpo, la demone vide i suoi compagni che subivano gli attacchi delle rispettive repliche, impotenti. Tutto ciò serviva solo per far credere alla folla urlante che gli dei erano onnipotenti, e questa consapevolezza non poté non farle montare la rabbia.

Come attratte dalla sua ira, delle voci cominciarono a echeggiare nella sua mente: “Sei arrabbiata, piccolina?”

“Fai bene a esserlo.”

“Dovrebbero pagare per ciò che stanno facendo.”

«Smettetela di blaterare» rantolò la demone, sforzandosi di mettersi carponi. «Se volete aiutarmi fatelo, se no lasciatemi in pace!»

Le tre voci parvero colte di sorpresa, poi scoppiarono in una risata corale e fastidiosamente malevola.

“Così si parla, mia cara!”

“Questo è lo spirito di una Furia!”

“Alzati, e scatena la tua vendetta!”

Così com’erano comparse, le tre voci si dissolsero, e insieme a loro svanì anche il dolore che fino a quel momento l’aveva costretta in ginocchio.

Tenko sentì un rumore metallico e subito dopo il suo collare cadde a terra, misteriosamente aperto. Si rialzò, improvvisamente rinvigorita. Osservò il suo corpo e si accorse che le sue cicatrici sembravano emanare una tiepida luce fucsia.

Avvertì una strana sensazione alle sue spalle: guardò dietro di sé e, con sua profonda sorpresa, vide che le sue ali erano tornate. Solo che non erano più le sue ali: erano delle emanazioni di energia fucsia che delineavano la forma delle ossa e, molto lievemente, delle membrane alari.

Serrò i pugni. Aveva perso la spada, ma in quel momento sentiva di non averne più bisogno. Guardò la sua copia dritto negli occhi, lo sguardo che riluceva di vendicativa determinazione.

Non sapeva perché quelle tre donne la stessero aiutando, ma non le importava. L’unica cosa importante era che adesso poteva vincere.


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Come prevedibile, il tentativo di fuga è stato un fallimento e i quattro sono stati condotti all’arena di Theopolis per essere giustiziati.

Per rendere più spettacolare l’esecuzione, gli dei hanno schierato delle copie dei prigionieri, adeguatamente pompate per essere sicuri del risultato finale.

L’impegno e la determinazione dei quattro si sono rivelati inutili contro la magia degli dei, ma forse hanno ancora una possibilità: basterà il nuovo potere di Tenko ha salvarli da morte certa? O finiranno in guai ancora peggiori?

Alla prossima! :D


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