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Autore: evil 65    02/11/2019    12 recensioni
Due anni sono passati dalla guerra contro Thanos.
Peter Parker e Carol Danvers sono ormai diventati buoni amici, alternando la loro vita da supereroi a rari momenti di vita quotidiana in cui si limitano ad apprezzare l’uno la compagnia dell’altra, come farebbero con qualsiasi altro membro degli Avengers.
Tuttavia, Peter vuole di più…anche se sa che non dovrebbe.
A peggiorare le cose, un misterioso serial killer dotato di poteri fugge da un carcere di massima sicurezza, cominciando a seminare morte e distruzione in tutta New York…
( Sequel della one-shot " You Got Something For Me, Peter Parker ? " )
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Carol Danvers/Captain Marvel, Peter Parker/Spider-Man
Note: AU, Lemon, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Avengers Assemble'
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Bene, signore e signori, siamo arrivati al capitolo finale di questa storia, che verrà seguito da un breve epilogo la prossima settimana.
Un avvertimento per tutti quelli che sono deboli di cuore : questo aggiornamento conterrà violenza domestica. E no, niente di quello che vedrete è un’esagerazione o un tentativo di farvi ulteriormente simpatizzare con il personaggio coinvolto.
Nei fumetti ha davvero affrontato tutto questo, e la cosa è stata brevemente accennata nel suo film ( anche se spero che verrà ulteriormente approfondita nei sequel ).
Detto questo, vi auguro una buona lettura, e come sempre spero che qualcuno di voi troverà il tempo di lasciare una recensione!
 

 
Final Fight
 
<< Ugh, questo lo sentirò domattina >> borbottò Carnage, mentre si rialzava faticosamente da terra. Il colpo subito gli aveva fratturato gran parte delle articolazioni, ma queste avevano già cominciato a rigenerarsi.
A circa una decina di metri da lui, Carol si inginocchiò di fronte alla figura martoriata di Spiderman.
<< Carol… >> sussurrò questi, non appena i suoi occhi marroni si posarono su quelli della supereroina.
La donna trattenne un sussulto, quasi incapace di sostenere una simile visione.
Il volto di Peter era completamente ricoperto di lividi e tagli, una maschera rossa e viola bagnata dal sangue e dall’acqua del fiume Hudson.
<< Non muoverti, sei ridotto molto male >> disse dolcemente, accarezzandogli una guancia con fare rassicurante.
L’Avenger chiuse gli occhi, lasciandosi cullare dal gesto, poi scoppio in un eccesso di tosse. Il cuore di Carol venne avvolto da una stretta agghiacciante.
<< Come…come mi hai trovato? >> domandò il vigilante.
La donna sorrise tristemente.
<< Dimentichi che Karen è collegata alla rete della base. Non è stato difficile localizzare il segnale in quest’area. Da lì in poi, mi è bastato seguire il suono delle esplosioni >> offrì con tono ironico.
Un sibilò richiamò l’attenzione di entrambi.
Si voltarono all’unisono verso Carnage, il quale ora pareva essersi del tutto ripreso dall’assalto improvviso.
Stringendo ambe le palpebre degli occhi, Carol si alzò in piedi e puntò le mani verso il serial killer.
<< Cletus Kasady, sei in arresto per l’omicidio di Vernon Claridge e James Erbert. Hai il diritto di rimanere in silenzio, tutto quello che dirai potrà essere usato contro di te in tribunale >> dichiarò freddamente.
In tutta risposta, Kasady si limitò a fissarla.
<< Sei davvero qui >> sussurrò dopo qualche attimo di silenzio. Al contempo, il suo sorriso irto di denti acuminati sembrò allargarsi.
Carol inarcò un sopracciglio. << Mi stavi aspettando? >>
Il mostro tossì un paio di folte, sputando qualche grumo di saliva misto a sangue.
 << Eh eh >> ridacchiò gracchiante. << Cazzo, per un attimo ho pensato che non saresti venuta. Sarebbe stato piuttosto imbarazzante >>
Sia Carol che Peter gli lanciarono un’occhiata visibilmente confusa.
“ Di che diavolo sta parlando?” pensò l’arrampica-muri.
Quasi come se avesse letto la sua mente, Carnage abbaiò una sonora risata.
<< Oh, suvvia, Spiderman. Non avrai davvero pensato che rischiassi di perdere la battaglia per l'anima di New York… in una scazzottata con te? No... Bisogna avere un asso nella manica. E il mio sei tu >> disse indicando Carol.  << Sapevo che se avessi ridotto questo marmocchio in fin di vita ti saresti presentata. I suoi sentimenti per te sono forti >>
La donna si frappose fra lui e Peter, mentre il suo corpo cominciò a illuminarsi di un intenso bagliore dorato.
<< Gli hai fatto del male >> ringhiò attraverso di denti.
Cletus scrollò le spalle. << Le tue capacità deduttive sono encomiabili >>
<< Sarà l’ultimo errore della tua vita >> sibilò la donna, attivando la maschera da combattimento della tuta.
Carnage non sembrò per nulla preoccupato dalla minaccia della donna e porse il braccio destro in avanti, facendole segno di attaccarlo.
<< Fatti sotto, bocconci…>>
Prima che potesse finire la frase, Carol aveva già percorso la distanza che li separava.
Le lenti del mostro si allargarono per la sorpresa, mentre la donna lo afferrava a per il collo e lo sbatteva violentemente contro il pavimento della stanza, sollevando pezzi di cemento e schizzi d’acqua.
La creatura spalancò la bocca e sputò un rivolo di sangue, come se il colpo gli avesse tolto tutta l’aria che aveva in corpo.
Le mascelle di Carnage scattarono in avanti e si conficcarono nella spalla della supereroina. A parte un lieve dolore iniziale, Carol si ritrovò del tutto inalterata dal contrattacco del mostro.
Saltò in aria e lo lancio dritto contro una colonna. Poi, gli tirò un pugno al volto, facendogli volare qualche dente.
Infine, lo afferrò di nuovo per il collo e lo inchiodò contro la trave in ferro.
Kasady tossì sangue e saliva, con la lingua che gli penzolava fra i denti come un cane ferito. Dopo aver preso un paio di respiri, tuttavia, cominciò a ridere. Una risata agghiacciante, acuta e gratturale, che riecheggiò per tutta la lunghezza della fabbrica.
Carol strinse gli occhi in un paio di fessure illuminate.
<< Fammi indovinare. Anche questo fa parte del tuo grande piano? >> domandò beffarda.
Carnage smise di ridere e la fissò con quel suo intramontabile sorriso.
<< Ma è ovvio! >> esclamò gioviale.  La donna non ebbe la possibilità di interpretare le parole dell’uomo.
La tuta che ricopriva Kasady si aprì di colpo, come un ventaglio, rivelando il corpo umano di Cletus poco sotto lo strato di filamenti e protuberanze.
Carol ebbe appena il tempo di spalancare gli occhi, mentre l’enorme massa informe la ricopriva al pari di una coperta, avvolgendo la sua figura dorata sotto lo sguardo incredulo di Peter.
<< Carol! >> esclamò il vigilante, facendo appello alle forze che gli erano rimaste per alzarsi in piedi. Al contempo, la donna iniziò ad urlare.
Il simbionte cominciò a fondersi con lei, aderendo al corpo dell’Avenger e ricoprendola dalla testa ai piedi, mentre Cletus osservava il tutto a pochi passi di distanza.
Dopo circa un minuto di grida...tutto si fermò. Il silenzio tornò a regnare nella fabbrica di sostanze chimiche.
Carol Danvers era ferma e immobile al centro della stanza, quasi completamente irriconoscibile. Al suo posto, ora vi era un Carnage ghignante e dalle fattezze femminili.
Peter si ritrovò incapace di compiere anche il più piccolo suono, troppo scioccato da una simile svolta degli eventi.
<< Non male >> commentò Cletus, prendendo una rapida occhiata all’aspetto della donna. << Ora ho l’essere umano più potente del pianeta sotto il mio controllo. Immagina quanti danni posso fare ora, non solo a New York >>
Scoppiò in una sonora risata. << Penso che la mia prossima tappa sarà Washington. Potrei perfino diventare Presidente! >>
Detto questo, girò lo sguardo in direzione di Peter.
<< Ma prima…Spiderman, mi aiuteresti a collaudarla? >> domandò con un ghigno diabolico. Al contempo, Carol…no…Carnage, si voltò verso di lui e sorrise a sua volta.
L’adolescente deglutì a fatica e, dopo aver preso un respiro profondo, cominciò a correre.
Cletus lo indicò.
<< Eh eh eh…uccidilo >> ordinò freddamente.
Affianco a lui, Carnage rilasciò un ruggito che fece tremare le finestre del complesso e partì all’inseguimento dell’Avenger.
 
                                                                                                                                                           * * * 
 
Venne svegliata da una risata. Non quella del pubblico di un locale di spettacoli comici, né quella che si fa quando un amico ti racconta una barzelletta, ma una risata maligna, senza un filo di ironia. Quella cupa e gratturale di un animale sul punto di divorare la propria preda.
Carol si alzò in piedi a fatica e si guardò subito attorno. Era immersa nell’oscurità. Un’oscurità senza fine, vuoto e privo di forma.
“ Dove diavolo sono? Che cosa è successo?” pensò con una punta di panico.
I ricordi di ciò che era avvenuto pochi minuti prima le arrivarono tutti assieme, facendola sussultare.
Aveva Carnage alla propria merce, inchiodato ad una colonna…e poi…e poi…
Drizzò la testa di scatto, attirata da uno strano crepitio. Fu allora che si rese conto che, sospesi ad un paio di metri da terra, c’erano dei televisori che galleggiavano come batuffoli di polvere.
La donna strabuzzò gli occhi.
“ Ma che diavolo…”
<< Carol >> sussurrò una voce familiare e improvvisa, distogliendola da quei pensieri.
Spalancando gli occhi per la sorpresa, la donna cominciò a guardarsi attorno.
<< Peter!>> esclamò, aguzzando la vista e scrutando nell’oscurità apparentemente infinito che la circondava. << Peter, dove sei? >>
Nessuna risposta. Il silenzio fu l’unica cosa ad accoglierla.
La donna emise un ringhiò frustrato e cominciò a camminare senza una direzione precisa. Poi, dopo quello che sembrava un tempo interminabile, una figura ben distinta sembrò prendere forma ad alcuni metri da lei.
<< Peter! >> esclamò Carol, sorridendo radiosa. Senza perdere tempo, corse verso la figura del vigilante.
 << Oh, grazie al cielo. Pensavo… >>
Provò ad abbracciarlo…ma le sue mani passarono attraverso il corpo dell’adolescente.
La bionda emise un sussulto e compì un passo all’indietro, mentre il ragazzo la fissava con un placido sorriso.
 << Peter… >> sussurrò la donna, allungando la mano destra nel tentativo di toccare il compagno Avenger. Tuttavia, il risultato ottenuto fu lo stesso di pochi secondi prima.
Le dita dell’eroina attraversarono il corpo dell’arrampica-muri, producendo piccoli sbuffi di fumo bianco.
Carol spalancò gli occhi e fissò incredula il vigilante.
<< Non sono davvero qui, Carol. E tu lo sai >> disse questi, con tono paziente.
La donna aprì e chiuse la bocca alcune volte, apparentemente incapace di parlare. Poi, rilasciò un sospiro visibilmente frustrato.
<< Siamo nella mia testa >> borbottò rassegnata.
In tutta risposta, Peter – o meglio, la sua rappresentazione mentale – si limitò ad offrirle un sorriso ironico. Si porse in avanti e la fissò intensamente.
 << Carol, devi uscire di qui >> disse con tono molto più serio.
La donna roteò gli occhi. << Più facile a dirsi che a farsi. Hai qualche idea? >>
<< Sono perso quanto te >> ammise il ragazzo, strofinandosi i capelli con fare imbarazzato.
Suo malgrado, Carol si ritrovò a sorridere. “ È adorabile anche nella mia testa” pensò divertita.
Un crepitio attirò l’attenzione di entrambi.
Lo schermo di un televisore si accese e un volto sfigurato da un ghigno riempì il monitor: Cletus Kasady.
L’inquadratura si allargò e rivelò che si trovava sul palco di una sorta di quiz televisivo.
<< Capitan Marvel! >> iniziò nel tono più cantilenante che  possedeva. << Sembra che anche per te sia arrivato il momento di giocare >>
Ci furono grida di approvazione e applausi.
<< Allora forza, bellezza, perché il meglio deve ancora venire. Ma anche noi abbiamo delle regole, e questo significa che il tuo amico Spiderman non può entrare con te. Spiacente, ragazzino. Sono le leggi dello Stato sul gioco d’azzardo : l’ingresso è riservato agli adulti >>
In quel preciso istante, una grossa porta verde si materializzò davanti alla coppia.
<< Carol, non farlo >> la supplicò Peter. << È una trappola >>
<< Lo so >> replicò la donna, con un sorriso ironico. << È sempre una trappola. Ma ci andrò lo stesso, perché è l’unico modo che ho per uscire da questo posto. Prima, però… >>
Si accostò alla proiezione mentale del ragazzo e gli diede un bacio sulla guancia. Gli rivolse un ghigno fugace e si avviò incontro a chissà quale follia la attendeva oltre quella porta.
Aprì i cardini ed entrò. Entrò nel buio. Tese una mano davanti a sé e riuscì a vedersi le dita. Poi la voce di Kasady echeggiò nell’oscurità.
<< Benvenuta nella stanza dei brutti ricordi! Ci sono quiz pensati per farti sorridere…i miei ti avviliranno tanto che ti verrà voglia di ucciderti! >>
All’improvviso un riflettore si accese e la immerse nella luce. Il resto della stanza era ancora nel buio, ma qualcosa si mosse furtivo nell’oscurità.
Carol cominciò a rivivere ogni istante della propria vita, come se passato e presente stessero accadendo in contemporanea.
I maltrattamenti del padre, il bullismo costante, i suoi anni passati nell’aviazione, costretta a competere con cadetti e istruttori che non la ritenevano all’altezza dell’esercito, le torture subite dai Kree…tutto.
Scosse la testa, scacciando via quelle allucinazioni.
<< Non erano reali, Kasady. Niente di tutto questo è reale. Ma ti prometto una cosa: non ti lascerò fare del male a nessun altro >>
<< Oh, Carol, povera ragazza, ti sbagli di grosso >> disse il serial killer.
Un altro riflettore rivelò il set di un quiz, e la figura di Cletus Kasady vi era al centro.
<< Andiamo, Carol >> ridacchiò il rosso. << Voglio cantarti una canzone che ho scritto appositamente per te, ma non nei panni di me stesso. Nei panni di colui che diventerai presto! >>
L’uomo scomparve. Ora al suo posto c’era Carnage, in piedi davanti ad un microfono.
<< Signore e signori, ragazzi e ragazze! >> esclamò con voce graffiante. << C’è una bella canzoncina che ho riservato a voi. Allora mettetevi comodi e rilassatevi, mentre vi canto una filastrocca che ho chiamato… “Il blues del manicomio”! >>
Fece un cenno fuori campo ad un’orchestra invisibile e la musica cominciò a suonare.
Attese un attacco…e allora iniziò a cantare.
<< Luci…motore…azione! Portami a casa, al manicomio. Non sei mai solo al manicomio. Totale anarchia, un paradiso, ma in tutto quel tempo non hai mai sorriso! Il pazzo sei tu, sono nella tua testa…e adesso rido io! >>
Scivolò sul palco fino a un attaccapanni che un momento prima non c’era, lo prese fra le braccia e  si mise a ballare come se fosse Fred Astaire.
Carol cercò di allungare una mano verso di lui, ma si ritrovò incapace di muoversi.
<<  Nella vecchia New York, in passato, la mia bella ho ammazzato. Mi hanno lasciato moribondo….ma poi ti ho guardata, e in un secondo…l’ho capito : io e te sempre insieme! E adesso rido io! >>
Carnage lasciò andare l’attaccapanni e lo piroettò fin dietro le quinte, dove precipitò nell’oscurità della stanza. Il serial killer ignorò il fracasso conseguente come se non fosse successo nulla, e continuò a cantare.
<< Sono un chiodo nella testa, come rido! Il terrore ti tempesta, e quanto rido! A mamma e papà ho fatto la festa, e quanto rido! E cos’altro potrei fare? Di me non ti potrai più liberare! >>
Nella mano gli comparve una pistola.
La creatura rise istericamente e sparò un paio di volte, mirando a qualcosa fuori campo.
Un istante dopo, due macchinisti barcollarono nell’inquadratura, fori di proiettili in testa, e finirono faccia a terra sul palcoscenico.
Carol osservò tutto, ma non potè fare altro che starsene lì a guardare. Non riusciva ancora reagire, si sentiva avvolta da centinaia di tentacoli che le impedivano anche il più piccolo movimento.
Ci furono altre grida entusiaste e applausi. Poi, Carnage tornò a essere Cletus Kasady.
<< Eccellente >> si complimentò. << Eccellente. E ora…sono Carnage, il re del tormento! Noi due insieme, che divertimento! Ora sei parte di me, come io son per te! Non potrai più sbarazzarti di me! Quando infine ti controllerò…credimi, mia cara, riderò, RIDERÒ! >>
Un'altra figura prese posto accanto a lui. Una donna quasi completamente uguale a Carol, ma vestita con un abito rosso e scarlatto, coperto di sangue.
Tese la mano in avanti con grazia, e Kasady la prese, conducendo mentre iniziarono a ballare.
Le piroette erano impeccabili, e andarono avanti per quasi un minuto, fino a quando il corpo della copia non sembrò sciogliersi in un turbinio di filamenti.
Kasady si voltò cupo verso la sua unica spettatrice.
<< Ti sto mandando in pappa il cervello, come rido! Oramai sono il tuo gemello, quanto rido! I tuoi amici sono pronti al macello, e quanto rido! E cos’altro potrei fare? Di me non ti puoi più liberare! >>
I riflettori si spensero, lasciando nuovamente la stanza al buio.
Poi, un  unico fascio di luce illuminò una piccola parte del palco : Carnage riemerse dall’oscurità, pronto a cantare la strofa finale.
<< Il tuo terrore già lo sento, ora che è quasi arrivato il momento! Sono nel tuo corpo, sono vivo, lasciati guidare fino all’arrivo! >>
La musica finì e il mostro si inginocchiò.
Le grida e gli applausi sembrarono andare avanti all’infinito.
<< Grazie >> disse, nella sua migliore imitazione di Elvis, mentre sul palco vennero gettati fiori in segno di apprezzamento. << Grazie mille! >>
E, in quel momento, Carol si ritrovò legata ad un lettino ospedaliero. Tentò di muoversi, ma i lacci che la tenevano ferma erano troppo resistenti.
Nonostante tutta la sua potenza...in quel mondo era completamente indifesa, alla merce di un pazzo.
Carnage si incamminò fino a lei e le posò un dito artigliato sulla fronte.
<< E ora…facciamo calare il sipario! >>
 
                                                                                                                                                                * * *  

Vi fu un lampo, seguito da un’esplosione che illuminò la stanza come una lanterna.
Peter balzò in aria e utilizzò una ragnatela per catapultarsi fino al soffitto della fabbrica. Dietro di lui, una palla di fuoco incenerì qualunque cosa si trovasse nel raggio di una decina di metri.
Rimase nascosto tra le assi in ferro della copertura, mentre la figura di Carnage si faceva strada oltre la nuvola di fumo e detriti.
La creatura rimase ferma e immobile, analizzando l’area circostante.
Annusò l’aria un paio di volte, producendo un ronzio basso e contemplativo. Poi, le sue lenti bianche si posarono su Spiderman.
<< Merda >> borbottò questi. Al contempo, Carnage sorrise e lanciò alcuni arpioni contro di lui.
L’adolescente si lasciò cadere a terra, per evitare di essere impalato.
<< Carol, per favore, so che puoi sentirmi. Devi combatterlo! >> urlò, mentre schiava un altro colpo ad opera della donna.
Compiendo una capriola a mezz’aria, atterrò sulla parete più vicina e vi rimase attaccato.
 << È per quella volta che ti ho detto che sembravi ingrassata? >> disse con tono ironico. << È stato uno scherzo in buona fede, lo giuro! >>
In tutta risposta, la bestia si limitò a ruggire e si lanciò contro di lui.
Peter sussultò e saltò su una trave, mentre il muro su cui si trovava fino a pochi secondi prima esplose in una miriade di schegge e pezzi di calcestruzzo.
<< Ok, pessima scelta di parole >> borbottò a bassa voce.
Al contempo, un raggio di energia cosmica partì dalle mani di Carnage, puntando dritto nella su direzione.
Peter saltò verso l’alto, attaccandosi al soffitto della stanza, e cominciò a correre a quattro zampe per evitare i proiettili di luce.
Quando arrivò alla fine della copertura, cadde a terra e si acquattò sul pavimento. L’avversario lo raggiunse poco dopo, atterrando di fronte a lui e sibilando minacciosamente.
<< Vediamo di ragionare, Carol >> offrì il vigilante. La creatura gli ruggì contro, riversando copiose quantità di bava sulla sua maschera.
<< E va bene, non vuoi ragionare? Beccati questo! >> esclamò, sparando una ragnatela sulle lenti del mostro. Questi ringhiò per il fastidio e si portò ambe le mani alla faccia, nel tentativo di liberarsi dalla sostanza appiccicosa.
Una volta fatto, la mano destra della bionda si tramutò in un’ascia, accompagnata dal bagliore dorato dell’energia cosmica.
Si lanciò contro l’Avenger.
<< Oddio, no! >> disse Peter, mentre faceva del suo meglio per evitare l’arma.
Carnage continuò ad agitare il braccio, cercando di porre fine alla vita dell’avversario. Tuttavia, quando notò che i suoi tentativi si stavano rivelando infruttuosi, scagliò un pugno contro il pavimento.
La conseguente onda d’urto face perdere l’equilibrio al ragazzo.
Prima che questi potesse riprendersi, Carnage lo afferrò per la gamba destra e cominciò a sbatterlo da una parte all’altra della stanza.
 
                                                                                                                                                      * * *  

Carol Danvers, in un corpo da bambina , si svegliò di colpo nella sua vecchia camera da letto, udendo uno strillo piagnucoloso proveniente dalla stanza dei genitori.
Si immobilizzò e piegò la testa di lato per ascoltare.
<< …Ce l’avevo. Te lo giuro, ce l’avevo! >>
<< Te lo sei tolto in spiaggia? Prima di nuotare? >> chiese l’inconfondibile voce di Joe Danvers, il padre della bambina.  
<< Ti ho già detto che non ho fatto il bagno >> rispose Marie Danvers, moglie del suddetto.
Un tonfo riecheggiò per tutta la casa. Internamente, Carol sperò che non avrebbe svegliato i suoi fratelli.
<< Ma se te lo sei tolto per metterti la crema solare! >> esclamò Joe, il tono di voce ornato da una lieve punta di esasperazione.
Continuarono su questo tono per un po’ e la bambina decise che poteva ignorarli.
All’età di nove anni, Carol aveva smesso di preoccuparsi delle sfuriate di suo padre già da un po’. Le sue urla di rabbia facevano parte della colonna sonora quotidiana e soltanto di rado valeva la pena farci caso. Soprattutto se si voleva evitare la cinghia. Carol la odiava.
All’improvviso, udì un altro lamento angosciato.
<< Lo sapevo che finiva così. Come al solito. Sei una buona a nulla! >>
<< Ti ho chiesto di guardare in bagno. Lo hai fatto? >>
<< Sì, e non ho trovato niente. E lo sai perché? Perché l’hai perso ieri in spiaggia! Tu e quell’altra troia di Jane Bennet avete preso il sole tutto il pomeriggio, avete bevuto un margarita dietro l’altro e tu ti sei rilassata così tanto che quasi ti scordavi di avere dei figli. Hai dormito, e, quando ti sei svegliata, ti sei resa conto che saresti arrivata al lavoro con un’ora di ritardo… >>
<< Non ero in ritardo >>
<< …così sei corsa via in preda al panico. Hai dimenticato la crema solare e pure l’anello. E adesso…>>
<< E non ero neanche ubriaca, se è questo che stai insinuando. Non guido da ubriaca con i nostri figli in macchina. Quella è la TUA specialità >>
<< …e adesso hai pure il coraggio di darmi la colpa! Puttana! >>
Si udì qualcosa andare in frantumi.
Quasi senza accorgersene, Carol scivolò nella penombra della camera, verso la stanza dei genitori.
La porta, aperta di una spanna, lasciava intravedere un comodino accasciato e un bicchiere rotto in un angolo. Suo padre doveva averli rovesciati in preda alla collera.
<< Dio mio, sei proprio una stronza >> borbottò l’uomo, comparendo nella visuale della bambina. << E pensare che con te ci ho pure fatto dei figli >>
Carol trasalì.
Sentì un bruciore agli occhi, ma non pianse. Si morse le labbra, una reazione automatica, e la fitta di dolore tenne a bada le lacrime.
Al contempo, uno strano senso di deja-vu le attraversò la mente…quasi come se avesse già vissuto quella scena una volta.
“ No, vattene via…” pensò disperatamente. Troppo tardi.
Gli occhi di suo padre si posarono sullo spiraglio della porta.
<< Tu! >> esclamò, attraversando la stanza con rapide falcate e spalancando i cardini della camera.
Carol tentò di ritrarsi ma l’uomo fu più veloce e la afferrò per un braccio.
 << Stavi origliando, non è vero? >> ringhiò attraverso i denti, mentre la bambina cominciò a sentire un dolore bruciante che gli attraversava l’arto.
<< N-no… >>
<< Bugiarda! >> la interruppe suo padre, trascinandola nella stanza con un forte scossone e chiudendo la porta dietro di sé. Il tutto sotto lo sguardo terrorizzato della madre.
<< Brutta disgraziata! Ti ho detto che non devi origliare! >> urlò Joe, afferrandola per le spalle e costringendola a fissarlo dritto in quegli occhi neri e appannati dall’alcol.
Carol deglutì a fatica.
<< Mi dispiace >> sussurrò a bassa voce. Al contempo, le pupille dell’uomo vennero attraversate da un lampo.
<< Ti dispiace…Ti dispiace?! >> esclamò incredulo. Poi, la colpì in volto con un poderoso schiaffo, facendola cadere sul pavimento.  << Se fossi davvero dispiaciuta, non avresti origliato! >>
PAM! Un altro schiaffo.
<< Perché mi costringi a farti questo?! >> sbraitò sulla figura inerme della figlia.
Lacrime di dolore e tristezza cominciarono a rigare le guance della bambina.
Si mise a gattoni e allungò una mano verso la madre.
<< Mamma…aiutami… >> disse debolmente.
All’improvviso, una risata oscura risuonò da un angolo della stanza.
Carol girò appena la testa. Cletus Kasady si trovava lì con loro, comodamente seduto su una sedia a dondolo, il volto adornato da quel suo inconfondibile sorriso psicotico.
 << Oh, mia cara, lei non può aiutarti >> disse con tono beffardo, indicando il punto i cui si trovava la donna.
Carol tornò a fissare la madre…e si blocco. Il volto di Marie Danvers era diventato scarno, rinsecchito e privo di orbite, un agglomerato di vermi che strusciavano tra le ossa del cranio come piccoli serpenti.
Il corpo stesso della donna era magro e secco, grigio e privo di muscoli. Un cadavere che sembrava morto da decenni.
Cletus si alzò dalla sedia e picchiettò la testa della donna, che si staccò da collo e rotolò fino a Carol.
<< Saluta la mammina! AH AH AH AH AH AH ! >> rise il serial killer, mentre la bambina lanciò un urlo colmo di paura e disperazione.
Indietreggiò d’istinto, andando a sbattere contro qualcosa. Alzando appena lo sguardo, si rese conto che era finita contro suo padre. Solo che Joe Danvers non sembrava più un essere umano, ma una creatura uscita direttamente dagli incubi più reconditi di un malato di mente.
Aveva gli occhi gialli, il volto adornato da un sorriso storto e pieno di denti affilati.
<< Ehi, Carol? Sei ancora la mia bambina? >> disse con una voce bassa e gratturale.
Porse la mano destra in avanti e afferrò la spalla di Carol. La bimba voleva solo fuggire da quel luogo orribile, ma si ritrovò incapace di compiere anche il più piccolo movimento. Era completamente impietrita.
Il ghigno sul volto del genitore sembrò allargarsi. << Lo sei?! >>
<< Lasciala in pace! >>
Una sfocatura rossa e blu si lanciò contro la figura dell’uomo, facendolo sbattere contro la parete opposta della stanza.
Carol sussultò per la sorpresa e prese una rapida occhiata al suo salvatore.
<< Peter…>> sussurrò tra i singhiozzi, riconoscendo la figura del vigilante.
Eccolo lì, in mezzo alla stanza, che si frapponeva tra lei e suoi padre come un muro invalicabile. Aveva le mani strette in pugni serrati e leggermente sollevati, con le gambe divaricate per assumere una posizione di combattimento.
In qualche modo era riuscito a raggiungerla…e ora era lì per proteggerla.
Di fronte alla coppia, Joe Danvers si alzò a fatica e fissò odiosamente l’arrampica-muri.
<< Quante volte ti ho detto di non portare ragazzi a casa?! >> ringhiò con una voce molto più simile a quella di Cletus Kasady, il quale sembrava essersi volatilizzato nel nulla.
Poi, l’uomo spalancò le fauci irte di denti acuminati, mentre le sue mani si trasformarono in un paio di falci.
Si lanciò contro Spiderman, agitando le braccia come l’elica di un elicottero. Il vigilante si scansò di lato e colpì il mostro con un pugno alla mascella, poi con una poderosa ginocchiata allo stomaco.
<< Carol, questo non è reale! Devi svegliarti! >> urlò, mentre l’uomo si riprendeva dall’assalto e gli tirava un calcio al petto, mandandolo a sbattere contro il letto della stanza.
Carol si portò ambe le mani alla testa e cominciò a dondolarsi avanti e indietro, nel tentativo di sopprimere i rumori provocati dalla lotta. 
Al contempo, la voce di Peter continuò a risuonarle nelle orecchie.
<< Svegliati! >>
 
                                                                                                                                                       * * * 

Il corpo di Peter attraverso il muro di mattoni con la stessa forza di un auto in corsa, riversando cocci per tutta la stanza.
Ruzzolò a terra e continuò la sua avanzata per cinque metri, prima di finire contro una trave.
<< Penso di essermi rotto qualcosa >> borbottò con voce tesa, mentre una sensazione indescrivibile di dolore e stanchezza cominciò ad attanagliargli le ossa e i muscoli.
Il suo fattore rigenerante aveva già iniziato a fare il suo lavoro, ma dubitava seriamente che sarebbe sopravvissuto ad un altro pestaggio del genere.
Doveva trovare un modo per contrattaccare…ma come? Già Carnage di per sé era stato in grado di sopraffarlo. Come poteva lui, un semplice vigilante di quartiere, tenere il passo contro uno degli esseri più potenti dell’universo? La risposta era semplice : non poteva.
L’unica soluzione sensata per sopravvivere a questa prova…era liberare Carol dal controllo di quel mostro.
Guardandosi intorno, l’adolescente notò che era finito in una zona del complesso ancora in costruzione, a giudicare da dai numerosi materiali edili sparsi per la stanza.
Travi di ferro, corde di nilon, mattoni in calcestruzzo, tubi d’acciaio…niente di tutto questo sarebbe stato utile contro una persona come Carol, capace di prendere un missile in pieno volto senza subire il minimo danno.
Mentre il ragazzo rimuginava su questo, la figura di Carnage attraverso il foro che aveva aperto nel muro della stanza pochi secondi prima, sorridendogli malignamente. Cletus lo seguì poco dopo, osservando l’intera scena con aria soddisfatta.
Peter si alzò a fatica, sputando un rivolo di sangue e cercando di rimanere in piedi.
“ Rifletti, Parker. Non è invincibili, deve avere un qualche punto debole” pensò con un cipiglio.
Andò a ritroso nella memoria, valutando attentamente tutto ciò che era avvenuto durante i suoi scontri precedenti con quel mostro.
<< Aspetta un secondo… >> borbottò a se stesso.
In effetti…c’era stato un momento, durante la loro ultima battaglia, in cui la creatura gli era sembrata più in difficoltà rispetto al solito.
Prima che la vasca esplodesse, in quello stesso laboratorio, quando l’inferriata era caduta a terra, producendo quel frastuono assordante. In quel preciso istante, aveva visto Carnage manifestare dolore come mai prima di allora. Ma perchè?
Era stato preso di sorpresa? Ne dubitava fortemente. Oppure…
“ Ma certo…il rumore!” fu il pensiero che attraversò la mente del ragazzo. “ È stato tutto quel rumore a fargli male!”
Era l’unica spiegazione logica. O, almeno, l’unica che gli sembrava sensata.
Dopotutto, molti animali – come i pipistrelli e i cetacei – erano sensibili alle vibrazioni ad alta sequenza. Che quel vestito avesse una debolezza simile? Valeva la pena prendere in considerazione una simile eventualità, soprattutto perché era a corto di alternative. 
Al contempo, Kasady lo indicò con quel suo ghigno perenne.
<< E adesso, Spiderman…tu morirai. È stata una partita davvero divertente, ma temo che sia arrivato il momento del Game Over >> disse drammaticamente.
Poco dopo, Carnage balzò verso di lui con le fauci spalancate, pronto a ghermirlo.
Peter non si lasciò intimidire.
<< Ultima possibilità >> borbottò.
Sparò una ragnatela e afferrò due sbarre metalliche. Poi, le sbattè una contro l’altra, sperando con tutto se stesso che la sua teoria fosse corretta.
La reazione di Carnage fu istantanea. Si fermò di colpo, portandosi ambe le mani alle tempie e rilasciando un lamento disperato, mentre viticci simili a serpenti si protrassero dal corpo del mostro. Anche Cletus sembrò influenzato dalla cosa e cadde in ginocchio, urlando in agonia.
Sotto la maschera, Spiderman diede un grido mentale di vittoria.
Afferrò un’altra sbarra e la conficcò nel pavimento della stanza, producendo un suono acuto e rimato. Fece lo stesso con quelle che aveva in mano, proprio mentre la creatura sembrava sul punto di contrattaccare.
Carnage sibilò, ritraendosi dal vigilante come se fosse stato bruciato.
Prima che potesse riprendersi, Peter afferrò un’altra sbarra e la sbattè violentemente a terra. Il mostro cadde all’indietro, contorcendosi.
Il vigilante imitò l’azione una seconda volta. E poi una terza…e una quarta.
Fatto, questo, afferrò in rapida successione altre sei sbarre e procedette a circondare Carnage in una sorta di gabbia. Infine, prese un ultimo tubo e iniziò a strusciarlo contro di essa, mentre la creatura al centro urlava per la rabbia e il dolore.
 
                                                                                                                                                          * * * 
 
Il panorama mentale di Carol cominciò a cambiare.
Quella che fino a pochi secondi prima era stata una rappresentazione perfetta della camera dei suoi genitori iniziò a sgretolarsi e deformarsi, come se la casa stessa fosse stata colpita da un tornado.
Tuoni e lampi riecheggiarono oltre le finestre dell’abitazione, mentre Joe Danvers e Spiderman continuavano a combattere al centro della stanza, frantumando i mobili e l’intonaco delle pareti.
<< Adoro le riunioni di famiglia. Tu no? >> disse l’uomo, con la voce di Cletus Kasady.
Peter gli diede un pugno, facendolo indietreggiare. Ne tirò un secondo, ma l’avversario lo afferrò e mezz’aria e gli sorrise con quella sua bocca irta di zanne.
Scattò in avanti e morse la spalla destra del ragazzo, facendolo urlare. E l’urlo risuonò nella mente di Carol, che si raggomitolò ulteriormente su se stessa.
Poi, Joe afferrò il vigilante per il collo e lo inchiodò al pavimento, mentre la sua mano libera si tramutava in un coltello scarlatto.
<< La lingua batte dove il dente duole! >> esclamò, affondando la lama nella pancia dell’Avenger.
<< GHAAAA! >> urlò questi, costringendo Carol ad aprire gli occhi per la prima volta da quando era iniziato quello scontro.
Con suo grande orrore, la bambina vide il padre che tirava un calcio al corpo esanime del ragazzo, facendolo sbattere contro la parete opposta della sala. Al contempo, il soffitto dell’abitazione iniziò a sgretolarsi su se stesso, vorticando in preda ai venti della tempesta.
Esitante, Carol gattonò fino alla figura del supereroe.
<< Peter… >> sussurrò debolmente.
Posò una mano sulla spalla ferita dell’adolescente e cominciò a scuoterla. Niente. Il ragazzo rimase immobile.
La bambina provò una seconda volta, ma il risultato fu il medesimo.
<< No… >> piagnucolò a bassa voce, mentre una copiosa macchia di sangue cominciò a bagnarle le ginocchia.
Senza badarci troppo, Carol abbracciò il corpo di Peter e lo strinse a sé, mentre fiumi di lacrime iniziarono a scorrergli sulle guance.
Era morto. Lei…era sola. Completamente abbandonata a se stessa.
<< Peter, ti prego…non lasciarmi…>> singhiozzò, attraverso i lampi della tempesta.
Al contempo, la risata oscura di Carnage riecheggiò alle sue spalle.
Una furia inaspettata sostituì la tristezza che attanagliava il cuore della bambina.
Carol si alzò lentamente, il volto adornato da un’espressione vuota, con le mani bagnate dal sangue di colui che aveva tentato di proteggerla.
Si voltò verso suo padre.
<< Tu…non sei reale >> disse dopo qualche attimo di silenzio.
Joe Danvers inclinò leggermente la testa, scrutandola da capo a piedi con occhi neri e profondi.
<< Che c’è, piccolo angelo? Non riconosci più il tuo papino? >> chiese beffardo, sollevando ambe le labbra in un ghigno grottesco.
Carol fu tentata di compiere un passo all’indietro. Invece, strinse le mani in pugni serrati e prese un respiro profondo.
<< Non sei qui…non sei reale… >> ripetè con più forza, mentre un debole bagliore cominciò ad avvolgerle le dita.
Apparentemente sorpreso, il volto di suo padre passò da una maschera ghignante ad uno sguardo preoccupato.
<< Perché se tu sei reale…Peter è morto…e Peter non può essere morto >> ringhiò la bambina, gli occhi ora illuminati da una luce dorata.
La proiezione di Joe Danvers sembrò deglutire. << Carol, tesoro…luce della mia vita… >>
<< Non sei reale! >> urlò la piccola, mentre quello stesso bagliore cominciò a illuminarla come la fiamma di un incendio. Nello stesso istante, un’onda d’urto partì direttamente dal corpo minuto della bambina, scaraventando il genitore contro la parete opposta della stanza, infrangendo le finestre della casa, riducendo in pezzi le ultime assi del tetto e facendo tremare l’intera abitazione.
<< Nulla di tutto questo è reale! >> urlò Carol, con più forza. E ora non aveva più il corpo di una bambina, ma quello di una donna adulta nel fiore degli anni.
Un raggio di luce dorata illuminò le tenebre della sua mente, squarciando l’oscurità della tempesta come se fosse stato generato dal sole stesso.
E poi, la voce di Peter risuonò nelle orecchie della supereroina ancora una volta.
<< CAROL! >>
 
                                                                                                                                                              * * *  

Carol Danvers aprì gli occhi.
Il mondo attorno a lei era sfocato, scarlatto, come se stesse osservando i suoi dintorni attraverso un velo rosso.
Vide la figura di Peter a pochi passi da lei, e la gabbia di tubi che la circondava. Sentì il simbionte che urlava per il dolore provocato dai suoni e dalle fiamme che bruciavano dentro di lei.
Prendendo un respiro profondo, attinse alla rabbia che provava in quel momento e cominciò a rilasciare energia cosmica.
Il simbionte iniziò ad urlare più forte, come un bambino ferito, mentre tentacoli e viticci si agitavano impazziti attorno alla figura della supereroina.
Cletus e Peter osservarono l’intera scena con occhi spalancati.
<< Impossibile… >> borbottò il serial killer, visibilmente scioccato da quell’inaspettata svolta degli eventi.
La luce che circondava Carol si fece sempre più intensa. E man mano che il bagliore cresceva…la presa del simbionte su di lei diventava sempre più debole.
La maschera di Carnage si ritrasse per metà, rivelando il volto della donna.
<< Peter…scappa >> sussurrò, non appena i suoi occhi si posarono sull’adolescente. Questi non se lo fece ripetere due volte.
Senza perdere tempo, si lanciò verso la finestra più vicina, mentre dietro di lui la luce divenne quasi accecante. Allo stesso tempo, il pavimento attorno a Carol iniziò a sgretolarsi, i tubi che la circondavano presero a fondersi e un sonoro brusio risuonò per tutta la lunghezza della fabbrica.
E nello stesso istante in cui Peter si lanciò contro la finestra, Cletus Kasady rilasciò un sospiro rassegnato.
<< Lo sapevo, avrei dovuto fare l’attore… >>
BOOM!
Carol lanciò un urlo da un altro mondo, mentre l’energia cosmica attorno a lei esplose in ogni direzione, bruciando qualunque cosa con cui entrò in contatto.
Il simbionte strillò per il dolore e la disperazione, provando paura per la prima volta da quando era stato creato in quel laboratorio. Ogni sua più piccola cellula venne ridotta ad un mucchietto di cenere, volatilizzandosi nell’aria.
Cletus venne sbalzato dall’onda d’urto, attraversò il murò della stanza e finì nel fiume Hudson con un sonoro tonfo.
L’intera fabbrica prese fuoco nella frazione di pochi istanti.
L’esplosione illuminò la notte di New York, e ogni persona che si trovava nelle vicinanze del complesso chimico si ritrovò abbagliata dall’intensità di quel lampo.
Poi, su tutta la zona tornarono a regnare l’oscurità e il silenzio.
Peter venne trascinato dalla corrente del fiume per almeno un paio di minuti, sballottando da una parte all'altra del canale. Quando riuscì a frenare la sua avanzata, aggrappandosi a un tronco vicino, era quasi oltre il confine della fabbrica.
Anche nella più totale oscurità, non era difficile individuare le fiamme che si alzavano dal complesso ormai distrutto. Un passo dopo l'altro, tentò di raggiungere la riva.
Finalmente, il fondale fangoso iniziò a lasciare il posto a ghiaia e rocce. L'acqua defluì dall’armatura, mentre barcollava per raggiungere la terra ferma.
Si accasciò a terra e prese rapide boccate d’aria. Poco dopo, una luce familiare cominciò a scacciare le tenebre che lo circondavano.
Uno scalpitare di passi lo costrinse ad aprire gli occhi.
<< Carol >> sussurrò con un piccolo sorriso, mentre la figura della donna si palesava sopra di lui.
Questa sorrise a sua volta e si inginocchio davanti al corpo dell’Avenegr, per poi cominciare a tracciarne i lineamenti.
Vedendo il suo volto martoriato e pieno di tagli, la supereroina non potè fare a meno di portarsi una mano alla bocca.
<< Peter, io… >>
Prima che potesse terminare la frase, il giovane si lanciò contro di lei e avvolse ambe le braccia attorno alla sua figura illuminata, stringendola a sé.
<< Stai bene. Grazie al cielo, stai bene >> borbottò nel suo collo, mentre la bionda arrossiva furiosamente.
Dopo qualche attimo di esitazione, restituì l’abbraccio e si lasciò cullare dal profumo familiare del vigilante.
<< Evitiamo di rifarlo >> sospirò stancamente. Sul malgrado, Peter si ritrovò a ridacchiare.
Entrambi si separarono.
Carol coppò la guancia del ragazzo e lo scrutò da capo a piedi con preoccupazione evidente.
<< Hai perso molto sangue. Non preoccuparti, gli altri saranno qui a momenti >> disse con tono rassicurante.
Peter annuì debolmente.
Era finita. Era finalmente finita. Avevano fermato Carnage e la città era salva. Questa notte le persone avrebbero dormito sonni tranquilli, lontano dagli orrori di un mondo che stava diventando sempre più folle.
“ Suppongo che dovrò telefonare a May, sarà preoccupata da morire” pensò con una punta di ironia.
Alzò lo sguardo per incontrare gli occhi di Carol…e si bloccò.
<< Attenta! >> esclamò, afferrando la donna per le spalle e spingendola di lato. Questa ebbe appena il tempo di girare la testa.
Cletus Casady era dietro di lei, coperto di sangue e ustioni, gli occhi rossi come un paio di braci ardenti e le labbra arricciate in un sorriso folle. Nella mano destra reggeva un pezzo affilato di lamina sollevato a mezz’aria, pronto per essere calato sulla testa della donna.
Peter sapeva bene che la pelle di Carol era abbastanza resistente da sopravvivere all’esplosione di un missile terra-aria, ma l’istinto di proteggerla ebbe la meglio sul buon senso.
La lama calò verso il cuore del ragazzo come una ghigliottina. Il tempo sembrò rallentare.
Si udì il suono di uno sparo. Un fiotto di sangue. Silenzio.
Cletus Casady spalancò gli occhi per la sorpresa, mentre un piccolo foro andò a formarsi proprio in mezzo alla sua fronte.
Perse la presa sulla lama e cadde all’indietro, rilasciando un gemito soffocato.
Sia Peter che Carol si voltarono di scatto.
A circa un centinaio di metri da loro, appostata sulla cima di un tetto, c’era un’esile figura avvolta in una tuta bianca e argentata che la ricopriva da capo a piedi. Tra le mani reggeva quello che aveva tutta l’aria di essere un fucile da cecchino.
Entrambi gli Avengers strabuzzarono gli occhi, ammutoliti. Al contempo, il misterioso individuo saltò giù dall’edificio con impressionante agilità e scomparve tra le ombre della notte.
Carol si preparò ad inseguirlo. Tuttavia, poco prima che potesse anche solo alzarsi, il corpo di un certo arrampica-muri si accasciò contro di lei.
<< Peter! >>
 
 
 
Boom! Com’era? Spero bello!
Sì, Carol è stata vittima di abusi da parte del padre quando era bambina, cosa che ha in gran parte influenzato la sua personalità attuale. È avvenuto nei fumetti, e, in base ai flashback del film dedicato a lei, anche nell’MCU.
E sì, la debolezza di Carnage erano i suoni, proprio come per Venom.
Il cecchino che ha sparato, come alcuni di voi avranno sicuramente intuito, era Silver Sable, la sicaria/assistente di Norman Osborn.
La canzone cantata da Carnage è una rivisitazione di una filastrocca del Joker.
Spero che l’intera battaglia mentale vi sia piaciuta, ci vediamo la settimana prossima!
  
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