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Autore: CyanideLovers    03/11/2019    6 recensioni
Dopo aver tentato un compositore alla fama e al successo, Crowley è maledetto dalla moglie e tormentato dal suo fantasma fino alla fine dei suoi giorni. Aziraphale farebbe di tutto pur di salvarlo, l'unico problema è che non sa cosa sta succedendo e, in ogni caso, il problema potrebbe essere molto più complicato di quel che sembra.
Ispirata dalla sonata "Il trillo del Diavolo" di Giuseppe Tartini.
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ATTENZIONE: Nella storia ci saranno riferimenti a diversi temi delicati, nasce come una storia horror, leggete con cautela.
Genere: Angst, Dark, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Anatema Device, Aziraphale/Azraphel, Crowley, Madame Tracy, Shadwell
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Oneirataxia'
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Mayfair, Londra, Inghilterra, 522 giorni dopo l’Apocalisse che non c’è mai stata. 

 

Per molto tempo aveva solo dormito. 
Niente sogni, niente incubi. 
Si svegliò come quando ci si sveglia dopo una pessima nottata: con un terribile mal di testa, la bocca secca e quella terribile sensazione che ci fosse qualcosa di profondamente diverso, senza riuscire a capire cosa fosse cambiato. 

Fisicamente, poteva avvertire un tremolio costante sotto la pelle, come se avesse preso una forte scarica elettrica e stesse ancora subendo gli effetti delle scosse di assestamento. Tecnicamente, non era così lontano dalla verità. La pelle era calda, tirava e bruciava sotto le garze, non era troppo doloroso — era più fastidioso in realtà — quindi non se ne preoccupò. 
Sdraiato sul letto, girò leggermente la testa verso lo specchio alla sua sinistra. 

Lo specchio era in quella stanza da quando aveva comprato l’appartamento ma lo possedeva da molto più tempo. Una volta era proprio davanti al letto, lo aveva spostato quando si era reso conto che era sempre la prima cosa che vedeva quando si svegliava e l’ultima quando andava a dormire. Un’altra persona — umano, angelo, demone — lo avrebbe preso e gettato nel fondo dell’oceano; Crowley tremava alla sola idea di disfarsene. Se qualcuno gli avesse chiesto il perché, non avrebbe saputo rispondere. 
Ricordava indistintamente di averlo distrutto ma adesso lo specchio era di nuovo intatto. Tranquillo, come se non fosse stato l’oggetto che lo aveva tormentato per trecento anni. 

(Non che fosse stato l’oggetto in sé a terrorizzarlo, ovviamente, ma era di fronte a quello specchio dove Crowley aveva perso il suo savoir faire quella notte, quando aveva deciso di distruggere tutti gli specchi di casa. L’oggetto, adesso, lo faceva sentire giudicato. 
Si sentiva profondamente imbarazzato per quello che aveva fatto.) 

Sospirò profondamente, provò a sbattere le palpebre. 
Una. 
Due. 
Tre volte. 

Girò lo sguardo verso lo specchio. 
Dalla sua angolazione poteva vedere solo un angolo che rifletteva il muro bianco della sua camera da letto. 
“Oh,” sussurrò piano “se n’è andata.” 

(C’era stato qualcosa — qualcuno, lo corresse una voce nella sua testa — che lo aveva tormentato, angosciato e perseguitato per trecento anni e che aveva odiato per così tanto tempo che si era quasi convinto di —) 

“È andata via.” Ripeté più forte. 
La realizzazione avrebbe dovuto colpirlo forte come un colpo di pistola, come una freccia scoccata da un arco, ma invece lo lasciò con una strana sensazione di vuoto, quasi solitudine. 
Era uno strano sentimento. 

“Crowley.” Una voce lontana lo strappò dai suoi pensieri. “Sei sveglio.” 
La voce di Aziraphale lo fece trasalire, così alta in confronto al silenzio che lo aveva circondato fino a quel momento. L’angelo si mosse piano, come se, da un momento all’altro, Crowley potesse scattare come un animale stretto all’angolo, cercando di scappare o gridare. Avrebbe voluto dirgli che non c’era bisogno di essere così premuroso ma allo stesso tempo si sentiva in bilico, insicuro su come avrebbe dovuto reagire. 
“S’Zira” sibilò piano. 
L’angelo si era seduto sull’angolo del letto, così vicino a Crowley che poteva sentire il suo respiro delicato. Allungò una mano verso la sua fronte ma si interruppe a metà, come se si fosse appena ricordato di qualcosa. “Posso toccarti?” 

Crowley annuì, guardando con occhi sgranati l’angelo passare la mano fra i suoi capelli. Si spostò leggermente, un movimento quasi impercettibile, un chiaro invito a sdraiarsi accanto a lui che Aziraphale accettò di buon grado. Il demone si mosse piano, mascherando come meglio poteva l’espressione dolorante mentre spostava il suo corpo per appoggiare la testa contro il petto di Aziraphale. 
Così vivo, tu sei vivo, sei vivo, si ritrovò a pensare mentre ascoltava il battito cardiaco dell’angelo contro il suo orecchio. 

“Mi hai quasi fatto morire di paura,” disse Aziraphale dopo un lungo momento di silenzio, continuando a far scorrere le sue mani bellissime e morbide fra i lunghi capelli rossi, “Hai dormito per un’intera settimana, hai avuto la febbre alta per giorni e io per un momento ho quasi pensato che tu saresti —” si bloccò per un momento, come se non osasse finire la frase. Non che ne avesse bisogno, Crowley aveva già capito cosa intendeva dire. “Non puoi lasciarmi solo, stupido di un serpente, come farei a sopravvivere altrimenti? Un solo giorno è una tortura, non oso neanche immaginare un’eternità senza di te.” 
Crowley era rimasto per tutto il tempo con lo sguardo basso, senza osare guardarlo. 

Se fosse stato in grado di elaborare un po’ meglio le sue emozioni, probabilmente si sarebbe odiato per essere stato così egoista. Non sopportava il pensiero del suo bell’angelo con un vuoto nel bel mezzo dello sterno grande tanto quanto il suo, non avrebbe mai immaginato che anche lui potesse sentirsi solo. 
Non era lo stesso, però. Aziraphale, a differenza sua, poteva ancora sentire il calore e l’amore di Dio riempirgli il cuore. Cosa aveva invece Crowley? Niente, sempre niente. 

Non disse nulla però. Sarebbe stato un’ipocrita infondo. 
Aziraphale aveva Dio ma Crowley aveva lui. 
L’unico che potesse farlo sentire vivo. 
Quindi disse: Puoi restare un po’ con me? 
Aziraphale sorrise e lo strinse delicatamente a sé: Fino alla fine del tempo, se per te va bene. 

 

 

 

 

 

 Mayfair, Londra, Inghilterra, 528 giorni dopo l’Apocalisse che non c’è mai stata. 

 

Crowley, a volte, si sentiva come se stesse fluttuando. 
Non come quando era un angelo e volava da una nuvola all’altra creando complicati sistemi solari e costellazioni, quella era una sensazione di estrema leggerezza che non avrebbe mai più provato. 
No, lui era perfettamente cosciente del peso del suo corpo che lo ancorava al suolo, le gambe fastidiosamente pesanti che rendevano difficile anche solo l’atto di alzarsi dal letto. 
Mentalmente, emozionalmente, fluttuava. 

C’erano delle volte in cui rimaneva da solo nella stanza, i muri bianchi che si chiudevano intorno a lui, e la vista si offuscava, era in quel momento che sapeva che si sarebbe totalmente distaccato dal suo corpo. 
Non era di per sé una brutta sensazione, solo molto strana e lo faceva sentire insicuro, inadeguato. In ogni caso, quando era in quello stato non sentiva niente, non provava niente e si diceva che andava bene anche così. 

Però stava dormendo meno, gli aveva fatto notare Aziraphale “Perché stai dormendo così poco?” Gli aveva chiesto, inquieto. 
“Sto bene, ho dormito abbastanza.” 
“Abbastanza,” aveva ripetuto arricciando il naso “dormire una settimana per te è come fare un pisolino veloce per un umano.” 
“Non abbiamo davvero bisogno di dormire.” 
“Mio caro —” 
“Sto bene.” Lo interruppe. 
“Sono solo preoccupato per te. Guariresti più in fretta se —” 

A volte era incredibilmente cosciente del tempo che gli sfuggiva tra le mani. Come in questo momento. Poteva ancora vedere Aziraphale parlare, la bocca muoversi, gesticolare nervosamente, ma la voce si distorceva, le parole si mescolavano, i colori intorno a lui si fondevano creando una macchia scura. Quello era l’unico avvertimento che otteneva prima di distaccarsi completamente. 
Non se ne andava mai troppo a lungo ma era sempre più difficile da gestire ed era certo che Aziraphale se ne fosse accorto. 

(Il momento prima sta guardando Aziraphale che gli dice: “Va bene se ti cambio quelle bende? Vuoi mangiare qualcosa?” E l’istante dopo sta sbattendo le palpebre, le bende fresche e pulite contro la pelle tirano un po’, si rende conto che sta guardando una tazza di  fumante che non ricordava di aver preso in mano. Si gira e guarda Aziraphale negli occhi e cerca di mascherare il suo sguardo confuso. Sente la mancanza degli occhiali da sole. Probabilmente aveva perso due o tre ore di tempo in cui l’angelo aveva passato ad accarezzarlo delicatamente e adesso lo stava guardando come se —) 

Tecnicamente, sapeva che avrebbe dovuto essere contento di essere finalmente libero da quell’incubo. Magari arrabbiato per quello che era successo, magari triste. Qualsiasi cosa sarebbe stato meglio dell’apatia che provava in quei giorni. Rabbia, disperazione, tristezza, qualsiasi cosa che non fosse quella totale mancanza di sentimenti, quel vuoto che non sembrava volersi chiudere. Non c’erano più voci nella sua testa e l’unico rumore che sentiva era il disciogliersi e raggomitolarsi del serpente nel suo petto. 

Quando non succedeva, quando riusciva a focalizzare la sua attenzione su ciò che lo circondava, Crowley se ne stava seduto sul letto e pensava. 
A quello che era stato, a quello che è adesso. 
A quello che era successo, a quello che non era avvenuto. 
Catalogava con premura tutto quello che era successo veramente e quello che invece era stato solo frutto della sua mente. 
Aveva distrutto le sue piante, non aveva dato fuoco all’appartamento, era andato da Madame Tracy in cerca di acqua santa, non aveva combattuto con Crawly, aveva scavato la sua stessa tomba, la donna non era reale. 
Non reale. 

Spesso, camminava con la vaga sensazione che, dato che ormai la donna non c’era più, l’unico fantasma rimasto in quell’appartamento dovesse essere lui. 
Altre volte, girovagava sfiorando i muri con le dita, non tanto per mantenere l’equilibrio ma per essere sicuro che fosse vero. Si fermava ogni volta davanti allo specchio e si osservava per interminabili minuti (ore, giorni?) e non si riconosceva. Il riflesso davanti a lui era quello di un uomo (circa) con lunghissimi capelli rossi sistemati in una treccia morbida che lui assolutamente non ricordava di aver fatto, magro e pallido, aspetto accentuato dal maglione pesante di due taglie più grande. Aveva l’aspetto di un cadavere con quelle pesanti occhiaie nere e le bende che lo avvolgevano in ogni parte del corpo. Sembrava maligno e sinistro, forse per colpa degli occhi da serpente gialli che prendevano tutta la sclera e che luccicavano nel buio. 
Ogni tanto riconosceva di essere lui quello nello specchio, questo dopo ore a osservarsi, altre volte lo identificava come Crawly e la sensazione di non avere una forma fisica si faceva più intensa. 

(Crawly attraverso lo specchio lo guarda e dice “Strano eh?” 
E lui “Cosa?” 
Crawly inspira, espira e dice: "So che desideri che io sparisca, ma noi siamo un demone." 
Lui capisce, finalmente comprende che per tutto il tempo non aveva fatto altro che guardare il suo riflesso — non una donna diabolica — o magari aveva guardato Crawly. Spesso dimenticava la differenza. 
Dice: "E so che fa male, anche io sono caduto con te." 
“Sto bene.” 
“Oh, certo.” Ride Crawly “Lui sta bene.” ripete sarcastico. 
“Mai stato meglio.” 
“È la calma, no?” E stranamente il diavolo nello specchio sembra quasi dispiaciuto. “Noi siamo un demone, di certo non siamo fatti per la calma e la tranquillità. E forse è questo il punto. Chi sarà il prossimo a ferirci? Un angelo, un demone o un umano?” 

Aziraphale non mi farebbe mai del male.” 
“No, certo.” Concorda Crawly, sincero. “Lui non ci farebbe mai del male, ovviamente.” 
“Ovviamente.” 
“C’è da chiedersi se non lo farebbe per difendersi.” 
“No. Mi fido di lui. È di te che non ti fido.” 
“Sarebbe un mondo folle se i demoni se ne andassero in giro fidandosi gli uni degli altri.” Annuisce l’altro. “Ma non è solo quello.” 
“E cos’è?” 
“La vera domanda è: Questa calma, questa tranquillità… sono qualcosa che non fanno per noi. Siamo demoni. È il dolore che ci ha fatto nascere, domande senza risposta. Siamo fuoco e ghiaccio, polvere e fuliggine. C’è da chiedersi… questo è davvero reale?”) 

 

La cosa peggiore di quel senso di inadeguatezza — il vuoto, lo corregge Crawly in un sussurro, l’incapacità di riconoscere il proprio io, la solitudine, perché ti senti così solo? — era quando si sentiva così sbilanciato da preferire il buio della sua camera da letto dove chiudersi in sé stesso, piuttosto che affrontare il mondo esterno. Aziraphale aveva cercato di farlo uscire dall’appartamento tante volte, sempre con voce gentile, più un suggerimento che altro, ma lui non voleva. Odiava quelle mura, lo spaventavano, ma l’idea di uscire sembrava un concetto astratto. 
Non ricordava cosa fosse peggio. Chiuse gli occhi e si lasciò cullare dalla sensazione di fluttuare in aria senza sapere quando sarebbe tornato a terra. 
 
Ora, quello era un nuovo problema. dall’altra parte della porta c’era Madame Tracy e lui sapeva che aveva fatto qualcosa di irreparabile, aveva mostrato qualcosa di terribile alla donna e se ne vergognava. 

“Crowley... ” provò l’angelo “C’è Tracy di là, è venuta a trovarti.” 
Il demone al momento era sdraiato sul letto, avvolto da coperte morbide e calde e gli dava le spalle. Era sveglio ma non appena aveva sentito suonare il campanello si era girato dall’altra parte, fingendo di dormire. 
Ma era sveglio. Crowley lo sapeva, Aziraphale lo sapeva, probabilmente lo sapeva anche la donna nell’altra stanza. 
Non voleva essere scortese ma, con tutto quello che era successo, non aveva abbastanza energie per vedere nessuno. 
Non era la prima volta che succedeva e Aziraphale capiva sempre. Gli sfiorava delicatamente la spalla e poi sussurrava “Va bene, non ti preoccupare.” E poi tornava nell’altra stanza e spiegava all’ospite che il demone stava dormendo, ma che sarebbe stato sicuramente felice di incontrarla non appena si fosse svegliato. 
A volte era difficile esprimere a parole perché non provasse nulla in quei momenti. 

 Non era sempre così e forse quella, per assurdo, era la cosa più dolorosa. 

Aziraphale adesso lo baciava (non come faceva un tempo, perché c’erano sempre stati baci e carezze fugaci e poi catalogati come leggerezze, sempre appesantiti dal terrore che Paradiso o Inferno li scoprissero e dai ripensamenti dell’angelo e “Questo è stato un errore, Crowley. Non succederà mai più, non posso, non posso…” che lasciavano sempre il demone in una pozza profonda di disperazione. Era solo in quei momenti che si pentiva davvero di essere caduto.)  

No, lui adesso lo baciava la mattina appena sveglio, quando gli portava la colazione a letto, e Crowley aveva sempre difficoltà a processare quello che era appena successo, lo guardava e il suo cervello decideva di prendersi una vacanza — andava in down, errore di sistema, Crowley.exe has stopped workingplease reload — e l’angelo sorrideva in modo non proprio angelico guardando la faccia del demone diventare sempre più rossa. 

“Stai cercando di viziarmi?” Domandava lui. 
“Assolutamente no, il vizio non mi compete, come sai sono un angelo.” Diceva Aziraphale con una risata nascosta tra le parole “Ma dovresti mangiare qualcosa, amore mio.” 

Era la voce, pensava Crowley. 
La voce di Aziraphale, sentiva a malapena quello che stava dicendo ma in quell’istante semplicemente amava Aziraphale così tanto. Ogni cosa di lui lo faceva sentire bene, per un momento poteva dimenticare quella sensazione di apatia, il silenzio, la paura di vivere nel suo appartamento, si bagnava nel suono della sua voce e dimenticava il resto. Il suo unico tutto per cui valesse la pena vivere. 
Questo era il motivo per cui pensava che fosse ancora più doloroso. Perché, quando l’angelo usciva dalla porta, il senso di vuoto e di non-essere e di non-esistere si faceva ancora più intenso e forse ne sarebbe stato spaventato, avrebbe pianto e urlato, se solo fosse riuscito a provare qualcosa. 
È il niente che lo spaventava. 

(Questo perché quel saltare da un momento all’altro era già successo. 
Un attimo prima è in una discoteca, un pub, una fumeria d’oppio, una catapecchia; 

sbatte le palpebre e qualcuno lo stava toccando, volti scavati, umani sporchi e sudati, gli offrono qualcosa e lui neanche si chiede cosa sia, accetta tutto, perché è suo dovere assicurare anime all’inferno. 
 
Sbatte di nuovo le palpebre ed è sdraiato su un vecchio materasso. 

Sbatte le palpebre, 
ha la nausea e il corpo dolorante. 

Sbatte le palpebre, 
e sta barcollando per una strada deserta. 

Di nuovo. 
C’è una mano che lo sfiora e lui si sente al sicuro, ma comunque non riesce a smettere di tremare. 

Di nuovo. 
Si sveglia nella stanza da letto di Aziraphale, il corpo e i capelli puliti, sente la voce dell’angelo dietro la porta e capisce che sarebbe meglio se lui si levasse di torno, promettendo a sè stesso che non avrebbe mai più fatto una cosa del genere. 
Il punto è che Crowley è terribile nel mantenere le promesse a meno che non siano rivolte ad Aziraphale). 

Crawly lo guardava attraverso lo specchio, il suo viso l’esatto riflesso di sé stesso, e niente avrebbe potuto fermarlo ora che la donna era sparita. Lei, che in tutta la sua perfida, terrificante, oppressiva presenza era stata l’unica cosa che aveva protetto Aziraphale dal serpente dentro di lui, sempre pronto a scattare e a divorare. 

(, ammette Crowley un giorno davanti allo specchio del bagno, la voce piatta e bassa per non essere sentito dall’angelo, forse ho amato quella donna, l’ho amata come non avevo mai amato nessuno prima, perché lo ha protetto da te e non mi importa quanto abbia fatto male, niente è importante se può salvare Aziraphale. 
Crawly lo guarda tristemente e dice “Non gli ho mai fatto del male.” 
“Questo non vuol dire che non lo farai in futuro.”) 

Forse, sarebbe dovuto andare via. 
Forse, avrebbe dovuto spalancare le ali, inarcarle, e volare lontano in un’altra galassia in modo di non essere un pericolo per l’angelo. 
Forse, se solo Crowley fosse stato solo un po’ più coraggioso lo avrebbe fatto ma si sentiva debole, miserabile, forse aveva distrutto le sue ali per sempre e l’idea di allontanarsi da Aziraphale lo rassicurava, ma al tempo stesso sembrava qualcosa di così assurdo che non riusciva quasi a immaginarlo. 

Questo perché: 
Perché Aziraphale lo abbracciava delicatamente e lui si scioglieva al contatto, caldo e morbido e lui aveva troppo freddo. 
Perché l’angelo gli parlava con voce gentile, si prendeva cura di lui, la sua voce riempiva il silenzio, un continuo blaterale di cose che Crowley non capiva o che non gli interessavano, ma la voce era lì ed era quello l’importante. 
Perché Aziraphale con i suoi libri, il suo té e la sua cioccolata calda, i suoi riccioli biondi, i suoi occhi azzurri erano luce e colori nel suo mondo buio e grigio. 
Perché, si ripeteva spesso, l’angelo aveva detto di amarlo, aveva detto che si era sentito solo, e Crowley avrebbe fatto di tutto pur di non far affrontare anche a lui lo stesso vuoto cosmico che lo divorava. 

 

 

 

 

 

Mayfair, Londra, Inghilterra, 528 giorni dopo l’Apocalisse che non c’è mai stata. 

 Aziraphale guardava Crowley dormire. 
Lo aveva fatto spesso nel corso del tempo, amava guardare il demone così rilassato e far scivolare una mano lungo una delle tempie, fra i capelli, ascoltando l’altro respirare piano. Probabilmente, era uno dei suoi passatempi preferiti. Non aveva mai preso l’abitudine di dormire, ma aveva sempre amato rimanere accanto a Crowley in quei momenti. 
Solo che adesso sembrava farlo meno, se ne stava sveglio tra le coperte e ogni tanto lo sorprendeva a fissare l’angolo dello specchio nella sua camera. 

(L’angelo avrebbe voluto prendere quel maledetto oggetto, frantumarlo per terra, tornare indietro nel tempo e maledire chiunque avesse peccato di tanta vanità nel creare una cosa simile.  
Non lo fece mai, non sarebbe stato giusto nei confronti di Crowley). 

Passava le notti a leggere libri su libri ad alta voce, perché il demone sembrava un po' più tranquillo quando l’appartamento era meno silenzioso. Spesso si ritrovava a pensare se sarebbero arrivati fino a quel punto se solo fosse stato più sincero con sé stesso. Avrebbe potuto trovare una soluzione più in fretta? C’era un modo migliore per alleviare le sofferenze del suo più caro e vecchio amico? 
La risposta era ineffabile e lui aveva iniziato a capire perché il demone detestasse tanto quella parola. 
 
Sembrava sempre stanco in quei giorni, forse perché stava ancora guarendo, la febbre e lo stress delle ultime settimane avevano consumato tutte le sue riserve di energia, — probabilmente ingoiare una manciata di terra benedetta non era la cosa più salutare per un demone — il corpo era molle, sempre riverso fra le lenzuola bianche, gli occhi chiusi come se non sopportasse la vista di ciò che lo circondava. 
C’erano volte in cui Crowley si addormentava — questo solo dopo giorni e giorni passati a combattere il sonno, non dormiva mai a lungo, al massimo qualche ora — e quando succedeva Aziraphale era sempre pronto a sfiorargli la fronte ed eliminare tutti gli incubi che avrebbero potuto disturbare il suo riposo. Non era importante cosa facesse, in ogni caso dopo poco tempo il demone si sarebbe svegliato con gli occhi sgranati, controllando ciò che lo circondava come se dovesse essere attaccato da un momento all’altro. 

L’angelo lo osservava e lo studiava, cercando di rimanere vicino ma allo stesso tempo lontano, rispettosamente aspettando che Crowley trovasse le risposte che cercava. 

Una volta gli aveva detto “Tu vai troppo veloce per me.” 
Forse, con il senno di poi, all'epoca non era ancora pronto ad affrontare i suoi sentimenti per il demone, non erano ancora maturati a sufficienza. Non voleva commettere lo stesso errore con lui, rischiando di farlo scappare o allontanarlo senza volerlo. 
Crowley aveva aspettato per sei millenni, Aziraphale era pronto a fare lo stesso per lui. 

Il problema era che Aziraphale stava camminando su un sentiero sconosciuto e questo lo spaventava. Il desiderio di combattere e proteggere il suo innamorato era potente, il vecchio guardiano dentro di lui si era come risvegliato. Non solo perché finalmente non doveva più temere ripercussioni celesti e neanche perché era ormai certo che non sarebbe caduto se avesse amato un demone. Aziraphale ci aveva pensato a lungo ed era arrivato alla conclusione che era solo perché lui, aveva finalmente deciso qual era il suo posto, aveva scelto di stare dalla parte di Crowley e dell’umanità, e questo aveva risvegliato in lui la necessità di proteggere ciò riteneva importante. 
Era un terreno inesplorato. 

Avrebbe potuto insistere, obbligare il demone a rivelargli quali pensieri lo assillassero, magari con una benedizione o semplicemente facendogli capire quanto lui ne avesse bisogno. Aziraphale sapeva che Crowley non si sarebbe tirato indietro alla sua richiesta. Il demone faceva sempre tutto ciò che desiderasse, quando glielo chiedeva. 
Ma sarebbe stato giusto farlo? Sembrava quasi una violenza nei suoi confronti e Aziraphale non poteva più nascondere le sue azioni dietro l’illusione di fare qualcosa di sbagliato per un fine più giusto. Si rifiutava di obbligare Crowley a rivelare i suoi pensieri più intimi, sarebbe stato come spingere all’angolo un animale ferito, di certo non avrebbe fatto altro che farlo indietreggiare o peggio, sarebbe potuto scappare. 

Quindi rimase in quella terribile via di mezzo, mettendo da parte i suoi desideri e rimanendo semplicemente accanto a lui. Lo aiutava a vestirsi di mattina, sciogliendo e rivestendo le bende madide di unguenti, perché Crowley non era né un demone né un angelo ai suoi occhi, ma un essere che dovrebbe essere sempre ricoperto di fiori e diamanti, di gioielli brillanti come i suoi occhi. Agate e giade a incorniciargli il viso, rose e rubini a per il capo, il corpo lavato con oli e profumi orientali e toccato solo per essere venerato, adorato, baciato con devozione e cura. 
Non era importante se per ora il demone non lo guardava, che fosse sempre perso nei suoi pensieri o se non lo ascoltava. Faceva male, era terribile vedere la persona che più amava al mondo così perso, ma Aziraphale poteva essere abbastanza paziente da aspettarlo e desiderando di poter dire: 
“Ti amo da centinaia di anni, ogni giorno un po’ di più. Mio dolce serpente sei bello come una pietra splendente, levigata dalle intemperie, che viene scoperta per caso da un bambino. Anche se sei fragile e spaventato in questo momento, non è forse vero che le cose più preziose sono spesso delicate e da maneggiare con cura? Non temere, ti stringerò finché non ti convincerai che c’è tanta di quella luce in te che anche l’inferno sembra un paradiso se tu sei accanto a me.” 

Aziraphale lo abbracciava, lo stringeva forte, finché non sentiva il corpo dell’altro rilassarsi quando era perso nei suoi pensieri. Appoggiava la testa contro la sua schiena e bisbigliava “Torna qui, ci sono io ad aspettarti, torna qui.” 

In quei momenti, non sapeva mai che fare, quindi gli pettinava i capelli che ormai erano diventati lunghissimi, li sistemava in una treccia di un rosso brillante. Quando Crowley si guardava allo specchio come se non si riconoscesse, Aziraphale si avvicinava piano a lui, gli diceva: 
“Toccagli la guancia, le labbra e il naso. Vedi? Quello sei tu, nessun altro. Se ancora non puoi vederlo, va bene. Ma non fargli del male, perché la persona davanti a te ha avuto davvero un millennio difficile e adesso ha bisogno di riposo.” 
Crowley lo guardava confuso, sbatteva le palpebre e si girava dall’altra parte, come se si vergognasse per quello che era appena successo. 

Quando era in quello stato, ogni tanto gli parlava. Aziraphale avvertiva sempre un brivido corrergli lungo la schiena, era come veder parlare un cadavere. 
“Sono così stanco di tutto questo.” Diceva mentre l’angelo gli prendeva le mani e incrociava le dita con le sue. Entrambi erano sdraiati nel letto, rannicchiati uno di fronte all’altro, con le coperte sopra la testa come a voler accentuare il senso di intimità. 
“Di cosa?” 
“Tutto, credo. Non riesco a sentire nulla. Sono stanco” 
“Di noi?” Sentì una fitta al cuore mentre diceva “Preferiresti che me ne andassi?” 
“Dovresti farlo.” mormorò Crowley. “Ma ti prego, non farlo. Non lasciarmi solo, non andare via.” 
“Non lo farei mai, mio caro.” Diceva e poi lo baciava teneramente. 

La verità era che Aziraphale non era abbastanza bravo con le parole ed era in una fase di stallo: Crowley non parlava quasi mai con lui, si girava dall’altra parte e sembrava così distante che ogni tanto sentiva la necessità di sfiorarlo per assicurarsi che fosse ancora lì. Aveva cercato di curare le piante ma di certo gli mancava il tocco del demone perché erano ingiallite e piene di macchie e questo non era altro che un altro fallimento al momento. 

Cercò di non pensarci e spesso si ritrovava a parlare con Madame Tracy e Anathema che gli dicevano di aver pazienza, di aspettare perché Crowley aveva solo bisogno di sfogarsi ma che ancora non aveva trovato il modo. 
Le due donne avevano un effetto calmante su di lui e non sembravano mai offendersi al rifiuto di Crowley nei loro confronti. 
“Sta dormendo.” Disse lui per la decima volta in un mese. 
“Lascialo riposare allora,” aveva detto con un sorriso delicato la più anziana “Dagli il tempo per processare tutto quello che è successo, non è facile e probabilmente ci metterà un po' più di tempo, devi solo essere paziente... ha bisogno di sfogarsi, piangere un po’ magari. Non voglio dire che starà subito meglio dopo, ma quello potrebbe aiutarlo.” 
Aziraphale la ringraziò ma poi disse di dover preparare altro , cercando di nascondere quanto fosse commosso dalla gentilezza dei quattro umani. 

 

 

 

 

 

Mayfair, Londra, Inghilterra, 548 giorni dopo l’Apocalisse che non c’è mai stata. 

 

C’erano due stanze che Crowley aveva evitato come se contenessero un veleno mortale: la stanza delle piante e quello dove aveva rinchiuso tutti i suoi strumenti musicali qualche secolo prima, fingendo che non fosse mai esistita. 
Aveva studiato con minuzia come Aziraphale aveva ripristinato il disegno di Da Vinci, la statua dell’aquila, i mobili e gli specchi. A occhi umani potevano sembrare come nuovi, come se niente fosse mai successo. Ma il demone poteva vedere le profonde cicatrici tra le molecole che costituivano la carta e la pietra e se quello era il risultato, non osava immaginare in che stato potessero essere le piante. 

Un giorno come un altro, fece un passo più in là, varcò la soglia della stanza dove celava al mondo il suo giardino privato. Non appena lo vide udì solo il tremolio delle piante e quel fischio fastidioso che avvertiva tutte le volte che era da solo in una stanza. Si portò per un momento le mani alle orecchie, chiuse gli occhi e sospirò. 

Le piante di Crowley lo amavano, profondamente. 
Questo perché il demone gli forniva tutto il necessario per essere perfette: il terreno mischiato con i minerali più nutrienti, acqua spruzzata a intervalli precisi, le posizionava in modo che il sole arrivasse sempre alla giusta angolazione, venivano curate sempre con cura e passione. Lui faceva di tutto per loro e di certo non era colpa sua se alcune foglie decidevano di ribellarsi come folli, si ingiallivano come una sfida prepotente nei suoi confronti, e lui era costretto a spogliarle dei loro confort, scacciarle dal loro bel giardino privato, e ripiantarle nel terreno duro e secco del parco alla mercé delle intemperie e degli animali. 
 

Loro continuavano ad amarlo perché, anche se era come un genitore severo e crudele, di generazione in generazione avevano iniziato a conoscerlo. Di foglia in foglia si erano passate il segreto di un Serpente triste e solitario, che non aveva bisogno di molto se non di sfogare la propria rabbia e di sentire di avere il controllo su qualcosa, fossero anche queste delle semplici piante. 
Quindi accettavano ogni giorno come una sfida: le piante di Crowley erano come il loro padrone, survivaliste. 

Misero in moto clorofilla e tutto quello che potesse servire per crescere in fretta, cercando di allungare i pochi rami e foglie che gli erano rimaste verso il demone. Crowley era in mezzo alla stanza, mani sulle orecchie e occhi chiusi mentre cercava di ignorare le gambe tremolanti, cercando di soffocare il silenzio che lo avviluppava. 
“Non ho bisogno della vostra pietà.” Disse lui senza neanche guardarle. Quando aprì gli occhi, loro stavano tremando, consce di avere un aspetto terribile. Crowley prese una foglia a caso, piena di tagli e la guardò. 
Per una volta evitò di gridare. Le piante avevano già visto il suo lato peggiore, meglio lasciarle riposare per un po’. 

Fu lì che lo trovò Aziraphale. Sembrava stanco e svuotato, indebolito da notti insonni o da un sonno che non gli aveva permesso di riposare veramente. In mezzo alla stanza tra le piante, che una volta erano state le più belle che avesse mai visto, ma che adesso tremavano con i rami spezzati e le foglie marroni come se fosse appena passato un tifone. 
“Crowley?” 
Il demone non rispose, non che si fosse aspettato il contrario. 
Aziraphale gli girò intorno, guardando il suo viso privo di espressione, aspettando che aprisse gli occhi. 
“Devo uscire.” Disse all’improvviso. Aziraphale si stupì nel sentirlo parlare. 
“C-certo, mio caro.” Balbettò “sei stato al chiuso per troppo tempo, dammi solo un momento, possiamo andare a dar da mangiare alle papere, pranzare al Ritz magari, fare una passeggiata —” 
“No.” Disse con voce decisa il demone “No, ho bisogno di stare da solo.” 
Aziraphale lo guardò, sentendo un brivido scorrergli lungo la schiena. “Capisco.” 
“Non ci metterò molto.” 
“Ti aspetto qui, preparo qualcosa per pranzo.” 

Crowley annuì, prendendo gli occhiali da sole dal tavolo, li indossò e poi uscì dall’appartamento, senza aggiungere altro. Aziraphale seguì ogni suo movimento, guardandolo dalla grande vetrata mentre camminava lungo il marciapiede. 
L’idea di seguirlo di nascosto lo aveva sfiorato più e più volte e quella manciata di minuti erano durati trenta volte tanto mentre lo spettava. Ma non lo aveva fatto, cercando di ristabilire un equilibrio che sembrava essersi spezzato. 

In realtà, il demone era stato di parola. Dopo meno di mezz’ora Aziraphale aveva sentito la porta di casa aprirsi piano e richiudersi e il demone si era diretto silenziosamente verso la camera da letto. L’angelo lo aveva osservato sfilarsi i vestiti e infilarsi a letto, senza dire una parola. 
Non commentò. Si sedette accanto a lui, gli accarezzò la base del collo e per la prima volta dopo essere entrato nella chiesa si ritrovò a pregare che qualcuno — Dio magari — potesse proteggere e curare il demone visto che lui non sembrava in grado di farlo al momento. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 Note: 

Lo so, sono schifosamente in ritardo. Cos'è che avevamo detto, che dividendo il capitolo ci avremmo messo molto meno? ah, che illusi che siamo. 
Ok, ho avuto la febbre, sia io che Davide (Aspirina_effervescente, il ragazzo che sta scrivendo segretamente questa storia con la fidanzata pazza ma che sinceramente ADORO? ecco, lui è il mio coinquilino, si è beccato il raffreddore e me lo ha attaccato, lo stronzo, quindi per un'intera settimana siamo rimasti morenti a cercare di scrivere e studiare senza avere la forza di sollevare una pagina.) 

Anche se non sembra, questa è una storia a lieto fine, siamo molto eccitati all'idea di scrivere il finale perché è una di quelle parti che abbiamo iniziato a scrivere per prime  

Altra cosa importante: Qui potete trovare la copertina (per la versione tradotta che potete trovare su AO3) che ho disegnato per la storia perché sono appassionata di illustrazioni e probabilmente disegnerò altro in futuro. 

 

 

 

   
 
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