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Autore: mikimac    03/11/2019    3 recensioni
Sherlock e John sono sposati e vivono insieme. Possono dire di avere raggiunto un rapporto equilibrato e appagante per entrambi. Fino al giorno in cui la Donna appare nelle loro vite. E nulla sarà più come prima.
Omegaverse. Omega John Watson. Alfa Sherlock Holmes.
Genere: Angst, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Irene Adler, John Watson, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Mpreg, Triangolo
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- Questa storia fa parte della serie 'Fotografie'
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Una scoperta inattesa
Testimoni indifferenti da centinaia di anni delle vicende umane, gli oscuri e stretti vicoli di Londra videro passare lo strano trio, che correva in cerca di un rifugio sicuro. John seguiva i due Alfa senza chiedersi dove stessero andando. Aveva notato che Sherlock aveva preso il comando della fuga e li stava conducendo verso una meta precisa. Sempre tenendo una presa ben salda sulla mano di Irene Adler. La parte razionale di John cercava di convincerlo che Sherlock volesse impedire alla donna di fuggire e sparire nel nulla. Un’altra vocina dispettosa e insistente, invece, insinuava che quella stretta rappresentasse il desiderio di Sherlock di proteggere e mettere in salvo una persona preziosa e importante per lui.
Che non era John.
Il cuore dell’Omega batteva veloce, non solo per la corsa. A causa di quella lotta interiore, che lo stava lacerando, John non aveva fatto caso a dove si stessero dirigendo. Con sua grande sorpresa, si bloccarono davanti al 221B di Baker Street. Respirando rumorosamente, Sherlock infilò una mano nella tasca del suo cappotto, ancora indosso a Irene. Mentre il consulente frugava nella tasca, la donna gli sorrise maliziosamente: “Cerchi qualcosa o stai tastando la merce?”
Sherlock ricambiò il sorriso: “Cerco le chiavi. Non importunerei mai una signora in pubblico,” sfilò il mazzo dalla tasca e aprì la porta. John digrignò i denti, ma nessuno sembrò notarlo. Salirono le scale in silenzio ed entrarono nel salotto, illuminato dal sole e rinfrescato dall’aria, che entrava dalla finestra aperta. John fu l’ultimo a mettere piede in casa. Chiuse la porta alle proprie spalle e si appoggiò con la schiena all’uscio, con gli occhi serrati, cercando di riprendere il controllo del respiro e dei battiti del cuore.
“Chi erano quegli uomini?” La voce baritonale di Sherlock ruppe il silenzio della stanza, appena disturbato dal rumore del traffico di Londra.
“Non saprei. – rispose Irene – Sono in tanti che vorrebbero mettere le mani sul mio cellulare. Non ci sono salvate solo fotografie compromettenti di personaggi influenti e importanti. Mi è capitato di registrare confessioni imbarazzanti o di scaricare documenti riservati, che potrebbero interessare potenze straniere o persone poco raccomandabili. Quegli uomini possono essere stati mandati da chiunque.”
John spalancò gli occhi: “A quanti ha proposto di comprare quelle informazioni? Perché questa non è altro che un’asta al rialzo, vero? Lei ci sta solo usando come guardie del corpo, in attesa di trovare il giusto acquirente,” accusò irritato.
“Una donna non rimane giovane e avvenente in eterno. Non potrò continuare a fare il mio attuale lavoro ancora per molto. Devo pure garantire un futuro sereno e tranquillo per me, per la mia Omega e per i nostri eventuali figli,” rispose Irene, scrollando le spalle con elegante noncuranza.
“Lei non è altro che una ricattatrice, una…”
“Adesso basta, John. Stai mancando di rispetto alla nostra ospite,” intervenne Sherlock, in tono severo.
John fissò il marito a bocca aperta, completamente spiazzato dalle sue parole: “Io starei facendo… che cosa?” Sbottò, in un tono più alto di un’ottava, di cui si pentì immediatamente. Non voleva fare la figura dell’Omega isterico, ma non riusciva a controllare le proprie reazioni.
“Vai dalla signora Hudson e chiedile di prestarti qualcosa. La nostra ospite non indossa nulla, sotto al mio cappotto e io lo rivorrei indietro, senza causare imbarazzo alla signora,” continuò Sherlock, in tono autoritario.
“Irene. Ricordi, Sherlock, che eravamo concordi che tu mi chiamassi Irene? Niente formalismi fra noi. Inoltre, se mi chiami signora mi fai sentire tanto vecchia. A meno che tu non voglia che giochiamo con il frustino che vedo sulla mensola del camino. In quel caso, però, dovresti chiamarmi Padrona,” mormorò la donna, con una voce così sensuale, da sembrare una gatta che stesse facendo le fusa.
“Le ricordo che Sherlock è un uomo sposato, signora. Il coniuge sono io e sono qui,” ringhiò John, trattenendosi a stento dal buttare la donna fuori di casa.
“John. I vestiti. Ora!” Ordinò Sherlock, senza distogliere lo sguardo da Irene.
John divenne paonazzo, fissando allibito il marito. Sherlock non si era mai rivolto a lui usando quel tono. L’Omega sentiva la rabbia e la nausea salire dentro di lui. Con i pugni stretti sibilò: “Agli ordini, signore,” e uscì, sbattendo la porta.

Una scoperta inattesa

Scese rumorosamente gli scalini e bussò con troppa veemenza alla porta della padrona di casa. La signora Hudson aprì l’uscio con un’espressione più sorpresa che offesa: “John, caro, che cosa è successo?” Domandò interdetta.
Il dottore scosse la testa, come se avesse bisogno di schiarirsi le idee: “Le chiedo scusa, signora Hudson, non volevo essere irrispettoso.”
“Oh, no, caro, non ti preoccupare. Posso capire se sei arrabbiato con Sherlock. Quel benedetto ragazzo ha il tatto di un elefante in un negozio di cristalli. Farebbe perdere la pazienza anche a un santo. Ogni tanto avrebbe proprio bisogno di una bella lavata di capo,” l’anziana Omega sorrise con comprensione, facendosi da parte in modo da permettere a John di entrare in casa.
Il giovane Omega non poté che corrispondere il sorriso, grato per la solidarietà dimostrata dalla donna: “Sarebbe così gentile da prestarmi qualcosa da vestire? È molto lungo spiegare come sia accaduto, ma una nostra ospite sta indossando esclusivamente il cappotto di Sherlock. Sono sicuro che la signora sarebbe più a proprio agio con qualcosa di più indosso. Possibilmente femminile.”
“Certo che ti presto qualcosa. Ho giusto alcuni capi che volevo eliminare e che non mi importa se non tornano indietro. Deve essere un caso stimolante, se avete una cliente senza abiti,” la signora Hudson ridacchiò, in tono complice.
“Non è una nostra cliente. Però è molto interessante,” mormorò John.
La signora Hudson tornò dalla propria stanza e osservò il dottore per qualche secondo. Sorridendogli in modo materno, gli allungò alcuni vestiti e domandò: “Lei è così bella?”
Il giovane Omega sentì le lacrime salirgli negli occhi, ma riuscì a impedire che rigassero le guance arrossate. Anche questo era decisamente strano e fuori luogo. John non era mai stato così emotivo. Non aveva tempo di chiedersi perché provasse emozioni così insolite e rispose sinceramente all’anziana donna: “Se fosse solo molto bella, non mi preoccuperei più di tanto. Sherlock non la noterebbe nemmeno. Il fatto è che quella donna è molto intelligente e nulla intriga più mio marito di uno scontro alla pari. Lei sa benissimo che per Sherlock e per Mycroft l’umanità è composta per lo più da esseri banali e stupidi. Trovare qualcuno che tenga loro testa, li entusiasma al punto che dimenticano tutto il resto.”
La signora Hudson batté leggermente una mano sull’avambraccio di John: “Fossi in te, non perderei il sonno per quella donna, caro. Potrà anche essere intelligente, ma Sherlock ha sposato te, non lei. Una volta risolto il mistero, lui perderà ogni interesse per quella donna e ne dimenticherà l’esistenza, mentre tu sarai sempre al centro delle sue attenzioni. Insieme ai suoi casi, ovviamente,” lo rassicurò, facendogli l’occhiolino.
“Grazie, signora Hudson, lei è sempre la migliore,” sorrise John, lasciando un bacio leggero sulla guancia della donna.
“Giovanotto, se io fossi più giovane non esiterei a portarti via a quell’insensibile di tuo marito, ma, data la mia veneranda età, mi limito a darti dei saggi consigli,” si schermì la donna, con una risatina divertita.
“E io fuggirei con lei in capo al mondo,” John le strizzò l’occhio e risalì verso il salotto. Il suo umore era migliorato. La signora Hudson aveva ragione. Concluso il caso, Irene Adler sarebbe svanita dalle loro vite e Sherlock se ne sarebbe dimenticato. Con passo più leggero, John salì le scale, ma il suo cuore profondò nella disperazione più nera, quando aprì la porta.

Negli anni seguenti, Sherlock e John non parlarono mai di Irene Adler e degli eventi che seguirono il suo ingresso nelle loro vite. Era come se avessero sottoscritto un tacito accordo per non affrontare quell’argomento così delicato e doloroso. Erano usciti da quell’avventura più uniti e forti di prima, consapevoli dei reali sentimenti che provavano l’uno per l’altro, ma incapaci di parlare di quello che era accaduto.
Ancora una volta, quel giorno John si trovò davanti uno spettacolo che fece perdere un battito al suo cuore. Il salotto era avvolto dal silenzio. Persino Londra taceva, curiosa di vedere che cosa sarebbe successo, e aveva zittito gli usuali rumori caratteristici della grande città. Sherlock era seduto sulla sua poltrona. Irene era seduta sul tavolino, davanti a lui, completamente protesa verso il maschio Alfa. I loro visi erano vicinissimi. Si sfioravano appena, non si toccavano, ma emanavano una tale forza di attrazione l’uno per l’altra che sembrava innaturale che le loro labbra non si fossero ancora fuse in un bacio pieno di passione e sensualità. Sherlock aveva le lunghe e affusolate dita di una mano sul polso di Irene, come se ne stesse valutando i battiti del cuore. Insieme erano così belli, da offuscare la luce stessa che filtrava dalla finestra. Non per la prima volta, da quando aveva incontrato il marito, John si chiese che cosa avesse trovato Sherlock, perfetto, bellissimo e intelligente Alfa, in un Omega spezzato e insignificante come lui. Non era degno del meraviglioso uomo che gli aveva fatto l’onore di sposarlo. Quella donna, invece, sarebbe stata la sua compagna ideale. In tutto e per tutto. Sherlock Holmes e Irene Adler, insieme, erano la personificazione della perfezione.
“Ho portato i vestiti per la signora Adler,” si sentì dire, con voce dura e tagliente. Poteva anche essere solo uno stupido Omega, ma non si sarebbe fatto compatire comportandosi come se fosse stato un piagnucoloso coniuge in cerca di attenzioni.
I due non si voltarono. Erano così presi l’uno dall’altra, da non avere sentito quello che John aveva detto.
“Io vado alla clinica. Oggi ho il turno del pomeriggio. Ci vediamo più tardi,” salutò, appoggiando gli abiti sul divano. Prima di uscire di casa si voltò ancora una volta a guardare i due Alfa. Sherlock e Irene si fissavano negli occhi. Sembravano due magneti che non avessero ancora deciso se attrarsi o respingersi a vicenda, ma che, nel frattempo, avessero creato il vuoto intorno a loro.

Il breve viaggio in metropolitana fu solitario e gelido. John non riusciva a non pensare a che cosa stesse accadendo a Baker Street. Nella sua mente si susseguivano immagini di Sherlock e Irene, nudi e avvinghiati, che facevano sesso appassionatamente, tentando di prendere il sopravvento l’uno sull’altra. Quando arrivò nel proprio studio, il giovane medico era ormai rassegnato a fare la parte del terzo incomodo. Non sarebbe stato il primo Omega a essere ripudiato dal proprio Alfa per legarsi a un altro Alfa.
“Buon pomeriggio, dottor Watson, come mai è qui?” Trillò una voce allegra, piena di aspettativa. John si voltò verso la porta e si trovò davanti il viso sorridente di Kitty Sinclair, la giovane e minuta infermeria Omega che lo assisteva durante le visite.
“Buon pomeriggio, Kitty. Sono arrivati i risultati degli esami che ho richiesto per la signora Wilde?” Domandò John in tono stanco, mentre si infilava il camice.
L’infermiera aggrottò la fronte, leggermente interdetta, ma si riprese subito: “Sì. Li ho messi nel fascicolo della signora Wilde, sulla scrivania.”
“John! Che cosa ci fai qui? Pensavo che oggi avresti trascorso l’intera giornata a casa con Sherlock, come tuo solito,” il dottor Mike Stamford mise la testa dentro lo studio, sorridendo malizioso. Il medico era un Alfa dall’aspetto atipico. Non troppo alto e in evidente sovrappeso, iniziava a perdere i capelli, ma era sempre sorridente e disponibile. Aveva frequentato l’università con John e si erano casualmente ritrovati a lavorare nella stessa clinica, riallacciando in breve tempo la loro vecchia amicizia e divenendo uno il confidente dell’altro.
“Sherlock è impegnato in un caso che gli ha affidato il fratello,” fu la risposta laconica di John, che si era seduto alla scrivania e aveva iniziato a leggere gli esiti degli esami clinici, cui era stata sottoposta la signora Wilde.
Kitty e Mike si scambiarono un’occhiata perplessa. John si stava comportando in modo insolito. Sembrava triste e malinconico, due aggettivi difficilmente associabili all’usuale comportamento del giovane Omega. Con un cenno del capo, Mike fece capire all’infermeria di lasciarli da soli.
“Vado a cambiare la medicazione al signor Fulton,” si giustificò Kitty e uscì.
Mike si sedette in una delle sedie davanti alla scrivania di John, che continuò a leggere la cartella clinica della paziente, ignorando la presenza dell’amico. L’Alfa non disse nulla, ma continuò a fissare l’Omega, come se stesse cercando di leggergli nella mente. Dopo quasi cinque minuti di silenzio, John appoggiò con un gesto secco la cartella clinica sulla scrivania e alzò gli occhi sull’amico: “Che cosa vuoi?” Sbottò, esasperato.
“Siete giovani. Avete tempo per concepire un erede. Se, però, qualcosa ti preoccupa, posso fissarti un appuntamento con il dottor Spencer Jones. Sai che lui è uno dei migliori andrologi di Londra e manterrà la massima riservatezza sugli esiti della visita. Nemmeno quell’impiccione di tuo cognato scoprirà nulla.”
“Premesso che non credo proprio che si possa nascondere qualcosa a Mycroft, perché pensi che io sia preoccupato dal fatto di non restare gravido? Potremmo avere deciso di non avere figli,” ribatté John, stizzito.
“Sei rientrato prima dal Calore. Sei decisamente frustrato. Quindi ho pensato che il test di gravidanza fosse risultato negativo e che voi ne foste rimasti delusi. Se hai solo discusso con tuo marito, ti chiedo scusa per essermi intromesso,” si giustificò Mike, in tono dolce e comprensivo.
“Il test… oh,” John realizzò che non lo aveva fatto. Era consuetudine che l’Omega si sottoponesse al test di gravidanza subito dopo il termine del Calore. L’eventuale concepimento doveva essere diagnosticato il prima possibile per proteggere il genitore e il feto da ogni eventuale pericolo o problema. John se ne era completamente dimenticato. Lui e Sherlock erano stati prelevati dagli uomini di Mycroft e portati a Buckingham Palace prima che lui avesse il tempo per farlo.
“Non lo hai fatto?” Chiese Mike, sorpreso.
John scrollò le spalle: “No. Sai… Mycroft…” e lasciò la frase in sospeso, come se quel nome fosse sufficiente a spiegare tutto.
“Allora lo facciamo subito,” disse Mike, scattando in piedi e prendendo una scatolina da uno degli armadietti. John si alzò con un sospiro, prese la confezione porta dall’amico e andò nel bagno attiguo allo studio, immaginando già il risultato del test. In pochi secondi, la finestrella del tester si colorò di blu. John la fissò stranito, come se non ne comprendesse il significato. Non poteva essere. Doveva esserci un errore. Spalancò la porta e si diresse all’armadietto, dove prelevò un’altra confezione. Tornò in bagno, con il cuore in gola. L’attesa fu spasmodica. Ogni secondo sembrò durare un’eternità. Anche il secondo tester si colorò di blu. John era incredulo.
Era gravido.
Dentro di sé aveva il figlio di Sherlock Holmes.
Questo poteva parzialmente giustificare alcune strane reazioni emotive che aveva sperimentato nelle ultime ore. Gli ormoni della gravidanza avevano iniziato a preparare il suo corpo ai cambiamenti che sarebbero subentrati nei mesi seguenti, influenzando anche il suo stato emotivo.
Sì. Questa era l’unica e logica spiegazione al fastidio provato nel vedere Sherlock e Irene insieme. L’Omega insito in lui voleva avere l’esclusiva attenzione del proprio Alfa, ora che portava in grembo il loro bambino. L’Omega voleva che l’Alfa si prendesse cura e proteggesse lui e il frutto della loro unione.
John scosse la testa, avvilito: “Fantastico. Sto per trasformarmi in un Omega debole e insicuro, bisognoso di rassicurazioni e protezione da parte del proprio Alfa. Proprio il tipo di uomo che Sherlock detesta di più,” borbottò fra sé e sé.
Di tutti i Calori trascorsi con Sherlock, questo era decisamente il meno adatto per rimanere incinto. Quel concepimento aveva un pessimo tempismo. Sembrava quasi che lo avesse fatto apposta per legare a sé Sherlock, che stava per ripudiarlo, e per impedirgli di coronare il suo reale sogno d’amore. Quel bambino stava per diventare il centro di una tempesta e l’Omega non era sicuro di riuscire a proteggerlo dagli eventi che stavano per travolgerlo.


Angolo dell’autrice

So di averlo già scritto, ma ci tengo a sottolineare e ricordare che tutto è raccontato dal punto di vista di John. Questo per non far “sgridare” troppo Sherlock.

Grazie a chi stia leggendo il racconto e la serie.
Grazie a chi lo abbia segnato in qualche categoria.
Grazie a paffy333 per il commento allo scorso capitolo.

L’appuntamento è per la prossima domenica .

Ciao.
   
 
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