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Autore: elfin emrys    03/11/2019    3 recensioni
{post5x13, sorta di postApocalisse, Merthur, 121/121 + epilogo}
Dal capitolo 85:
Gli sarebbe piaciuto come l’aveva pensato secoli prima, quando era morto fra le braccia del suo amico, non ancora consapevole che sarebbe tornato, con Merlin, sempre, sempre con lui.
In fondo, non aveva mai desiderato null’altro.
Genere: Avventura, Fantasy, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Merlino, Nuovo personaggio, Principe Artù | Coppie: Gwen/Artù, Merlino/Artù
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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I Donald – Capitolo 15

 
Lenore batté la mano sopra la stoffa e una nuvola di polvere la fece starnutire.
Lei e sua madre stavano approfittando di una rara giornata serena per sistemare alcune faccende di casa. Faceva molto freddo ed era umido, ma non pioveva e, quando il sole faceva capolino in mezzo alle nuvole, si stava bene. La bambina si era messa, perciò, a sistemare un paio di tappetini, le federe dei cuscini e tutte quelle piccole cose che poteva fare tranquillamente. Aveva usato la magia in segreto per lavare i piatti (la mamma non doveva saperlo assolutamente) e quindi in quel momento si stava dedicando a quell’attività, che considerava meno noiosa e pesante.
La piccola fata piegò il tappetino come le aveva insegnato la mamma, mettendolo in cima alle altre cose che aveva sbattuto fuori per ripulirle, poi le prese a gruppi e le mise dentro un cesto, in modo che venissero, poi, sciacquati.
Lenore riprese la lista che le era stata lasciata, cancellando anche quel compito, e lesse l’ultimo, prese dei soldini che la mamma le aveva messo sul tavolo e uscì per comprare il pane. Chiuse la porta, chiedendosi se le sarebbe rimasto qualcosa per prendere anche un pasticcino, e sobbalzò a trovarsi qualcuno di fronte.
-Lily! Mi hai fatto prendere un colpo!
-Scusa…
-Mi cercavi?
-In realtà sì…
La piccola tirò fuori qualcosa da dietro la schiena.
Lenore osservò la bambola rotta.
-Ancora?!
Lily sobbalzò e abbassò gli occhi. L’altra bambina sospirò e prese il giocattolo. La mamma le aveva sempre detto di trattare con riguardo chi era più piccolo di lei ed era quello che avrebbe fatto, anche se sentiva un certo fastidio a dover di nuovo riparare quella stupida bambola.
Fece l’incantesimo per rimetterla a posto e la ridiede alla vicina di casa.
-Grazie.
-Prego, ma vedi di prendertene cura d’ora in poi.
-Certo.
La bimba le sorrise e scappò via, dopo averla ancora ringraziata e aver promesso di occuparsi meglio del giocattolo.
Lenore non credette a una parola.
 
Merlin aprì lentamente le palpebre. Le sentiva come incollate; era difficile non tenerle chiuse e, all’inizio, quello che il mago vide erano solo ombre sfocate. Confuso, si chiese dove fosse e cosa fosse successo, poi, lentamente, i ricordi riaffiorarono. Delilah… Il veleno… Arthur?!
Tentò di alzarsi, ma non ce la fece per il dolore. Si rese conto di star ancora guarendo e maledisse la regina dentro di sé. Si rasserenò quando vide il suo re dormire su una sedia poco lontano: sembrava stesse bene.
Merlin si rilasciò andare totalmente sul letto e chiuse le palpebre. Arthur aveva lasciato la luce accesa e il mago provava fastidio a tenere gli occhi aperti.
Cercò di non riaddormentarsi, ma ascoltare i rumori ovattati che sentiva provenire da fuori la stanza lo rilassava e dovette impegnarsi per mantenersi sveglio. Pensò di essere felice del fatto che fosse vivo e, per la prima volta da quel fatidico giorno di secoli prima, in cui aveva stretto il corpo freddo del suo re fra le braccia, si ritenne fortunato a essere immortale. Non era mai successo prima, era una novità piacevole e rassicurante, che gli faceva venire voglia di alzarsi per mostrare che –ecco!- stava bene e che nessuno, nemmeno Delilah, avrebbe potuto abbatterlo. Era una sensazione totalmente diversa da quella che aveva provato, invece, tante e tante volte durante la sua lunga vita.
Merlin, per molto tempo, non si era mai accorto di desiderare di morire. Si era sempre fatto vanto della sua grande, infrangibile voglia di vita, che aveva resistito contro tutto, contro il suo costante e perenne confronto con la morte.
E invece, un giorno, aveva preso la penna e, come era solito in quel periodo, si era messo a scrivere i suoi pensieri. Andava in automatico, senza pensare a quello che stava segnando, perché lo trovava catartico.
Aveva visto la propria mano fare la forma di una V e poi di una O e, prima che lo sapesse, la scritta era apparsa nero su bianco.
Merlin non si era mai accorto di desiderare di morire, perché non si era mai soffermato a pensarci.
E sembrava stupido, ma, quando l’aveva fatto, non aveva potuto fare a meno di prendersi tutto il tempo che doveva per assimilare la cosa.
Non era riuscito a dormire quella notte e tutta l’energia che fino a quella mattina gli aveva permesso di fare le cose era scemata.
Sei immortale”, si era detto, “quindi devi fare i conti col fatto che quello che vuoi è impossibile.
Certo.
Merlin, in quel momento, non più nel suo monolocale nella periferia londinese, ma nel palazzo dei Donald, steso sul letto di quella stanza così poco sua, così fredda, sentì qualcosa pizzicargli lo stomaco e strinse amaramente le labbra a quel pensiero.
E certo!
Tutto quello che voleva era sempre stato impossibile. Tutto quello di cui più sentiva il bisogno gli era sempre stato negato, ogni giorno.
All’epoca, aveva pensato al viso di Arthur.
Si era accorto che non era più tanto sicuro di alcuni dettagli del suo viso.
E allora si era lasciato andare e aveva pianto, accasciato sulla sedia dove stava ormai da diversi minuti, e una grande stanchezza gli era caduta addosso, mentre continuava a mimare con le labbra le parole “Non è vero, non è vero”.
E invece lo era.
E invece lo era e gli dei solo sapevano da quando.
-Ma non è più così…
Quelle parole non gli uscirono bene dalla bocca secca e Merlin, onestamente, non si era neanche accorto di averla aperta. Quella frase gli era scivolata via, l’aveva praticamente solo mimata con le labbra, eppure non poté fare a meno di sentirsi colpito e di sentirsi forte come mai lo era stato, nonostante tutto.
Quella forza interiore pareva ribellarsi alla sua situazione fisica, a causa della quale era invece confinato a letto e il mago, anche se aveva il suo re poco distante, iniziò a sentirsi incredibilmente solo, come se la stanza fosse enorme e i bordi del mobile su cui era steso invalicabili.
Si strinse sotto le coperte, sentendosi schiacciato, fissò, con gli occhi ormai aperti, il lampadario che pendeva dal soffitto, immobile, senza riuscire a distogliere lo sguardo; la luce era bianca, aveva qualcosa di asettico, di gelido, e Merlin non capì subito cosa stesse accadendo quando la vide vacillare, iniziare a spegnersi e riaccendersi, come se avesse degli spasmi, come se facesse fatica.
Quando la vide spegnersi del tutto, notò che da fuori si era sentito un boato di persone che commentavano l’accaduto, ma era impossibile intendere le parole, perché i versi non erano vicini, provenivano dall’intera Asgol Ewchradd.
Merlin si girò a guardare Arthur, che, tuttavia, non sembrava essersi accorto di nulla.
Sentì una sorta di irritato divertimento a quella considerazione, ma, in silenzio, attese che la luce ritornasse.
 
Delilah diede la borsa al maggiordomo.
-Mio marito e mio figlio?
-Sono entrambi nello studio del re, mia signora.
-Grazie, Theodore.
La donna camminò in fretta verso la stanza che le era stata detta. Si trovava in una zona chiusa ai più, cioè gli appartamenti reali privati, dove c’erano le camere da letto, i bagni per i monarchi, i guardaroba e altre camere analoghe. Pochi potevano entrarci e solo dopo accurati controlli; il medico aveva un permesso e i domestici che si occupavano specificatamente delle pulizie di quel luogo, ma occasionalmente anche gioiellieri, calzolai e sarti fidati ottenevano quella possibilità.
I soldati, vedendo la regina, la salutarono e la fecero passare, e Delilah camminò fino in fondo al largo corridoio.
La porta dello studio era socchiusa e bastò spingerla un po’ perché si aprisse del tutto.
-Qua è più lungo.
-Così?
-Sì.
Delilah sorrise e si appoggiò con la spalla allo stipite. Donald era a testa china, impegnato a schizzare chissà cosa sopra un foglio, e Winfred gli stava accanto con un suo disegno in mano. Da come si comportavano pareva che il bambino avesse chiesto al padre di fare meglio quello che lui aveva già messo su carta, infatti entrambi passavano lo sguardo da un foglio all’altro.
La regina si schiarì la voce, prima di iniziare a salutare, ma il figlio la precedette.
-Mamma!
La venne ad abbracciare, poi la fece avvicinare al tavolo.
-Guarda, papà sta facendo meglio il disegno del vestito per il mio compleanno! È stato già abbastanza difficile far capire come volevo i bottoni l’altra volta…
Delilah annuì, osservando attentamente il lavoro del re, e Winfred alzò gli occhi al cielo al ricordo dell’espressione confusa del gioiellere, poi fece un salto in aria.
-Ah, e non hai visto cosa mi hanno dato ieri!
-Cosa ti hanno dato ieri?
-Aspetta qui!
Il bambino corse via e la donna si chinò a baciare il marito.
-Com’è andata con Arthur?
-Ancora non ha detto nulla riguardo a te…
-E il blackout?
-Una cosa da niente, non ti preoccupare.
La regina annuì, poi sorrise ancora a vedere il figlio che tornava con degli abiti bluastri in mano.
-Mi hanno dato una divisa tutta mia!
-Non ci posso credere!
-Mi sta benissimo, l’ha detto anche papà e anche Daniel.
Il principe si tolse la giacchetta per mettersi sopra quella dell’uniforme da tecnico.
-Eh? Che te ne pare?
Fece una lenta piroetta.
-Ti sta a pennello, tesoro.
-Lo penso anche io.
Winfred si passò le mani sulla stoffa e gonfiò il petto, doppiamente soddisfatto.
-Me la posso tenere addosso fino a cena?
Donald mosse la testa con indecisione.
-Io non so…
Cercò lo sguardo di Delilah, che sembrava altrettanto incerta.
-Non credo sia il caso.
-Daiiiiii!
-E se te la macchiassi?
-Non me la macchierò.
-L’avevi detto anche della maglietta che ti aveva regalato la nonna.
-Sì, ma ero più piccolo, è stato tantissimo tempo fa.
I genitori risero.
-È successo a inizio agosto!
Winfred incrociò le braccia.
-Siete sicuri che fosse agosto? Secondo me era molto prima…
Donald posò la matita.
-Tua madre ha ragione: per ora ne hai solo una e se te la sporcassi in un modo qualunque non potresti metterla per un po’… E se riuscissi a farti fare un altro giretto domani pomeriggio? Non vorresti presentarti con la tua nuova uniforme?
Al principe si illuminarono gli occhi.
-Se posso venire domani allora sì!
Il bambino si tolse la giacchetta e la ripiegò con estrema cura. Osservò di nuovo i vestiti con un certo orgoglio.
-Forse me li metterò anche quando inaugurerai il museo…
Il re annuì.
-Quella è una buona idea.
Delilah concordò, poi batté le mani.
-Miei cari signori, vado a fare un giro fra i soldati per capire cosa hanno fatto mentre non ci sono stata, così entro cena avrò finito tutto. Ci vediamo a tavola direttamente, penso, e… Winfred? Poi ti do una cosina che mi ha dato il nonno da darti.
-Cos’è?
-Te lo dico dopo, è una sorpresa.
-Non dirmi che è un'altra scacchiera...
Delilah rise e si chinò a baciare marito e figlio, poi uscì dallo studio, andando velocemente in stanza per cambiarsi e mettersi la propria divisa.
 
Arthur aveva le mani tese, come se fosse pronto a prendere l’altro al volo nel caso non ce la facesse più. Merlin si bloccò un attimo e il biondo gli fu subito accanto per fermare un’ipotetica caduta e il mago quasi gli schiaffò via le mani.
-Non sono un paralitico, Arthur!
-Mi sembra prematuro che tu ti alzi.
-Devo solo passeggiare nel palazzo, non devo faticare.
-Ti sei appena ripreso…
-Sì, ma a quanto pare già fra pochi minuti dovrò stare fuori, quindi...
Merlin fissò le mani del re finché quello non le ritirò, poi ricominciò a camminare. Era lento e aveva del dolore alla testa, ma tutto sommato non stava male. Quella sera non avrebbero cenato a palazzo e il mago si doveva dire sollevato della cosa; a quanto pareva l’uomo del banco informazioni, ancora ignaro di chi fossero davvero, aveva invitato Arthur e “il suo amico” a casa sua e il sovrano aveva accettato. C’erano numerose ragioni per fare quella cena, nonostante le condizioni di Merlin, e, sebbene l’avesse trovato indelicato all’inizio, il moro non poteva che dirsi d’accordo: avevano ancora una missione ben precisa, benché fosse stato loro impedito di operare liberamente, e per compierla bisognava sapere bene cosa pensava il popolo dei due stregoni. Se avessero avuto fortuna, qualcuno degli altri invitati avrebbe potuto addirittura conoscerli.
Arrivò un servitore.
-Signore, la prego di seguirmi per le fotocopie.
Arthur sussultò.
-Certamente.
Si girò verso Merlin, cercando intorno una sedia o qualcosa su cui farlo riposare, e il mago scosse la testa.
-Vai, io ti aspetterò direttamente all’uscita.
-Non pensi che sia meglio…?
-No, vai.
Il re alzò un sopracciglio e sembrò star per dire qualcosa, ma parve cambiare idea e si allontanò per fare la seconda copia dei diari di Lloyd.
Merlin lo guardò andarsene e sospirò di sollievo. In gioventù era sempre stato contento di avere qualcuno vicino durante i momenti di difficoltà e credeva di essere fatto ancora in quel modo, nonostante gli anni di solitudine, eppure, dopo pochi minuti, aveva iniziato a trovare insopportabile la vicinanza di Arthur. Non ne capiva il motivo e la cosa lo turbava, lo aveva reso irascibile quando il biondo aveva provato ad aiutarlo e, peggio ancora, poteva minare ulteriormente il loro rapporto, già messo a dura prova  da quegli ultimi giorni. Ormai neanche stringersi nella giacca che gli era stata regalata prima di venire lì riusciva a consolarlo.
Merlin iniziò a camminare per il palazzo, dirigendosi verso l’uscita con passi calcolati, riflettendo accuratamente sulle proprie emozioni.
Forse quello che gli aveva dato fastidio era che, in fondo, non era necessario lui stesse lì?
Il mago fece una pausa, prima di rincamminarsi.
Sì, poteva essere. In fondo, si era sempre sentito osservato e in tensione a causa dell’ormai più che evidente astio di Delilah nei suoi confronti; gli sguardi di sospetto di Donald avevano aggiunto ben poco al peso degli occhi della regina sempre addosso, come se dovesse compiere da un momento all’altro un qualche passo falso, come se il suo corpo si dovesse aprire per rivelare… Cosa, precisamente? Merlin aveva creduto di sapere cosa quella tribù pensava di lui, eppure si era reso conto che, invece, non gli era mai stato chiaro. Non capiva che rapporto pensavano ci fosse fra la magia e il mondo, o i suoi poteri e il suo corpo fisico, che pure avevano tentato di distruggere solo due sere prima.
E poi, da quando aveva scoperto della parte segreta della trattativa, c’era stata anche la costante attenzione di Arthur. In altri contesti, Merlin avrebbe gradito averla per sé, si sarebbe sentito bene, quasi desiderato, se solo non pensasse che fosse dovuta semplicemente a un senso di colpa mal trattenuto.
Tuttavia… Aveva anche il vago ricordo di una sedia vuota, di un confuso senso di abbandono… Arthur non era stato tutto il tempo accanto a lui, vero? In un qualche momento si era alzato e l’aveva lasciato lì, in una stanza di un palazzo dove tutti gli erano nemici, dove non potevano fidarsi di nessuno. Non aveva alcun senso della vergogna? Nessuna comprensione della gravità di quello che era accaduto? Merlin sapeva bene che per una cosa del genere era a discrezione della massima autorità della tribù offrire all’altra come rimediare al torto, eppure il suo re non aveva proposto nulla, non era forse così?
Una parte del mago –che pure stava diventando così tanto piccola- gli diceva che poteva pensare a mille ragioni per il quale tutto quello che stava avvenendo in quella città aveva senso e che doveva stare attento al pericolo di non percepire il mondo come era davvero, ma ogni passo in avanti gli portava una fitta alla testa sempre più dolorosa, ogni secondo che passava sentiva della bile salirgli lungo la gola.
Arthur l’aveva tenuto sott’occhio, era vero, eppure tutto era accaduto sotto la sua supervisione, come era sempre stato. Merlin aveva creduto che il tempo avesse cambiato la sua percezione dei fatti di quando era a Camelot, invece, forse, non era per nulla così: Arthur non era mai stato capace di vedere oltre il proprio naso. Le ragioni potevano essere tante, eppure in quel momento una si era appena aggiunta: che al re non importasse di niente nel momento stesso in cui gli pareva di poterlo comandare.
In quel modo, effettivamente, si spiegava tutto.
Il suo comportamento diverso da quando era tornato, la sua fretta di iniziare un rapporto con lui, senza tuttavia desiderare niente di fisicamente intenso, il suo tenerlo d’occhio costantemente tranne nel momento in cui sapeva che l’altro non avrebbe potuto fare nulla…
E se lo scopo di Arthur, per quanto inconscio, non fosse stato nient’altro che il potere?
Merlin percepì un brivido di rabbia farsi strada nel corpo a quel pensiero e una breve smorfia si formò sul suo viso: non era una novità per un Pendragon travestire da alto principio il proprio desiderio di controllo. E il mago sapeva bene che non avrebbe potuto sopportarlo. Erano secoli che non era più né servo né suddito: era un uomo libero da troppi anni ormai.
E non aveva la minima intenzione di farsi riportare via quella libertà.
Merlin velocizzò il passo, ormai incapace di percepire ciò che lo circondava, e iniziò ad attraversare l’ultimo corridoio che lo separava dall’uscita del palazzo, finché non si sentì sbattere al muro.L’aria gli uscì dai polmoni e per un breve istante rimase senza fiato; la magia premette per uscire, ma riuscì a trattenerla in tempo per vedere chi l’aveva trascinato in quell’angolo oscuro. 
-D…Delilah?
-Non osare mai più incantare mio marito.
-C…Cosa?
-Non fingere di non sapere di cosa sto parlando.
-Che intendi?
-Sei tu che non lo fai dormire, vero?
-Cosa?
-Sei tu che gli sei apparso in sogno per convincerlo a ritirare le pretese sulle colline.
-Non so di cosa tu stia…
La regina gli puntò l’indice e la sua voce si fece ancora più tagliente.
-Io non volevo la tua morte, volevo solo metterti fuori gioco abbastanza a lungo perché il resto del piano riuscisse, ma sappi che se solo provi a fare qualcosa di male a mio marito troverò un modo per farti fuori, ti giuro che scoprirò come farlo, sono stata abbastanza chiara?
Merlin annuì in automatico, sconvolto, e Delilah rimase solo un secondo di più a guardarlo negli occhi, prima di lasciare la presa e allontanarsi velocemente. Il mago si passò una mano sulla maglietta, dove c’erano i segni delle dita della regina, confuso.
Si sarebbe arrabbiato dopo diversi minuti, quando avrebbe sentito la voce di Arthur chiamarlo, dopo aver pensato intensamente alle parole della donna, ma, in quel momento, rimase immobile al buio, col cuore in gola, cercando di ritrovare la forza nelle gambe.
 
Elisa rise, lasciando che la pioggia le cadesse sul viso. Si accostò di più al tronco dietro al quale si stava nascondendo e fece un passo indietro quando vide Frederick avvicinarsi con aria giocosamente di sfida. La ragazza alzò le sopracciglia, assumendo un’espressione furba, poi scappò via; l’altro, dopo un attimo di stordimento, ridacchiò e iniziò a inseguirla, incurante della pioggia che continuava a battere sulle foglie sopra di loro.
Non si sarebbero preoccupati del maltempo: quello era uno di quei rari momenti in cui nessuno dei due doveva svolgere compiti, in cui potevano stare insieme a lungo e divertirsi.
Frederick sentiva tutta la tensione accumulata sciogliersi, uscire fuori e cadere insieme alla pioggia, e rideva mentre scattava per riuscire a prendere Elisa, che continuava a sfuggirgli. Nei giorni precedenti degli avvenimenti avevano messo a dura prova la risoluzione del ragazzo. Incontrare Callum per molte ore consecutive lo innervosiva, lo rendeva suscettibile e di cattivo umore, ed era già capitato che, in seguito a una sciocca mancanza del detenuto, Frederick avesse sentito la tentazione forte di abusare della propria posizione per infliggere all’altro una punizione ben più severa di quella che avrebbe dato a chiunque altro. Era riuscito a bloccarsi, a riflettere e a correggersi, ma c’era mancato davvero poco e la cosa lo aveva spaventato.
Elisa urlò divertita quando sentì i propri piedi non toccare più terra e il corpo del ragazzo dietro la schiena. Era stata sollevata e, dopo una breve divincolata, la fanciulla era riuscita a farsi rimettere a terra per eseguire il suo turno.
Frederick era veloce, ma Elisa, essendo una raccoglitrice, conosceva molto meglio di lui i segreti di quel pezzo di foresta. Lo osservava ridacchiare, affannato, e cercare di non inciampare in alcune radici particolarmente grandi.
Era cambiato… Era diverso da chiunque altro fosse al villaggio. Era più coraggioso, più forte, più compassionevole di tutti gli altri. Quando Grant era ancora in vita e i suoi sudditi avevano pensato solo a sopravvivere, Frederick era stato l’unico che si era preso l’impegno di fiorire. Forse era quella la chiave dei sentimenti contrastanti che egli faceva nascere in chi incontrava: da un lato l’ammirazione per chi stava riuscendo a crescere, dall’altra l’invidia provocata dal ricordo dei propri insuccessi.
Poiché da bambini non erano stati in buoni rapporti (era straordinario quanto odio avevano provato l’uno per l’altro all’epoca), i due non si erano parlati per anni, sebbene il villaggio non fosse tanto grande. Un giorno, un’amica di Elisa le aveva rivelato di essersi innamorata di uno dei pescatori più giovani, ma che era nervosa perché stava avendo già una storia con una guardia e, visto che era al servizio di Grant, non credeva l’avrebbe presa bene. La ragazza aveva dato sostegno all’amica e le aveva detto di affrontare comunque la cosa, nonostante sapesse che l’altra era terrorizzata, e, nel caso, di farla essere presente; non si aspettava, perciò, di ritrovarla contenta una settimana dopo. Quando le aveva chiesto cosa fosse successo, quella aveva detto che la guardia le aveva chiesto se era soddisfatta della loro relazione, visto che in quegli ultimi tempi l’aveva vista tesa, e che lei gli aveva rivelato tutto… senza alcuna conseguenza. Elisa allora le aveva chiesto chi era questo ragazzo, visto che l’amica gliel’aveva tenuto nascosto, e l’altra le aveva rivelato, con un pizzico di timore, che era Frederick.
ì​La ragazza era rimasta ancora più incuriosita dalla vicenda: il Frederick che si ricordava lei non avrebbe mai permesso una cosa del genere, quel bambino aggressivo e geloso non sarebbe mai stato in grado di provare empatia verso qualcuno, o di accettare i suoi sentimenti. Così, Elisa aveva smesso di evitarlo. Si poteva dire che il suo scopo era puramente scientifico, tuttavia più osservava il giovane, più si trovava costretta a rivedere il proprio punto di vista, a mettere in discussione le sue stesse memorie. Ciò che l'aveva incuriosita più di tutto fu quando vide Frederick disubbidire apertamente a un comando di Grant, per poi presentarsi a lui per ricevere la pena conseguente (“Mi hai disubbidito?” “S-Sì.” “Lo hai fatto volontariamente?” “Sì.” “Eri consapevole della regola che hai infranto e della punizione che avresti ricevuto?” “Sì.” “Almeno provi vergogna per le tue azioni?” “No… No.” “Frederick, Frederick… Cosa dovrei farmene di te?”). Quell’atteggiamento l’aveva sconvolta e, quindi, dopo settimane di mera osservazione, Elisa si era avvicinata alla cella dove il ragazzo era stato rinchiuso per parlare con lui.
Non aveva mai capito cosa lo portasse a compiere quelle azioni, né perché sembrasse così sereno, ma, da allora, non si erano mai separati.
La ragazza afferrò l'altro, il quale, tuttavia, non la lasciò sfuggire. La prese in braccio e lei rise, divertita, e allungò il viso verso quello di Frederick. Riuscì appena a sfiorare le sue labbra che un fragore la fece sobbalzare.
Elisa si bloccò, cercando di guardare verso l’alto, oltre le foglie degli alberi.
-Era un tuono?
-Sembra di sì.
La fanciulla si fece rimettere a terra.
-Credo che… sta cominciando a essere una cosa seria. Meglio tornare a casa.
Un altro boato quasi interruppe la frase della ragazza. Frederick alzò le spalle.
-È stato divertente uguale.
Lei sorrise.
-Sì.
I due si riavvicinarono e cominciarono a tornare verso il villaggio, camminando velocemente. Quando la mano di Elisa prese, un po’ timidamente, quella di Frederick, nessuno dei due si scostò.
 
Note di Elfin
E su questo altro capitolo immenso vi auguro una buona domenica a tutti, bentrovati al nostro appuntamento settimanale con “Revolution Roots”, anche chiamata “’Sta storia è infinita”.
Onestamente? Stiamo molto più vicini alla fine dei Donald di quanto non sembri… E voi sapete che io adoro ogni mio OC, qualcuno di più e qualcun altro un po’ meno, ma non vedo l’ora di scrivere e pubblicare l’ultimo capitolo dedicato a ‘sta gente.
Qui sotto ho inserito una piccola double drabble extra che ho scritto per Halloween (chi mi segue su instagram avrà visto il post), dedicata a Lenore. È una cosuccia leggera ed esploreremo come in queste tribù si festeggia Halloween quando ci arriveremo (nel tempo della storia stiamo a fine settembre), per ora vi basti quello che ho scritto sotto.
Ringrazio tantissimo dreamlikeview lilyy, che continuano a dirmi cosa ne pensano con costanza. Apprezzo molto il loro parere <3
Kiss
 
VVV HALLOWEEN EXTRA VVV
 
149° anno dalla fine della Guerra, -8 mesi al ritorno di Arthur
 
-Ma dov’è finito?
-Devi aspettare, quel pover’uomo…
-Se non arriva subito userò una rapa!
La donna scosse la testa, sorridendo al sentire la figlia. Ogni anno il “signore delle zucche” portava i frutti del suo lavoro a ogni casa dei Lamont, per fare in modo che venissero intagliati per il Giorno dei Morti.
Lenore, che era sempre stata impaziente quando si trattava di quella festività,  fece un’esclamazione.
-È arrivato! È lui, è lui!
-Ma non hanno bussato!
La madre seguì la bambina, corsa alla finestra per aprirla e affacciarsi verso la porta.
-Ehi! Ce ne hai messo di tempo!
-Lenore!
La bimba salutò l’agricoltore; una mano dell’uomo era ancora alzata verso la porta. La donna andò ad aprirgli e lo accolse, mentre il contadino guardava il proprio pugno, poi il legno, con aria confusa.
-Quella ragazzina mi anticipa ogni anno, un giorno capirò come fa.
-È l’emozione, sai com’è…
Lenore si andò a sedere al tavolo, in attesa del momento dell’intaglio, della zuppa che la mamma avrebbe fatto con l’interno dell’ortaggio, di tutti i dolcetti che avrebbero mangiato…
Se tutto andrà bene, il prossimo sarà davvero un bell’anno, pensò.
Sua madre salutò l’uomo e posò la zucca sul tavolo; gli occhi della bambina si illuminarono, visto quanto sembrava grande.
Sì, la attendeva decisamente qualcosa di emozionante.
 

   
 
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