Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Ode To Joy    05/11/2019    1 recensioni
[Erwin x Levi]
[Kenny x Uri] [Jean x Eren]
”L’Umanità si divide in due categorie: quelli che vogliono cambiare il mondo e quelli con il potere di farlo.”
Paradis, 850.
Il Muro Maria è stato riconquistato ma a caro prezzo: solo otto soldati hanno fatto ritorno da Shiganshina.
Levi ed Eren non sono tra loro.
Erwin è sopravvissuto a costo della sua umanità e non si ritiene più degno di guidare le Ali della Libertà.
Marley.
Prigioniero sotto la custodia di Zeke Jeager, Levi cerca di tenere in vita se stesso ed Eren con la certezza che Erwin sia morto e che nessuno stia venendo a salvarli. Manipolare il fratello minore per renderlo suo complice, però, è solo una parte del piano di Zeke.
“Ora hai sia la volontà che il potere. Smettila di piangerti addosso, vinci questa guerra e riprenditi ciò che è tuo.”
Mytras, 819.
Catturato dopo aver cercato di uccidere il re, a Kenny Ackerman viene risparmiata la vita e promessa la libertà in cambio di qualcosa che lo legherà a doppio filo al principe Uri Reiss.
[Canon-Divergence] [Omegaverse]
Genere: Drammatico, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Eren Jaeger, Erwin Smith, Jean Kirshtein, Kenny Ackerman, Levi Ackerman
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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4
Nile & Marie








-20 giorni dopo la battaglia di Shiganshina-




Lei fissava il pavimento.

Era stato lui a ferirla, a essere colpevole.

“Quindi non mi ami?” 

Era lei a vergognarsi, a sentirsi in difetto.

“Non posso farlo.”

“Solo i mostri non possono amare.”

Lui non si sentì ferito da quelle parole. “Mi dispiace.”

“No,” lei scosse la testa. “Non è vero.”

“Nella vita che mi sono scelto non c’è posto per l’amore.” Non era una giustificazione per lei ma per se stesso.
Lei non lo contraddisse.

Solo sette anni e mezzo dopo trovò qualcuno abbastanza arrogante da farlo.





Erwin Smith, tredicesimo Comandante della Legione Esplorativa, scomparve nel nulla due settimane dopo la battaglia di Shiganshina.

La notizia venne recapitata alla Regina in gran segreto da Nile, Hanji e da tre membri della squadra di Levi.

Historia li ricevette nelle sue stanze in un incontro informale, a porte chiuse. Lei si accomodò sul divano, al centro del salotto e invitò i soldati a occupare le poltrone. I tre più giovani accettarono, Hanji e Nile rimasero in piedi.

“Che cosa volete che faccia?” Lo chiese senza pensare. Anche lei soffriva per ciò che avevano perso a Shiganshina e non avrebbe fatto nulla per danneggiare quelli che erano stati i suoi superiore e i suoi compagni.

“Se si dovesse sapere, a che cosa andrebbe incontro?” Domandò, rivolgendosi a Nile.

“Erwin è ancora il Comandante in carica,” spiegò il leader della Polizia Militare. “Se si è allontanato di sua spontanea volontà - e non abbiamo ragione di credere il contrario - potrebbe essere additato come disertore.”

Jean sbuffò. “Il Comandante è l’ultimo soldato di questa Mura che si potrebbe definire un disertore,” obiettò.

“Siamo tutti d’accordo su questo, Jean,” intervenne Armin, “ma la legge-“

“Al diavolo la legge!” Esclamò il giovane soldato. “Fino a tre mesi fa, il Capitano Ackerman, un pluriomicida che avrebbe sgozzato anche Historia da bambina, era la legge!”

Mikasa allungò la mano per stringergli il braccio. “Calmati, Jean.”

“Ascolta i tuoi compagni, ragazzo,” disse Nile. “Conosco Erwin da tutta la vita e sarò il primo a testimoniare in suo favore se necessario ma… Zoe, perché mi guardi così?”

“Mi stavo sforzando d’immaginarti in un’aula di tribunale mentre difendi Erwin,” rispose la Capo Squadra. “Scherzi a parte-“

“Non era uno scherzo!” Obiettò Nile.

“Historia, possiamo contare sul tuo aiuto?”

“Non dovete neanche chiederlo,” rispose la giovane Regina. “Che cosa si sta facendo per il Comandante Erwin al momento?” Domandò a Nile.

“Niente,” rispose questi con aria grave. “Lo sto cercando io. L’ho cercato in lungo e in largo, ma non posso mandare soldati in missione senza compromettere la posizione di Erwin.”

Historia guardò Hanji. “Dimmi quello che vuoi che faccia e lo farò.”

La Capo Squadra prese un respiro profondo. “Erwin ha varcato i cancelli di Trost privo di coscienza,” raccontò. “Se diramiamo un comunicato ufficiale che è ferito gravemente, potremo guadagnare tempo e il governo non ci disturberà per un po’.”

“Mi dispiace doverlo dire,” aggiunse Nile. “Ma per tenere buono Zakley ci servirà più di questo.”

Hanji si umettò le labbra. “Historia… No, Vostra Maestà, vi comunico formalmente e ufficialmente che il Comandante Erwin Smith lotta tra le vita e la morte, che Eren Jeager ha riparato la breccia ma che questo gli ha causato danni fisici che ancora non siamo in grado d’identificare e che…” Prese un respiro profondo. “E che il Capitano Levi è caduto in battaglia,” concluse. Guardò i tre ragazzi seduti seduti sulle poltrone. “Mi dispiace, se Eren risultasse in salute con Levi morto e Erwin fuori gioco, farebbero di tutto per portarcelo via. Se sapessero del suo rapimento, non avremmo modo di toglierci il governo di dosso.”

Armin abbassò lo sguardo, Mikasa annuì a labbra strette.

Hanji guardò Jean ma da lui non ottenne alcuna reazione.

“Il Capitano aveva a cuore la questione della Città Sotterranea,” disse Historia. “Nelle settimane prima di Shiganshina, abbiamo lavorato insieme a delle leggi per tutelare la gente che vive lì sotto. C’è qualcosa che potrebbe portare il Comandante in quel luogo?”

Hanji sgranò gli occhi. “Erwin ha trovato Levi nella Città Sotterranea!”

“Che figlio di…” Nile si ricordò in presenza di chi era e si trattenne. Chinò la testa. “Col vostro permesso, mia Regina.”

Hanji aprì la bocca, poi la richiuse e guardò Mikasa. “Potete tornare a casa e aspettarci? Non voglio che Nile vada da solo, non mi fido di lui.”

Il Comandante della Polizia Militare la guardò indignato e altrettanto fece Jean.

“Perché lo dice a lei?” Domandò il giovane. “È Mikasa quella sconvolta, non io!”

“Già, perché?” Gli fece eco Nile. “Pensi che non riesca a vedere un biondo di un metro e novanta in una città senza cielo?”

Hanji scosse la testa. “No, non voglio lasciarli da soli per chissà quante ore.” Si passò una mano tra i capelli.

“Possiamo cavarcela,” la rassicuro Mikasa.

Hanji accennò un sorriso. “Ne sono sicura, ma lasciatemi essere preoccupata per voi.”

“Possono restare qui,” proprose Historia. “Con me. Siamo cresciuti insieme, nessuno farà domande.”

“Non è sicuro, mia Regina,” disse Nile. “La gente si farebbe domande e non vogliamo dare al governo una scusa per andare a curiosare nel vostro castello.”

Hanji si massaggiò la fronte stancamente. Levi riusciva a gestire lei, Erwin, la sua squadra - quella vecchia e quella attuale - e non venire mai meno ai suoi doveri, compresi quelli domestici. Come diavolo faceva a non diventare matto?

“Sono troppo grandi per una pensione infantile, vero?” 

Jean alzò gli occhi al cielo. “Ce la caviamo da soli.”

Nile schioccò le dita. “Ho un’idea!” Esclamò. “È qui vicino, è al sicuro e li terrà occupati per tutto il tempo che staremo via, Hanji.”

Historia trattenne una risata nel vedere come Armin e Jean premettero le spalle contro il divano, come per diventare un tutt’uno con i cuscini, mentre Mikasa rimase con la schiena dritta, quasi stesse per partire per una nuova battaglia.



Nile Dawk abitava in un quartiere residenziale fuori dal caos del centro di Mytras, in una bella casetta a tre piani con il cancello in ferro battuto all’inizio di un breve vialetto.

“Questo è il genere di casa che sognavi tu, Jean,” disse Armin, un poco divertito.

Seduto tra lui e Mikasa, l’amico incrociò le braccia contro il petto e cercò di farsi piccolo piccolo contro lo schienale.

“Aspettatemi qui,” disse Nile, scendendo dalla carrozza reale che Historia aveva dato loro. “Vado a spiegare la situazione a Marie e vi faccio entrare.”

“Chi è Marie?” Domandò Mikasa, mentre il Comandante apriva il cancello in ferro battuto.

“Sua moglie,” rispose Hanji, sporgendo il collo per controllare che Nile fosse arrivato al portone.

“Non era sicuro restare a corte ma lo è stare con una civile?” Domandò Mikasa poco convinta.

Hanji sospirò. “Fatevi più vicini: devo spiegarvi un paio di cose.”

I tre ragazzi ubbidirono.

“Nile non ha proposto sua moglie a caso,” spiegò la Capo Squadra. “Tra le persone dentro queste mura, penso sia l’unica che voglia abbastanza bene a Erwin da tenere un segreto come quello che abbiamo noi.”

“Era un soldato anche lei?” Domandò Armin. “È stata addestrata con i due Comandanti?”

Hanji scosse la testa.

“È parte della sua famiglia?” Ipotizzò Mikasa.

La Capo Squadra fece di no con l’indice. “Nemmeno quello.”

Fu Jean ad avere l’intuizione giusta. “È stata la sua donna.” Sentì gli occhi di Armin e Mikasa su di sé, ma era solo la sua superiore che gli interessava.

Hanji lo fissò a lungo. “Più passano i giorni e più sono preoccupata per te, Jean,” confessò a cuore aperto. “Ebbene, sì. Marie è stata il primo amore di Erwin. In realtà, col senno di poi, lui disse di averle voluto bene ma di non essersene mai innamorato… Ma questo voi non glielo dite!”

“Perché dovremmo dirle altro?” Domandò Armin, vagamente blu in faccia.

Jean scosse la testa. “Io voglio tornare a casa!”

Hanji alzò al cielo l’unico occhio sano. “Ti metterai a pestare i piedi come un bambino fino a che non ti prenderò a sculacciate, Jean?” 

“Io non entro nella casa della ex del Comandante quando ho passato gli ultimi sei mesi della mia vita attaccato al Capitano Levi!” Obiettò Jean.

Mikasa inarcò le sopracciglia. “Che centra il nanerottolo?”

Hanji li guardò sorpresa. “Come lo avete capito?”

Armin alzò le mani, rosso in viso. “Io non ho capito niente.”

Jean sbuffò. “Eren aveva intuito qualcosa, lo ha detto a me e io l’ho quasi detto a lui,” spiegò, indicando il giovane soldato dai capelli biondi.

“Eren ha intuito qualcosa?” Domandarono Armin e Mikasa in coro, increduli.

Jean passò gli occhi da uno all’altro. “E fortuna che sono io quello che lo insultava regolarmente!”

Hanji si grattò il mento. “Eren è l’unico di voi che li ha visti insieme,” ci pensò meglio “... Per dieci minuti, ma Erwin e Levi non sono mai stati bravi a tenere la cosa segreta.”

Armin si prese il viso tra le mani. “Stiamo per entrare in casa della prima donna del Comandante e siamo tutti e tre soldati addestrati da Levi...”

“È esattamente questo che intendo!” Esclamò Jean, dandogli una pacca sulla spalla.

“Perché la cosa dovrebbe preoccuparci?” Intervenne Mikasa. “Non siamo qui per parlare del Comandante e del Capitano.”

Hanji le afferrò la mano con fare drammatico. “Potrebbe succedere, figliola,” disse teatrale. “Potrebbe succedere.”

“Un momento…” Jean aveva appena unito i pezzi. “Nile Dawk si è sposato l’ex ragazza del suo amico d’infanzia?”

Hanji alzò entrambe le mani. “Stendiamo un velo pietoso su questo dettaglio.”

“Cazzo, ho i brividi,” sussurrò Jean, strofinandosi le braccia.

La Capo Squadra cercò di riprendere in mano la situazione. “Ragazzi, niente panico,” disse. “Voi entrate e se la conversazione verte su Levi ed Erwin, dite che-“

“Tutto a posto!” Esclamò Nile con allegria, aprendo la portiera della carrozza. “Marie dice che potete entrare!”

Uccidetemi subito! Pensò Jean, mentre Mikasa lo tirava giù dalla carrozza.



“Tira su il cappuccio.” Nile lo fece per lei, prima che Hanji potesse dire qualcosa.

“Ehi! Che fai?” 

“Non voglio che le guardie di servizio alle scale ti riconoscano,” disse il Comandante. “E lì sotto non voglio che si accorgano che sei una donna.”

“Maschilista…” 

Nile la fissò. “Sai cosa succedeva nella Città Sotterranea prima che Historia e Levi ci mettessero mano?”

Hanji lo trafisse con l’unico occhio che aveva. “Perché pensi che lui ci tenesse tanto?”

Nile alzò una mano come a dire di lasciar perdere, e fu il primo a presentarsi ai soldati di guardia alle scale che portavano al sottosuolo. Non fecero problemi a farli passare e Hanji fu attenta a rimanere accanto a Nile. La luce del sole sparì gradualmente, rampa dopo rampa. Intorno ai cento gradini scesi, la Capo Squadra ebbe difficoltà a vedere con l’unico occhio che aveva. Mancò un gradino e per poco non cadde. Nile fu abbastanza pronto di riflessi d’afferrarla. “Stai attenta!” Le prese la mano. “Ti guido io, scendendo non fa che peggiorare.”

C’erano delle torce alle pareti ma nessun vero sistema d’illuminazione. Hanji allungò il collo per vedere oltre il parapetto: la zona centrale della città era la più visibile dall’alto, il resto era come un pozzo buio con alcune lucine che non potevano nulla contro tutta quell’oscurità.

“Come fa la gente a vivere qui sotto?” Chiese ad alta voce.

“Non c’eri mai stata?” 

“No.”

“E Levi non ti ha mai raccontato nulla?”

Hanji annuì. “Mi ha raccontato tutto,” ammise. “Ha sminuito ogni cosa.”

Erwin le aveva detto che per mettere Levi con le spalle al muro avevano dovuto attaccarlo in tre, manomettergli il 3DMG e minacciare i suoi compagni. Hanji sapeva come volava Erwin e così anche Mike, ma quanto bisognava essere abili per imparare a farlo in quel mondo senza cielo?

La prima volta che aveva chiesto a Levi d’insegnare i suoi segreti agli altri soldati, lui aveva detto di non sapere come fare, che aveva imparato e basta. Ora capiva la sua reticenza: nessuno dei soldati della Legione Esplorativa era mai stato costretto a volare in quelle condizioni.

Non appena scesero l’ultimo gradino, Nile disse qualcosa ma Hanji non lo udì. “Come?” Domandò quest’ultima.

“A Marie ho detto tutto,” disse il Comandante senza guardarla. “Per questo ho portato i ragazzi da lei, perché può capire.”

Hanji strinse le mano dell’uomo con più forza. “Gli hai detto di Levi?”

Nile le lanciò un’occhiata da sopra la spalla. “Non sapevo in che altro modo spiegargli il motivo per cui Erwin versava in quello stato.”

“Nile, non dirmi che gli hai detto dei suoi pot-“

“No,” la rassicurò lui. “Non sono tanto stupido da confidare a mia moglie segreti di stato. Anzi, noi stiamo nascondendo che Erwin è un Titano al governo stesso, quindi è semplicemente tradimento.”

“A questo proposito… Erwin ha fatto avanti e indietro dalla prigione centrale.”

“Con un mantello adatto a nascondere un braccio che non dovrebbe esserci.”

“E Kenny Ackerman?”

“Parla con Levi e con un certo Uri a tutte le ore del giorno, chi vuoi che lo ascolti?”

Hanji si fermò e Nile dovette fare lo stesso.

“Che cosa ti prende?” Domandò lui.

“Ackerman parla con Levi?” Hanji non poteva crederci.

Nile scrollò le spalle. “Immagino gli volesse bene. Era suo nipote, no?”

“Lo ha abbandonato qui sotto che aveva tredici anni.”

“Che vuoi che ti dica, Hanji?” Nile riprese a camminare, tirandola un poco. “Finché Levi veniva a trovarlo, a stento lo sentivi. Dopo che si è sparsa la voce della vittoria di Shiganshina, ha fatto il diavolo a quattro fino a che non ha ricevuto notizie del vostro Capitano. Quando Erwin è arrivato per dirgli che Levi era morto, ha perso quel poco di sanità mentale che gli era rimasta. È un pezzo di merda, ma non lo biasimo: darei di matto anche io se una delle mie figlie finisse divorata da un Titano.”

Hanji si liberò dalla sua stretta. “Ha cercato di ucciderlo,” gli ricordò.

Nile la vedeva a stento nella semi-oscurità. “Ha fallito o ha sbagliato mira di proposito?” 

Hanji inarcò l’unico sopracciglia visibile. “Che stai cercando di dire?”

“Non lo so.” Nile scrollò le spalle. “Improvvisamente, tutti i grandi capi conoscevano Kenneth Ackerman e nessuno si sarebbe sognato di mettergli i bastoni tra le ruote, nemmeno Zakley. Era con un piede nella fossa e l’idea di finirlo li ha spaventati a morte.”

“Perché Levi era lì.”

“Perché Levi era la seconda persona più spaventosa all’interno delle Mura.” Nile si avvicinò alla giovane donna di un passo. “Io non ho mai avuto a che fare coi Titani, Hanji. Qualcuno potrebbe addirittura dubitare che abbia mai combattuto questa guerra ma non m’importa. Non devo giustificare le mie scelte a nessuno.”

“E io non te lo chiedo, Nile.”

“Tuttavia, col mio lavoro ho avuto a che fare con molte persone diverse e posso dirti che quel genere di dolore non si può simulare. Ho visto uomini vendere le loro figlie e i loro figli per avere una dose di… Qualsiasi cosa vendano qua sotto! Non si sono scomposti di una virgola di fronte ai loro cadaveri. Quell’uomo ha sofferto per Levi almeno quanto Erwin.”

“Quell’uomo non ha il diritto di soffrire per Levi!” Esclamò Hanji. “Che cosa li lega? Il sangue. Levi era convinto che fosse suo padre, lo sai questo? A conti fatti, non ha importanza quale fosse il loro grado di parentela, perché Levi non lo avrebbe visto in un altro modo. Ha passato metà della sua vita a credere che suo padre lo avesse abbandonato!” 

Nile Dawk non aveva mai provato una gran simpatia per Levi e il modo in cui Erwin ne era ossessionato aveva giocato la sua parte nell’influenzarlo. In quel momento, però, provò pietà per quel ragazzino.

Forse era stato quello il primo passo che aveva spinto Levi verso Erwin: erano entrambi sopravvissuti alla perdita di un padre e ne erano stati segnati in modo indelebile.

“Sai perché non si ammazza?” Aggiunse Nile. “Oh, ha avuto occasione di farlo: si rigira i novellini come se nulla fosse. Non lo fa perché ogni giorno su questa terra è una punizione per qualcosa che ha fatto.”

Hanji ingoiò a vuoto. “A meno che questo suo sacrificio non possa riportarci Levi, non m’interessa.”

Nile le prese di nuovo la mano. “La Legione Esplorativa esisteva anche prima di lui,” le ricordò.

Hanji sorrise tristemente. “Vorrei poterti spiegare, Nile,” disse. “Ma io ed Erwin non siamo riusciti a farlo nemmeno con Levi stesso.”

Il Comandante della Polizia Militare annuì e lasciò cadere la questione. “Andiamo…”



”Ma chi ti credi di essere?”

Non si erano mai capiti, ma erano cresciuti insieme.

“Non capisco a cosa ti riferisci…”

Si volevano bene.

“L’hai fatta piangere!”

O, almeno, così aveva sempre creduto.

“Non volevo prenderla in giro.”

Non doveva giustificare le sue scelte con lui. 

“Ma che problemi hai? Ti capita qualcosa di bello e tu lo butti via così!”

Ma erano amici, non voleva che lo odiasse.

“Non provavo quello che provava lei. Non c’era niente di bello in questo.”

“Ma non ti vergogni ad averla umiliata così?”

Non lo aveva fatto e lei gli aveva dato del mostro.

“Se è corsa a piangere tra le tue braccia, forse non sono io quello che si deve vergognare.”

Fu la prima volta che si prese un pugno da un amico.




Jean voleva fuggire a gambe levate e sapeva che Armin non versava in uno stato migliore del suo. L’ultima volta che si erano guardati così, impossibilitati ad alzarsi e darsela a gambe era stato quando avevano preso il posto di Eren e Historia.

“Ora giocheremo alle signore di corte e prenderemo il tè tutte insieme!” Esclamò la secondogenita di Nile Dawk - Beatrix, si chiamava Beatrix - portandosi alle labbra una tazzina giocattolo e fingendo di sorseggiarne il contenuto inesistente. “Fatelo anche voI!” Ordinò, dando un calcio allo stinco di Jean.

Il giovane soldato ringhiò a denti stretti ma fece come gli era stato detto e così anche Armin. Gli facevano male le ginocchia: la seggiola su cui era stato costretto a sedersi era una di quelle per bambini e per arrivare al tavolino doveva letteralmente piegarsi in due.

Trix, non li torturare,” disse la bambina più grande, Margaret, seduta scompostamente sulla poltrona vicino al camino con un libro tra le mani. 

“Non li sto torturando!” Urlò Beatrix, indignata. “Sto intrattenendo gli ospiti.”

Jean guardò la tazzina tra le sue mani con disperazione. Se lo avesse desiderato con tutte le sue forza, vi sarebbe comparso dentro del cianuro?

“Che cosa stai leggendo, Margaret?” Domandò Armin, cercando una via di fuga nell’instaurare una conversazione con la Dawk più intelligente nella stanza.

La bambina gli rispose ma Jean aveva spento il cervello e non udì la risposta. Piegò la seggiolina un poco all’indietro e vide Mikasa intenta a cucinare la cena in compagnia della signora Dawk. 

“Cara, sei troppo gentile a disturbarti,” disse Marie, aggiustando la piccola di casa contro il fianco, Julia. 

“Oh, no, siamo noi a disturbare,” rispose Mikasa educamente. “Mi fa piacere dare una mano.”

Jean alzò gli occhi al cielo: le era andata meglio di tutti. Mentre Armin cercava di ammazzare il tempo parlando di libri con Margaret e la piccola Beatrix mandava avanti da sola il suo té tra signore, Jean ebbe modo di osservare bene la donna che era riuscita a conquistare Erwin Smith.

Era bionda - tutte e tre le bambine lo erano - e aveva due grandi occhi scuri. Il suo sorriso era gentile e non aveva faticato a farli sentire tutti e tre a loro agio. Nonostante la presenza di quelle tre bestie demoniache, la casa era impeccabile e lei era bellissima. Jean non poteva guardarsi intorno e non pensare che tutto trasudasse perfezione

Stava avendo un assaggio del futuro che aveva desiderato per sé, prima dei Titani, prima della morte di Marco e della Legione. Prima di Eren.

Cercò d’immaginare Erwin Smith - e i suoi capelli biondi - in quel contesto, con quella bella moglie - bionda - tre splendide figlie - bionde - e per poco non scoppiò a ridere per conto suo. Nile Dawk era il ritratto dell’uomo frustrato, eppure a casa aveva tutto quello che chiunque sano di mente potesse desiderare.

Erwin Smith aveva - o aveva avuto - una Legione di folli di età tra i quindici e i trent’anni, una vita fatta di mostri mangia uomini e di umiliazioni pubbliche e non aveva mai, davvero mai, dato l’impressione di voler qualcosa di diverso.

Jean si chiese dove fosse il segreto e quando il viso del Capitano Levi gli comparve davanti agli occhi, si schiaffò entrambe le mani in faccia.

Un silenzio allibito cadde nel salotto.

“Je-Jean?” Chiamò Armin, preoccupato.

Beatrix scoppiò a piangere. “Mamma, il fratellone Jean si tira gli schiaffi da solo!” Corse in cucina e il soldato dai capelli biondi ne approfittò per avvicinarsi al compagno.

“Tutto bene?” Domandò.

Jean aprì le dita e lo guardò attraverso di esse. “Ti sembra che ti stia bene?”

Dalla sua poltrona, Margaret scrollò le spalle. “Papà lo dice sempre che voi della Legione Esplorativa siete pazzi.”

“Margaret.” Marie riemerse dalla cucina, sorreggendo la piccola Julia col braccio destro e stringendo la mano della piangente Beatrix con la mancina. “Chiedi immediatamente scusa,” disse con tono perentorio.

La bambina chiuse il libro e si sedette in modo scomposto. “Mi dispiace,” disse, ma non era sincera.

“Non fa niente,” rispose Armin con un sorriso cortese.

Marie sospirò. “Mi spiace approfittare della vostra presenza, ma vi dispiace aiutare Mikasa con la cena?” Domandò. “Se faccio il bagno alle bambine tutte insieme, mangeremo a un’ora decente.”

“Nessun problema, signora Dawk,” disse Jean, alzandosi in piedi.

La donna gli sorrise con fare materno. “Chiamatemi pure Marie.”



Una volta che furono tutti e tre da soli in cucina, Jean decise di analizzare con i compagni la situazione. “Allora?” Domandò, sedendosi a capo tavola.

“Allora, cosa?” Replicò Mikasa, continuando a tagliare una carota.

“Avete parlato di cose strane?” Insistette lui.

Armin sospirò. “Jean, perché dobbiamo forzare la mano alla fortuna?” Si guardò intorno. “Dove ha detto che sono i piatti?”

“Nella credenza vicino alla finestra,” rispose Mikasa.

Jean allargò le braccia. “Stiamo preparando la cena nella cucina di Nile Dawk, amico d’infanzia del nostro Comandante, sposato con la prima ragazza di Erwin Smith e io sono l’unico stranito?”

“Abbiamo cucinato, pulito e combattuto al fianco dell’amante ufficiale,” gli ricordò Mikasa.

Armin si premette l’indice contro le labbra. “E abbassate la voce.”

“Posso farvi una confessione scomoda?” Domandò Jean, ignorando deliberatamente il fanciullo biondo che scuoteva la testa. “Immaginare Erwin e Levi ha fottutamente senso. Immaginare Erwin e Marie, invece-“

“Perché dobbiamo sempre immaginare?” Gemette Armin, cominciando a tirare giù i piatti dalla credenza.

“Beh, nemmeno tu ed Eren avevate senso,” ribatté Mikasa, gelida, mettendo i pezzi di carota da una parte e afferrando un pomodoro. “Eppure, siete accaduti.”

Dal lato opposto della cucina, Armin gelò con un bicchiere sospeso a mezz’aria. Jean, invece, s’incendiò. “Adesso sei arrabbiata?”

Mikasa lo trafisse con lo sguardo. “Se non fossi venuta in camera tua, quando me lo avresti detto?”

Armin strabuzzò gli occhi e guardò il compagno di squadra. “Glielo hai detto davvero?”

“Mai!” Esclamò Jean, ignorando lui in favore di lei. “E sai perché? Perché non era compito mio dirti niente! Era Eren che doveva parlare con te e, indovina? Ha scelto di non farlo. Ti sei chiesta il perché, Mikasa, o devo darti qualche suggerimento io?”

Prevedendo la tragedia, Armin lasciò perdere le stoviglie e si avvicinò al tavolo. “Jean, abbassa la-“

Ma Mikasa fu veloce a puntare il coltello da cucina contro il giovane che aveva osato mettere le mani addosso a Eren. “Hai la presunzione di affermare che Eren si fidava di te più di noi?”

Nonostante avesse una lama a pochi centimetri dal viso, Jean non ebbe paura di replicare a tono: “lascia fuori Armin. Lui ha capito tutto senza che Eren avesse bisogno di dirgli niente.”

“Solo perché eravamo insieme ogni minuto di ogni giorno,” intervenne il diretto interessato. “Eren era con me o spariva e quando accadeva, lo facevi anche tu. Lo sapevamo tutti, Jean. Solo Eren credeva che fosse un segreto!”

Quella confessione sorprese più Mikasa che Jean.

“Tutti?” Domandò lei, guardando l’amico d’infanzia. 

Armin si umettò le labbra. “Connie non lo ha mai capito davvero,” ammise. “Reiner aveva dei grandi sospetti. Berthold si faceva gli affari suoi e Marco…” Guardò Jean. “Marco credeva che andaste ad allenarvi di nascosto per via della vostra rivalità.”

“Oh, Marco…” Jean si passò una mano tra i capelli.

“E le ragazze non erano interessate,” aggiunse Armin. “Solo Ymir ha preso in giro Jean a riguardo una volta o due.”

“Era gelosa perché lei non riusciva a farsi Krista… Cioè Historia!”

Mikasa appoggiò il coltello sul tavolo. “Era così ovvio?” La luce nei suoi occhi era cambiata, come se si sentisse in difetto.

Suo malgrado, Jean corse in suo soccorso. “Lo hai detto tu che Eren era diverso con me. Non in modo positivo, certo, ma era pur sempre qualcosa.”

Mikasa ingoiò a vuoto. “Non mi ha mai sfiorato l’idea che fosse legato a te in quel modo,” disse, riprendendo a tagliare le verdure.

Jean sospirò. “Non eravamo legati, Mikasa.”

“Lo eravate,” insistette lei.

“Non sapevi niente di noi fino a due settimana fa e ora hai la presunzione di conoscere che cosa provavamo l’uno per l’altro?” Domandò Jean, irritato.

“Eren non si sarebbe mai fatto toccare per gioco,” spiegò lei, senza guardarlo. “Gli altri ragazzi lo facevano ma lui no. Ti ha scelto. Non so come e non so perché, ma ti ha scelto,” si portò una mano al viso e solo Jean si accorse che si stava asciugando gli occhi. “In quanto a te,” aggiunse, “l’unica cosa che ti distingue dal Comandante Erwin è la stanchezza: lui è stanco di fingere, tu ancora ci riesci.”

Armin le afferrò la spalla. “Mikasa, non-“

Jean non rimase in quella cucina per ascoltare il resto. Superò il salotto e uscì sul vialetto, richiudendosi la porta d’ingresso alle spalle. Vi si appoggiò e sollevò gli occhi verso il cielo plumbeo. 

Stava per piovere di nuovo. Quando avrebbe smesso?

Non lo sapeva, ma era certo, come lo era la morte di Eren, che lui ed Erwin Smith non avessero nulla in comune. Si sarebbe buttato dalle Mura prima di ridursi così per quello stronzetto suicida. Non conosceva la storia di Erwin e Levi e nemmeno voleva saperla, ma dovevano esserci stati anni di battaglie vinte e perse, di giorni duri e meno duri, di notti insonni e d’amore. La loro doveva essere stata una relazione stabile - per quanto potesse esserla in un mondo dall’equilibrio precario - senza colpi di testa e picchi ormonali. Jean non aveva idea di cosa volesse dire e confrontare la loro storia a quella sua e di Eren non era altro che offensivo.

C’erano mille motivi per giudicare Erwin Smith, ma Jean non gli avrebbe dato del debole perché la morte del suo compagno lo aveva distrutto. Era umano. Il dolore era la cosa più normale che potesse provare in quel momento.

Per Jean non era così. Lui aveva perso un pezzo di sé a Shiganshina, ma quel pezzo non era Eren.

Cercò di convincersene con tanta determinazione che non si accorse delle gocce di pioggia che gli bagnarono i capelli e poi le spalle.

Armin dovette uscire ad avvisarlo che era pronta la cena per convincerlo a rientrare.



Sorprendentemente, Mikasa fu la più chiacchierona dei tre. Lei e Marie conversarono per tutta la cena e le bambine pensarono a coprire le parentesi di silenzio.

Jean approfittò di quel momento di raccoglimento per studiarle una a una e fare un paio di conti. Tutte e tre erano piccole copie della madre, solo la secondogenita - la più fastidiosa - aveva qualcosa di Nile, ma più nell’atteggiamento che nell’aspetto. 

Margaret, la più grande, doveva avere dieci anni. Beatrix era troppo indisciplinata per essere in età scolare e la piccina, Julia, non poteva avere più di qualche mese: non riusciva neanche a stare sul seggiolone.

Tutte e tre avevano il naso piccolo e nessuna gli occhi azzurri. Questo privò Jean del materiale necessario per fantasticare su figli illegittimi da coprire. Forse le tempistiche non erano neanche quelle giuste per sospettare qualcosa. Hanji non aveva specificato l’età in cui Erwin era stato con Marie, ma Jean era persuaso a credere che si fosse interessato a lei all’inizio, molto prima di divenire un Comandante e, forse, anche un Capo Squadra.

Se Jean non ricordava male, l’Istruttore Shadis era ancora al comando della Legione quando Erwin prese Levi con sé. Quanti anni aveva di preciso il loro Comandante? Trenta? Era difficile dirlo quando Erwin e Marie erano splendidi e Nile sembrava un uomo di mezza età.

Su Levi, poi, non era mai riuscito a fare scommesse. Jean aveva la netta impressione che il loro Capitano avrebbe dimostrato vent’anni anche dopo i cinquanta. Una fitta allo stomaco gli ricordò che Levi non sarebbe mai a toccare quell’età.

Marie se ne accorse. “Tutto bene, Jean?” Domandò.

Il ragazzo annuì. “Sì, signora.”

Il resto della cena continuò in modo quieto. 

Quando Marie diede alla bambine il permesso di alzarsi, Beatrix si attaccò al braccio di Mikasa. “Vieni! Vieni! Voglio pettinarti capelli e voglio fare le trecce alla ragazza bionda.”

Armin s’indicò, rosso in viso. “Dice a me?”

“Non vedi che è un maschio, stupida?” Sbottò Margaret, tornando alla sua poltrona e al suo libro. 

Marie sorrise con un poco d’imbarazzo. “Perdonala,” disse, costernata ad Armin. “I capelli lunghi la confondono.”

Sì, confermò Jean, quella era proprio figlia di Nile Dawk: stupida allo stesso modo.

“Mikasa, posso chiederti di stare con Julia mentre lavo i piatti?” Marie porse la neonata alla ragazza. Alla piccola non sembrò dispiacere. 

“Jean, dalle una mano,” ordinò Mikasa, come se fosse lei la sua superiore.

Lui la fulminò con lo sguardo, ma si alzò e aiutò la padrona di casa a sparecchiare senza obiettare. 

“Sei molto gentile,” disse Marie.

Jean accennò un sorriso e quando ebbero finito di liberare la tavola, andarono in cucina.

Per i primi cinque minuti solo il rumore dell’acqua che scorreva nel lavandino infranse il silenzio. Come previsto, fu Marie a parlare per prima. “Quanti anni hai, Jean?”

“Quasi sedici, signora.”

“Ti prego, chiamami Marie.”

Marie.”

La donna lo guardò con occhi colmi di tenerezza. “Sei alto,” commentò. “Supererai il metro e ottanta senza ombra di dubbio.”

“Lo dice anche mia madre.”

“Deve essere molto orgogliosa di te.”

Jean annuì distrattamente. Era meglio tralasciare i dettagli della sua condotta da figlio ingrato.

“Nile darebbe qualsiasi cosa per essere padre di un giovanotto come te,” aggiunse Marie, passandogli il primo piatto lavato.

Ci mancò poco che Jean lo facesse cadere. “Il Comandante non mi sembra il tipo da-“

“No, non lo è,” chiarì lei, in fretta. “Ama le nostre bambine e sono state tutte e tre messe al mondo con amore, ma certe volte Nile ha quell’aria nostalgica… Immagino l’avrei anche io se avessi avuto tre maschi.”

Il giovane soldato non sapeva cosa dire in proposito. “Anche io penso che mia madre preferisse una femmina,” buttò lì. “Da sola con un maschio… Non lo so, forse con una figlia sarebbe stato più semplice.”

“Sono sicura che lei non lo pensa,” disse Marie. “Certo, non deve dormire sonni tranquilla sapendoti nella Legione Esplorativa.”

Era inevitabile che sarebbero finiti a parlare di quello.

“Non avrebbe avuto il potere di fermarmi,” disse Jean. “Poteva scegliere se accettare la mia scelta o perdermi.”

“E accettandola ti ha perso comunque,” concluse Marie con un sorriso triste.

Jean seppe di aver aver calpestato un terreno pericoloso e per un po’ si limitò ad asciugare i piatti che lei gli passava.

“Sei nella squadra di Zoe?” Domandò Marie. “Sta cercando Erwin con mio marito ora, no?”

Jean scosse la testa. “No, sono della squadra di Levi.” Smise di asciugare il piatto che aveva tra le mani e chiuse gli occhi, quando si rese conto di aver pronunciato quel nome.

“Capisco,” disse Marie. “Mi dispiace per il tuo Capitano.”

Jean si sforzò di capire se fosse sincera o meno. 

“Hai perso altri compagni a Shiganshina?”

“Sì.”

Marie afferrò un altro piatto, ma lo posò immediatamente. “E ne è valsa la pena?” Domandò, guardandolo dritto negli occhi.

Come era accaduto con Nile Dawk, Jean sentì tutto l’imbarazzo venire meno di fronte allo supponenza nello sguardo di lei. “Ti prego di non parlare di cose che non conosci, Marie.”

L’espressione di lei cambiò immediatamente. Abbassò lo sguardo, imbarazzata. “Ti chiedo scusa, Jean.”

Il giovane soldato scosse la testa. “Meno di un anno fa desideravo qualcosa di simile per me,” disse, lanciando uno sguardo veloce alla cucina. “Sognavo una vita come quella tua e del Comandante Nile.” Riprese ad asciugare il piatto che aveva tra le mani.

Marie lo fissò. “Che cosa è cambiato?”

Jean si umettò le labbra. “Mi sono innamorato.” Lo confessò all’unica persona che non avrebbe chiesto di conoscere la sua storia e che, di conseguenza, non lo avrebbe mai capito.

“Strano…” Disse Marie. “L’ultimo soldato delle Ali della Libertà che mi ha parlato d’amore, ha detto che non era destinato a viverlo.”

Il soldato di cui parlava si era innamorato dell’incarnazione stessa delle Ali della Libertà e ora si struggeva di dolore come l’ultimo degli amanti tragici.

Entrambi si voltarono nell’udire la porta d’ingresso che si apriva.

“Papà!” Esclamò Beatrix con quella sua vocetta stridula.

“Bentornato, papà,” aggiunse Margaret, con meno entusiasmo.

Jean si asciugò le mani velocemente e precedette Marie in salotto. 

Nile Dawk se ne stava al centro della stanza, con la piccola Julia in braccio e l’espressione di uomo che ha appena fatto ritorno dal più grande fallimento della sua vita. “Hanji vi aspetta nella carrozza qui fuori,” disse con tono tetro. “Non fatela aspettare. Io verrò domani mattina al vostro quartier generale e faremo il punto della situazione.”

“Non lo avete trovato, vero?” Domandò Marie.

Nile la guardò: era stanco e triste, glielo si leggeva negli occhi. “Tesoro, puoi portare le bambine a letto?”

“No! No!” Si lamentò Beatrix.

“Basta, Trix,” disse Marie, superando Jean per prendere Julia dalle braccia del marito. “Margaret, anche tu.”

La bambina più grande sospirò annoiata ma fece come gli era stato detto.

Quando Nile rimase da solo con i tre giovani soldati, parlò: “la Città Sotterranea è stato un buco nell’acqua,” disse. “Io e la vostra Capo Squadra siamo convinti che Erwin si sia spinto oltre.”

Jean aggrottò la fronte. “Oltre?”

“Fuori dalle Mura,” disse Armin.

Nile annuì. “E vi confesso che a questo punto non sono certo di volerlo trovare,” disse. “Lui o quello che è rimasto di lui.”

Jean ingoiò a vuoto per combattere un conato di vomito. 

“Andiamo a casa,” disse Mikasa, sfiorandogli il braccio e circondando le spalle di Armin con il proprio. Uscirono entrambi senza salutare.

Jean non si mosse e Nile lo guardò. “Vai a casa, ragazzo,” gli disse. “Non c’è più nulla che possiamo fare, non con il buio.”

“Lei non ce la farà senza Erwin.”

“E pensi che non lo sappia?”

“Lo conoscete da tutta la vita, Comandante.” Jean gli arrivò davanti. “Ci deve essere un luogo dove non avete controllato.”

Nile assottigliò gli occhi. “Mi hai sentito, Jean? Non voglio trovarlo fatto a pezzi nel bel mezzo di una pianura tra il Muro Maria e il Muro Rose.”

“Se sapesse quante volte Eren è finito in pezzi…”

“Erwin saprebbe come morire, se volesse.”

“Saprebbe anche come sparire,” ribatté Jean. “Noi siamo addestrati a combattere mostri e voi… Voi siete abituato a fare qualunque cosa faccia la Polizia Militare.”

“Mi stai dando del buono a nulla, ragazzino?”

“Erwin Smith ha passato anni accanto a Levi. Ha affidato tutto a lui durante la rivoluzione perché sapeva come sparire e agire nell’ombra. Pensa che non abbia imparato niente standogli accanto? Non vuole farsi trovare, Nile.”

“E cosa vuole un uomo che sparisce nel nulla, eh? Erwin è stato un morto ambulante per quindici giorni. Sapevo di non doverlo lasciare solo quella notte e me ne pentirò per tutta la vita.”

“Quanto vi piace arrendervi, Nile?”

“Sono solo realista!” Urlò il Comandante. “E per il vostro bene è meglio che cominciate a esserlo anche voi!”

Jean strinse i pugni. “Siete un codardo, Nile,” sibilò. 

“Sono stato l’ultimo a vederlo vivo!” Urlò il Comandante e il giovane soldato si spaventò tanto da fare un passo indietro. “Sono stato l’ultimo a vederlo vivo,” ripeté con voce tremante. “L’ho conosciuto a scuola, aveva sei anni. Sei fottutissimi anni! Non ho un ricordo della mia infanzia o della mia adolescenza senza di lui e non voglio che l’ultimo sia quello del suo cadavere dilaniato! È così difficile da capire per te?”

Jean pensò a Marco, a come l’immagine del suo corpo aveva preso il posto di tutte le altre. “Io ho raccolto il cadavere dilaniato di un amico,” disse. “Pensavo non mi sarebbe successo niente di peggio e ora so che Eren è morto e che non ci sarà mai un corpo su cui Armin e Mikasa potranno piangere. Sapete cosa succede quando non si hanno risposte, Nile? La mente comincia a crearne alcune da sé. Cerco d’immaginarmi il cadavere di Eren continuamente. Penso a come devono averlo ucciso, se prima lo hanno torturato… Riesco a immaginare cose peggiori di quelle che ho visto a Trost.”

Nile lo guardava come se lo avesse spinto di prepotenza nel proprio incubo. Beh, lo aveva fatto…

“Quello che voglio dirvi,” aggiunse Jean con tono più gentile. “È che se gli volete bene, non è risparmiandovi l’immagine del suo cadavere che dormirete meglio.”

“Jean.” Marie era tornata e li guardava dalla porta della cucina. Nessuno dei due se ne era accorto. “Ora devi andartene,” disse, ferma.  

Jean guardò il Comandante ma Nile non fece nulla per trattenerlo, per fare ammende in qualche modo. 

Se ne andò senza salutare.



Il gatto randagio del suo migliore amico era una creatura orribile.

Non sorrideva. Non parlava. 

Se ne stava al fianco del suo padrone e li giudicava tutti in silenzio.

“Ma dove l’ha trovato?”

Sua moglie ridacchiò. “Nella Città Sotterranea. Lo sanno tutti.” 

“Era una domanda retorica, mia cara.”

Gli strinse il braccio. “Dovremo salutare.”

“È qui da un’ora e non si è nemmeno accorto della nostra presenza.”

Lei sorrise con malinconia. “È preso…”

“Preso?” Non capiva. “Da cosa?”

“Non gli ha tolto gli occhi di dosso nemmeno per un istante. Per questo non si è accorto di noi.”

Scrollò le spalle. “Avrà paura che il randagio graffi qualcuno.”

Sua moglie non rise.




“Non hai intenzione di parlare?”

Kenny si accomodò meglio contro la testiera, guardando il fantasma seduto in fondo al suo letto. 

Quegli occhi di ghiaccio identici ai suoi non lo stavano davvero guardando ma ebbero comunque il potere d’inchiodarlo lì, dov’era. “Perché gli hai detto tutte quelle stronzate?”

Kenny sorrise, stanco e malinconico. “Cazzo, anche nei miei deliri continui a parlare di quel biondino di merda.”

“Ma tu non lo hai capito cos’è Erwin per me?” Domandò Levi.

Non era la prima volta che stavano così, seduti a parlare di tutto e niente come due membri di una famiglia che si confrontavano su semplici questioni di vita. Oltre alle lezioni di sopravvivenza, c’era stato anche quello tra loro. Forse poco, forse Levi lo avrebbe voluto di più, ma Kenny non aveva mai potuto amarlo come il bambino aveva desiderato. Anche se, a dire il vero, Levi non aveva mai preteso niente.

“Se lo amavi così tanto, nanerottolo, non dovevi morire. Dovevi seguire il suo piano e sopravvivere.” Kenny arricciò le labbra. “Con che coraggio si era illuso che con un piano del genere ti avrebbe salvato?”

“Non credo fosse quello il suo scopo.”

“Ti ha messo volutamente nella posizione meno pericolosa - anche se solo per te - del campo di battaglia. Ha fatto il possibile per farti uscire vivo di lì.”

“E tu lo hai accusato di avermi ucciso.”

“E chi ti ha portato lì, Levi? Non sei nato per essere le Ali della Libertà, non ti ho cresciuto perché lo diventassi. L’unica ragione per cui hai combattuto questa guerra è lui.”

“E anche se fosse? Nessun soldato marcia sul campo di battaglia senza una ragione personale.”

Kenny fissò il fantasma con attenzione. Quel ragazzo aveva poco meno di trent’anni, il suo Levi non era arrivato a quattordici. Il giovane uomo che aveva davanti era lo stesso che lo aveva tenuto in vita in quelle settimane, ma non gli apparteneva. 

“Che cosa ti ha fatto?” Domandò, ancora incredulo. “Che cosa ti ha spinto a dargli tutto te stesso?”

Levi inclinò appena la testa da un lato, rivolgendogli un sorriso appena accennato che gli ricordò tanto Kuchel. Dopo tutti quegli anni, il modo in cui lui le somigliava ancora lo prendeva di sorpresa. 

“Tu lo sai già, Kenny,” rispose il fantasma di Levi. Il nanerottolo non avrebbe mai potuto parlargli così. Quando era venuto a chiedergli di Uri, lo aveva zittito immediatamente. Era la sua coscienza a parlargli, a dirgli che quello che era successo a Levi con Erwin non era poi tanto diverso da quello che era accaduto a lui.

Solo il finale era invertito.

No, forse nemmeno quello. Se tutto fosse andato come doveva e quel biondino di merda fosse morto al posto di Levi, il nanerottolo non avrebbe dato di matto come lui aveva fatto dopo la morte di Uri. In quella circostanza, Erwin gli assomigliava di più di quanto a Kenny facesse piacere. 

“È stato così semplice, Levi? Ti ha guardato negli occhi e sei caduto ai suoi piedi?”

“Chiediglielo…”

“Piuttosto la morte.”

“Perché ti mancano le palle, Kenny,” disse Levi. “Perché sei geloso come può esserlo solo un moccioso di merda. Tu mi vedi così e non sai nemmeno chi sono.”

Sì, a Kenny questo infastidiva parecchio.

“Non mi hai voluto, Kenny,” proseguì il fantasma.

“Erwin, però, ti voleva.”

“Lo vedi? Sei un tale codardo che ti nascondi dietro di lui anche ora che sono morto.”

“E statti zitto, moccioso di merda!”

“Pensi che mi sia svenduto come una puttana, Kenny?” Domandò il fantasma. “Pensi che Erwin mi abbia avuto senza combattere?”

Kenny gli puntò l’indice contro. “Io ho combattuto con te per metà della tua vita ed è stato un inferno tale che quando ti ho abbandonato al tuo destino, mi sono sentito libero!

“Quello che provi non ha alcun senso, idiota,” continuò Levi. 

Kenny si coprì gli occhi con una mano. “Non ha alcun senso odiare l’uomo che ti ha ucciso? Non ho mentito quando ho detto che sei il mio orgoglio.”

“Allora perché non lo hai protetto?”

Kenny sentì il respiro venire meno. “No…” Scosse la testa. “Hai avuto pietà di me fino a ora, e adesso…” Sollevò gli occhi e lo sguardo accusatorio di Kuchel lo penetrò più in profondità di quello di Levi.

Erano passati vent’anni dalla sua morte. Kenny non aveva mai parlato con lei come con Uri, non era tornato nel luogo in cui l’aveva sepolta - sotto il cielo, perché nella Città Sotterranea non l’avrebbe mai lasciata - si era limitato a rivederla in Levi.

Ora, il suo fantasma lo guardava con rancore per non aver protetto l’amore della sua vita fino al suo ultimo respiro. 

“Me lo avevi promesso,” sussurrò Kuchel con le lacrime agli occhi. 

Kenny strinse le labbra e non replicò.

“Erwin non ha ucciso Levi, lo hai fatto tu nel momento in cui lo hai abbandonato.”

Ecco fatto. La sua mente aveva fatto il punto del suo senso di colpa e glielo aveva esposto con la voce di sua sorella. 

“Non potevo restare con lui, Kuchel.” Per la prima volta da quando era stato messo sotto processo - prima da Levi e poi dal governo - Kenny Ackerman tentò di giustificarsi, di spiegare il perché delle sue azioni. A Kuchel lo doveva, solo a lei. Nemmeno per Uri avrebbe fatto tanto.

“Per mantenere la promessa che ti avevo fatto, non potevo essere suo padre,” spiegò Kenny. 

Kuchel piangeva. Lo faceva nello stesso modo di Uri: con eleganza, avrebbe osato dire. “Non aveva importanza cosa potevi tu. Levi vedeva suo padre quando ti guardava. Ha continuato a pensare a te in quel modo anche dopo e tu l’hai buttato via.”

“Se fosse rimasto con me sarebbe divenuto un mostro!” Urlò Kenny. “In un modo o in un altro…” Aggiunse e i suoi occhi non videro più lei, ma il bambino dai capelli corvini che gli chiedeva di che colore fosse il cielo.

La porta della sua cella si aprì di colpo.

Istintivamente, Kenny portò la mano alla cintura, alla ricerca di un pugnale o una pistola che non possedeva più. Quando vide Barbetta varcare la soglia, gli venne il dubbio che fosse un’allucinazione anche lui.

Kenny aprì la bocca.

“Non dire niente,” ordinò Nile, richiudendo la porta. “Non dovrei essere qui.”

Kenny inarcò le sopracciglia. “Ti sei deciso a mettere da parte i tuoi nobili scopi e liberare il mondo della mia presenza?”

“No, voglio che-“

“Allora vattene.”

Nile strinse i pugni, esaurì la distanza tra loro e afferrò il prigioniero per il colletto della camicia. Kenny era un uomo di un metro e novanta e non riuscì a tirarlo in piedi, solo a costringerlo seduto sul bordo del materasso.

“Statemi a sentire, pezzo di merda,” sibilò. “Erwin è sparito da giorni e ha fatto perdere le sue tracce dopo aver parlato con voi, quindi-“

“Il biondino ha disertato?”

“Non vi permettete!”

“Un Comandante che abbandona il quartier generale senza giustificazione è un disertore!”

“Abbassate la voce!” Nile lo lasciò andare e fece un passo indietro. “Il governo non sa nulla…”

Kenny gli sorrise, divertito. “Ecco, adesso che si parla di cose diversamente legali hai la mia attenzione. Che vuoi da me? Picchiami perché ho offeso la sensibilità del tuo amichetto?”

Nile prese un respiro profondo. “Nessuno conosce queste terre come voi,” disse con umiltà. “Uno dei ragazzi di Levi pensa che valga lo stesso per lui.”

Kenny inarcò le sopracciglia. “Dove vuoi arrivare?”

“Penso che Levi abbia passato quel tipo di conoscenza a Erwin,” concluse Nile. “Credo che si stia nascondendo come farebbe il suo braccio destro. Ho bisogno che voi-“

“È nella Città Sotterranea,” tagliò corto Kenny. “È un luogo chiuso ma in cui la vostra legge di merda non è mai arrivata. Lì sotto basta sapersi muovere per sparire e il ragazzo non può cadere morto stecchito per una coltellata. Sta sicuramente girovagando nell’ombra.”

“Lo abbiamo già cercato nella Città Sotterranea.”

Kenny rise, sinceramente divertito. “Cosa avete fatto, una passeggiata nel buio?”

“Abbiamo camminato per ore!”

“Non conoscete quel posto e tanto basta per rendere i vostri sforzi inutili.” Kenny si alzò in piedi. “E, con tutta l’intenzione di offenderti, tu non sei sveglio nemmeno la metà del tuo amico biondino.”

Nile boccheggiò scandalizzato, poi scosse la testa. “Mi serve il vostro aiuto, Capitano.”

“Oh, siamo passati ai titoli militari!”

“Capitano Kenneth Ackerman!” Nile era disperato e non poteva uscire da quella cella e tornare da sua moglie senza prima aver ottenuto qualcosa. Udiva ancora le parole di Jean, il modo in cui gli aveva dato del codardo e poi rivedeva il viso di Erwin quella notte, prima che lo salutasse un’ultima volta e sparisse nel nulla. “Ho bisogno del vostro aiuto e non c’è nessuna legge in tra queste Mura che mi possa permettere di fare quello che vi sto per chiedere, per una volta… Per questa volta non m’interessa! Devo riportare Erwin a casa. Non c’è in gioco solo il mio onore di soldato qui, ma anche di uomo.”

Kenny incrociò le braccia contro il petto e aspettò che il Comandante concludesse il suo monologo. Aveva diritto anche lui di essere al centro della scena una volta ogni tanto.

“Questa sera, un ragazzino di nemmeno sedici anni mi ha fatto sentire piccolo, inetto. La mia primogenita ha appena cinque anni meno di lui.” Quel pensiero aveva spinto Nile fuori dal suo letto, lontano da sua moglie nel cuore della notte. “Non posso tornare dalla mia famiglia, guardare i miei soldati negli occhi e affrontare di nuovo quelli Legione sapendo che non ho fatto nulla per Erwin Smith.”

Kenny storse la bocca in una smorfia. “Impressionante…”

“Ditemi dove-“

“Devo andare io,” lo interruppe il Capitano Ackerman.

Gli occhi del Comandante si fecero enormi. “Non se ne parla.”

Kenny scrollò le spalle. “Allora aspetta che il governo dichiari il biondino un ricercato e vediamo cosa succede.”

Nile strinse i pugni. Quell’uomo sarebbe stato capace di far saltare i nervi a chiunque, ma il modo in cui gli ricordava Levi - gli stessi occhi, lo stesso modo di porsi, di parlare - lo facevano quasi diventare pazzo. Non aveva importanza quanto Erwin e Hanji si disperassero, Nile non avrebbe versato una lacrima per il gatto randagio della Legione Esplorativa e non l’avrebbe mai ricordato come un eroe. Mai.

“Avete agito nell’ombra per decenni,” disse Nile. “Posso chiedervi discrezione?”

“Un prigioniero politico che non è presente nella sua cella non è molto discreto, Barbetta.

“Non vi preoccupate per questo,” gli assicurò Nile. “Trovate Erwin.”

“E io cosa ci guadagno?” Domandò Kenny. Non faceva niente per niente, era uno dei motivi per cui Levi si era sentito in dovere d’indagare sulla relazione tra lui e Uri.

Nile ci pensò e la risposta arrivò chiara e semplice. Non gli piacque, ma accettò il fatto che non sarebbe mai stato l’eroe di quella storia come lo era Erwin.

“Come ve la cavate con i ganci destri, Capitano?”



”Te lo scopi?”

Non poteva crederci. Non voleva crederci.

“Non sono affari tuoi.”

Gli parlò come se non si conoscessero da tutta la vita.

“Ti ho visto mentre lo baciavi.”

Aveva perso la calma ma il diretto interessato no.

“Non è un segreto. Puoi dirlo a chi vuoi.”

“Dirlo a chi voglio? Hai idea di che ripercussioni potrebbero esserci per la tua carriera?”

Non sapeva cosa gli dava così fastidio. Non poteva nemmeno indovinare chi avesse sedotto chi. Un gatto randagio e un giovane prodigio. 

Esistevano due creature più diverse in quel mondo folle?

“Ho avuto il dubbio che ti avrebbe rovinato nel momento in cui lo hai preso con te. Ora ne ho la certezza.”

Nessun dubbio. Nessuna inflessione.

“E allora cadrò. Ma se accadrà sarà con lui, non per sua mano.”




Erwin premette il palmo della mano contro il naso rotto, cercando di tamponare il sangue che colava copioso e gli sporcava i vestiti. Indossava gli stessi da giorni ed era impossibile avere un aspetto dignitoso in quelle circostanze. 

Tutto quello che sapeva della Città  Sotterranea lo aveva imparato da Levi, dai racconti della sua infanzia e di come era diventato il re di quel mondo senza cielo. Da lui aveva saputo degli incontri di lotta clandestini e, prima del crollo del Muro Maria, Erwin si era ritrovato a trascinarlo via da uno di questi.

Levi gli aveva urlato addosso non appena erano tornati a casa. 

“La Legione ha bisogno di soldi e io so dove trovarli!” Non aveva cercato di giustificarsi, solo di farlo sentire un idiota per il suo inutile salvataggio. 

“Non massacrandoti!” Era stata la replica di Erwin, allora solo un Capo Squadra. “Che cosa farai la prossima volta che volterò lo sguardo, ti prostituirai?”

Aveva esagerato. Aveva perso il controllo, ma i primi tempi con Levi erano stati così. Al tempo, il suo gatto randagio non aveva ancora parlato di Kuchel o non si sarebbe permesso di dire una cosa del genere, rabbia o non rabbia. Il loro legame non si era creato da solo e non si era stretto gratuitamente. Il destro che Levi gli aveva dato come replica gli aveva messo il dubbio che, forse, non era per lui che avrebbe dovuto preoccuparsi.

A differenza di Levi a suo tempo, Erwin non aveva rimesso piede in quel mondo di violenza e corruzione per un fine onorevole. Ogni soldo che aveva vinto - e in pochi giorni ne aveva vinti parecchi - lo aveva dato ai bisognosi che aveva incontrato lungo la strada. Non si cibava da giorni e non sentiva i crampi della fame, beveva quello che gli uomini che scommettevano su di lui gli passavano alla fine degli incontri. 

Grazie alla sua metamorfosi, stava riscoprendo il dolore fisico in un modo in cui nessun uomo avrebbe potuto esplorare. Nessuno si spiegava come potesse ripresentarsi ogni notte senza nessun segno addosso. La terza volta di seguito, anche Erwin aveva guardato se stesso e aveva provato timore per quello che era diventato e forse anche ribrezzo.

Era stata una preoccupazione passeggera. Il dolore, quello vero, era tornato a torturarlo non appena tutte le ossa erano tornate al loro posto. Così Erwin era tornato a fare botte con chiunque avesse abbastanza fegato da sfidarlo.

Si era fatto colpire, aveva permesso al suo avversario di fargli del male. Vinceva sempre ma non ne usciva mai indenne: non era quello lo scopo. Al suo posto, un uomo avvezzo al vino, si sarebbe ubriacato ogni sera. A Erwin non bastava, non dopo che era morto, il tipo di stordimento di cui aveva bisogno era diverso.

Non voleva morire. Kenny Ackerman aveva ragione: meritava di pagare fino alla fine dei suoi giorni.

Le ossa rotte, però, gli permettevano di avere un po’ di pace. Mentre il suo corpo urlava e s’impegnava per rigenerarsi, non gli restavano abbastanza energie per pensare a Levi. 

Quella notte non era andata come aveva sperato. Ne era uscito solo con un naso rotto e il suo avversario era crollato a terra dopo un destro dritto allo stomaco. Nessuno lo disturbava mai mentre strisciava nel buio e tornava nel rifugio che aveva trovato per se stesso: una casa abbandonata con appena una stanza. Anche quello era merito di Levi: gli aveva raccontato dove i più disperati potevano rifugiarsi, anche se era la zona peggiore in cui avventurarsi.

Erwin non sapeva se la sua fosse fortuna o se le sue imprese nella lotta avessero intimorito i banditi della zona in così poco tempo. Non se ne preoccupava. Nel suo rifugio, aveva trovato una vecchia coperta ridotta a brandelli e se l’era fatta bastare.

Per quando varcò la soglia della casa abbandonata, il naso era già tornato al suo posto. Per il resto della giornata, fino al prossimo scontro, Erwin sarebbe rimasto da solo con i suoi pensieri.

C’era un cattivo odore in quella stanza, le pareti erano scrostate e nere sugli angoli a causa dell’umidità. Non gli importava. Si avvolse nella coperta e si raggomitolò sul pavimento, poggiando la tempia contro il muro. 

Erwin non ricordava l’ultima volta che aveva dormito. I suoi pensieri erano pericolosi nel buio che lo circondava: prendevano vita propria in un modo più pericoloso di come gli era accaduto a casa.

Levi non tornava da lui come lo ricordava, ma sporco di sangue, fatto a pezzi, sfigurato. 

Erwin voleva punirsi e la sua mente faceva il possibile per accontentarlo.

Quella notte, con la stanchezza che calava su di lui pesante come la mano della morte, desiderò solo di non svegliarsi mai più.

Perse i sensi velocemente.

Fu una carezza tra i capelli a riportarlo alla realtà.

“Levi…” Era la voce di Hanji. Piangeva. “Levi, per favore…”

Perché lo stava pregano? 

Erwin aprì gli occhi e si ritrovò disteso su di un letto che non conosceva, con il suo Capitano chino su di lui. Non sapeva dove si trovava, ma la stanza era illuminata dalla luce del tramonto. Il viso di Levi era sporco di sangue e fango. Era più pallido del solito e la sua espressione tradiva un dolore e una stanchezza che Erwin non gli aveva visto addosso nemmeno nei loro momenti peggiori.

“Levi…”

Erwin non riusciva a vedere Hanji e non poteva muoversi per cercarla con lo sguardo.

“Lasciami da solo con lui, Hanji,” le chiese Levi.

Erwin inarcò le sopracciglia, provò a parlare ma non un suono uscì dalle sue labbra. Da qualche parte nella stanza, Hanji singhiozzò. Un istante dopo, comparve nel suo campo visivo, si chinò su di lui e gli diede un bacio sulla fronte. “Addio, Erwin…” Mormorò.

Il Comandante la chiamò, ma lei non la udì. Una porta che si apriva e richiudeva informò Erwin che lui e il suo Capitano erano rimasti da soli.

“Levi,” chiamò, ma l’altro continuò a guardarlo come se non avesse parlato.

“Hai tutti i capelli in disordine,” lo rimproverò Levi, stancamente. Riprese ad accarezzarglieli, a pettinarli come poteva. Le sue dita gli sfiorarono il viso. Erwin cercò di sollevare il braccio e afferrare la sua mano ma non ci riuscì.

“Non hai più nulla di cui preoccuparti,” disse Levi con tanta tristezza che al Comandante fece male. “Ci penso io adesso. Tu sei libero…”

“Levi?”

Il suo Capitano non gli rispose. Si voltò, afferrò qualcosa in fondo al letto, poi si bloccò, come se una lama invisibile lo avesse trafitto. Erwin lo guardò dischiudere le labbra per ingoiare aria, stringere gli occhi e imporsi un controllo che raramente aveva visto vacillare. 

Levi tornò a guardarlo e tutta la tristezza cristallizzata nelle sue iridi venne fuori in un singhiozzo strozzato: “Erwin…” 

“Levi, mi stai spaventando.”

Lo stava facendo sul serio. Erwin non lo aveva mai visto così e sentiva il bisogno di toccarlo, ma non poteva muoversi. Era come prigioniero di un corpo morto.

Levi si chinò su di lui, gli baciò le labbra, artigliando lo stemma sulla manica destra della sua divisa come se volesse ridurlo a brandelli. Le loro fronti si toccarono, mentre Levi graziava le sue labbra con le proprie ancora, ancora e ancora.

Non lo aveva mai fatto così disperatamente ed Erwin non lo aveva mai sentito tremare contro di lui in quel modo. 

Levi scivolò sul suo petto e vi rimase per quella che parve un’eternità. 

“Levi, sono qui!” Erwin stava urlando. “Guardami, sono qui!”

Il suo Capitano si allontanò da lui. Non era scesa nemmeno una lacrima sul suo viso, ma il dolore riflesso nei suoi occhi era qualcosa di terribile. 

“Levi, ti prego…”

“Non dimenticherò,” mormorò Levi. “Te lo prometto, Erwin.”

“Levi!”

Il Capitano lo coprì con il mantello della Legione Esplorativa e se ne andò.

Solo allora, Erwin riuscì a spezzare l’immobilità del suo corpo.

“Levi!” Urlò, tirandosi a sedere. 

Il mantello cadde a terra, ma la stanza non era più la stessa. La finestra accanto al letto era sparita e così la luce calda del tramonto. Era buio, tanto che Erwin non fece un passo per paura di cadere nel vuoto.

“Kenny…” Pianse una voce da qualche parte, nell’oscurità.

Erwin cercò di guardare meglio. “Levi?” Chiamò, tentando qualche passo insicuro nel buio.

“Ti prego, Kenny…” Non c’era dubbio che fosse la voce di Levi ed era rotta e flebile come quella di un bambino in lacrime.

“Levi.” Erwin sollevò il braccio destro. “Levi, mi senti? Sono qui!”

Il suo Capitano continuava a piangere nel buio, come se non potesse udirlo.

“No, basta… Basta...”

“Levi, sono io!” Disse con tono implorante, disperato. “Sono qui! Rispondimi!”

Sentiva il respiro veloce e frammentato di Levi. Udiva i suoi singhiozzi e poteva quasi percepire il suo tremore. Non aveva importanza che fosse un incubo, Erwin non poteva sopportare che soffrisse così.

“Levi!”

”Basta!” 

Quell’urlo fece tremare la terra. Erwin poggiò un ginocchio a terra, terrorizzato, mentre l’eco della voce di Levi rimbalzava contro le pareti nere. Si premette le mani contro le orecchie e strinse le palpebre.

“Smettila, Levi,” lo implorò. “Smettila, ti prego!”

Qualcosa andò in pezzi, poi tornò il silenzio.

Erwin aprì gli occhi con cautela. 

Il paesaggio era cambiato una seconda volta: era di nuovo nel deserto, sotto il cielo stellato che si era ritrovato a fissare nel suo primo sogno da Titano. All’orizzonte, una luce verdastra usciva dal terreno, diramandosi verso la volta celeste come un enorme albero luminoso. L’eco del dolore di Levi era sparito, sostituito da un senso di pace che a Erwin era completamente estraneo.

Affondò le dita della mano destra - quella che non avrebbe dovuto avere - nella sabbia e la sentì tiepida sotto le dita. 

Un’altra comparve nel suo campo visivo e gli afferrò il braccio timida e tremante.

“Comandante…”

Erwin sollevò gli occhi e ne incontrò un paio verdi, dalle sfumature bluastre. La prima volta, non lo aveva riconosciuto, ma ora non esitò a chiamare il suo nome.

“Eren…”



Il sogno andò in pezzi e il Comandante si svegliò. 

 
   
 
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