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Autore: Kerberos 1001    05/11/2019    0 recensioni
Alcuni la chiamano sfortuna, altri predisposizione. Per alcune persone è segno di grandi capacità, per altre l'occasione di diventare eroi. James Taron Bartoli non possiede una definizione precisa per ciò che gli è accaduto. Quello che vorrebbe sapere, quello che cerca ogni volta che si trova coinvolto suo malgrado in situazioni simili, è se riuscirà a farne uscire i suoi uomini.
Possibilmente intatti ...
Genere: Avventura, Guerra, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ajax 2 faceva parte di quella regione che il Comando alquanto boriosamente definiva Spazio Colonizzato, quasi che la guerra ormai decennale contro i Dakran fosse già stata vinta!
Quanto di più simile ad uno scoglio sperduto nello spazio si potesse sperare di trovare nell'intera galassia, con un'atmosfera poco più spessa di un'unghia e carente d'ossigeno, era senza alcun dubbio un luogo ameno che orbitava placidamente attorno ad una nana rossa talmente esausta che faceva fatica a sorgere ogni mattina, ma
a Bartoli piaceva: se non altro, era un posto tranquillo e non c'era nemmeno l'ombra di un Kyllain!
Il generale Khorov doveva quasi essere schiattato dalla gioia, quando la Corte Marziale che aveva condannato il colonnello e i suoi uomini ad un anno di lavori forzati, da scontare in un campo di massima sicurezza, aveva accolto il suo suggerimento di inviarli proprio lì, su Ajax 2; se solo avesse potuto immaginare che quella, per loro, era quasi meglio di una licenza...
«Colonnello! Presto, venga qui!»
Largo! Idiota! Dopo tutti quegli anni, non aveva ancora imparato che non bisogna urlare, quando s'indossano caschi muniti di radio.
«Marcus, la prossima volta che cercherai di sfondarmi un timpano ti assicuro che sarà anche l'ultima!» rispose lui in tono normale, tanto per far capire al sottoposto che non stava affatto scherzando: «E poi, cosa ci sarà mai di tanto eccitante nel far brillare una carica di prospezione...»
«La grotta che l'esplosione ha aperto, signore.»
Questo era Vapula, calmo e preciso come solo lui sapeva esserlo. 
Quando ripensava alle circostanze del loro primo incontro con l'alieno, a Bartoli venivano i brividi.
«Che grotta?»
«Forse è meglio che venga a vedere personalmente, colonnello.»
Aria di guai; maledizione, ma perché sempre e soltanto a lui?!
«D'accordo! Vapula, raduna gli uomini all'entrata e bada che nessuno si ficchi nei guai curiosando in giro per
conto proprio: sto arrivando!»
«Bene, signore, l'aspettiamo.»
Raccomandare ad un tale branco di scalmanati di rimanere fuori dei guai?!
Una parola! D'altra parte, in quali guai potevano incorrere su di un pianeta morto?
Nessuno ovviamente, a parte gli incidenti di miniera e le occasionali risse tra detenuti!
E allora perché mai quella piccola parte del suo cervello dedicata espressamente all'autoconservazione continuava insistentemente a prospettargli l'immagine di quel dannatissimo uovo?
Forse perché erano stati proprio loro a far sì che si schiudesse? Rabbrividì. Molto meglio non pensarci, soprattutto in un momento come quello!

«Sentiamo: come diavolo ci siete riusciti?!»
Il comandante del campo, accorso anche lui al cancello della cupola alla notizia del loro rientro, aveva gli occhi fuori dalle orbite per lo stupore.
Il colonnello fece spallucce, per nulla imbarazzato: «Ecco, vede, signore, abbiamo trovato questo blocco di
roccia che resisteva alle cariche, proprio nel punto in cui gli scanner indicavano del minerale, così abbiamo deciso di forzare un po' la mano e... Ci è franato addosso! Diamine! Per poco quell'affare non ci ha fatto diventare parte integrante del paesaggio!»
L'affare di Bartoli altro non era che un blocco di palladio grezzo di forma vagamente ellissoidale, cavo - piccola imperfezione che non ne diminuiva minimamente il notevole valore! -­ del peso approssimativo di sette tonnellate, che giaceva ben assicurato sul pianale di carico del suo ATT: guardare direttamente la superficie
lucida della gigantesca pepita nella luce del sole morente era quasi doloroso.
«Ah! Quasi me ne dimenticavo, signore! È palese che questo non si tocca: noi l'abbiamo scavato e noi lo teniamo!» commentò Bartoli mentre procedeva, con l'aiuto dei suoi uomini, a scaricare: con la tuta da lavoro
potenziata, dotazione standard per le operazioni al di fuori della cupola, sollevare una tonnellata a testa diventava uno scherzo!
«Colonnello Bartoli, lei non può...»
«Posso eccome, invece!» Bartoli bloccò la protesta dell'altro sul nascere: «Il rischio che abbiamo corso merita una ricompensa! Altrimenti, potrei essere tentato di riferire al Comando che, dietro vostro ordine diretto, io
e i miei uomini siamo stati mandati in una zona totalmente priva di minerali economicamente rilevanti ma
abbondantemente fornita di pericoli. Dubito che Khorov approverebbe, non crede anche lei?»
Per una volta tanto, la scortesia verso il Vecchio era perfettamente voluta.
Arrivati a quel punto, il capitano Kelmann avrebbe voluto imporsi ma, saggiamente, si limitò a tacere.
Il pianeta penale di Ajax 2 era il ricettacolo della peggiore feccia delle Forze di Spedizione, una vera e propria cloaca che vantava il più vasto assortimento nell'intera galassia conosciuta di "soggetti mentalmente deviati e socialmente pericolosi" malauguratamente capitati in forza alla flotta, al punto che Kelmann era fermamente
convinto del fatto che, fra tutte le carceri di massima sicurezza sparse in giro per la galassia dalle A.E.F., quello sotto il suo comando fosse l'unico campo di lavoro ad annoverare una compagnia al completo di blindati d'assalto tra le misure anti-evasione.
Soggetti mentalmente deviati e socialmente pericolosi: quell'asettica definizione era stata scelta dai burocrati del comando perché adatta a descrivere assassini seriali, sadici e stupratori in genere, sebbene nel caso degli internati di Ajax 2 si trattasse, secondo il suo modesto parere di ufficiale, di individui che sarebbe stato più utile, economico e sicuro gettare a consumarsi senza tuta nel nucleo di qualche stella remota; ma loro non erano barbari, erano militari, o così almeno proclamava l'Alto Comando.
Ciononostante, Bartoli e i suoi erano stati spediti proprio lì per scontare un anno di pena, condannati per aver abbandonato senza permesso la loro ultima assegnazione ed essere spariti per mesi senza dare notizie: si trattava certamente di un crimine piuttosto grave, ma Kelmann aveva saputo, grazie ad alcuni suoi contatti, che erano state tenute in conto numerose attenuanti, connesse a quel che era accaduto su quel pianeta nelle retrovie...
Fatti piuttosto inquietanti, aveva sentito dire, secretati, nei quali il colonnello aveva avuto parte attiva, ragion per cui la Corte Marziale aveva decretato la prigionia invece della consueta pena di morte.
Gli eroi della flotta, come aveva tenuto a presentarli personalmente a tutto il campo riunito il generale Khorov, solo un paio di giorni prima del loro sbarco e Kelmann, ogni tanto, ancora si chiedeva come avesse fatto il superiore a non vomitare fiele e veleno mentre letteralmente sputava quelle ultime parole dallo schermo della sala comune!
Del resto, l'arrivo del colonnello e dei suoi sei uomini nella loro allegra famigliola era già stato casualmente ampiamente reclamizzato per settimane dalle guardie tra i detenuti -­ in via del tutto non ufficiale, ovviamente! - ed aveva visto un nutrito numero di quelle mammole formare un agguerrito comitato di benvenuto, oltremodo
ansioso di accoglierli con tutti gli onori dovuti a personaggi tanto importanti e di riguardo: considerati i preparativi dei membri del comitato e considerato anche il fatto che, se avesse tentato di fermarli, presto o tardi lui stesso sarebbe letteralmente finito sul menù del cuoco, Kelmann si era accinto alla noiosissima trafila necessaria a segnalare i sette prossimi decessi e all'ingrato compito di dover raccogliere e cernere i resti per rispedirli alle rispettive famiglie; il tutto con molta, moltissima pazienza: con un rapporto di sette a uno per i detenuti, i pezzi sarebbero stati davvero molto piccoli...
Risultò che si era sbagliato di grosso: in qualche modo, Bartoli e i suoi ne erano usciti illesi!
Badate bene: non vivi e basta, cosa che già sarebbe stata di per sé incredibile.
Illesi, senza neppure l'ombra di un livido!
«Siamo veterani» era stata la calma constatazione del colonnello, intento a spazzolarsi la divisa: «È stato divertente, ma sarebbe alquanto scocciante se un fatto simile dovesse ripetersi. Ora, capitano, vorrebbe indicarci i nostri alloggi e spiegarci il regolamento del campo, per favore?» aveva chiesto cortese dopo un saluto impeccabile. Vapula, quello alto e biondo, pallido come un morto, la divisa non l'aveva neppure sgualcita...
In compenso, tutti i loro avversari avevano trascorso i successivi due mesi in un letto d'ospedale, imboccati dalle infermiere, i pochi miracolati che ancora potevano ingurgitare cibi solidi o liquidi; gli altri... beh, mettiamola così: per fortuna, il progresso della scienza medica aveva prodotto, ormai da decenni, delle ottime e avanzatissime flebo di glucosio e proteine!
Veterani o meno, comunque, dopo quella volta nessuno si era mai più azzardato ad infastidirli, negli undici mesi trascorsi, anche perché durante tutto quel periodo si erano comportati da perfetti gentiluomini ed ufficiali, lavorando più e meglio degli altri detenuti: era come se quello, per loro, non fosse un campo di prigionia bensì
uno stramaledettissimo villaggio vacanze!
Ed ora, proprio quando mancava poco meno di un mese al loro rilascio, il colonnello Bartoli se ne usciva con quella sua folle pretesa di tenere per sé e per i suoi uomini, quanto, l'equivalente di un anno di paga di tutta la flotta in palladio?!
Sicuro! E, dentro di sé, Kelmann era quasi certo che ci sarebbe riuscito!
Accettata la situazione e messasi in pace la coscienza, il capitano pose la domanda che incuriosiva lui e sicuramente tutti coloro che erano presenti in quel momento sul piazzale antistante l'ingresso nord della cupola: «Ma come lo portereste via? Nella navetta non ci entrerà mai!»
Persino Bartoli sembrò titubante riguardo a quel punto: «Oh, non si preoccupi capitano, un modo certamente lo troveremo!» rispose infine, liquidando la questione con un'alzata di spalle: «Ora, se permette, ho proprio bisogno di un buon sonno! Arrivederci, Kelmann!»
Ciò detto, si avviò tranquillo verso il magazzino dell'attrezzatura per depositare la tuta, tappa obbligata prima di poter raggiungere le baracche del dormitorio, seguito dai suoi sottoposti come da tanti cagnolini adoranti.
Ovviamente, questo Kelmann ebbe il buon senso di non dirlo. Gettando un'ultima occhiata alle schiene del gruppo che si allontanava, per una qualche strana ragione ebbe la spiacevole sensazione che forse avrebbe fatto addirittura meglio a non pensarlo: con uno come Bartoli non si poteva mai sapere...

«Bentornati a casa, ragazzi! Cosa posso servirvi?»
«Spiritoso come sempre, vero, Igor? Come se ci fosse da scegliere!»
Igor Kerensky, il cuoco, costituiva un curioso esemplare di russo: era completamente astemio, con buona pace degli stereotipi e dei luoghi comuni.
Caracollando sulla sua protesi, la sua gamba di legno, come amorevolmente la chiamava lui, quando non le bestemmiava dietro ad ogni singolo cigolio, aggirò il bancone della cucina e cominciò a versare mestolate di zuppa sintetica nei piatti: «Ecco qua! Oggi doppia razione! Mangiate, vi farà bene!» li incitò, sorridendo come solo lui sapeva fare.
«Ciò che non ti uccide...» citò Bartoli, raccogliendo una cucchiaiata di brodaglia per lasciarla poi ricadere nel piatto: la traiettoria seguita dalla zuppa avrebbe fatto la gioia di un fisico teorico.
«Però! È veramente fantastica, questa roba! Potremmo turarci le falle nello scafo dopo le battaglie, colonnello!» commentò il giovane Lazlo, che stava vanamente cercando di capire perché la sua, di zuppa, opponesse al cucchiaio una resistenza alla penetrazione nettamente maggiore di quella opposta ad un missile da una lastra di
corazzatura composita spessa mezzo metro.
«Già! Brevettala, Igor: potresti diventare miliardario!» Marcus Largo, invece, sobrio come sempre, si limitò ad allontanare da sé la scodella, come se contenesse scorie radioattive invece di cibo.
Senza perdere neppure un'oncia del suo buonumore, il vecchio Igor scosse la testa: «State forse insinuando che non so cucinare, ragazzi?» chiese, con solo una lieve traccia di retorica nella voce.
Impossibile equivocare sull'inevitabile risposta. Igor allargò il sorriso e le braccia in un gesto di scuse: «Allora d'accordo: da domani tutti a dieta!»
Dalla squadra di Bartoli si levò un gemito sconsolato. 
«In fondo questa roba non è poi così tremenda, Igor: per uno che abbia avuto la fortuna di nascere privo di papille gustative, è quasi commestibile!»
«Lo considererò un meritato complimento alla mia modesta arte culinaria, colonnello!»
Gongolante, Igor si avviò nuovamente verso i fornelli, solo per tornare a voltarsi dopo tre cigolii di protesi: «A proposito di abilità! Ho sentito del trambusto, poco fa: che avete combinato oggi? Kelmann e i suoi ci hanno riprovato, per caso?»
«No, Igor: ci hanno semplicemente mandato nel vallone Ares con la speranza inespressa che vi rimanessimo a lungo, possibilmente in eterno. Noi, invece, da bravi guastafeste, siamo tornati per l'ora di cena.» Lo sguardo di Bartoli cadde sul piatto che gli stava davanti: fredda, la sua cena aveva assunto l'aspetto e la consistenza di un
blocco di calcestruzzo. Il colonnello represse un brivido di disgusto: «Comincio a chiedermi seriamente se non avremmo fatto meglio a rimanere laggiù un po' più a lungo...»
«Ma colonnello! Sa benissimo che per lei e i suoi uomini la cucina è sempre aperta!» si affrettò a rassicurarlo Igor.
Bartoli alzò gli occhi al cielo: «Cosa mai avremo fatto per farci odiare così? Beh, buonanotte, Igor! A domani!»
«Buon riposo, colonnello! Lo sa? Anch'io sono davvero curioso di sapere come farete a portare via quella pepita!»
Bartoli incassò la frecciata del cuoco limitandosi ad uscire dalla mensa, seguito a ruota dagli altri; non poteva permettersi di picchiare Igor: come cuoco era abominevole, certo. Purtroppo, però, era anche l'unico che avevano!

«Colonnello, io e i ragazzi pensavamo di stare fuori per un paio di giorni...»
Il capitano Marcus Largo era un gorilla di due metri e dieci per uno e mezzo di spalle, un ammasso di muscoli dalla radice dei capelli alle unghie dei piedi, forte a sufficienza da sollevare la scrivania con il colonnello e tutto il resto e lanciarla attraverso la finestra: non molto tempo prima, infatti, Bartoli l'aveva visto sfidare a braccio di ferro, per scommessa, uno dei servo-robot della base. Dopo una strenua lotta durata una decina di minuti, Largo aveva perso e aveva dovuto scucire una bella sommetta agli amici, questo è vero, ma dopo quell'incontro il manipolatore del robot aveva dovuto essere sostituito!
In quel preciso momento, però, lungi dall'essere l'ufficiale spavaldo e reattivo che si era conquistato sul campo la fiducia del suo superiore ­- tralasciando le sue svariate decorazioni! -­ se ne stava in piedi sull'attenti a capo chino, occupando buona parte dello spazio libero tra la scrivania di Bartoli e la porta del suo ufficio e parlava
a voce bassissima, rivolto più ai propri piedi che al colonnello, quasi fosse in castigo o temesse una punizione: evidentemente, unico in tutte le A.E.F., Bartoli riusciva a metterlo in soggezione...
«Fuori, Marcus?» chiese Bartoli, curioso, suo malgrado, di scoprire cosa avessero architettato questa volta quei matti della sua squadra.
«Sì, signore: ci hanno concesso tre giorni di licenza e così... Il pianeta è bello, colonnello e volevamo dargli un'occhiata, prima di essere trasferiti nuovamente!»
J. T. Bartoli si voltò a guardare fuori dalla finestra, facendo scricchiolare la poltrona. «Effettivamente, è proprio un bel posto... D'accordo, capitano! Mi hai convinto! Prepara l'ATT e andiamo!»
«Sissignore! Grazie signore!»
Un rapido ma perfetto saluto, seguito da un impeccabile dietro-front e Largo si era precipitato fuori dall'ufficio al colmo dell'entusiasmo. Solo molto più tardi, quando ormai tutto era pronto, notò il noi nella frase del colonnello.
Poco male: Bartoli sapeva essere un ottimo compagno, senza la divisa.

«Avete già scelto una meta?» chiese Bartoli, sgolandosi. In genere, gli ATT erano scoperti, riparati unicamente da un parabrezza, e farsi sentire al di sopra del frastuono congiunto del motore e del vento senza urlare era virtualmente impossibile.
«Sì, signore! Pensavamo di esplorare il Mezzo Uovo!» urlò di rimando Largo.
«Il che vuol dire almeno un altro paio d'ore di questa tortura. Ti odio, Marcus!»
«Lo so signore, ma non è colpa mia se il suo servo-robot era così deboluccio! La prossima volta, si assicuri di farlo revisionare e mettere a punto a dovere, prima di scommettere: eviterà di bruciare la vincita in riparazioni!»
Nonostante il fracasso assordante, la loro risata risuonò chiara nell'aria limpida e fredda del mattino.
Mezzo Uovo era il nomignolo affibbiato dalle squadre di ricognizione che stavano cartografando il continente ad una collina verdeggiante che sovrastava di cinquecento metri buoni il territorio circostante e che già serviva da punto di riferimento e di triangolazione per le innumerevoli missioni scientifiche e militari con base in quella regione. È vero che la memoria dei sistemi di navigazione inerziale di tutti i mezzi sbarcati sulla superficie del pianeta conteneva una mappa dettagliata, ottenuta per mezzo della rete satellitare posta in orbita direttamente dalle navi che costituivano il gruppo di colonizzazione, prima ancora di far scendere a terra gli shuttle con le squadre operative, ma l'abitudine a controllare di persona, basandosi sui propri occhi, era ciò che aveva reso l'uomo ciò che era, e per quanto ne sapevano gli scienziati da quando avevano incontrato le prime razze aliene dopo la partenza dal sistema Sol, costituiva un tratto evolutivo decisamente comune e diffuso in buona parte della galassia; ecco perché tutti, lasciando il campo base, cercavano comunque dei riferimenti visuali per tracciare la rotta. Anche le squadre di ricognizione!
In quest'ottica, quella del Mezzo Uovo costitutiva una scelta obbligata, proprio perché quel rilievo era unico sotto più di un aspetto, primo fra tutti la sua stessa esistenza: sorgeva bruscamente, ripido e scosceso, da un tavolato roccioso perfettamente piano per chilometri e chilometri all'intorno, risaltando come una macchia di colore su di una parete candida; in secondo luogo, la sua stessa regolarità: prescindendo dalle inevitabili piccole asimmetrie dovute a frane, smottamenti ed erosione, visto dall'alto il rilievo presentava una sezione pressoché circolare, mentre da terra risultava vagamente ellittico; terza stranezza, per citare solo quelle più importanti, un ruscelletto stentato serpeggiava fra la bassa vegetazione arbustiva che cresceva a fatica lungo i suoi fianchi per poi perdersi lontano nella pianura. Un ruscello senza sorgenti apparenti: ricerche approfondite avevano stabilito che l'acqua fiottava giù dal bordo affilato di un laghetto che occupava buona parte della cima piatta della collina, spiegazione che evidentemente si limitava a spostare un gradino più su la questione: cosa alimentava il lago? Probabilmente, col tempo, qualcuno di veramente interessato alla soluzione del mistero lo si sarebbe anche potuto trovare ­- un paio di geologi, a seguito di una scansione effettuata per saggiarne la composizione, trovandola identica a quella del tavolato, aveva ipotizzato senza troppa convinzione che si trattasse di un qualche genere di fenomeno vulcanico di tipo sconosciuto, simile alle protrusioni solide della Martinica, sulla Terra - ma il Comando delle A.E.F. aveva fretta di vedere terminati i lavori di costruzione della nuova base logistica avanzata, così che, all'arrivo di Bartoli, la collina si poteva ancora considerare pressoché vergine e inesplorata. Un'occasione veramente imperdibile per un gruppo di ufficiali capaci in cerca di svago, durante la loro prima vera licenza dopo molti mesi di estenuante servizio!
I bagagli non erano ancora stati scaricati che Marcus, raggiunto il bordo del laghetto, si era tuffato, dirigendosi con possenti bracciate verso il fondo. Era riemerso dopo appena un paio di minuti: «Colonnello! È tutto metallo! Va giù dritto per una decina di metri poi si interrompe bruscamente. Sembrano esserci degli oggetti tondeggianti che sporgono dal fondo, coperti di alghe e quello al centro si direbbe proprio una qualche specie di boccaporto...»


Arrivato a questo punto, Bartoli immancabilmente si svegliava sudando freddo: non urlava, questo no, sarebbe stato poco dignitoso per un ufficiale, ma la voglia di farlo era tanta!
"Ma non c'è nulla di spaventoso in un sogno del genere!" avrebbe detto chiunque non fosse stato là con loro, durante quel periodo...
Vero. Anzi, verissimo! 
Perché lo spaventoso veniva dopo, ed era talmente al di là della più fervida e morbosa immaginazione che almeno il suo subcosciente aveva il buon senso di impedirgli di rivivere il seguito.
L'avesse avuto anche allora, da sveglio!

II mattino successivo, il campo base di Ajax 2 era in subbuglio.
Uscendo dalla baracca che occupavano da soli perché, dopo la solenne ripassata ricevuta quel famoso primo giorno, nessun altro detenuto aveva acconsentito ad essere assegnato alla loro camerata, forse temendo che Bartoli potesse serbare rancore, il colonnello e i suoi uomini si trovarono di fronte Kelmann e il suo vice, intenti a discutere con un Igor talmente pallido che la sua pelle faceva pendant col bianco dei capelli.
«...Non lo so capitano! Io sono andato a portare loro il vassoio col caffè e la colazione, come al solito... e li ho trovati così! Devo aver urlato, credo, poi sono subito corso ad avvertirla.»
«E non hai visto o sentito niente?» Il vice di Kelmann, Harris, sarebbe sicuramente stato meglio tra i detenuti piuttosto che al fianco del comandante del campo, cosa che, senza alcun dubbio, dava un'idea abbastanza precisa della situazione generale lì, su Ajax 2. 
«Io... no signore, niente. Dannazione! Non mi sono neppure reso conto di aver lasciato cadere il vassoio con tazze e piatti, finché non sono giunto da voi!»
Kelmann si fermò un istante a considerare in silenzio la deposizione del cuoco poi: «Va bene, va bene, Igor; torna pure in cucina: tra poco inizia il primo turno.»
«Sissignore! Capitano, tenente...» Il cuoco salutò e caracollò via dai due militari più in fretta del solito, infilando la porta della sala mensa alla massima velocità consentitagli dalla protesi. Sembrava molto spaventato; peggio ancora, Kelmann e Harris sembravano spaventati: Bartoli sentì puzza di guai.
«Meglio tenersi pronti ragazzi: maretta in arrivo!» sussurrò agli altri.
«Se questa è maretta, colonnello, non voglio vedere l'uragano!»
Detto da Vapula, aveva il suono lugubre di una campana a morto.
Che splendido inizio di giornata!

Poco alla volta, lungo tutto il corso della giornata, le notizie erano giunte loro all'orecchio, più o meno attendibili; ma fu solo a sera, dopo il buio, che la squadra di Bartoli poté riunirsi nella propria baracca e tirare le somme.
«MASTICATI?!» Bartoli stava guardando il capitano Largo come se si trattasse di una qualche strana specie di insetto alieno.
«Proprio così, signore: masticati! Kelmann e Harris hanno cercato in tutti i modi di far passare la cosa sotto silenzio ma sa com'è, il campo è piccolo e la gente mormora...»
Bartoli annuì, distratto; sapeva benissimo cosa succedeva in casi come quello: in certe occasioni, i detenuti si comportavano peggio di un branco di vecchie pettegole di paese!
Ciò che gli ufficiali in comando avevano cercato inutilmente di tenere nascosto, era la sorte dello sventurato picchetto di guardia incaricato di sorvegliare l'ingresso nord della cupola pressurizzata che ospitava il campo di lavoro: qualcuno durante la notte aveva eliminato l'intera squadra, senza che nessuno si accorgesse di niente prima che Igor si venisse a trovare, il mattino seguente, davanti al fatto compiuto.
Otto uomini in tenuta da combattimento, interfacciati con ogni possibile sistema sensorio presente all'interno e all'esterno del campo, erano stati masticati, letteralmente sgranocchiati come un pacchetto di noccioline: ce n'era abbastanza di che suscitare qualche perplessità!
Se si fosse poi tenuto conto del fatto che Ajax 2 era, a tutti gli effetti pratici, un deserto privo della benché minima traccia di vita indigena, a parte forse qualche microscopico batterio sopravvissuto chissà per quale miracolo; che il picchetto si trovava come sempre all'interno della cupola corazzata, visto che tutti consideravano inutile sprecare preziosa aria respirabile per sventare minacce che potevano verosimilmente provenire unicamente dalle rocce e che della sua dotazione da combattimento faceva parte uno dei famosi blindati d'assalto normalmente destinati al supporto campale a lungo raggio, veniva davvero la voglia di piantare tutto quanto e andarsene, magari non proprio così di corsa come il vecchio Igor, ma sicuramente a velocità più che sostenuta.
«Non ne avremo dimenticato in giro qualcuno, colonnello?»
Era la prima volta che Bartoli avvertiva una nota di paura nella voce di Largo.
«No, Marcus. Ricordi? Ne erano scappati quattro e Vapula è stato così gentile da radunarli per noi nell'Arena.» Bartoli si passò una mano fra i capelli, che portava corti e ben curati come tutti i militari. «E poi avrebbero agito in modo ben diverso!» sbottò.
«Sì, se fosse stato un Kyllain, a quest'ora staremmo ancora chiedendoci cosa ci avesse ucciso prima: se lui o la decompressione esplosiva della cupola!»
Bartoli sospirò: Axel Lazlo, ancorché giovanissimo, era un ottimo elemento; certo, aveva quella fastidiosa tendenza a minimizzare sempre tutto, ma non si può pretendere la luna dai propri uomini!
«Vapula, tu che ne pensi?» chiese, serissimo, all'alieno.
«Penso che non abbiamo dati sufficienti, signore. Il fatto che tutto questo pasticcio sia avvenuto dopo che abbiamo aperto la grotta, però, dà da pensare.» rispose quello calmissimo, senza alzare lo sguardo dal manuale che stava leggendo sul visore personale. Vapula, ovviamente, non era il suo vero nome: visto che quest'ultimo risultava virtualmente impronunciabile per chiunque, l'aveva assunto perché potessero rivolgersi a lui con qualcosa di diverso da un "Ehi, tu!", dopo aver diligentemente compulsato l'intera biblioteca elettronica di bordo della nave-prigione, durante il viaggio che li aveva condotti fin laggiù a seguito della condanna.
Perché poi avesse scelto proprio quello di uno dei principi infernali della demonologia cristiana, per Bartoli rimaneva comunque un mistero: "Da quello che ho letto, è perfettamente in tema con il mio carattere e il mio modo di essere! Mi piace!" era stata la preoccupante risposta che aveva ricevuto, l'unica volta che se l'era sentita di indagare in proposito...
In piedi, appoggiato mollemente allo stipite, alto, magrolino e pallido com'era, l'alieno non appariva particolarmente pericoloso: somigliava in tutto e per tutto alla classica caricatura dell'ufficiale dandy che potevi trovare nelle riviste. Secondo il colonnello, questo suo modo dimesso di apparire costituiva una scelta deliberata, tesa a farsi sottostimare da tutti quelli che lo circondavano, in particolar modo dagli avversari: durante il loro primo incontro, quando ancora non sapevano che stavano entrambi dando la caccia alla medesima preda, al sedicente Vapula era stato sufficiente puntare un dito verso di loro per vaporizzare letteralmente una mezza dozzina dei loro migliori veicoli multiruolo da combattimento, ricordò Bartoli sudando freddo. Di sicuro, una valida dimostrazione di quanto contassero, alle volte, le apparenze...
Perché si era unito a loro, quella volta? "Ecco una buona domanda per te, James." si disse il colonnello.
E perché aveva insistito tanto per essere internato in quel fetido buco dell'universo, lui che non c'entrava assolutamente nulla con le Forze di Spedizione, col Morpho-11 e con i Dakran? "Direi che questa è una
domanda persino più interessante della prima, James, amico mio!
"
«Hai ragione! Mi ero completamente dimenticato della stramaledetta grotta!»
«Dio, no! Non avremo per caso trovato un altro uovo, vero?»
«Sempre ottimista tu, eh, Layla?»
Lei socchiuse gli occhi: «Colonnello, quel... quell'oggetto che abbiamo trovato nella diramazione, la pepita:
era chiuso, ne sono sicura, sicurissima. Quando siamo tornati, invece...»
«Si era aperto, lo so; ma un blocco di palladio non può schiudersi a quel modo, lo sai anche tu: forse si è
trattato di un fenomeno naturale, una bolla di gas che, con le particolari condizioni esistenti qui...»
«Un blocco di palladio non può contenere sacche di gas, colonnello! Un blocco naturale, per lo meno...
E comunque, anche se ne contenesse, non esploderebbe a quel modo, lo sa benissimo anche lei! Quella cavità, poi, è liscia e perfettamente sferica, come se fosse stata rifinita a macchina...»
«Ed è poco più grande di un pallone da basket: spiegami tu cosa può aver contenuto!» la sfidò il colonnello.
Lei abbassò lo sguardo: «Non lo so, ma ho una gran paura di scoprirlo!»
Si lasciò cadere sulla branda, dove rimase seduta in silenzio, a capo chino; compagna solitamente allegra e
dolcissima, Layla Pedersen era anche splendida e capace di suscitare reazioni … amichevoli … in chiunque le posasse gli occhi addosso. Carrozzeria fuori serie a parte, era un fisico, un ingegnere ed un pilota di prim'ordine, oltre ad  essere un ottimo ufficiale: Bartoli si era sempre ritenuto molto fortunato ad averla avuta come sottoposto prima e come amica poi, sin dal giorno in cui si era presentata nel suo ufficio a bordo dell'incrociatore, timida, fresca di nomina e un po' impacciata, per il colloquio di rito.
Più di una volta, da allora, il colonnello ­ e con lui tutti gli altri membri della squadra ­ si era professato suo
paladino e difensore, un po' per spirito romantico, cavalleresco, un po' per scherzo, e lei aveva accettato, anche
se sapevano perfettamente entrambi, senza che ci fosse bisogno di dichiararlo apertamente, che lui avrebbe dato
la vita, per lei, per loro, senza ripensamenti o incertezze: Layla e gli altri quattro sopravvissuti alla distruzione del Vieris, sei anni prima, costituivano ormai la sua unica famiglia.
Vederla triste e spaventata lo faceva star male, ma non era certo quello il momento di consolarla e poi Axel le
si era già seduto accanto abbracciandola stretta e carezzandole dolcemente i capelli: «Bene! Adesso statemi
a sentire, ragazzi! Quello che sappiamo di tutta questa storia è ancora dannatamente troppo poco per farci un
quadro chiaro della situazione; perciò dobbiamo darci da fare e raccogliere quante più informazioni sarà possibile. E in fretta, perché ho la brutta sensazione che ne vada della nostra vita!»
Improvvisamente, Bartoli sorrise, o meglio, ghignò: «Questa mattina Igor non ha detto tutto:
chi s'incarica di fornirgli la possibilità di rimediare?»
«Questo comprende l'obbligo di trangugiare la sua sbobba, colonnello?»
«Tu non dovresti avere problemi a farlo, François: non hai mai saputo cosa voglia dire mangiar bene! Comunque, grazie per esserti offerto volontario!» Il ghigno di Bartoli si allargò.
«Ma, colonnello! Non può... Oh, merda! E va bene, vado! Ma sappia che mi avrà per sempre sulla coscienza!»
«D'accordo, d'accordo, quante storie! Vorrà dire che a missione conclusa ti proporrò per una medaglia!»
«Alla memoria, François, alla memoria!» sghignazzò Axel, ancora seduto accanto a Layla.
"Quel ragazzo sta diventando un pochino troppo sarcastico." pensò Bartoli: "Che passi troppo tempo con Vapula?"


Quale che fosse la verità, alla prova dei fatti risultò che il buon Lazlo non si era poi sbagliato di molto: alla fine,
François fu costretto a fare il suo rapporto da un lettino dell'infermeria, non appena si fu rimesso a sufficienza
da poter parlare, dopo che i medici l'avevano sottoposto ad una lavanda gastrica e ad un vigoroso lavaggio
totale del sangue per prevenire ulteriori rischi d'intossicazione.
Purtroppo per lui, se già Igor cucinava male quand'era allegro e rilassato, i piatti usciti dalla sua cucina quand'era spaventato assomigliavano pericolosamente ad un'arma biologica...
«Allora, ragazzo mio, hai saputo qualcosa?» chiese Bartoli, per metà preoccupato dal colorito verdastro del
suo sottoposto, per metà riuscendo a stento a trattenersi dal ridere.
Lo sguardo sofferente di François si spostò lentamente sul suo superiore: «Colonnello, sappia che la odierò in
eterno per quello che mi ha costretto a fare: è stato veramente orribile, disumano! Però, sì, sono riuscito a farlo
cantare, dopo averlo ammorbidito un po'...»
«Ammorbidito?» chiese Bartoli, perplesso.
«Tre piatti del suo... arrosto!» François fu costretto a deglutire più volte per reprimere un conato di vomito,
reazione spontanea al solo ricordo di quella sbobba che aveva ingerito: «È per questo che mi hanno ricoverato!
Però avevate ragione: Igor ha visto e sentito più di quello che ha riferito a Kelmann, ma si tratta di qualcosa di così squisitamente assurdo che rasenta la follia. Potrebbe passarmi quel bicchiere d'acqua, signore? Grazie.»
Dopo averlo vuotato in due lunghi sorsi, François riprese il suo racconto: «Secondo lui, sopra il rottame tarmato del DES aleggiava un sorriso di zanne candide stampato su di una macchia di buio solido, che emetteva un
suono simile ad una risatina chioccia, sa, come quelle di Finn quando legge quelle sue riviste idiote. Sarebbe
rimasto sospeso là sopra per qualche secondo dopo che Igor era arrivato sulla scena, per poi sparire all'improvviso; a quel punto il nostro coraggiosissimo cuoco ha fatto dietrofront per correre a gambe levate ad avvertire prima Harris e poi Kelmann. Altro non sono riuscito a sapere da lui perché ormai, come i medici si sono premurati di dirmi dopo essermi risvegliato qui, avevo già un piede nella fossa e dolori atroci allo stomaco...»
Seduto sul bordo del letto, Bartoli non lo stava più ascoltando: fissava pensieroso la superficie interna della
cupola fuori dalla finestra, oltre la palazzina degli uffici.
«Tu gli credi?» chiese, distratto.
«Con tutto quello che mi è capitato di vedere da quando abbiamo trovato il Vieris, il mio concetto di follia si è
fatto alquanto elastico, quindi perché no? C'era anche lei quando su α-Samaran, abbiamo trovato quel complesso sotterraneo dove i nostri cari amici Chimaxin stavano studiando i paradossi temporali e il loro utilizzo pratico: dopo aver scoperto qualcuno tanto folle da voler utilizzare il tempo per creare una serie di trappole e di muri temporali come difesa estrema da opporre al nemico che lo incalza, non vedo perché non dovrei credere a lui: in fondo, un sorriso che si sgranocchia venti centimetri di corazza composita è molto meno pericoloso di una di quelle Tarantula! Tra l'altro, a differenza di quella, non dovrebbe avere alcun motivo per volere la nostra pelle. O forse mi sbaglio?»
«Non lo so, François, davvero non lo so.» fu la risposta.
Detto questo, il colonnello si alzò per andarsene.
«Colonnello, dovrò rimanere in questo letto ancora per un paio di giorni: potrebbe aspettare fino ad allora?»
Bartoli scoppiò a ridere, poi senza voltarsi, rispose: «Okay, ti aspetteremo. Almeno questo credo di dover-
telo. Riposati e cerca di capire che non puoi abboffarti impunemente di tutto ciò che ti mettono nel piatto: rischi
delle tremende indigestioni, ragazzo mio!»
Il cuscino lanciatogli dietro da François riuscì solamente a schiantarsi contro una porta già chiusa.

«Un sorriso, una risatina fessa e un'ombra?! Siamo proprio sicuri che Igor non avesse...?» Marcus si portò la
destra alle labbra, pollice e mignolo estesi, mimando il gesto di bere.
Finn McLachlan scosse la testa: «Dimentichi che è astemio!» puntualizzò: «E anche se non lo fosse, un'esperienza del genere è molto più efficace del calcio di un mulo per far disperdere i fumi dell'alcol, credi a me! Solo che...»
«Solo che?» gli fece eco Marcus.
«Solo che, partendo da questi presupposti, il quadro che ci si presenta è tutt'altro che roseo: un'ombra è sufficientemente piccola da poter essere contenuta con facilità in un pallone da basket!»
Finn, ufficiale comandante i Corpi Speciali a bordo del ex-incrociatore Vieris, era il profeta del gruppo e tendeva a vedere tutto nero; tra l'altro, aveva anche la sfortuna (o il pregio: era stato soltanto grazie a lui e alle sue sensazioni che l'equipaggio del Vieris aveva potuto essere trasferito in tempo a bordo della nave rifornitrice Nadrazde, giusto un attimo prima che una task-force Dakran sbucasse dal nulla sparando a tutto spiano!) di azzeccarci quasi sempre, motivo per cui la sua opinione veniva sempre ponderata con estrema attenzione.
Come appunto fece Bartoli, in quel momento: «Stando così le cose, pare proprio che avessi ragione tu, Layla: abbiamo trovato un altro uovo... che potrebbe anche aver contenuto un tipo a noi sconosciuto di Kyllain!»
«Urrà! Che bellezza! Non bastavano i vecchi modelli dimenticati qua e là nell'universo da chissà quale schizoide: ora ne abbiamo anche un tipo nuovissimo tutto per noi! Credete che quando si arriverà a discutere la paternità della scoperta ci verrà concesso di dargli il nostro nome? Sarebbe fantastico, non trovate?»
«Axel, piantala!» lo redarguì severamente il colonnello.
«Ma, colonnello!»
«Ho detto di smetterla, Axel!» Il tono di Bartoli, questa seconda volta, non ammetteva repliche.
Il silenzio si prolungò pesante per alcuni minuti: tutti sembravano essersi chiusi nei propri pensieri.
«Secondo me, non è un Kyllain: come diceva ieri il colonnello, di qualunque cosa si tratti, non ha agito secondo il loro stile. Voglio dire, quelle sono macchine per lo sterminio, il loro unico scopo è distruggere qualunque
cosa si pari loro davanti, non so se mi spiego...»
Come sempre, Marcus espresse le sue idee guardando tutti e
nessuno, velocemente, una parola dopo l'altra, senza interruzioni, tanto che, ogni volta che finiva, Bartoli si
aspettava sempre di vederlo tirare un sospirone di sollievo.
A parte questo, l'osservazione era pertinente: «E allora?» l'incoraggiò.
«Allora, se fosse stato un Kyllain si sarebbe limitato a trasformare cupola corazzata e campo-base in un unico,
enorme cratere, magari interfacciandosi col generatore principale attraverso il key-pad di uno degli accessi, per
scaricargli dentro tutta la sua energia e farlo così esplodere, se non avesse trovato un metodo più raffinato. Sorriso, invece, si è accontentato di uccidere otto uomini.»
«Non li ha esattamente uccisi, Marcus: li ha mangiati! E visto che, come ogni buongustaio, sa benissimo che
la carne in scatola ha un sapore molto più delicato senza la scatola, ha pensato bene di scoperchiare un...» Axel si bloccò a metà della frase, mentre una luce di comprensione gli si accendeva nello sguardo.
Marcus continuò per lui, annuendo: «...un battleram da ottanta tonnellate equipaggiato di tutto punto, come se
fosse stato fatto di cartone! Vedete dove voglio arrivare? Si è comportato come se fosse vivo, una sorta di forma
biologica!»
«Come se fosse a caccia! Il che, forse, ci apre uno spiraglio: se è biologico, una specie di animale, ad esempio,
può essere eliminato!» esclamò Axel, tutto eccitato alla prospettiva.
«Sì, ma con che cosa vai a caccia di una bestia che usa un '381 come stuzzicadenti?»
«Come sempre hai centrato il bersaglio, Finn.» Bartoli passeggiava nervosamente avanti e indietro lungo la
camerata. «Si potrebbero usare...»
«Mi scusi, signore, ma c'è anche un'altra questione che non abbiamo ancora preso in considerazione.» interloquì Vapula urbanamente: «Questo pianeta è morto: se non è nato qui e non è un Kyllain, chi ce l'ha portato?»
Si guardarono tutti l'un l'altro, preoccupati: quella era una domanda alla quale avrebbero fatto volentieri a meno
di rispondere...

Brigare in modo da farsi assegnare la zona di lavoro che c'interessa non è certo semplice e nei due giorni successivi Bartoli e i suoi dovettero ungere tutte le ruote possibili e immaginabili ­ persino Igor! ­ pur di riuscire
a farsi rimandare là dove avevano trovato l'uovo.
Nel frattempo, François era stato dimesso dall'ospedale e, pur avendo ancora un colorito che dava sul verde
in maniera preoccupante, nel complesso stava bene.
O almeno così diceva lui...
Però, poiché si trattava dell'unico esperto in esplosivi e demolizioni che avessero a disposizione, la sua
partecipazione alla spedizione era tanto indispensabile che gli altri, Bartoli in primis, si guardarono bene dal
contraddirlo.
«Colonnello, ha depredato la polveriera con l'intenzione di far saltare la sedia da sotto il sedere a Khorov,
per caso?» chiese, gongolando come un bambino il giorno di Natale, alla vista di tutto quello che era stato caricato nel retro dell'ATT «Con tutta questa roba potrei ridurre a coriandoli un incrociatore!»
«È solamente una semplice precauzione, capitano Laurent, una semplice precauzione in caso di guai.»
François scoppiò a ridere di gusto: «Si pulisca i baffi colonnello: le è rimasta attaccata della panna!»
«Umf! Avrei dovuto portarti dell'altro arrosto: da quel che ho sentito in giro, l'unico ad averlo apprezzato al
punto da chiedere il bis sei stato tu!» Bartoli s'interruppe per un secondo, pensieroso: «Forse è perché sei anche
stato l'unico ad aver avuto il coraggio di mangiarlo: tutti gli altri sono scappati come lepri alla prima occhiata che gli hanno gettato da lontano!» concluse con grazia.
E mentre il capitano, preso dal disgusto, rispediva con somma discrezione al mittente la colazione appena consumata, piegato in due contro la fiancata del veicolo, Bartoli si rivolse agli altri: «Okay, conoscete gli ordini: esploreremo meglio la grotta che abbiamo aperto, inoltrandoci lungo il passaggio principale fin dove potremo, depositando man mano i nostri regali in attesa di poter tornare con maggior comodità. Niente mosse azzardate o iniziative personali! Tutto chiaro?»
«Sì, signore!»

Durante la visita precedente, avevano rinvenuto l'uovo in una diramazione della galleria che dava accesso alla
grotta vera e propria: si trattava di uno stretto, tortuoso passaggio che, dopo poco più di cinquecento metri,
sboccava in una grotta più piccola, chiaramente artificiale, il cui fondo formava un ampio imbuto poco pro-
fondo; diametralmente opposto al tunnel dal quale erano arrivati, se ne apriva un altro identico al primo, che tornava indietro e sbucava nel tunnel principale non molto lontano dal punto da cui erano partiti.
Allora la pepita giaceva, integra, sul fondo della depressione, sostenuta e bloccata da una curiosa struttura
reticolare pendente dalla volta della grotta, colmandola quasi completamente, tanto che per trovare l'imbocco
del nuovo passaggio avevano dovuto girarle attorno addossandosi alle pareti, col rischio continuo di rimanere incastrati; non avevano percorso che pochi metri nel cunicolo principale, quando una lunga, bassa vibrazione
era stata seguita da uno sbuffo soffocato, la versione locale di una piccola esplosione.
Si erano affrettati a tornare indietro e giunti nell'imbuto avevano scoperto...

...Un boccaporto! Era proprio un boccaporto, quello, o quanto meno qualcosa di molto, molto simile.
C'erano ancora quaranta centimetri d'acqua sul fondo e dagli stomi che crivellavano in più file le sponde di
quello che avevano creduto fosse semplicemente un lago continuava a riversarsene in lunghe e lente pulsazioni,
ma le idrovore che avevano installato avrebbero ben presto aspirato anche quella, anche se, a guardar bene, non era poi male, appena più calda della temperatura corporea com'era, tanto che Bartoli, immerso fino al ginocchio, se ne accorgeva a malapena: "Se non altro, abbiamo risolto il problema dell'origine dell'acqua che alimentava il fantomatico ruscello!" si disse, con un pizzico d'ironia, tornando subito dopo a concentrarsi sulla loro scoperta: «Un'astronave? Un edificio? O che altro?» borbottò fra sé e sé guardandosi attorno.
Ad una quarantina di metri da dove si trovava, spuntava uno degli oggetti tondeggianti che Marcus aveva scorto durante la sua prima immersione: su una bassa base grigiastra poggiava una sorta di calotta sferica opaca di
colore scuro, la prima di una serie di nove regolarmente disposte in cerchio attorno al centro; il colonnello sapeva che più oltre, perfettamente allineate con quelle interne, c'erano altre nove strutture, simili ma più piccole. Il bacino era risultato essere profondo dieci metri esatti, le sue superfici avrebbero potuto esser state ricavate con una fresa laser, tanto erano precise, e, sebbene Lazlo e Pedersen stessero ancora effettuando le misurazioni con i telemetri, Bartoli era convinto che avrebbero solo confermato ciò che lui già sospettava: senza considerare il terriccio che lo ricopriva, il pianoro che costituiva la cima della collina, alla fine, sarebbe risultato perfettamente parallelo alla superficie su cui poggiava i piedi in quel momento, era pronto a scommetterci!
Guardando in alto al bordo del lago, si sentì come una piccola formica sul fondo di una scodella...
"Al diavolo! Torniamo al lavoro, James!" si disse, studiando la corona tronco-conica che contornava quello che supponevano fosse un portello "E che portello! Avrà un diametro di almeno cinque metri! Che razza di creature dovevano passare di qua?" Si chinò ad osservare meglio: a partire dal fondo e fino in cima, le pareti di lega erano ricoperte di colonne di simboli totalmente alieni, così fitti e minuti che, ad una prima occhiata, avevano creduto che la mastra fosse costituita da un materiale completamente diverso dal resto.
La corona circolare superiore, tutt'attorno al boccaporto, era suddivisa in numerosi settori di materiale cristallino, che sembravano essere stati inclusi a forza nella matrice metallica, quasi per un ripensamento: per analogia, ricordavano al colonnello i led di un sequenziatore d'apertura. Di fronte a lui, un basso incavo alloggiava una specie di manopola la cui superficie concava recava un unico, complicato simbolo ramificato inciso esattamente al centro. Il portello, al contrario, era perfettamente liscio, quasi lappato.
Sembrava quasi dire: "Aprimi! Aprimi!" e questo, per qualche motivo, gli dava i brividi...
«Attenzione, colonnello! Stiamo facendo scendere gli EXO!»
Cosa?! Perché gli EXO adesso?!
«Ma siete impazziti?! Fermati, idiota! Cosa pensate di farci, quaggiù, con sei esoscheletri corazzati? Giocarci a nascondino tra le cupole?! E soprattutto, perché non mi avete consultato?»
Reazione forse esagerata, d'accordo, ma non poi così tanto!
E comunque doveva aver colpito nel segno: in cuffia, la voce di Axel suonò contrita: «Mi scusi, signore, non
ci avevo pensato...»
«Non fa nulla, Axel, scusami tu: sono solo un po' nervoso. Mandami giù Finn, piuttosto: credo di aver
trovato qualcosa per farlo divertire!»

«Aveva ragione lei colonnello: è come se volessero farci entrare a tutti i costi!»
Finn sembrava un bambino cui avessero rotto per dispetto il giocattolo preferito. Quando Bartoli gli aveva
chiesto di studiare la struttura che avevano scoperto per poterla eventualmente aprire, lui si era gettato a capofitto nell'analisi del boccaporto, delle strutture globulari, delle pareti del lago, persino degli stomi e dell'acqua che lasciavano colare, oltre che della mastra e delle mi gliaia di simboli alieni che la costellavano, in cerca di una chiave o di un ipotetico codice.
Dopo appena tre giorni, eccolo là, abbacchiato e deluso, a discutere con Bartoli di quanto aveva scoperto.
«Ne sei sicuro, Finn?»
«Non assolutamente, colonnello, ma guardi un po' qua: questo non è un vero e proprio codice, solo una
sequenza casuale di simboli. La difficoltà maggiore è stata quella di riconoscerli fra tutti gli altri!» Parlando, McLachlan indicava le colonne di geroglifici: qua e là, in posizioni ben precise, anche se ad altezze diverse, cerchiolini di nastro isolante bianco evidenziavano i simboli che ora comparivano in bell'ordine sui pannelli
attorno alla mastra del boccaporto aperto.
«Oddio, devo ammettere che si tratta comunque di un sistema ingegnoso.» concesse Finn che era sempre stato
pronto a tributare elogi, quand'erano meritati: «Vede il simbolo al centro del manipolatore, colonnello?» iniziò a spiegare con calma. «Da subito, mi sono chiesto il motivo di tanta complicazione: non per intenti puramente decorativi, questo è certo! Così mi sono messo a studiarlo più attentamente, l'ho passato al microscopio,
letteralmente, ed ho scoperto che ciascuna delle sue terminazioni, apparentemente uguali, in realtà è diversa
dalle altre...»
«Fammi indovinare: ciascuna rappresenta uno dei microscopici simboli incisi sulla superficie esterna della mastra!»
«Esatto! Proprio come le maniglie dei nostri sistemi di apertura manuale d'emergenza, questo può ruotare: una
volta allineati i due simboli corrispondenti, sulla manopola e sulla base, ecco che su uno degli inserti ne compare una copia più grande e leggibile. Come ho detto, non si tratta di una vera e propria combinazione, però è comunque efficace: il programma di riconoscimento ha impiegato due interi giorni a localizzare tutti i simboli,
mentre io, per sicurezza, esaminavo il resto del bacino, e un'altra mezza giornata è occorsa per trovare, per tentativi, l'ordine corretto. Senza un computer, probabilmente mi ci sarebbe voluto almeno un mese!»
«Però tu un computer ce l'avevi... come l'avrebbe presumibilmente avuto chiunque avesse trovato questo posto.» mormorò Bartoli, pensieroso «La mia sensazione era giusta. Credi che possa trattarsi di una trappola?» chiese, preoccupato.
L'altro si strinse nelle spalle: «Forse. Ma sarebbe dannatamente troppo articolata, non crede? Comunque, io e
Marcus siamo scesi a controllare: c'è una specie di camera di compensazione, dall'altra parte, con un bocca-
porto identico a questo, ma senza simboli.»
Bartoli si voltò perplesso: «Senza simboli?»
«Sì, colonnello: a quanto pare anche il manipolatore del secondo portello può ruotare, solo che per smuoverlo non è bastato un EXO! D'altronde, se si tratta veramente di una camera d'equilibrio, può anche darsi che
l'intero sistema sia predisposto per sbloccarsi soltanto dopo la chiusura del portello superiore, questo» disse,
cavando un sordo rimbombo dal metallo «...e a compensazione avvenuta.»
«In tal caso, ci troveremmo di fronte o ad una struttura che, per qualche motivo, deve essere in grado di
mantenere indefinitamente stabili condizioni ambientali particolari, un laboratorio di ricerca, ad esempio, oppure ad una nave spaziale atterrata sul pianeta in chissà quali circostanze.»
«Se è davvero un'astronave, perché è così convinto che sia atterrata? Non potrebbe essersi trattato di un
incidente?»
Bartoli sorrise: «Finn, nella tua esperienza, quante navi schiantatesi su un pianeta non sono esplose e si sono deformate talmente poco da consentire a noi di aprire un portello con tanta facilità?»
McLachlan rise: «Ha ragione, signore: questa sarebbe la prima! Un punto a suo favore!» commentò, marcando un segno col pollice nell'aria.
Bartoli accantonò il complimento con una scrollata di spalle, tornando a concentrarsi sulla loro scoperta: «Di qualunque cosa si tratti, però, il risultato non cambia: noi non l'abbiamo costruito di certo, perciò deve trattarsi di un manufatto alieno.»
«Un manufatto Dakran?»
Bartoli scosse il capo con decisione: «No, è troppo vecchio. Ho chiesto al laboratorio della base di datare alcuni
campioni di terreno prelevati dal prato intorno al lago: il decadimento isotopico degli elementi che lo compongono lo colloca grosso modo attorno ai cinquantamila anni fa. Stando alle parole dei Dakran che abbiamo salvato su Samaran, la loro civiltà ha raggiunto il volo iperspaziale solamente da ventimila anni e non mi pare che avessero una qualche buona ragione per mentire!»
Alzò una mano a prevenire l'obiezione di Finn: «Sì, lo so che ventimila anni sono moltissimi e che, a quell'epoca, noi e molti dei nostri alleati dipingevamo ancora nelle caverne e mangiavamo carne cruda con contorno di bacche e radici, ma ho la netta impressione che quest'affare fosse già antico all'epoca in cui il primo
Dakran sbucò dall'uovo e iniziò a guardarsi attorno con quei suoi occhi trasparenti. Non chiedermi come o perché, ma sento che è così! E poi c'è la faccenda del mascheramento...»
«Quale mascheramento, signore?»
«Non hai letto i rapporti, Finn? Non è da te!» lo rimproverò bonariamente il superiore, poi spiegò paziente: «Stando agli scanner dei geologi che hanno studiato quest'area, ora noi ci troveremmo all'interno di una massa più o meno compatta di roccia vulcanica; la stessa che costituisce tutto il maledettissimo altopiano! Te ne eri accorto, Finn?»
McLachlan si guardò attorno, con ironica, parodistica attenzione: «Però! È la prima volta che vedo del
basalto assomigliare tanto all'acciaio, sempre che di acciaio si tratti! D'altra parte, io mi occupo di armi, non di geologia!» fu il suo primo, secco commento. Poi, molto più seriamente: «Se partiamo dal presupposto che
i colleghi del reparto scientifico abbiano svolto per bene il loro lavoro e non abbiano preso una solenne cantonata, di fronte all'evidenza dei fatti l'unica altra ipotesi formulabile è che qualcosa, là dentro» e indicò l'interno della camera che avevano aperto, «sia in grado di ingannare i nostri sensori in maniera talmente profonda e perfetta da suscitarmi almeno qualche preoccupazione!» concluse alquanto eufemisticamente.
«Hai detto bene: qualche!» commentò tetro il colonnello «Anche se si trattasse unicamente di una forma di mascheramento passivo, è un fenomeno senza precedenti...»
«...E non è Dakran, o di uno qualsiasi dei nostri alleati: su questo mi trova perfettamente d'accordo!»
Rimasero a lungo in silenzio a guardare le nuvole attraversare il cerchio perfetto sopra le loro teste.
«Beh, colonnello! Cosa ha intenzione di fare, ora?» chiese infine Finn, pratico come sempre.
Bartoli si riscosse, distogliendosi a fatica dai propri pensieri: «Tanto il comandante pro tempore della base,
quanto il comandante della missione, lassù,» disse, indicando il cielo e le navi in orbita equatoriale che costituivano il grosso della spedizione, «letto il nostro rapporto, hanno dato il loro benestare: la situazione è potenzialmente pericolosa per tutto il futuro insediamento su questo pianeta e quindi ci chiedono di continuare ad investigare.»

«E se risulta che il pericolo è nullo o quanto meno arginabile da dei matti sacrificabili come noi, ci daranno una pacca sulla spalla, ci estrometteranno e faranno sciamare qui tecnici e scienziati come tante cavallette! Bella roba, davvero!» L'amarezza era chiaramente avvertibile nella voce di McLachlan.
«Finn, smettila! Arrabbiarsi non serve a nulla, questo lo sai persino meglio di me.» lo placò Bartoli. Sospirò,
prima di continuare: «Tanto per cominciare, domattina daremo un'altra occhiata a quella camera d'equilibrio,
poi, se tutto andrà bene, non ci resterà che provare ad entrare. E chissà che magari non ci riesca di scoprire...»


«...qualcosa d'interessante per lei, colonnello: un campo di forza, poco più avanti, oltre quella curva.»
«Qualche idea, Layla?»
«Non ancora, signore. L'unica cosa che posso dirle è che è molto, molto potente!»
Bartoli fece una smorfia: «Ottimo! François?»
«Qui siamo pronti, colonnello: un suo ordine e questo dannatissimo sasso galleggiante avrà una nuova pianura!» La voce di Laurent gli giunse fra forti scariche. Maledizione!
«Bene. Piantate tutto e raggiungeteci: ci sono troppe interferenze, non voglio rischiare di perdere il contatto.
E poi Layla ha qualcosa di interessante da mostrarvi...»
«Davvero? Arriviamo subito! Chiudo.»
Nonostante le interferenze, il tono di voce di François risultò essere alquanto eloquente e Bartoli vide la ragazza ridacchiare dietro la visiera del casco.
«Colonnello! Vergogna! Illudere a quel modo quei poveri ragazzi! Riesce ad immaginarsi la loro delusione, quando arriveranno qui?» lo rimproverò Layla.
«E tu riesci ad immaginarti un modo migliore per farli arrivare più in fretta? E poi, io non ho fatto altro che
dire la verità!»
L'unico effetto sortito dalla sua aria innocente fu quello di farla piegare in due dalle risate. Prima che gli altri li
raggiungessero, il colonnello trovò il tempo di notare che, quando rideva, Layla era ancora più bella!
Quando superarono la curva indicata da Pedersen, si trovarono di fronte una parete di roccia, in tutto e per
tutto identica a quella che li circondava; confuso, Bartoli guardò Layla; per tutta risposta, lei gli piazzò da-
vanti alla visiera lo schermo del suo scanner portatile: indubbiamente, le letture indicavano che quella di fronte
a loro roccia non era, eppure...
«Che ne pensi, Layla?» Bartoli saggiò col guanto la parete, cercando al tatto qualche prova che confermasse
che quello che vedeva era soltanto un'illusione: inutile, non ci riusciva!
Layla fece spallucce: «Per me potrebbe essere il più puro dei graniti, colonnello, però qui dice che questo scudo
riuscirebbe tranquillamente a deviare e persino distruggere un planetoide di dimensioni più che rispettabili!» Picchiettò leggermente sul quadrante del rilevatore, a sottolineare le sue affermazioni, poi anche lei appoggiò la
mano sulla superficie del campo. «Come abbiano potuto ottenere tutto questo, non lo so proprio, però credo di
sapere perché l'abbiano piazzato qui.» commentò, meditabonda.
Un'occhiata circolare alle facce degli altri le confermò che tutti avevano già avuto la sua stessa idea, ma lasciò al colonnello il compito di esprimerla a parole.
Rassegnato, Bartoli sferrò un pugno alla finta roccia: «C'è qualcosa, qui dietro, qualcosa di grosso, probabilmente, e noi dobbiamo scoprire di che si tratta!» brontolò: «Layla!»
«Signore?»
«Credi che si possa aprire un varco?»
«Certamente, colonnello: nella mia esperienza, più sono grossi, più sono stupidi. I problemi, piuttosto, potrebbero sorgere dopo: una volta aperto il varco, potremmo essere costretti a richiuderlo molto ma molto in fretta...»
«A questo posso pensarci io, signore!» Vapula sorrideva, gli occhi che brillavano.
Nonostante le rassicurazioni dei suoi uomini, Bartoli valutò attentamente i pro e i contro, prima di impartire l'ordine: «D'accordo, ragazzi, entriamo! Marcus! Tu e Axel davanti. François e Finn sui lati. Layla, tu, con i sensori, procederai nel mezzo, mentre io e Vapula staremo in retroguardia. Armi pronte, signori!»
I fucili ricavati da Axel e McLachlan dai bruciatori al plasma in uso nei lavori minerari forse non avevano un
aspetto elegantissimo, ma in compenso risultavano estremamente efficaci ­- Largo e Bartoli li avevano provati,
con discrezione, sui rottami inservibili del battleram, ottenendo risultati molto soddisfacenti! -­ e la vibrazione
subsonica che i loro generatori trasmettevano attraverso i guanti della tuta dava un gran senso di sicurezza.
«A te, Layla.» Come un gentiluomo d'altri tempi, Bartoli fece strada alla sua protetta con un inchino.
Layla annuì: «Mi dia un paio di minuti, signore, devo trovare... Ecco! Che delusione! È stato molto più facile
di quanto mi aspettassi, come se...» rifletté in silenzio per qualche istante e gli altri attesero pazientemente che
terminasse di vagliare tutte le possibili ipotesi che aveva sicuramente formulato nel frattempo.
«Ebbene?» le chiese gentilmente il colonnello quando la vide sorridere.
«È solo un'ipotesi, signore, però ritengo che sia la più probabile: dovrebbe trattarsi di un campo residuale!»
Bartoli rimase colpito: un campo residuale stava ad indicare che...
«Ma che razza di accumulatori hanno installato, quaggiù?!» sbottò.
«A questo non so proprio cosa rispondere, signore, ma sarà anche lei d'accordo con me che è l'unica spiegazione possibile: un campo attivo, tenuto in funzione da un generatore e controllato da un computer, come quelli
installati sui nostri incrociatori da battaglia, non avrebbe ceduto così facilmente!»
«O se l'avesse fatto, come minimo ora ci troveremmo di fronte alla versione locale dei droni della Sicurezza In-
terna, è questo che intendi?» Marcus Largo annuì, pensoso: «Hai considerato il fatto che la tecnologia impiegata
per questo scudo potrebbe essere totalmente differente dalla nostra?» chiese.
«Certamente! Ho pure considerato che in questo ramo della tecnologia, tra tutte le razze conosciute, dentro e
fuori l'Alleanza, le differenze, per quanto grandi possano essere, sono comunque a livello puramente applicati-
vo, non so se mi spiego: proprio perché, per generare un campo di forza o uno scudo energetico, la fisica impone la presenza di una fonte d'energia e di un sistema che indirizzi e controlli le linee di forza del campo stesso, ecco che questo doveva essere un campo residuale!» rispose Layla, sempre più convinta della bontà della sua teoria.
«Perché dall'altra parte non hai rilevato alcun generatore attivo.» concluse Bartoli.
«Esatto! Quando ho messo in corto il campo per aprire il varco, questo è crollato immediatamente, perché,
evidentemente, devo aver dato il colpo di grazia agli accumulatori che lo sostenevano da chissà quanto tempo!»
«Bene! Secondo voi, cosa può esserci di tanto importante, in una grotta di un pianeta morto come Ajax 2, da
giustificare la presenza di un sistema tanto complesso per difenderlo e nasconderlo?» chiese Axel, retorico.
«Un'altra grotta identica alla prima!» fu la laconica risposta di Vapula, che mentre gli altri suoi compagni discutevano si era spinto avanti di una decina di metri a curiosare.

"Beh! dovevamo pur arrivare da qualche parte, prima o poi!" Scarpinare per chilometri dentro una tuta autosufficiente, per comoda e flessibile che fosse, era pur sempre una faticaccia e Bartoli avrebbe pagato in oro per potersi levare il casco e tergersi il sudore che gli imperlava la fronte: non aveva mai potuto sopportare le pezze assorbenti in dotazione inserite nell'imbottitura, gli crea vano irritazione e un prurito a stento sopportabile!
Per giungere dove si trovavano ora, avevano camminato per più di due ore, fermandosi ad intervalli regolari per guardarsi intorno, raccogliere il maggior numero d'informazioni possibile, esplorare brevemente i tunnel laterali che si dipartivano ad angolo retto da quello principale ogni trecento metri circa e minarne le imboccature, nel caso si fosse reso necessario chiuderle per sempre.
"Comunque, sembra proprio che ne sia valsa la pena, alla fine!" si disse, prima di interpellare quello che ormai
consideravano il loro esperto in campi di forza alieni: «Layla?»
«È identico al precedente, signore!»
Bartoli annuì all'interno del casco.
Cogliendo un cenno di diniego alla sua destra, si volse verso il suo autore: «Hai qualcosa da obiettare in proposito, mio caro Vapula?»
«No, colonnello: affermo soltanto che il rilevamento di Layla non è del tutto corretto.»
Vapula si era avvicinato più degli altri al nuovo campo di forza ed ora lo stava osservando attentamente.
«Allora?» lo sollecitò il colonnello.
«Prima di tutto, questo è attivo, per usare la terminologia della nostra splendida scienziata! Inoltre, a differenza di quello che abbiamo fatto collassare, c'è qualcosa di metallico, subito dietro il campo. Qualcosa di enorme,
colonnello. Qualunque cosa sia, si direbbe proprio che qualcuno abbia deciso di nasconderlo in maniera efficiente e duratura!»
«Mica tanto duratura: tu l'hai scoperto semplicemente guardandolo!» ironizzò Lazlo.
Bartoli scosse la testa, sospirando: Axel avrebbe mai imparato a non limitarsi all'ovvio?
Stava per contraddirlo, per spiegargli, ma non ve ne fu alcun bisogno: «Io sono diverso!» gli ricordò Vapula, sfoderando nel contempo un sorriso che avrebbe congelato un sole.
«Va bene, Vapula, ci fidiamo. Che altro senti?»
La voce rassicurante di Bartoli risuonò ferma nelle trasmittenti: lentamente, forse un po' troppo lentamente, il sorriso scomparve, mentre il silenzio dell'alieno, intento a scrutare il tunnel alle loro spalle, si prolungava al punto che trascorsero un paio di minuti prima che si decidesse a riaprire bocca: «È strano, colonnello, si direbbe quasi che facesse parte di un ambiente controllato. Un habitat artificiale come quelli che voi avete costruito
nello spazio, solo che questo è stato scavato sotto metri e metri di roccia compatta!»
«Dietro quella parete metallica?»
Vapula scrollò le spalle: «Forse. Io, però, parlavo di questa galleria: una volta qui esisteva un'atmosfera ricca
d'ossigeno. Calore! Luce! Vita! Ora è tutto morto. No, non è stata colpa nostra!» si affrettò a dire, notando le loro espressioni costernate: «Forse voi non le avete notate, camminando, ma ci sono larghe crepe nella volta, probabilmente causate da un terremoto, che di sicuro hanno compromesso l'ecosistema artificiale molto prima
che questo sistema di tunnel venisse da noi scoperto ed esplorato. Anzi, non mi stupirei affatto se, un tempo, anche dietro il primo campo da noi incontrato fosse stata nascosta una paratia stagna, ora distrutta insieme al tuo
adorato generatore, Layla.» spiegò. Piroettò allegro su se stesso, guardandosi attorno: «Già, già, deve essere
stato proprio così: la parete che abbiamo fatto inavvertitamente saltare doveva essere il sigillo esterno della più
grande camera di compensazione mai costruita!»
Finn annuì pensieroso: «È plausibile: la porta esterna si apre, si richiude alle spalle dei visitatori, viene fatto il
vuoto, poi viene pompata parte dell'atmosfera dell'habitat e la porta interna si apre per permetterne il passaggio,
mentre l'atmosfera viene interamente recuperata, lasciando nuovamente il posto a quella esterna, troppo rarefatta o contaminata... E tutto questo attraverso la rete di cunicoli tortuosi e le cavità ad imbuto, come quella che abbiamo visto! È semplicemente fantastico! Si tratta di una colossale opera d'ingegneria, colonnello!»
«Sono pienamente d'accordo con te, Finn, ma quello che più ci interessa, in questo frangente, è sapere cosa ci
aspetta dietro quella paratia. Vapula?»
Ancora un sorriso, questa volta di pura, semplice gioia: «Vita, colonnello! Molta, moltissima...»

«...Vita!» Bartoli fissò Layla, stupito. «Ne sei proprio sicura?»
«Sì, colonnello. Gli strumenti parlano chiaro: da dietro quel boccaporto giungono chiari, inequivocabili segni
vitali.» Layla si morse leggermente il labbro inferiore, prima di continuare: «Però è strano: le letture non indicano alcun segno d'attività, quasi si trattasse di un organismo mantenuto in stasi, forse più d'uno... Non
capisco!»
Il colonnello si passò lentamente una mano tra i capelli. «Questo complica un po' le cose...»
Dopo aver dato uno sguardo al cielo, forse in cerca d'ispirazione, esordì dicendo: «Bene, ragazzi, sarò sincero con voi: a questo punto, non so proprio che fare! Come sapete, abbiamo il placet del comando per proseguire nelle nostre indagini, però credo che nessuno di noi avesse previsto... questo!»
Allargò le braccia a comprendere ciò che li circondava: «L'idea iniziale era di equipaggiarci, attivare la camera di compensazione e, una volta penetrati, esplorare a fondo quello che avremmo trovato al di là. Ora, però, la presenza di segni vitali ci costringe a cambiare i piani: aprendo quel boccaporto, potremmo causare variazioni irreparabili ad un ambiente che si è mantenuto stabile per chissà quanti secoli. Potremmo causare una strage...»
«Oppure, potremmo spianare la strada a qualche nuova specie di virus: con la nostra fortuna, potremmo anche
scatenare una pandemia!» interloquì François.
Bartoli annuì: «Vero, come è vero che potremmo trovare qualcosa di utile, di rivoluzionario come, che so,
una nuova fonte energetica, che potrebbe convincere i Dakran a porre fine a questa stramaledetta guerra!» Il
colonnello sospirò: «Come vedete, le possibilità sono molteplici e nessuna di esse può essere presa alla leggera. Inoltre, Finn mi assicura che, non appena spegneremo le idrovore, tutto quanto tornerà in breve tempo
esattamente com'era prima che arrivassimo; perciò, da come la vedo io, ci si presentano due alternative: possiamo semplicemente infischiarcene, spiegare al comando come stanno le cose e lasciare temporaneamente perdere tutto quanto, tornando ai nostri consueti incarichi in attesa che decidano sul da farsi. Oppure, possiamo
continuare, aprire quel boccaporto e scoprire cosa nasconde.» Fece una pausa, per assicurarsi che tutti loro
comprendessero bene le alternative, poi riprese, in tono serio: «La prudenza mi consiglierebbe di scegliere la prima alternativa, la curiosità e la concreta possibilità di una minaccia potenzialmente gravissima mi spingono
a scoprire quanto più è possibile su ciò che potremmo essere costretti a dover affrontare a breve termine: considerate, infatti, che se abbandoniamo, il comando potrebbe affidare il tutto a qualcuno con meno scrupoli di
noi, nella fretta che hanno di completare i lavori per la nuova base logistica. In ultimo, anche se ciò non accadesse, se lo lasciassimo ora, come l'abbiamo scoperto noi, potrebbe scoprirlo qualcun altro dotato di molto
meno buon senso, magari tra un secolo, magari domani.» Li guardò tutti in faccia, uno per uno: «Non voglio
decidere io per tutti, non me la sento e non sarebbe neppure giusto: se qualcuno ha da dire qualcosa in merito,
lo faccia liberamente.»
«Io dico di andare.» Largo era stato sempre un po' irruente: del resto, vista la sua corporatura, poteva certamente permetterselo! «Diamine! Un'occasione così capita una volta sola nella vita, colonnello!»
François, d'altro canto, era sempre stato un tipo tranquillo e posato... ora però sembrava affetto dal ballo di San Vito! «Conti su di me, signore!» disse deciso.
Interpellato, Finn mugugnò qualcosa che poteva anche essere interpretato come un assenso, com'era nel suo stile.
Ad Axel non vi fu nemmeno bisogno di chiederlo: «Sì, colonnello!» Strano! Era la prima volta, da che lo conosceva, che Bartoli lo vedeva così deciso e risoluto: che stesse crescendo?
Scuotendo il capo di fronte a questa nuova, inquietante prospettiva, si rivolse infine a Pedersen: «Layla?»
Il suo tono gentile fece sorridere la ragazza: «Se ha intenzione di lasciarmi fuori, colonnello, dovrà trovare
delle corde molto robuste, mi creda!»
Bartoli sorrise a sua volta, un sorriso che conteneva uno strano miscuglio di sollievo e rammarico, ben
sapendo che sarebbe stato impossibile farle cambiare idea. Restava solamente lui, il comandante; avrebbe potuto far pesare il suo grado, sin da subito, ma non sarebbe stato onesto nei loro confronti: aveva chiesto loro di parlare liberamente e si era sempre fidato del loro giudizio. Comunque, non poteva certo tirarsi indietro ora
che tutti loro avevano espresso parere positivo: «Allora è deciso! Marcus! Torna alla base e procurati un paio
di scavatrici robot. Finn, tu andrai con lui. Ti occuperai delle nostre PCU: le voglio perfettamente revisionate e
pronte ad affrontare qualsiasi evenienza!»
«Qualche preferenza per l'equipaggiamento, signore?»
Bartoli rifletté per qualche istante in silenzio.
«Riconfigurale per la guerriglia e l'infiltrazione armata, così da godere di un armamento sufficientemente
pesante e di una buona mobilità.»
«Bene, signore.»
Finn e Marcus stavano già arrampicandosi lungo la scaletta metallica che portava fuori dall'ex-lago, quando Bartoli ebbe un ripensamento: «Finn!»
«Sì, signore?»
«Stavo pensando, forse è meglio aggiungere l'equipaggiamento per la permanenza prolungata in ambienti
ostili, non credi?»
«Certo, colonnello, me ne occuperò io.»
«Bene! Quanto a noi, vi aspetteremo al campo e continueremo i rilevamenti.»
Largo e McLachlan stabilirono quasi sicuramente un record nell'andare e tornare dal cantiere dell'avamposto in costruzione, ma occorsero altri due giorni, trascorsi a ricontrollare infinite volte ogni singolo componente delle PCU, prima che il colonnello Bartoli si ritenesse soddisfatto e si dichiarasse pronto a continuare l'esplorazione della collina; nel frattempo, le scavatrici, messesi da subito all'opera con lodevole zelo, avevano già scoperto parecchie cosette interessanti: quella che pareva una solida crosta di terra e roccia, in realtà non era più spessa di un metro, al di sotto del quale riluceva nuovamente al sole un materiale che tutto poteva essere fuorché comune metallo. «I sensori continuano ad affermare che si tratta di roccia di origine vulcanica: qualunque altra stupefacente caratteristica possieda, quel nostro ipotetico sistema di mascheramento di certo non eccelle per intelligenza: non si è nemmeno accorto che l'abbiamo smascherato!» Detto questo, Lazlo si grattò pensieroso la nuca: «Non so davvero come dirglielo, signore...»
«Hai mai pensato di provare ad usare le parole, Axel?»
«Certo che ci ho pensato!» rispose pronto il giovane, refrattario come sempre al tono ironico del superiore:
«Avevo anche intenzione di riservarne un paio di salaci per la madre di quell'imbecille che ha modificato i pro-
grammi operativi delle scavatrici perché lavorassero a velocità doppia, col rischio che inciampando sul primo
dislivello più alto di tre metri capitombolassero come un ubriaco dopo una settimana al pub! È vero che qua
attorno è tutto un dannatissimo biliardo, ma, dannazione!, bisogna comunque essere dei deficienti totali per
rischiare a quel modo dell'attrezzatura che vale un patrimonio! Non è a questo che mi stavo riferendo, comunque: è che non riesco a spiegarmelo bene neanch'io. Tocchi qui, signore.» invitò Lazlo, senza più scherzare, poggiando il palmo aperto sulla superficie liscia messa a nudo dallo scavo.
Incuriosito, Bartoli lo imitò: «Ma che diamine...?!»
Lazlo annuì, cupo: «Proprio! Rimane freddo, colonnello, vede? Anche quando il sole picchia direttamente sulla
sua superficie!» Axel, che fra le altre cose se ne intendeva un bel po' d'energia in generale e di quella solare
in particolare, fissava pensieroso i due ragni a sedici zampe, alti poco più di due metri, che continuavano imperterriti il lavoro di sterro ad una velocità vertiginosa, indifferenti e assolutamente incuranti di ciò che contribuivano a portare allo scoperto con il loro lavoro.
«Hai qualche idea in proposito, Axel?» chiese Bartoli gentilmente.
«No, colonnello; so solo che, se tutta la superficie si comporta allo stesso modo, ci troviamo di fronte ad uno
dei più grossi ed efficienti pannelli solari mai costruiti: visto che la sua temperatura esterna non varia, vuol dire
che tutta la radiazione che lo investe viene assorbita e convertita in qualche altra forma con un processo a rendimento unitario, con buona pace della fisica e delle leggi note della termodinamica! Più ci penso e più mi
sembra d'impazzire: persino un buco nero, il più potente e anomalo aspirapolvere conosciuto dell'universo, deve
sottostare a quelle fottute leggi! Bah!» Lazlo, frustrato, sferrò un calcio ad un ciottolo, mandandolo a rotolare
lontano nella pianura. Più calmo, tornò a rivolgersi a Bartoli: «Mi scusi, colonnello: uno sfogo momentaneo! C'è di peggio, però: l'energia che converte, non la sfrutta, la accumula!»
«Come puoi affermarlo? Non sappiamo neppure cosa contiene!»
«Vero! Però è anche vero che siamo in possesso di ottimi sensori: ne ho piazzato alcuni qua e là, a diretto
contatto con la superficie perché mi sono detto che se a distanza ravvicinata Layla è riuscita a rilevare dei segni
vitali, io che cercavo attività tecnologica avrei potuto avere la sua stessa fortuna...»
«Risultato?»
«A paragone, una tomba risulta essere rumorosa quanto un cantiere navale! Nemmeno il gorgoglio di un po' di fluido in corsa attraverso una tubazione, niente!»
«Forse perché chi l'ha costruita non utilizza impianti idraulici: magari preferiscono usare impianti elettromagnetici o di altro tipo...»
«Avrei rilevato traccia dei campi residui: in fin dei conti, questa struttura sta mantenendo della vita!» esclamò
Lazlo. «E comunque si sbaglia, colonnello: il boccaporto esterno d'accesso alla camera di compensazione è di sicuro a funzionamento idraulico! Esaminandolo, Finn ha trovato un circuito di comando secondario con una
quantità di attuatori: non ha saputo dirmi di preciso come potessero funzionare, ma dalla pletora di tubicini che ne uscivano, siamo abbastanza sicuri che siano assimilabili a dei martinetti. Probabilmente, sono quelli che assicurano la chiusura automatica e la tenuta del portello durante il ciclo di compensazione. E questo ci riporta alla nostra ipotesi di partenza!»
«Già!» Bartoli annuì pensieroso: «Parlando di ipotesi: potrebbe avere un sistema di raffreddamento. Ci hai pensato?»
Lazlo sogghignò: «Ci ho pensato eccome!» disse, poi contando sulle dita: «Convezione. Conduzione. Irraggia-
mento. Tre possibilità, di cui due sono da escludere: per irraggiare calore e disperderlo, occorre trovarsi a temperatura maggiore dell'ambiente circostante; lo stesso dicasi per la conduzione; rimarrebbe la convezione,
naturale o forzata, ma questo presupporrebbe la circolazione di un fluido dalla superficie calda ad una parte
interna più fredda, e come ho già detto...»
«Silenzio di tomba.» terminò per lui il colonnello.
«Esattamente! L'unica conclusione logica, quindi, è che stia accumulando quantità immani d'energia, ma dove la immagazzini e a cosa gli possa servire, questo proprio non lo so! E poi...»
«Poi cosa, Axel?»
«Badi bene colonnello, è solo una mia sensazione, ma... sono quasi convinto che stia calando, ora.»
«Non capisco: stia calando che cosa, di grazia?»
«Il ritmo di assorbimento: era quasi esponenziale, all'inizio, quando la superficie esposta era ridotta, molto più blando adesso che è maggiore. Non lo so, dall'analisi combinata di tutte le letture dei sensori, da piccoli  particolari qui e là... Mi sono fatto l'idea che quest'affare abbia dato una bella ciucciata iniziale, quasi fosse un
assetato che trova un'oasi nel deserto un attimo prima di morire, e che adesso si stia limitando a riprendere le forze, accumulando riserve in vista di altri periodi grami!»
«Ne stai parlando come se si trattasse di un essere vivente...»
«Potrebbe anche darsi che lo sia, signore: in fondo, Layla continua a ricevere segnali vitali provenienti da
dietro il secondo portello della camera stagna, senza riu scire a discriminarne tipo e provenienza! E se stesse
registrando LUI?» chiese, intendendo l'intera collina.
Il colonnello non rispose subito: puntò lo sguardo sui ragni che, in soli due giorni, dalla cima del Mezzo Uovo
erano già scesi ad un buon quarto della sua altezza complessiva.
Liscia, affusolata, senza alcun segno visibile di impatti o scalfitture: così si presentava la prua o la sezione
anteriore di... di che cosa? No, meglio non farsi alcun preconcetto, poteva risultare fuorviante e alquanto pericoloso, come una lunga, lunghissima esperienza gli aveva insegnato: la mente doveva essere libera di analizzare e di reagire con prontezza, se del caso.
Però, un aggettivo sicuramente ben si adattava a quello che vedevano sbucare dalla terra in misura sempre maggiore di ora in ora, ed era misterioso, al massimo grado possibile. "Un altro aggettivo che sicuramente gli calza a pennello è minaccioso!" pensò Bartoli cupamente, rendendosi conto che la sua mossa successiva in quella strana partita non poteva essere che una.
«Okay, Axel, mi hai convinto! Marcus!» latrò seccamente alla radio: «Ferma immediatamente quei due stupidi aggeggi! Non voglio correre ulteriori rischi!» Senza attendere risposta, si incamminò lungo il sentiero che
portava alla cima. Presto avrebbero saputo.
Molto presto...


«Dov'è stato, colonnello?»
A giudicare dal tono, Kelmann non sembrava proprio in vena di scherzi; Harris, d'altro canto, era solo un mastino ringhioso che bloccava la porta alle sue spalle. Non che gliene importasse molto: volendolo, James Bartoli avrebbe potuto tranquillamente affrontarli entrambi ed uscire di là con non più di un paio di lividi. Fortunatamente, però, questa volta non ci sarebbe stato alcun bisogno di sporcarsi le mani.
«Ho qui un suo ordine scritto, capitano. E questa è la richiesta per gli esplosivi, controfirmata dal tenente Harris
l'altro ieri.» Posò delicatamente i documenti sulla scrivania, dopo averli mostrati ad Harris.
«Colonnello, lei è rimasto fuori dalla cupola per quasi quarant'otto ore e...»
«Mi scusi se la interrompo, signore, ma ho già inoltrato un rapporto al suo ufficio e alla sezione meccanica: il
nostro ATT ha rotto il terzo asse scendendo da un crinale. Siamo stati costretti ad accamparci per la notte e a proseguire a piedi il giorno seguente ­ cioè oggi.»
Non ritenne necessario spiegare che era stato Laurent a far saltare l'asse, con una carica sagomata ad arte per simulare una rottura accidentale, meno di due ore prima e che, grazie a Vapula, loro a piedi non avevano dovuto percorrere che i cento metri che separavano l'ingresso sud della cupola dal fianco della collina dirimpetto...
«Colonnello Bartoli, non cerchi di nascondersi dietro alle scartoffie! So per certo che lei ha manovrato giorni
interi per farsi assegnare nuovamente quella zona! Perché?»
"In fondo", si disse Bartoli, "Kelmann non è poi così cattivo: è un vero peccato che il suo quoziente intellettivo superi di un capello quello della scrivania dietro cui siede! Un peccato, certo, ma anche un enorme vantaggio per me!" «Mi è sembrato che potesse essere utile e producente eseguire altri rilievi e prospezioni: stando
alle mappe, quell'area non era mai stata esplorata a fondo, in precedenza, e personalmente non credo che al comando dispiacerebbe avere qualche giacimento in più da sfruttare, non crede anche lei?»
Bartoli concluse sfoggiando il suo classico sorriso disarmante e la sua aria più dimessa, due segnali che, per chi
lo conosceva, già presi singolarmente costituivano una minaccia, figuriamoci poi quando apparivano insieme!
Purtroppo per loro, però, né il comandante del campo né il suo fido leccapiedi potevano vantarsi di conoscere a
fondo il colonnello...
Robert "Indecisione" Kelmann prese a tamburellare con le dita sui fogli sparsi che aveva di fronte, perplesso:
pur suonando plausibile nel complesso, qualcosa lo infastidiva nella storia di Bartoli. Eppure...
"No! Bartoli è un uomo tutto d'un pezzo, totalmente incapace di mentire, di questo sono certissimo: io
non sbaglio mai nel giudicare una persona! E poi basta guardarlo: così compito, sull'attenti proprio davanti alla scrivania!
" Dopo questa attenta ed approfondita valutazione personale, Kelmann si arrese: «Va bene, Bartoli, può andare. Si faccia assegnare un nuovo ATT e attenda istruzioni.»
«Sì, signore!» Bartoli si era già voltato per uscire, cercando di trattenere i conati che la visione ravvicinata della
faccia di Harris sempre gli provocava, quando Kelmann lo richiamò: «Un'ultima cosa, colonnello: avete già trovato qualcosa?»
Bartoli represse un brivido, ma in qualche modo riuscì a mantenere ferma la voce: «Non ancora, signore, solo
qualche roccia e minerali irrilevanti, che non valeva neppure la pena di riportare indietro. D'altra parte, si tratta di un'area vastissima, per di più stracolma di forre e canyon: temo che ci vorranno un po' più di due giorni
per esplorarla a dovere. Si è saputo altro della squadra di sicurezza?»
«No, niente...»
Risposta brusca, forse troppo. Povero Kelmann, in fondo gli faceva pena: non era sempre facile nascondere
la propria lampante inettitudine.
Uscendo dalla palazzina sede del comando, Bartoli non tornò subito dalla sua squadra: preferì passeggiare
per il campo, immerso nei propri pensieri, raccogliendo nel contempo, automaticamente e per pura abitudine,
ogni minimo frammento d'informazione che gli giungesse all'orecchio.
A non voler sottilizzare troppo, Ajax 2 non era poi così male, soprattutto se paragonato a molte altre prigioni di massima sicurezza istituite dalle A.E.F. su mondi meno inospitali di quello: poiché qui tutto doveva per forza di cose rimanere confinato sotto la cupola, non esistevano celle, bensì solo camerate e l'ora d'aria poteva tranquillamente estendersi a tutte le ore non dedicate dai detenuti al pesante lavoro di raffinazione del minerale
grezzo o a quello ancor più gravoso della sua estrazione; questo contribuiva enormemente a raffreddare gli animi e una bella scazzottata, ogni tanto, serviva ad appianare gli inevitabili dissidi, rinfrescando e al tempo stesso fissando nella memoria di tutti le immancabili gerarchie carcerarie.
Se poi qualcuno, non contento di questo modo civile di risolvere le questioni, continuava a sentirsi insoddisfatto e smaniava dalla voglia di uccidere un compagno, amico o avversario che fosse, poteva sempre contare sul bonario e paterno intervento di Harris e dei suoi angeli custodi, reclutati nei Corpi Speciali, meglio ancora se
tra gli stessi detenuti, che dovevano essere gli unici secondini in tutto l'universo conosciuto a prestare sempre
servizio in full power-armor...
Fuggire non aveva alcun senso: non c'era nulla oltre alle rocce, al di fuori della cupola, e l'unica altra struttura artificiale in tutto il pianeta era costituita dalla stazione di carico automatizzata situata, per comodità, al Polo Nord planetario. Collegata alla raffineria del campo da un tunnel ad induzione magnetica lungo un migliaio
di chilometri, questa veniva unicamente visitata da un cargo senza equipaggio che svuotava i magazzini circa
una volta ogni due anni, lasciando parti di ricambio e provviste, e dalle occasionali navette che trasportavano
nuovi ospiti forzati, l'ultima delle quali aveva avuto a bordo Bartoli stesso e i suoi uomini.
C'erano delle capsule di salvataggio a sei-otto posti, ma erano state prudentemente dotate soltanto del carburante necessario per immettersi in un'orbita solare alta e, sicuramente, nessuno su Ajax sarebbe stato così pazzo o disperato da voler tentare il suicidio in maniera tanto elaborata e dolorosa, lasciandosi morire di fame e di sete nello spazio, quando bastava semplicemente chiedere a Igor una doppia porzione abbondante!
Una cosa, soprattutto, dispiaceva al colonnello: il loro anno di vacanza laggiù era quasi trascorso e la prospettiva di tornare fra le stelle a combattere e rischiare la pelle per niente lo metteva stranamente a disagio. Lui si trovava così bene lì!
Sicuro, la cosa presentava anche dei lati positivi: finalmente avrebbe potuto curarsi l'ulcera provocatagli dal cemento di Igor ­- l'unica cosa al mondo capace di far collassare un buco nero per il disgusto! -­ e, dulcis in fundo, andandosene non sarebbe mai più stato costretto a trovarsi davanti la faccia di Harris: viscido e repellente com'era, quell'uomo avrebbe fatto ribrezzo persino ad un verme!
«...Grandioso, ti dico! Abbiamo trovato questo pilastro di roccia, no, sarà stato alto una trentina di metri, sul
lato sinistro della pista e Mike fa: Minatelo! Voglio proprio vedere come viene giù! E quando cade, tutti giù a ridere, perché quello scemo di Andy aveva piazzato la carica dalla parte sbagliata e i frammenti avevano ostruito tutto il passaggio! Avresti dovuto vedere come si è incazzato Mikey! Uno spettacolo veramente grandioso, davvero!»
Senza rendersene conto, Bartoli era giunto nei pressi del cancello est.
Una squadra di scavatori era appena rientrata e quell'idiota stava lì a vantarsi di aver assistito ad un litigio!
Uno spettacolo grandioso! Uno spettacolo veramente grandioso!
Pensare che da quella marmaglia potesse essere dipesa la vita anche di un solo uomo, in passato, faceva rivoltare lo stomaco al colonnello: non era sufficiente essere costretti a combattere una guerra che loro non avevano iniziato né tantomeno voluto, no! Bisognava anche sopportare di essere considerati commilitoni di cialtroni simili, a malapena in grado di esprimersi e di imbracciare un fucile!
Per forza che le operazioni militari procedevano sempre peggio: un topo deficiente avrebbe potuto
tranquillamente batterne un battaglione, di gente così!
 
«Crede davvero che sia stato prudente?»
Bartoli si riebbe con un sussulto: «Cosa?»
Pazzesco! Perso nei suoi pensieri e nelle sue considerazioni su quanto stava accadendo su Ajax, si era distratto nel bel mezzo di un'operazione! E poi si permetteva di biasimare gli altri!
«Le ho chiesto se ritiene che sia stato davvero prudente venire qui.» ripeté pazientemente il capitano Largo; poi, in tono leggermente preoccupato: «È sicuro di sentirsi bene? Non ha un bell'aspetto!»
Marcus stava guardandosi attorno, visibilmente sulle spine: non era cosa di tutti i giorni infilarsi di nascosto
nell'ufficio di Kelmann in cerca d'informazioni, soprattutto se questo voleva dire infiltrarsi anche nel suo ter-
minale fuori rete!
Non si trattava tanto della necessità di non lasciare traccia dell'avvenuta intrusione, ad impensierirlo: Axel
e Layla avrebbero potuto tranquillamente penetrare nel nucleo informatico principale di Base Horus, sede del Comando Centrale delle Forze di Spedizione Alleate, mettersi a ballare il valzer sotto il naso dell'ICE e andarsene con tutto quello che sarebbe parso loro adatto come souvenir! Piuttosto, era la probabilità che Kelmann tornasse prima che loro avessero finito, cogliendoli, come si suol dire, con le mani nel sacco.
E questa aumentava ad ogni secondo che passava.
Oltretutto, il colonnello, quella sera, non sembrava essere nella sua forma migliore.
Quando Bartoli, molto dopo la fine del suo rapporto, era tornato in camerata nel tardo pomeriggio chiedendo
loro di iniziare i preparativi per quell'operazione di spionaggio, tutti quanti, tranne forse Vapula, avevano creduto che stesse scherzando. L'espressione del colonnello, però, era certamente stata più esplicita di qualsiasi diniego, e così, sebbene un po' a malincuore, avevano accettato la cosa, avendo imparato, sulla base di una lunga e movimentata esperienza, a fidarsi ciecamente dell'uomo che li aveva fatti uscire sani e salvi da più situazioni pericolose e disperate di quante amassero ricordare.
In quel momento, lui e Bartoli si trovavano nell'alloggio del comandante in piena notte, a rovistare un po' dappertutto, mentre gli altri si occupavano diligentemente del suo ufficio e di quello adiacente di Harris.
«Perché, sa signore: in fin dei conti, non abbiamo avuto il tempo materiale di pianificare alcunché, neppure uno
straccio di piano di fuga!» si lamentò ancora Largo, deciso a dire la sua sino in fondo, mentre spostava da una
parte, sollevandolo con una facilità quasi offensiva, un grosso e pesante archivio metallico, vecchio stile come
quasi tutto il resto dell'arredamento, scoprendo il portello di una cassaforte a muro.
Bartoli fece spallucce: «Improvvisazione, Marcus, improvvisazione: questo è il segreto del successo!» lo liqui-
dò distrattamente
«Avessimo almeno potuto sapere, in linea di massima, a che ora torneranno...» insistette Marcus.
Parlava armeggiando col key-pad della combinazione e con l'antidiluviana manopola graduata che costituiva l'unico sistema di backup della cassaforte: a far sì che il sistema d'allarme del comando continuasse a dormire di un sonno profondo e senza sogni ci aveva pensato McLachlan ancor prima di entrare...
«A proposito, come mai il comandante e il suo fido valletto sono partiti in fretta e furia verso il vallone Titano?» chiese, curioso. La sua domanda fu subito seguita dal click a malapena udibile della serratura che scattava, poi dal fruscio delle carte smosse da Largo.
Tenendo d'occhio la porta, il colonnello sbuffò, borbottando qualcosa riguardo l'efficienza del corpo di guardia del campo, poi si voltò verso Marcus: «Pare che ci sia stato un incidente: proprio oggi sentivo due gorilla discutere riguardo a quanto si fossero divertiti, con la loro
squadra, ad abbattere un pinnacolo di roccia nel vallone, facendolo talmente bene da riuscire a bloccarsi la strada da soli! Dopo aver impiegato più di tre ore per riaprire il passaggio, sono tornati al campo e, essendo meno furbi di un'ameba, sono andati subito a scaricare e poi dritti da Igor a sbronzarsi e a spararle grosse. Idioti!»
Marcus smise per un attimo di frugare nella cassaforte per fissare esterrefatto il suo superiore: «Senza neanche contarsi?!»
«Proprio così, Marcus: senza neanche contarsi! E indovina un po'? Quando finalmente hanno deciso di provarci, hanno scoperto che mancavano due uomini!» Bartoli stirò le labbra in un sogghigno soddisfatto: «Appena
l'ha saputo, Kelmann è schizzato via col fuoco al culo e, nella sua incommensurabile stupidità, si è trascinato
dietro anche Harris, lasciandoci mano libera. Carino da parte sua, non trovi?»
Sferrando un pugno rabbioso alla scrivania, per poco il colonnello non mandò in pezzi il portapenne di cristallo che vi stava sopra in precario equilibrio, facendolo cadere: Marcus, per fortuna lì vicino, fece appena in tempo ad afferrarlo al volo!
«Dannazione! Se ne renderebbe conto anche un cretino che è tutta fatica sprecata, la loro: capirai, da questo schifo di pianeta non potrebbe sfuggire neppure un sospiro, ma la semplice eventualità che fosse accaduto
l'impossibile deve aver sconvolto l'unica cellula grigia presente nel cervello del nostro amatissimo carceriere!
Una simile macchia sul suo curriculum?! Per carità! Non sia mai! Piuttosto che questo, trovate i colpevoli e seppelliteli sotto una montagna, a costo di erigerne una ammassando pietre a mani nude!»
Marcus rise di gusto, mentre iniziava a microfilmare ciò che aveva trovato: «Deve fare attenzione, signore, altrimenti una volta o l'altra finirà per avvelenare qualcuno, ad esprimersi a quel modo!»
Per tutta risposta, Bartoli sbuffò un'altra volta, poi tornò a fissare la notte oltre la finestra, oltre la cupola.


«Allora?»
Le sei del mattino, dopo una notte trascorsa a procurarsi e successivamente a vagliare possibili informazioni. Bartoli sbadigliò, stiracchiandosi, in attesa di una risposta.
Fu François a fornirgliela, anche se non proprio secondo il regolamento: «Merde! C'est vraiment de la merde,
tout ça!» sbottò, furioso e schifato al tempo stesso.
Bartoli non fece una piega, nonostante la volgarità dell'uscita: «François, mio caro, capisco che in te sia
ancora vivo il ricordo dei tuoi eccessi con Igor, giù alla mensa, però potresti anche essere cortese e rispondermi, invece di lasciarti andare a quel modo! Oltretutto, ci sono delle signore presenti...» commentò pacato, accennando a Layla dall'altra parte del tavolo.
Il capitano Laurent fece finta di non cogliere l'ironia nelle parole del superiore e rispose in tono reciso, con voce che ancora vibrava di rabbia repressa: «Hanno costruito l'intero campo senza fare il benché minimo rilevamento preliminare, colonnello! Solo un deficiente completo del calibro di Khorov avrebbe potuto arrivare a tanto!»
«Stai cercando di dirci che poggiamo i piedi su terra incognita, François?» Axel scosse la testa, incredulo: «Ma
avranno pur dovuto sondare per trovare i giacimenti!»
«Certamente! L'hanno fatto: è solo che quelle stramaledette prospezioni sono l'unica cosa che abbiano effettivamente compiuto prima di sbatterci qui!»
Il pugno di François sul tavolo metallico rimbombò a lungo nel silenzio più assoluto.
Lentamente, Bartoli fece il giro del tavolo per andare a posargli una mano sulla spalla: «Cerca di calmarti, Laurent: arrabbiarsi tanto non serve a nulla e tu lo sai.»
«Scusi, colonnello, ma quando penso a che razza di carogne siamo in mano... Guardate un po' qui: sono tutte foto della stessa zona, un'area poco più ampia di una ventina di chilometri quadrati, con al centro il vallone Titano. Non c'è nient'altro!»
Bartoli picchiettò perplesso l'indice sulla pila di fogli accanto alle foto. «E questi?» chiese.
François scoppiò a ridere: «Questi, signore, sono il più brutto scherzo che un uomo possa mai aver giocato
ad un proprio simile: sono balle! Le più grandiose, strepitose, fottutissime e fantasiose balle che si siano mai
raccontate a qualcuno in tutta la storia del dannatissimo universo!»
«Spiegati!» Bartoli cominciava ad essere a corto di pazienza.
«È presto detto, signore: in quei fogli, rigorosamente top-secret, sta scritto che l'unico giacimento scoperto su
Ajax 2 era talmente povero da essersi esaurito dopo soli due anni!»
«Ma è impossibile: questo campo di lavoro è uno dei più vecchi tra quelli istituiti dall'A.E.F.!»
«Lo so benissimo, Layla cara! Poco dopo l'esaurimento del filone originario, ne venne scoperto un secondo
apparentemente più ricco non molto lontano dal primo e poi un terzo, un quarto, un quinto, ad intervalli irregolari ma sempre prima che giungesse l'ordine di smantellare tutto e di trasferire le attrezzature da qualche altra parte!» Continuando a parlare, il capitano Laurent prese ad indicare i vari punti sulle fotografie, tutti disposti lungo un circolo irregolare attorno alla cupola: «Per farvela breve, il nostro è stato il primo, vero ritrovamento da tredici anni a questa parte, così come sarà il primo quantitativo di minerale di una certa importanza a lasciare effettivamente questo luridissimo pianeta quando ce ne andremo!»
«Se ho capito bene, secondo te starebbero scavando da anni sempre lo stesso minerale. È così, vero?»
Laurent si strinse nelle spalle: «Sì, colonnello.»
«Certamente avrai anche scoperto come fa il minerale a tornare indietro dai magazzini della stazione di
carico...»
«Quello è il meno, signore: le tenie robot utilizzano la rete di gallerie naturali che, stando alle prospezioni,
collegherebbero il vallone Titano a quasi ogni punto del pianeta; man mano che il minerale viene estratto, raffinato e stoccato, le tenie lo prelevano dai magazzini, lo fondono e provvedono ad iniettarlo nel nuovo giacimento.» François fece una pausa, per raccogliere le idee: «Del resto, nessuno lo ha mai visto realmente, il minerale: pensano a tutto gli scanner e le tenie; gli scavatori devono soltanto occuparsi di predisporre la zona in cui i macchinari verranno temporaneamente installati! E per quel che riguarda la raffinazione...»
«Tonnellate di roccia da sminuzzare e caricare sui trasportatori.» Largo sospirò, scuotendo la testa.
«Esattamente!»
«Ma il comando...» azzardò Layla.
«Il comando non ne sa nulla, Layla!» Bartoli si era ormai fatto un'idea ben precisa della situazione:
«Il comando, qui, è Khorov: da sempre, la peggiore feccia dell'A.E.F. viene affidata alle sue cure e lo scarto di questa feccia lui lo manda qui!»
«A morire?»
«No, Marcus, a consumarsi e imputridire. Ricordi? Non c'è alcuna via d'uscita da questo posto: persino le
sue rocce tornano indietro! E la cosa buffa è che Kelmann lo sa benissimo, ma è talmente stupido da essere
convinto che Khorov l'abbia messo qui perché ha fiducia nelle sue capacità!» Bartoli fece per sputare con tutto
il suo disprezzo, ma si trattenne.
«Colonnello, noi però stiamo per andarcene e ritengo che parleremo, ora che sappiamo come stanno le cose!»
Bartoli continuò a fissare in silenzio mappe e documenti: «Lo credi davvero, Vapula? Pensaci bene: credi che Khorov non lo avesse previsto? È una bestia, certo, ma una bestia estremamente astuta. Secondo te, perché
siamo stati inviati in quella valle che non è nemmeno segnata sulle mappe minerarie? D'accordo, tu potresti facilmente eliminare tutte le guardie e fuggire, ma anche qualora riuscissi a lasciare il pianeta, non credo che riusciresti a tenere testa da solo alla dozzina di incrociatori pesanti che lui ti sguinzaglierebbe dietro! O mi sbaglio?»
L'alieno non rispose, non ve n'era bisogno: il suo sguardo era più che eloquente!
Il colonnello fissò a lungo i suoi... figli? Da quando aveva cominciato a considerarli tali? Forse da quando aveva
deciso di portarli via da laggiù con qualsiasi mezzo?
«Il comitato di benvenuto era un messaggio, persino Igor l'ha sempre saputo. Voi non uscirete mai da qui, mi avete pestato i piedi una volta di troppo! Ecco, è questo il messaggio!» Fece una pausa, il tempo necessario a sorbire una meritata quanto necessaria tazza di caffè bollente, mentre sfogliava distrattamente le pagine dattiloscritte: giunto ad un certo punto si fermò, posò la tazza vuotata a metà e sfogliò a ritroso un paio di pagine: «Questa poi, non me l'aspettavo proprio!» La voce di Bartoli suonò bassa, divertita. Sorrise: aveva trovato ciò che cercava: «Ecco perché l'idiota si è dato tanto da fare! In fin dei conti era logico: se tutto questo schifo funziona veramente a circuito chiuso...»
Non fece a tempo a concludere il proprio pensiero, perché in quel momento un uomo spalancò la porta della camerata con un colpo ben assestato delle natiche, per poi entrare zoppicando a marcia indietro, reggendo in
precario equilibrio qualcosa tra le mani. Quando infine si voltò per appoggiare il vassoio sul tavolo, si resero
conto che si trattava di Igor: era pallido come un morto, tremava da capo a piedi e biascicava frasi incoerenti
a fior di labbra; stanti le sue condizioni, si guardarono bene anche solo dall'annusare i piatti con la colazione
che aveva portato con sé: il rischio di una morte lenta ed estremamente dolorosa era eccezionalmente elevato,
quel mattino!
Preoccupato, Bartoli fece sedere il cuoco, prima che crollasse a terra svenuto: «Che ti prende, Igor? Hai per
caso avuto la sventura di trovarti sottovento mentre Harris apriva bocca? È per questo che ti senti male?» ironizzò, solo in parte, il colonnello.
Se l'intento era stato quello di sdrammatizzare, il suo tentativo cadde miseramente nel vuoto: Igor, fattogli cenno di avvicinarsi, si aggrappò al bavero della tenuta da lavoro di Bartoli e, trattolo ulteriormente a sé: «Sono tornati!» sibilò «Meno di venti minuti fa! Sono tornati, colonnello!» ripeté a voce più alta, come un invasato.
«Chi è tornato. Igor? La squadra di ricerca?»
Il cuoco annuì, muovendo avanti e indietro meccanicamente la testa come una marionetta: «Ne hanno trovato
solo uno, colonnello! Un povero demente che non ha più nemmeno la forza di farneticare, si rende conto? Un pazzo! Un pazzo furioso! Hanno dovuto legarlo, per riuscire a riportarlo indietro! E quell'idiota bastardo di Harris a ridergli in faccia e a sfotterlo perché si era spaventato a rimanere là fuori, solo, tutta la notte! Ma quella non era semplice paura di rimanere solo al buio: io l'ho visto, colonnello! Quell'uomo è ridotto ad un vegetale: qualcosa lo ha terrorizzato al punto di distruggergli la mente. Non voglio che accada anche a me, non lo voglio! Non lo voglio! NON LO VOGLIO!!!»
La voce del cuoco era salita sempre più di tono, fino a rompersi in uno stridio acuto, mentre lacrime di puro
panico cominciavano a scorrergli lungo le guance.
Interdetto, Bartoli cercò goffamente di calmarlo battendogli una mano sulla spalla: «Su, Igor, calmati, non
fare così! Calmati e cerca di spiegarti meglio.» Un cenno del capo era bastato perché Layla si allontanasse per un momento e tornasse con una fiaschetta di pessimo gin, comprata allo spaccio giusto per occasioni come quella.
«Ecco qua, Igor: fatti un bel cicchetto e respira a fondo, così, da bravo!»
Kerensky fece come gli era stato detto: trangugiò quasi mezzo litro di liquore liscio come fosse acqua di fonte ­- e di certo, nonostante fosse astemio, dell'acqua di fonte gli
fece l'effetto! ­- e con un sospiro sembrò scacciare defi0nitivamente il panico; in seguito, per lunghi istanti fissò
il colonnello, seduto dall'altro lato del tavolo, senza badare minimamente, o quasi, ai restanti membri del gruppo: «Lo sa, signore? È buffo, ma non avrei mai creduto che sarei arrivato a tanto! Mai, in tutta la mia vita! So benissimo che è vergognoso, un ufficiale dell'Intelligence non dovrebbe mai perdere il controllo, ma quando ho visto i suoi occhi...» rabbrividì, un tremito perfettamente visibile persino ad una certa distanza.
«Completamente, eternamente vuoti, proprio come questo bicchiere!» spiegò, cavando un tintinnio musicale
dall'oggetto in questione. «È stato più forte di me, mi scusi.»
Giocherellò con il tumbler di cristallo che Bartoli aveva vinto una vita prima al suo ufficiale superiore durante una partita a carambola, poi si abbandonò contro lo schienale della sedia, ad occhi chiusi.
Per un qualche inspiegabile motivo, a tutti sembrò che si fosse levato una maschera, che Igor Kerensky, l'Abominevole Cuoco degli Spazi, fosse improvvisamente morto per sempre, lasciando al suo posto un perfetto estraneo.
Una sensazione decisamente inquietante.
Rimasto in silenzio per alcuni minuti, questo sconosciuto riprese a parlare di colpo, senza cambiare posizione, senza riaprire gli occhi, semplici labbra che si muovevano formando parole e frasi di senso compiuto: «Lasciate che mi presenti: il mio nome è Igor Vissarionovich Kerensky, maggiore dei Servizi Segreti delle Forze di
Spedizione Alleate; sono un ingegnere elettronico, specializzato in sistemi di controllo automatico e in telecomunicazioni; per questo, fui cooptato all'Accademia e terminai l'addestramento nei Servizi, ma riesco a cavarmela discretamente anche in molti altri campi, cosa che mi è sempre stata d'aiuto in missione. Sfortunatamente per voi» e qui sorrise: «la cucina non rientra tra questi.» L'occhiata colma di disgusto che indirizzò, raddrizzandosi, ai piatti che aveva portato fece ridere tutti quanti.
«Anche la gamba fa parte della sua messinscena, maggiore?»
«No, colonnello: quella, purtroppo per me, è vera, un ricordo tangibile delle eccezionali capacità strategiche del
nostro stimatissimo e gloriosissimo Capo di Stato Maggiore, il generale Khorov!» Scrollò tristemente il capo: «Fa bene a prendermi in giro: se solo avessi avuto allora un po' del suo coraggio, oggi non sarei costretto a litigare ogni volta con questo dannatissimo circuito di feedback! Ma è inutile recriminare: ormai è acqua passata.»
«Mi scusi se m'intrometto, signore, ma perché ci sta dicendo tutto questo? Qual è il suo scopo? Perché immagino che ne avrà uno, se ha deciso all'improvviso di bruciare la sua copertura!» s'intromise Marcus, con la stessa grazia di una mandria di bisonti durante una carica.
Kerensky sorrise: «Lei è una persona acuta, capitano Largo, anche se è ancora abbastanza inesperto, mi permetta di dirglielo senza intenzione di offenderla. Se osserva attentamente il suo amato colonnello, si accorgerà che lui conosce già la risposta alla sua domanda.»
Marcus, enorme e accigliato, si rivolse a Bartoli: «Signore?»
«Ha molto semplicemente capito che era ora di chiedere aiuto, perché questa faccenda è già diventata dannatamente troppo complicata per poter continuare ad essere gestita da un uomo solo, per quanto abile ed intelligente egli sia!» Bartoli si allungò all'indietro, stiracchiandosi beato: «Probabilmente ci aveva adocchiato come possibile/probabile gruppo di supporto sin dal nostro arrivo, poiché eravamo gli unici dei quali potesse realmente fidarsi per portare a termine la sua attuale missione.»
Versatosi una nuova tazza di caffè, la sorseggiò piano, prima di poggiarsela contro lo stomaco per goderne il tepore: «In effetti, non posso dargli torto, considerando il fatto che persino il fedelissimo Kelmann, che pulirebbe un letamaio con la lingua se sapesse che così farebbe un piacere personale a Khorov, è stato capace di tradire il suo beneamato generale, denunciando quanto accadeva in questo fetido buco pur di essere sicuro di uscirne vivo, pulito e, possibilmente, onorato a tempo debito. Poveretto! Sarà stato frustrante, per lui, rendersi conto giorno dopo giorno che la sua delazione non ha ancora sortito alcun effetto concreto; magari penserà di non essere stato creduto, o peggio ancora, di essere stato intercettato dagli sgherri di Khorov. Ora che ci penso, dev'essere per questo che cammina sempre rasente i muri, guardandosi alle spalle e sussultando ad ogni minimo rumore: teme di essere fatto fuori a tradimento! Come lo capisco!» Il colonnello chinò il capo, compunto, sogghignando all'indirizzo di Kerensky che l'ascoltava a bocca aperta: «Eh, già! Perché lui ovviamente non sa che sei tu l'agente incaricato di sputtanare il generale Khorov, non ho forse ragione?»
Contò allegramente sulle dita: «Prima regola della copertura perfetta: Non informare mai il traditore dei
tuoi movimenti: avendo già tradito una volta, potrebbe essere tentato di concedere il bis
! Suona all'incirca così,
nell'ambiente dei servizi segreti, vero, Igor?»
L'espressione allibita e spaventata insieme apparsa sul viso di Kerensky costituiva già da sola una risposta: «Ma
come diavolo...?»
«Come diavolo ho fatto a scoprire tutto? Via, Kerensky, lei mi delude! Nel modo più semplice possibile!»
Con un sorriso innocente, Bartoli porse dei tabulati allo stupefatto maggiore.
«Ma questi sono di Kelmann!» esclamò Kerensky.
«Esatto! Io e i ragazzi, qui, li abbiamo presi in prestito dal suo ufficio mentre lui era via. Vediamo, se non
sbaglio il tuo piano era di procurarti questa roba poco alla volta, per non lasciare tracce e per non insospettire
qualcuno; poi avresti preso la via del Polo Sud, imbarcandoti sul cargo, magari dopo aver inscenato un qualche incidente per coprire la fuga. Col nostro aiuto, s'intende, perché, sinceramente, dubito che avresti potuto
farcela da solo, con quella gamba!»
«Io non vi avrei mai...» si affrettò a rassicurarlo l'ex-cuoco.
«Lo so, lo so, non preoccuparti!» lo tranquillizzò il colonnello: «Non intendevi usarci per poi abbandonarci qui
come un paio di scarponi vecchi. In fondo, sei una persona corretta e un uomo d'onore, non è così?»
«Sì» Gli uscì un po' sfiatato per la sorpresa, ma sufficientemente convincente: «Vi avrei detto tutto fra poche
settimane: avrete già capito che, nonostante le apparenze, la vostra condanna era definitiva, nella mente di Khorov, e che da qui non ve ne sareste mai andati, per quanto è in suo potere di fare!» dicendolo, non poté fare a meno di gettare una rapida occhiata al viso inespressivo e bello in modo inquietante di Vapula. «Ma poi...»
Su quel Ma poi... la sua voce si spense, mentre un brivido gli squassava il corpo.
Fu Finn a terminare per lui: «Ma poi tutto ha cominciato ad andare a rotoli, a partire dal battleram, finché non è successo qualcosa che ti ha spinto a venire da noi adesso, molto in anticipo sul previsto.»


Discussero per varie ore, mettendo in tavola ciascuno le proprie carte, i propri sospetti e osservazioni.
Risultò ben presto chiaro a tutti che a far schizzare Kelmann e Harris come molle, la sera precedente, tanto da
organizzare in fretta e furia e guidare personalmente una spedizione di ricerca e soccorso per i due detenuti che
erano scomparsi ­ fornendo in tal modo a Bartoli e ai suoi uomini il destro per razziare indisturbati gli archivi
personali del comandante del campo nonché quelli del suo vice ­ era stata la remota eventualità che i dispersi
potessero rendersi conto della portata dell'immenso imbroglio sul quale si reggeva l'esistenza stessa del campo
di lavoro di Ajax 2, come se per quei poveri disgraziati fosse stata anche solo concepibile la possibilità di scoprire e raggiungere la seconda base di lancio, situata al Polo Sud del pianeta e perfettamente attrezzata per l'evacuazione: infatti, che il cargo automatico fosse basato laggiù, durante i due-tre anni del ciclo minerario di Ajax 2, lo sapevano solamente Kelmann, Harris e Kerensky e, dalle sei di quella stessa mattina, Bartoli e i suoi!
Come avevano saputo or ora dal sedicente cuoco, la missione S.A.R. era comunque stata coronata dal successo,
se successo si poteva considerare l'aver ritrovato soltanto uno dei detenuti, per di più, a sentire Igor, ridotto in uno stato a dir poco pietoso! Fatto, questo, che non aveva comunque mancato d'inorgoglire quell'automa di Harris, troppo stupido anche solo per iniziare a comprendere la portata degli avvenimenti che stavano susseguendosi sempre più rapidamente su quello scoglio desolato.
Alla fine, rimasero d'accordo di agire separatamente, per non dare nell'occhio: si sarebbero tenuti in contatto,
ovviamente, ma si sarebbero incontrati faccia a faccia soltanto se fosse accaduto qualcosa di veramente grave,
che avrebbe potuto compromettere in maniera irreparabile i loro piani.


«Attenzione! Sto per chiudere il portello alle nostre spalle: inizio sequenza di compensazione tra quindici secondi!»
Nemmeno il penetrante ronzio dei servomotori della camera d'equilibrio all'ingresso sud della cupola riuscì a
distogliere Bartoli dalle sue cupe riflessioni: erano nuovamente diretti alla rete di grotte che avevano scoperto
all'inizio di quell'immenso casino e questa volta dietro esplicita richiesta di Kelmann. "O dovrei dire preghiera? A voler essere sinceri, non riesco ancora a decidermi per l'una o l'altra interpretazione!" si disse, cercando di cavare un senso da tutto quel groviglio di pensieri, deduzioni e sensazioni che affollavano la sua mente.
«Colonnello, è sicuro che Kelmann non sospetti di noi?»
«Sospettare?» Bartoli trasalì, distogliendosi a fatica dalle profondità delle sue riflessioni sulla settimana trascorsa da quando si erano alleati con Kerensky: «No, non sospetta di noi, non sospetta di nulla: è solamente preoccupato perché ormai gli scomparsi cominciano a diventare veramente troppi!»
Sicuro! Gli scomparsi stavano realmente diventando troppi, per chiunque e non solo per Kelmann o Bartoli!
Ma non erano esattamente scomparsi, vero?
Oh, no, qualcosa di loro lo si trovava sempre: alle volte un guanto, un dito, un brandello di tuta... altre volte
molto ma molto meno!
Durante gli ultimi sei giorni, il vallone Titano era diventato un mattatoio, un luogo dal quale si rischiava di
non tornare indietro: si trattava sempre di piccoli incidenti, esplosioni non programmate, piccoli smottamenti,
frane, tute che si strappavano impigliandosi nella roccia "E la decompressione non è mai stata un bel modo di
morire
!" rifletté il colonnello; sempre quando le vittime erano sole, separate dagli altri; sempre perfettamente spiegabili in un modo o nell'altro, nella loro tragica fatalità -­ Ha piazzato male la carica, e prima di farla
detonare non si è reso conto che l'avrebbe investito!, Ha appoggiato la mano su quello spuntone, vedete? È
tagliente come un rasoio, dannazione! Gliel'avrò detto mille volte di stare attento, a quell'imbecille!
­- e così
via, e così via, e così via...
Era proprio questo a terrorizzare Bartoli, soprattutto dopo aver parlato con Andy il Pazzo, come era stato soprannominato il loro unico superstite...


Erano occorse non poca fatica e pazienza, il giorno del loro colloquio col maggiore Kerensky, per convincere Harris a lasciarli tentare: ci riuscirono solo dopo che Layla gli ebbe fatto balenare davanti agli occhi la
remotissima eventualità di prendere in considerazione un suo invito per una cenetta intima a lume di candela.
Chissà perché, Bartoli era convito che vi fossero maggiori possibilità, per un nuovo universo, di sbucare fuori
dal vuoto tutto intero...
Peccato per Harris: non era certo colpa loro se era così ingenuo!
Una volta entrati nell'infermeria del campo, trovarono Andy dietro una tenda in fondo alla sala comune: alla
sua vista, Bartoli dovette ricacciare indietro a forza la nausea che minacciava di rovesciargli lo stomaco.
Mentre Layla scoppiava a piangere tra le braccia di Marcus, il colonnello capì cos'avesse terrorizzato il
maggiore Kerensky al punto da spingerlo a confidarsi con loro, mettendo a repentaglio la sua missione e la
sua stessa vita: conosceva Andy il Pazzo di vista ­- colossale com'era, era veramente difficile non notarlo e
poi era stato uno dei più entusiasti fautori del benvenuto collettivo che avevano ricevuto il giorno del loro arrivo
su Ajax 2 ­- e sapeva, tramite Igor, che era sempre stato un delinquente anche prima di arruolarsi, un maniaco
omicida sadico e depravato che si divertiva a torturare a lungo le sue vittime prima di ucciderle o, peggio, prima
di lasciarle continuare a vivere, dopo averle mutilate. Se si dava retta a certe voci, addirittura, il suo era probabilmente stato uno dei pochi arruolamenti forzati di tutte le A.E.F., cosa cui Bartoli non stentava minimamente a credere, del resto: se non fosse partito con la flotta, dopo la Guerra Lunga un Giorno, Andy il Pazzo sarebbe stato internato in qualità di cavia umana in un centro per la ricerca farmacologica. Da anni, infatti, sulla Terra non veniva più comminata la pena di morte, nemmeno per i mostri autentici come Andy: secondo il nuovo governo mondiale, che cercava di rimettere insieme i frantumi lasciati dalla guerra, tutti dovevano avere la possibilità di rendersi utili, di redimersi e ad Andy, caso più unico che raro, era stata offerta quella scelta.
Per sfortuna dell'umanità intera, che sperava ardentemente in una cura per qualsiasi nuova malattia potesse affacciarsi all'orizzonte, lui aveva scelto l'arruolamento...
A giudizio personale di Bartoli, quel bastardo rappresentava il tipico esempio di ottimo carburante per
reattori materia/antimateria e pertanto non avrebbe provato alcuna pena se fosse morto, anzi!
Venire ridotto a quel modo, però, era troppo persino per uno come Andy: sogghignava, ma solo a metà, le
labbra tese a scoprire la parte destra della chiostra dei denti; l'occhio destro era fisso; strabuzzato e colmo di
sangue, invece, quello sinistro, che continuava a girare in tondo come se appartenesse ad un cavallo cieco e non
ad un essere umano. Il resto della sua faccia si contraeva a caso, quasi a ritmo col continuo biascichio bavoso
che gli usciva di bocca; guardandolo neanche troppo attentamente, si poteva scorgere una massa rossastra anche dietro la pupilla destra, segno che la mente di Andy si era letteralmente schiantata a causa di ciò che era
stata costretta in qualche modo ad assimilare.
«Vapula, credi di riuscire a cavarne qualcosa?» chiese Bartoli, cercando di deglutire l'orribile sapore che gli
era salito in bocca.
«Qualcosa se ne cava sempre, colonnello: basta volerlo. Tanto più che, con lui, non si può far altro che del
bene, a spremerlo: peggio di così...» L'alieno si strinse nelle spalle: a lui non importava nulla di uccidere, anzi,
per quello che ne sapeva il colonnello, poteva anche darsi che gli desse piacere.
La nausea di Bartoli aumentò: in cuor suo, cominciava a credere che, alla fin fine, proprio l'alieno avrebbe
costituito il pericolo di gran lunga maggiore, per loro come per gli altri, ma ammetteva anche che, non fosse
stato per Vapula, lui e i suoi non se la sarebbero cavata in più di un'occasione; così decise di mettere a tacere
ancora una volta quella parte tanto sospettosa del suo cervello, in attesa di prove più concrete.
«D'accordo! Fai quello che ritieni necessario, ma niente di più!»
«Agli ordini, capo!» Un rapido, sarcastico saluto militare, poi Vapula si immerse nella melma grigiastra che
un tempo era stata il cervello di Andy.
Bartoli si rivolse agli altri: «Voi, intanto, perquisite questo posto: Igor ha detto che quando lo hanno riportato indietro riusciva ancora a parlare. Magari riusciremo a trovare qualche registrazione...»

Vapula si dimostrò preciso ed efficiente come al solito, riuscendo ad ottenere tutta una serie d'informazioni che,
se da un lato parevano confermare parte dei loro precedenti sospetti, dall'altro gettavano una luce alquanto inquietante sulla loro attuale situazione.
«Un altro tunnel, Vapula?!» chiese il colonnello.
«Sì, signore. Sotto la torre di roccia che quegli imbecilli hanno fatto saltare. Questo, però, era indubbiamente collassato da tempo.»
Bartoli annuì distrattamente, mentre lasciavano l'infermeria in coda al gruppo. «Sei proprio sicuro che terminasse lì?»
Vapula fece spallucce: «Sicuro al cento per cento, no: dovrei recarmi sul posto ed indagare personalmente, ma
le immagini residue presenti nel cervello di Andy erano piuttosto nitide. Diciamo un novanta per cento abbondante di probabilità che quello fosse un vicolo cieco!»
«E se avesse visto un altro campo di forza?» Layla aveva rallentato il passo per aspettarli ed ora attendeva
ansiosamente una risposta.
«No, ritengo di poterlo escludere del tutto.» Vapula sembrava molto sicuro del fatto suo, e loro si guardarono bene dal contraddirlo.
«Allora, cosa pensi che fosse?»
«Un esemplare meglio conservato dell'ambiente artificiale trovato da noi, colonnello: stando alle letture
dei sensori, al momento della sua apertura, la pressione all'interno era di molto superiore a quella dell'esterno.»
Bartoli si arrestò di colpo: «Un'atmosfera?»
«Forse, ma ormai inadatta alla vita, qualsiasi vita, da secoli: tenete conto che i macchinari destinati al mantenimento del supporto vitale, con ogni probabilità, si trovavano molto addentro alla sezione di tunnel crollata. Sarebbe stato alquanto stupido piazzarli in un luogo così esposto come una camera di compensazione, non vi pare?»
Procedettero più lentamente, discutendo e riflettendo.
«Ciò che mi lascia alquanto perplesso è quell'accenno alle larve...»
«Larve? Quali larve?»
«Effettivamente, sono stato io a chiamarle così.» spiegò Vapula in tono accademico: «In realtà non so cosa fossero: assomigliavano a dei grossi bruchi, lunghi più di due metri. Erano morti, naturalmente, ma, data la quasi totale mancanza di ossigeno, risultavano ancora ottimamente conservati. Lo strano è che sembravano essere in tutto e per tutto dei vertebrati; metamerici, ma vertebrati.»
Bartoli sbuffò, lievemente spazientito: «Va bene, Vapula! Tutto ciò è sicuramente molto interessante, ma un
mucchio di fossili, per quanto grandi e ben conservati, non può certo aver fatto a pezzi un uomo e averne ridotto un secondo a meno di un vegetale!»
L'altro sorrise, una semplice, sottilmente terrificante esposizione di denti: «In effetti, colonnello, ci stavo giusto arrivando: non sono stati loro, questo è ovvio! Credo le farà piacere sapere che è stato un sorriso!»



Rividero Igor tre giorni più tardi, trascorsi a rielaborare tutto quello che erano riusciti a spigolare attraverso le fonti più svariate. Dopo Andy, più nessuno degli incidenti aveva avuto superstiti, come se il loro artefice
avesse deciso di non potersi permettere ulteriori errori, di qualunque genere essi fossero; l'altra ipotesi che
avevano avanzato, che Andy fosse risultato disgustoso persino per lui, sottintendeva alcune sottili implicazioni,
sul loro fantomatico avversario, che risultavano persino troppo terrificanti per essere prese seriamente in considerazione.
Evitando di rimuginarci sopra a lungo, Bartoli ascoltò con un orecchio solo il resoconto delle manovre del maggiore: anche lui si era dato un gran daffare per saperne di più, ma, a giudicare dalla sua espressione, ciò che
aveva saputo non gli era piaciuto affatto: «Tre giorni buttati nel cesso, colonnello! Dopo aver ricevuto il suo
messaggio, ho sfruttato tutti gli agganci di cui disponevo in questo buco: nulla! Nessuno sa niente di niente! Certamente Harris ha la sua grossa fetta di responsabilità nel silenzio generale di Ajax 2, ma dubito che anche senza di lui la situazione cambierebbe di molto: tutti questi galantuomini parlerebbero di alcool, sesso e droga per giorni, se li lasciaste fare, ma qualunque altro argomento al di fuori di questi tre li lascia totalmente indifferenti! Sono quasi convinto che il fatto che possa esistere qualcos'altro al di fuori di un bicchiere, una donna o un'ipodermica e al denaro necessario a procurarsele, non li sfiori minimamente! Comincio davvero a credere che Khorov li abbia selezionati appositamente!»
Kerensky scosse mestamente la testa, poi ingollò il resto del suo whisky: «Comunque sia, tutto quello che sono
riuscito a sapere riguardo agli incidenti è che verranno classificati come tali, appunto, nonostante nessuno, in
tutto l'universo, abbia mai sentito parlare di un incidente talmente selettivo da lasciare ogni volta, sul terreno,
una parte diversa della vittima!» si lamentò, al limite dell'esasperazione: «Ah! A proposito di vittime: stamane, verso le sei, il nostro caro Andy ha lasciato definitivamente questa valle di lacrime! Pare che quei macellai
che qui si fanno passare per medici non si fossero ancora accorti del più grosso ematoma cerebrale nella storia della medicina. Beh, pazienza, pace all'anima sua!» rise, con un suono cigolante che avrebbe allarmato persino una paratia stagna.
Igor era ubriaco fradicio, non c'era alcun dubbio: non essendo per nulla abituato agli alcolici, gli ultimi tre giorni trascorsi a tirarsi su a forza di bicchierini per tenere lontana la paura erano risultati a dir poco devastanti,
ma Bartoli sarebbe stato pronto a giurare che lo sguardo che il cuoco teneva puntato su di lui in quell'istante
fosse quello di un uomo sobrio: «Ho consigliato a Kelmann di avvalersi della vostra consulenza, colonnello,
e credo proprio che mi darà ascolto, è disperato al punto giusto!»
Si fissò a lungo le mani: nonostante tutto quello che aveva bevuto, tremavano appena, e di certo non per l'alcool: «Colonnello, io contavo di andarmene tra un anno, non appena avessi raccolto abbastanza prove per inchiodare al muro per le palle quel fottuto bastardo d'un generale, ma...» Si zittì, probabilmente riflettendo su
quello che stava per dire: «Ecco, se lei e i suoi uomini decideste di lasciare in anticipo questo luogo di delizie,
portatemi con voi, ve ne prego!»
Bartoli annuì, stringendogli la mano: «Non c'è nemmeno bisogno di chiederlo, maggiore!»
«Ci siamo, colonnello!»


Incredibile! Questa volta non aveva neppure sofferto l'orribile guida di Largo! Concentrarsi a fondo su di un
problema poteva portare a dei risultati davvero grandiosi! Tornando bruscamente al presente, Bartoli si disse
che, per quanto fosse stato ubriaco, quel giorno, Igor Kerensky aveva ragione su tutta la linea: era davvero
venuto il tempo di mollare tutto quanto e sparire dalla circolazione!
Ma prima era rimasta una certa questione da risolvere...
Ormai era assodato che William John Harris fosse intelligente a sufficienza da riuscire a fare concorrenza, forse, a un batterio morto e fossilizzato. Di sicuro era molto più dannoso!
Al contrario, il suo superiore possedeva ancora quel poco d'istinto di conservazione necessario ad essere messo in allarme e pertanto fece quello che mai, in vita sua, avrebbe creduto di dover essere costretto a fare: chiedere
l'aiuto di Bartoli e dei suoi uomini.
Evidentemente, pur risultandogli indigesto quasi quanto i suoi piatti, il suggerimento di Igor doveva essere parso al capitano abbastanza sensato da metterlo in pratica: infatti, Kelmann si era recato da loro, da solo, quello stesso pomeriggio per discutere a lungo col colonnello. In effetti, tra quella discussione ed una confessione seguita da una capitolazione incondizionata non ci passava un atomo, ma Kelmann non sembrò farvi caso: aveva paura, una paura tremenda, di lasciarci la pelle e riteneva giusto e sensato dover
cercare ed ottenere ogni possibile aiuto per riuscire a salvarsi.
Pensiero egoistico, certo, ma molto razionale.
Risultato di quelle sei ore trascorse attorno ad un tavolo erano stati altri tre giorni di attenta pianificazione
ed intensi preparativi, seguiti da una fase di approvvigionamento che avrebbe fatto felice chiunque: potevano
ottenere qualunque cosa volessero, bastava chiedere!
Solo Marcus non poté realizzare il suo vecchio sogno di tornare a pilotare un battleram: quel che è troppo è
troppo, persino per un Kelmann terrorizzato!
Sorridendo a quel pensiero, James Taron Bartoli scese dall'ATT, unendosi ai suoi uomini di fronte all'ingresso della grotta.
«Bene, bene! Sei sempre convinto della tua ipotesi, Vapula?»
«Sissignore! Ci troviamo di fronte ad almeno due predatori di qualche genere in competizione per il cibo:
il modello si adatta perfettamente. Il problema sta nel fatto che si tratta di due predatori semi-intelligenti, il che
li rende molto più efficienti...»
«Vorrà dire che staremo molto più attenti del solito! Marcus! Finn! François! Controllate tutte le cariche che
abbiamo piazzato e, se necessario, potenziatele con ulteriore esplosivo; quadruplicate tutte le spolette e tutti i
sistemi d'innesco ed assicuratevi che almeno uno di essi sia sempre in grado di funzionare, in qualunque condizione! Nel frattempo, noi andremo avanti: quando avrete finito, raggiungeteci al campo di forza, vi aspetteremo lì. Tutto chiaro?»
«Chiarissimo, signore!» rispose per gli interpellati Largo: «Appuntamento al campo di forza!»
«Ottimo! Procedete!» Si rivolse agli altri: «Axel, tu e Layla vi occuperete del monitoraggio delle condizioni
ambientali: al minimo indizio di variazione rispetto ai valori nominali, date l'allarme. Io e Vapula vi copriremo. Se qualcosa dovesse andare storto, ognuno dovrà cercare di mettersi in salvo indipendentemente dagli altri
e poi far saltare tutta la baracca: non possiamo permetterci di commettere altri errori! Sono stato chiaro?»
La risposta fu unica per tutti: «Sì, colonnello!»
Bartoli annuì soddisfatto: «Allora, diamoci da fare!»


Occorse più tempo, questa volta, per raggiungere quella che avevano soprannominato, scherzosamente ma non
troppo, la Porta dell'Ignoto.
Da un certo punto di vista, era consolante: nulla era cambiato dall'ultima volta, e i controlli effettuati alle mine
presero molto più tempo del normale solo per l'estrema pignoleria di François "Bomber" Laurent, che volle addirittura peccare di prudenza collegando tutte le spolette a tutte le altre.
Come risultato, una chilometrica ragnatela di cavi in fibra ottica copriva ora il pavimento del tunnel, dall'ingresso al punto previsto per il rendez-vous.
«Fatto! Così, siamo sicuri che farà il botto, qualunque cosa accada!» fu il suo succinto rapporto a Bartoli
che lo aspettava da più di mezz'ora. «Novità dalle vostre parti?»
«No, nessuna: Vapula continua ad avvertire la presenza di forme vitali oltre quella specie di colossale tombino verticale, ma non riesce ad identificarne la natura.»
L'alieno confermò: «Proprio così, colonnello. È qualcosa che non ho mai incontrato prima, di persona o tramite altri.»
Bartoli lo fissò per alcuni istanti, cercando di capire cosa intendesse in realtà quello strano essere, prima di
concludere bruscamente: «Se non altro, sappiamo che non incontreremo sorrisi dall'altra parte! Okay, basta chiacchiere! Voglio tutte la PCU in assetto da combattimento, armi sull'automatico, sensori a lungo raggio! Accusare il ricevuto e confermare!» Una serie di sei brevi scatti negli auricolari, seguita dalla ripresa delle normali comunicazioni. «Perfetto! Formazione sparsa! Prepararsi a...»


«...Entrare!»
Nonostante le pessimistiche previsioni di Finn, non fu affatto necessario usare un EXO per aprire il secondo
portello; anzi, non dovettero fare proprio nulla: una volta riunitisi nella camera d'equilibrio e chiuso il portello
esterno, iniziò in automatico il ciclo di compensazione, dopo di che quello interno si spalancò da solo senza alcun rumore. Sembrava quasi che qualcuno morisse dalla voglia di farli entrare e di mostrar loro qualcosa.
Oltrepassata la mastra, mossero i primi, incerti passi in un tubo fatto dello stesso materiale cristallino degli
inserti esterni, rettilineo e perfettamente trasparente, che andava ad innestarsi in una sorta di curioso rigonfiamento sferico pieno di una compatta massa grigiastra distante una trentina di metri.
«Ma... siamo finiti in un imbuto?!»
«Layla? Axel?»
«Sto ancora elaborando gli echi di ritorno del radar, colonnello, però devo contraddirti, François: più che ad
un imbuto, assomiglia al bicchiere di uno shaker con un buco sul fondo!» rispose la ragazza, alquanto sconcertata.
«Già! E noi da quel buco siamo appena entrati!» confermò Axel, rincarando la dose. «Guardate che roba! Mai visto nulla di simile!» disse indicando la vasta cavità, colma di nebbia azzurrina come fumo di sigaretta,
che conteneva loro e il tunnel: dato il diametro enorme del globo che avevano di fronte non potevano vedere
molto in avanti, ma la forma delle pareti intorno non lasciava adito a dubbi, allargandosi con una morbida
curva a partire dalla parete piatta alle loro spalle.
«Qualcuno riesce a farsi un'idea delle proporzioni di questo posto?» chiese Finn dopo vari minuti di silenzio generale. «Questo... cilindro? Passaggio? Tunnel? Comunque lo vogliamo definire, ha lo stesso diametro interno del portello stagno e cioè cinque metri, centimetro più centimetro meno, ma per il resto...»
Gli rispose Layla, osservando attentamente gli strumenti: «Un attimo ancora di pazienza, Finn... oh, adesso sì! Ho almeno alcune risposte parziali.» La ragazza fischiò piano: «Però! Hanno fatto le cose davvero in grande! La sfera là avanti ha un diametro di circa duecento metri e più oltre la cavità sembra allargarsi ulteriormente, ma con quelle geometrie, il radar non serve a molto, troppi echi di rimbalzo: per ottenere qualcosa di meglio, dovrei liberare dei droni laser là fuori, solo che non vedo alcuna apertura e non mi sembra il caso di praticarne una apposta! Comincio anche a ricevere i primi dati ambientali, signore.»
«Anche dall'esterno, Layla? Senza aperture?» la prese bonariamente in giro Bartoli.
Lei sorrise: «Posso anche farne a meno, in questo caso: con l'aiuto di Axel, ho modificato il software di elaborazione degli echi di ritorno dell'analizzatore...» Si interruppe, confusa: come tutti gli ufficiali, sapeva benissimo che era contrario al regolamento modificare l'equipaggiamento standard senza autorizzazione.
Alle sue spalle, Axel Lazlo si tirò una manata sul casco: «Fregati! Certo che si può proprio contare sulla tua discrezione, Layla cara!» la rimproverò, sconsolato.
«È anche colpa tua, bamboccio: se tu non ti fossi vantato tanto...»
«E se tu non ti fossi lamentata che quella dannata scatoletta...»
Il colonnello, sebbene divertito dalla scena, decise di averne avuto abbastanza: sapeva benissimo, come tutti
gli altri, che quei due andavano d'amore e d'accordo come fratelli, in realtà, ma questo non voleva dire che
avrebbe permesso loro di battibeccare a loro piacimento durante una missione in pieno svolgimento.
«Adesso basta, bambini, prima che mi arrabbi!»
Fu sufficiente: all'udire quelle parole in cuffia, i due ufficiali si irrigidirono sull'attenti, rossi di vergogna.
Essere ripresi a quel modo dal colonnello era mortificante per loro, perché significava che si erano comportati al di sotto delle loro capacità... e delle sue aspettative!
«Ci scusi, signore!»
«Sì, non accadrà più, signore.»
«Ne sono convinto! Tornando a noi, stavi dicendo, di quella modifica al software, Layla?»
«Ho fatto in modo che potesse estrapolare un modello attendibile delle condizioni atmosferiche di una determinata porzione di spazio a partire dall'intensità degli echi radar di ritorno, colonnello.»
Bartoli annuì soddisfatto: «Temperatura, umidità, densità e composizione dell'atmosfera influiscono sulla propagazione dei fasci radar. Complimenti! Ma funziona davvero?»
«In un ambiente chiuso, il modello fornisce risultati ragionevolmente attendibili. Qui non si può certo parlare
di applicazione ottimale, però... l'attendibilità dovrebbe essere superiore all'80%.»
«Axel? Confermi?»
«Sì, colonnello! Layla ha ragione: il modello che abbiamo sviluppato analizza sia la propagazione in emissione, sia quella degli echi di ritorno, per confermare le estrapolazioni iniziali. È ovvio che se manca un ritorno, il tutto perde di precisione.»
«Per me è sufficiente! Layla?»
«Dunque, vediamo: per quanto riguarda questa cannuccia troppo cresciuta, atmosfera nella norma, addirittura un po' eccedente in ossigeno; temperatura, stabile a 24°C; all'esterno... Oddio, non è possibile: dev'essere totalmente impazzito! Proprio adesso, dannazione! Stupido mucchio di bit!» esclamò, stupita, scuotendo un
paio di volte lo scanner per accertarsi che non si fosse guastato.
«Layla?» Bartoli, vagamente preoccupato, le si era portato al fianco.
Senza far caso al superiore, Layla Pedersen continuò le sue verifiche, poi, rassegnata: «No, per quanto assurdo
possa sembrare, il programma non è impazzito! Ragazzi, stando alle letture, là fuori la temperatura è in rapido
aumento: già adesso ci troviamo sui 60°C e proseguendo con questo ritmo dovrebbe stabilizzarsi sui 120-140°C
nel giro di mezz'ora! Umidità, cento per cento! Mio dio, ma è peggio di una serra tropicale!»
Bartoli la guardava sorridendo: era sempre un piacere scoprire che esisteva ancora qualcosa in grado di stupirla, perché, in quelle condizioni, Layla dava il meglio di se stessa.
«E i segni vitali, Layla?»
«Ovunque, colonnello! Ma direi che i più forti provengono sicuramente da là!» esclamò, indicando la sfera.
«E allora, andiamo a controllare. Anche perché non mi pare che noi si abbia molta scelta, a meno di non voler tornare subito indietro!» Bartoli si avviò a passo spedito, vagamente infastidito da qualcosa che aveva
notato a livello inconscio ma che non riusciva in alcun modo ad inquadrare. "Non ancora, almeno", si disse,
raggiungendo il punto in cui il tunnel si raccordava morbidamente alla superficie esterna del globo: a prima
vista, sembrava che si limitasse ad attraversarlo, proseguendo dritto come un fuso.
«Lo avete notato anche voi? Pare che abbiano voluto mantenere i due ambienti nettamente separati.» commentò, dopo che avevano percorso una quindicina di metri nella penombra all'interno della sfera.
«Come il filo di una collana fatto passare attraverso il foro di una perla: nessun contatto con l'esterno! Mi domando perché: se questo è assimilabile ai corridoi delle nostre navi, non ha molto senso.» Marcus si era avvicinato il più possibile ad una parete laterale per osservare meglio la materia che saturava il guscio sferico; per quello che valeva, avrebbe potuto benissimo chinarsi per guardare attraverso il pavimento: l'unica differenza sembrava consistere nella sfumatura leggermente più scura di grigio del materiale. «Si direbbero dei circuiti
integrati di qualche tipo... oppure no?» borbottò, alquanto incerto.
«Colonnello! Venga a vedere, presto!» Lazlo, nel frattempo, era andato avanti a curiosare ed ora li stava chiamando; sembrava decisamente eccitato.
Lo raggiunsero in breve tempo, all'uscita dalla sfera.
Bartoli, furioso, era pronto a strappargli la pelle un'altra volta per la sua imprudenza, ma quando, seguendo
il suo dito, vide ciò che il ragazzo aveva scoperto, la ramanzina gli morì sulle labbra: il tunnel continuava, perdendosi in una lontananza brumosa, attraverso un primo snodo circondato da altre tre sfere delle stesse dimensioni di quella che avevano appena attraversato, disposte a triangolo; erano tutte interconnesse tra loro e con lo snodo da tunnel trasparenti identici a quello che stavano percorrendo. Almeno altri due complessi simili si potevano distinguere vagamente dietro il primo, attraverso l'apertura esagonale che era stata ricavata al centro di un sottilissimo diaframma circolare che riempiva completamente la nuova cavità su cui si affacciava quella in
cui si trovavano. "Ma chi ti dice che sia sottilissimo, James, vecchio idiota? Con le dimensioni che ha quest'ambiente, potrebbe anche essere spesso una decina di metri!" si rimproverò Bartoli.
«Che mi venga un colpo!» mormorò reverenzialmente François accanto a lui.
«È pazzesco! Avrà un diametro d'un chilometro nel punto più largo! E guardate la superficie di quella struttura verticale: sembra che sia piastrellata!»
Axel aveva ragione: anche da dove si trovavano, distinguevano chiaramente le sottili bordure che spiccavano per la loro luminosità argentea sul nero bluastro uniforme del resto: utilizzando il binocolo integrato nel casco della PCU, Bartoli si rese conto che quelle striscioline delimitavano migliaia di cellette esagonali.
«Si direbbe quasi che siamo penetrati nella mamma di tutti gli alveari dell'universo, ragazzi. Qualche riscontro
dai sensori?» chiese Largo, a tutti e a nessuno, mentre cercava di cavare un senso compiuto da ciò che stava
vedendo.
Fu Layla a rispondergli: «Nulla di nuovo, per ora, Marcus. A parte il fatto che la temperatura, là fuori, continua ad aumentare.»
Bartoli non li stava ascoltando: qualcosa in ciò che aveva appena detto Lazlo aveva fatto squillare un campanello nella mente del colonnello. "Verticale? Ma certo! Ecco cos'era! Che stupido sono stato a non essermene accorto prima!" si disse, ridacchiando. Ruotando lentamente su stesso, osservò attentamente l'estremità del tunnel che terminava in cerchio nero là dove il portello aperto lasciava intravedere l'interno buio della camera d'equilibrio; poi tornò a fissare lo sguardo davanti a sé: certo, le sfere impedivano di farsene un'idea precisa, ma di sicuro quel condotto era molto lungo.
Quanto?
Facile!
«Layla! Riesci a misurare la distanza da qui al termine del tunnel?» chiese.
«Lo faccio subito, colonnello! Ecco, duemi...» Layla strabuzzò gli occhi per la sorpresa. «Sono quasi due chilometri e mezzo, signore!» concluse.
«E io che pensavo che i nostri classe Vostock fossero giganteschi! Devo ammettere che questi tizi, chiunque fossero, ci hanno decisamente surclassati!» Finn picchiettò adagio con le nocche la parete curva, cercando di dedurre dal suono quanto fosse spessa: «Una cosa bisogna dirla, però: con i materiali ci sanno davvero fare! Questo pare essere un monoblocco, e se davvero sono riusciti a fare crescere un cristallo sintetico di queste dimensioni...»
Lasciò il resto della frase in sospeso, ma il significato risultò lo stesso ben chiaro a tutti.
Layla però non stava badando a lui: da un paio di minuti osservava la strana espressione apparsa sul viso
di Bartoli. «Colonnello, si sente bene? Ha una faccia...» chiese, un po' preoccupata.
«Mi sento benissimo, Layla.» Le sorrise, per rassicurarla: «Stavo soltanto cercando di immaginarmi come
sarebbe stato schiantarsi sul fondo di questo pozzo dopo quasi tremila metri di caduta libera: probabilmente, a
quest'ora saremmo soltanto sei macchioline di sporco sul fondo, non credi?»
«Tremila metri di...» Come gli altri quattro membri della squadra, dopo aver udito quello strano commento,
la ragazza lo fissò interdetta per mezzo minuto, prima che un lampo di comprensione le illuminasse lo sguardo: «Oddio! Il campo gravitazionale! L'hanno ruotato!»
Bartoli applaudì piano: «Brava, brava, brava! Non è semplice accorgersene, perché non c'è transizione apparente: appena usciti dal boccaporto della camera d'equilibrio, ci si trova a camminare normalmente all'interno di questo cilindro...»
«...e il corpo non nota la differenza, perché l'alto è sempre alto!» François si guardò attorno, cercando inutilmente qualcosa di simile ai circuiti che innervavano i ponti delle grandi navi e delle stazioni orbitali della
Flotta, garantendo agli equipaggi una gravità costante ma soprattutto indipendente dalla direzione della spinta.
«Mi piacerebbe tanto sapere come ci sono riusciti!»
«Ogni cosa a suo tempo, Laurent. Ora abbiamo ben altre priorità, direi.» Marcus, tornato all'interno della sfera,
stava nuovamente cercando di capire con che tipo di materiale fosse stato riempito lo spazio tra il guscio esterno
e il tunnel.
«Vero!» confermò Bartoli, «Ad esempio, hai scoperto cosa può averne fatto, di tutta l'energia che ha immagazzinato finora?» chiese, rivolgendosi ad Axel.
«No, anche se sembra logico supporre che l'abbia utilizzata per innescare il processo di riscaldamento che ha
tanto stupito la nostra Layla... almeno in piccola parte. Comunque, rilevo una debole fonte energetica più avanti, lungo il tunnel.»
«Lo snodo?» Bartoli indicò il rigonfiamento sferico più piccolo, dritto davanti a loro.
Axel fece di no con la testa: «Secondo me si trova all'incirca all'altra estremità di questa camera, signore.»
Lazlo studiò per un attimo i suoi sensori: «Sbaglierò, ma per me si tratta della sala macchine. Un generatore mantenuto al minimo.»
«Camera, Axel? Che intendi dire?»
«Semplice, Marcus: Layla ha detto che da qui al fondo ci sono due chilometri e mezzo; io ho azzardato un
diametro di un chilometro e, dopo aver verificato, posso dire che ci ho azzeccato in pieno.»
«Complimenti! E con questo?»
«Siamo dentro un cilindro.»
«Ma il mezzo uovo non ha di certo la forma di un cilindro, esternamente. Quindi questa non può che essere una
camera.» concluse per lui Bartoli.
Continuava a fissare alternativamente la sfera alle loro spalle e i gruppi di tre
più una che avevano di fronte, con espressione concentrata: come prima, un concetto sfuggente stava cercando di eludere la sua mente conscia. "Planarie! Perché dovrebbero tornarmi in mente le esercitazioni di biologia, in un momento come questo?" si chiese, scocciato. Poi capì: "Impossibile! Non può essere, eppure..."
McLachlan si sfregò le mani: «Bene, bene, bene! Vediamo di ricapitolare: se il nostro piccolo genio, qui, ha
ragione, noi ci troviamo all'interno di una struttura che ha un diametro imprecisato superiore ad un chilometro
e che è sepolto quasi completamente nella roccia; una struttura che assorbe energia dal sole come una spugna -
­ d'altra parte, qualcosa mi dice che, probabilmente, non sia poi così schizzinosa come sembra! -­ e la usa per
riscaldarsi, fra le altre cose, mantenendo al contempo la stessa temperatura che avreste potuto trovare a maggio su una spiaggia della vecchia, cara Costa Azzurra all'interno di un budello di cinque metri di diametro che lo attraversa da parte a parte! Perché, secondo voi?»
Finn, come era sua abitudine, vedeva la loro situazione dal lato peggiore, ma non avrebbe mai immaginato che a rispondere alla sua domanda fosse proprio il suo adorato colonnello: «Ma perché si tratta del suo sistema nervoso, Finn! È naturale che voglia mantenerlo in condizioni ottimali!»
Fece un giro su stesso per cogliere l'assoluta sorpresa sul volto di ognuno di loro.
Non restò certo deluso: «Non mi credete? Quello è uno dei gangli principali, quello cerebrale.» Indicò il grosso
guscio singolo alle sue spalle. «Ovviamente è proporzionato alle dimensioni complessive del corpo che deve
controllare, mentre quelli laggiù costituiscono un cingolo nervoso, con un ganglio secondario al centro che
funge da centro di smistamento; se ne intravedono un secondo e un terzo, dietro, ed è quasi sicuro che ne troveremo altri più giù, lungo il percorso che ci porterà, credo, a quella che per noi sarebbe la sala macchine di
questa ciclopica nave vivente. Per tornare alla nostra discussione di qualche giorno fa, Finn, direi che adesso
abbiamo la risposta.»
Fissò per qualche minuto il fondo del corridoio, poi si rese conto del silenzio di tomba che lo circondava.
«Beh? Perché quelle facce?» chiese, sorridendo. «Probabilmente è perché non avete mai visto da vicino una planaria!» commentò sibillinamente, dirigendosi alla volta del primo snodo.

All'interno del guscio questa volta ne avevano trovato un altro molto più piccolo, dal quale s'irradiavano i
condotti che avevano notato in precedenza, diretti uno verso poppa, dritto davanti a loro, gli altri tre verso i
nuclei del cingolo e, presumibilmente, le pareti della camera. Anche ad una prima, sommaria occhiata, Bartoli
avrebbe scommesso che quelle due sfere erano concentriche e perfettamente centrate sull'asse della... nave?
In mancanza di un termine più preciso, pensò che si sarebbero dovuti accontentare. «Allora?»
«Aveva ragione lei, colonnello: quest'affare non è altro che un gigantesco computer biologico semi-addormentato e quello laggiù è senz'altro identico.» Largo continuava a toccare la superficie interna della camera con una sonda: se quello in cui stavano camminando era a tutti gli effetti un sistema nervoso, doveva esistere un sistema per trasmettere informazioni tra i vari gangli. Il modo più semplice in assoluto per farlo, allora, sarebbe stato quello di utilizzare i tunnel: così avevano scoperto che il cristallo che li costituiva conduceva ottimamente buona parte dello spettro visibile.
«Era abbastanza logico, Marcus. Ipotesi?»
Come gli altri, Largo galleggiava liberamente in prossimità della membrana trasparente che li separava dalla
massa grigiastra dei circuiti che occupava interamente il resto del nucleo: probabilmente per evitare eccessive complicazioni, i progettisti avevano pensato bene di lasciare gli snodi a g-zero, ristabilendo il campo gravitazionale all'ingresso di ogni passaggio, come avevano già avuto modo di stabilire.
«Purtroppo non molte, signore: forma e dimensioni, la presenza di un sofisticato sistema automatico di controllo
e di un efficiente apparato per lo sfruttamento dell'energia radiante fanno pensare che si tratti di un colossale
mezzo di trasporto a lunghissimo raggio o di un cilindro di salvataggio, solo che...»
«Solo che?» l'incitò Bartoli.
«È cavo, signore! Non vi è alcuna traccia di sistemi di supporto vitale!»
«Li sapresti riconoscere, se ci fossero, Marcus?»
«Ecco, non lo so, signore; penso di sì, comunque: l'atmosfera è a base d'ossigeno; quindi, se non altro, dovremmo trovare dei serbatoi che ne contengono, o delle membrane per la rigenerazione!»
«Non abbiamo ancora visto praticamente niente, Marcus!» gli ricordò Bartoli.
«Lo so, colonnello, ma i nostri sensori sono stati tarati apposta per rilevare strumentazione basata su quel
genere di processi: niente!»
«Questo, qui dentro! E là fuori?»
Accennò col mento alla cavità che li circondava da ogni parte.
«Là fuori non può esserci niente del genere che stiamo cercando: fa troppo caldo!» interloquì Axel: «Potrebbero trovarsi all'esterno di questa camera, nell'intercapedine tra il cilindro e lo scafo esterno, sempre che esista, se abbiamo visto giusto riguardo alla sua forma esteriore, ma temo che Marcus abbia ragione, colonnello: a meno che si tratti di una razza abituata a sguazzare nella lava, dubito fortemente che qualcosa di vivo possa resistere a lungo fuori da questo condotto.»
«E c'è un altro fatto molto strano, colonnello: non ci sono accessi alla camera da qui, nonostante l'unico portello trovato finora si apra su questa specie di neuro-tunnel.»
«Potrebbero essercene nelle sezioni che non abbiamo ancora visto, ma, in linea di massima sono d'accordo con te, Marcus.»
Il colonnello si guardò ancora una volta attorno, prima di continuare: «Molto bene! Direi che non ci rimane
altro da fare che proseguire nell'esplorazione: qualche preferenza riguardo la direzione, ragazzi, o preferite tirare a...»



«...caso, colonnello? Non direi proprio: questo sembra un magazzino a tutti gli effetti!»
Vapula bussò delicatamente con le nocche corazzate su molti dei contenitori di forma regolare accatastati lì
attorno. Era il primo ambiente che incontravano, dopo aver attraversato l'immenso portale istoriato protetto dal
campo di forza.
«Mhmm. Letture?»
«A parte la concentrazione d'ossigeno, che si sta rapidamente ripristinando, l'ambiente risulta perfettamente
abitabile: pressione, temperatura, è tutto nella norma.» Layla si stava guardando attentamente attorno alla ricerca, presumibilmente, dei generatori che alimentavano il campo.
«Già, si direbbe proprio che l'insieme campo di forza-portale funzioni egregiamente anche nel mantenere
stabili le condizioni ambientali, oltre che come protezione. Avevi ragione tu, Vapula!» concesse il colonnello.
L'alieno si produsse in un breve inchino.
«Ma allora perché la sezione precedente non ha tenuto? Doveva avere la stessa struttura di questa!» Layla
fece un ampio gesto ad abbracciare tutto quanto li circondava. L'obiezione era sensata: ora che sapevano cosa
cercare, lungo il tunnel avevano contato centinaia di resti biologici identici a quelli descritti da Vapula: erano
sparsi ovunque lungo le pareti e sul pavimento, alcuni resi quasi irriconoscibili da micro-frane e piccoli smottamenti e chissà quanti altri ce n'erano nelle diramazioni!
Comunque fosse, Bartoli un'idea in proposito l'aveva: «Non è così semplice, Layla. Cercate di far mente locale:
un ambiente relativamente piccolo, seguito da uno molto più ampio e lungo, separati da un sistema di chiusure
ermetiche» suggerì: «Vi ricorda nulla?»
Finn prese a massaggiarsi il mento, pensieroso ­- almeno, questa era stata la sua intenzione, prima di ricordarsi che indossava un casco integrale come gli altri.
Con un sorriso imbarazzato, finì per incrociare le braccia sul petto della tuta: «La compartimentazione di una
nave, è ovvio: tutto o niente! Se qualcosa va storto, i vari ambienti vengono sigillati in sequenza, per ridurre al minimo le perdite. Colonnello, non starà per caso cercando di farci credere che questo è un qualche tipo di nave spaziale, vero?»
«Non esattamente, McLachlan. So che può sembrare assurdo, ma statemi a sentire: cosa sappiamo noi, di Ajax 2?»
«Assolutamente nulla, signore! I documenti di Kelmann indicano chiaramente che non è stato esplorato: una
volta accertata l'assenza di attività vulcanica e sismica di un qualche rilievo, il Comando ha installato quaggiù un campo di concentramento e poi se n'è completamente dimenticato e disinteressato. Del resto, considerata la totale assenza di forme di vita, non vedo perché...» Una luce di comprensione si accese negli occhi di François: «La totale mancanza di vita... adesso!» Anche amplificata attraverso la trasmittente, la sua voce suonò poco più forte di un sussurro.
«Esattamente! Provate ad immaginare: una civiltà aliena che improvvisamente si accorge di non poter più
sopravvivere sulla superficie del suo pianeta natale e che, per questa ragione, decida di rifugiarsi nel sottosuolo, in grandi strutture scavate nella roccia, sparse un po' dappertutto. Probabilmente, alcuni di questi tunnel già esistevano e venivano sfruttati in precedenza, come quelli al Polo Nord, e loro non dovettero fare altro che ampliarli ed adattarli alle proprie esigenze.»
Fu Vapula a continuare, a quel punto: «È plausibile: gli ingressi esterni vennero sigillati con il materiale di
riporto dello scavo, opportunamente trattato, diventando la parete di roccia che noi abbiamo fatto saltare, ad
esempio, o il pinnacolo di Andy. I guasti, come quello che abbiamo trovato venendo qui, potrebbero benissimo
essere stati causati da malfunzionamenti degli impianti o da collisioni meteoriche...»
«Un portello difettoso, che non si chiude in presenza di una perdita...» Marcus si volse a guardare la massiccia
lastra di metallo che avevano appena oltrepassato.
«...e migliaia di vite si spengono in un istante» terminò per lui Bartoli, la voce resa dolce dalla comprensione: «Non puoi farci nulla, Marcus: è già accaduto molte, moltissime altre volte.»
Trascorsero parecchi minuti nel più completo silenzio, prima che qualcuno si decidesse a porre la domanda
fondamentale: «Tutto questo è sicuramente molto interessante, signore, ma il problema di fondo rimane: come
entra Sorriso in tutta questa storia?»
Bartoli raccolse da terra uno dei contenitori più piccoli, rigirandoselo fra le mani: «Non lo so. L'unico modo
che abbiamo per scoprirlo è continuare ad esplorare.» rispose.
Lasciò cadere il poliedro, che rotolò tintinnando da una parte.
Dannazione! Maledetti ricordi!


«La gita comincia a diventare noiosa, colonnello!»
Bartoli non si volse neppure: «A chi lo dici, Axel, a chi lo dici!»
Erano giunti di fronte alla presunta sala macchine attraversando altri quattro cingoli neurali identici a
quello che avevano già incontrato, tutti quanti regolarmente disposti lungo l'asse con precisione matematica.
Ogni volta, si erano divisi a coppie, scegliendo uno dei tre corridoi radiali ed avevano proseguito nell'esplorazione: primo tratto di tunnel cortissimo, fino all'imbocco del ganglio principale; attraversamento del ganglio stesso; secondo tratto di tunnel radiale, che terminava cieco all'altezza della curvatura interna della camera; ritorno alla camera sferica centrale del ganglio assiale; rapporto finale dell'esplorazione.
La stessa solfa per cinque volte. Altro che noia! Lì c'era da slogarsi le mascelle a furia di sbadigli!
Visitando il primo ganglio principale del livello 1, come avevano stabilito di nominare i vari cingoli a partire dall'alto, avevano scoperto che anche questi possedevano uno snodo a g-zero esattamente al centro: vedendo gli altri cinque imbocchi dei vari tunnel di collegamento, avevano sperato di trovare un accesso allo scafo esterno. Invano: se si escludeva la camera di equilibrio all'inizio del percorso, quello sembrava decisamente essere un circuito tridimensionale chiuso, formato da elementi planari collegati tra loro da assoni disposti lungo l'asse della nave, uno per ciascun ganglio.
In tutto questo, l'unica fonte d'interesse erano stati i diaframmi. Avevano potuto osservarli con comodo mentre percorrevano i condotti assiali tra un livello e l'altro: disposti a coppie nello spazio tra due livelli successivi,
occupavano l'intera cavità interna, agganciandosi alle pareti, lasciando unicamente un passaggio esagonale al
centro. Avvicinandosi, l'analogia con un alveare portata avanti da Marcus si era rivelata molto più calzante di
quanto potessero immaginare: simili alle matrici di rete che gli apicoltori inseriscono nelle arnie, i diaframmi,
spessi poco più di un metro, recavano sulle due facce dei veri e propri favi... solo che questi erano immensi!
Sembrava che i progettisti avessero cercato di sfruttare al massimo tutto lo spazio disponibile, tanto che l'orlo
interno del passaggio, lungi dall'essere rettilineo come sembrava da lontano, era tutto un'ordinata sequenza di
dentellature esagonali, gli orli inferiori di celle che si affacciavano sul vuoto.
Il tunnel terminava con una mastra che si apriva su di una camera di equilibrio, come si erano aspettati;
c'era però un particolare che non si erano aspettati affatto: «Ma non c'è ombra di portello, colonnello! Che
senso può avere, secondo lei?»
«Se devo essere sincero, Layla, arrivati a questo punto non ne ho la benché minima idea!» rispose calmo Bartoli. «L'unica cosa che possiamo fare è entrare e cercare di capirlo.» disse, varcando la soglia, seguito dagli altri. Si guardarono attorno per un bel po', stentando a credere ai loro occhi.
Non che ci fosse molto da vedere laggiù, del resto: la camera era vasta, cilindrica e vuota e i motori, se di
motori si trattava, erano disposti in bell'ordine dietro paratie trasparenti, corazzate e spesse almeno un metro,
senza neppure l'ombra di un portello d'ispezione.
«Amici, qui i casi sono due: o questi tizi erano estremamente presuntuosi, oppure possedevano una tecnologia talmente avanzata da non aver più bisogno di riparare le loro macchine dopo averle montate!» esclamò
Largo, picchiando una manata sulla paratia e traendone un suono sordo e attutito.
«Erano, Marcus? Cosa ti fa credere che si siano estinti?»
Bartoli si assicurò che l'osservazione fosse penetrata
a fondo nel suo sottoposto, prima di continuare: «Comunque hai ragione: potremmo imparare molto da loro, se
dovessimo incontrarli.» Detto questo, si spinse fino alla paratia di fondo, battendoci sopra qualche lieve colpetto a sua volta per saggiarne lo spessore: «Nessuna apertura: è un blocco unico! Non ci resta che tornare indietro e cercare di interfacciarci con uno dei gangli. Qualche suggerimento in proposito?»
«Direi di tentare con quello cefalico, già che ci siamo, signore. Anche perché così saremmo più vicini all'uscita, in caso di guai.»
«Mi sembra giusto. E prudente, anche. Obiezioni?»
Non ce ne furono.
«Bene, allora. Proposta approvata, Axel!»

Cinque minuti più tardi, avevano oltrepassato la prima coppia di diaframmi quando si erano sentiti chiamare: «Colonnello! Venite qui!»
Laurent si era attardato ed era persino tornato indietro per un breve tratto, incuriosito da un particolare che credeva di aver notato nello strato lucido e spesso che costituiva i favi; quando gli altri lo raggiunsero, indicò qualcosa oltre lo spessore trasparente della parete: «Ecco! Lo vedete?» chiese,
quasi dubitasse della propria vista.
Sì, lo vedevano; a malapena, persino con l'ausilio dei binocoli, ma lo vedevano: uno strato argentato come quello che separava le cellette in superficie, posto a tre metri esatti di distanza dalla superficie del favo, talmente sottile da risultare quasi invisibile.
Layla ne trovò un secondo nel favo cresciuto sulla faccia opposta del diaframma.
«Celle stratificate? Non ha alcun senso!»
«Eppure è proprio così, Axel: due strati di contenitori esagonali ­ o prismi ­ di due metri per tre. Se non fosse folle, sarei propenso a credere che ci troviamo nella versione aliena di un albergo-bara!» commentò ironico
François.
«Forse si trattava di una nave colonica e ognuna di queste cellette contiene i resti di un membro dell'equipaggio, ma questo vorrebbe dire che...»
Finn stava per lanciarsi in una delle sue ardite dissertazioni, quando Layla tornò rapidamente verso di
loro, agitatissima: «Colonnello! Qualcosa si è mosso, là dentro!»
«Non lasciarti suggestionare, Layla: l'ipotesi di Finn è avvincente, ma...»
«No, colonnello! Io potrò anche essere suggestionabile, ma questo non lo è di certo!» lo interruppe lei con
una certa veemenza, piazzando il rilevatore di movimento direttamente sotto gli occhi del superiore: inequivocabilmente, qualcosa là dentro aveva avvertito l'aumento di temperatura, l'aveva gradito e, Dio solo sapeva dopo quanti secoli d'immobilità, aveva finalmente deciso di sgranchirsi un po'. Fu esattamente in quel momento che ricevettero la comunicazione dal Controllo missione.



A volte è proprio dura ammettere con se stessi di non sapere più che pesci pigliare: per Bartoli e i suoi, in quella occasione, fu anche più dura del solito.
«Ripetere, Controllo! La ricezione è molto disturbata!»
In realtà non lo era per niente, anzi, pur trovandosi circondati dal metallo, ricevevano meglio del solito, solo
che non riuscivano a credere a quanto stavano ascoltando!
«Qui Controllo! I nostri sensori rilevano altissimi livelli energetici esattamente sulle vostre coordinate.
Forte assorbimento di tutto lo spettro della radiazione solare. Lievi scosse sismiche ci vengono segnalate dai
sismografi della base. Confermate?»
Confermare? Confermare cosa?!
«Controllo, qui Bartoli! Siete sicuri di non stare subendo delle avarie? Passo.»
«No, colonnello: due ricognitori hanno raggiunto la vostra verticale in questo preciso momento e... Dio santo! E quello che diavolo è?»
Dovevano essersi accorti della parte del Mezzo Uovo che loro avevano messo a nudo!
"Leggere un rapporto è un conto," ammise Bartoli con sé stesso "ma vedere questa specie di mostro con i propri occhi è tutta un'altra faccenda! E tu dovresti saperlo, considerato che lo hai visto e ancora non ci credi!"
Due a uno che, quando fossero tornati alla base, avrebbero passato delle grane.
«Lo strato scoperto! Maledizione, ci siamo dimenticati di ricoprirlo!» sbottò Marcus.
Axel sembrò giungere alla stessa conclusione nel medesimo istante: «Deve aver accumulato svariati terajoule
di energia, nel corso di queste ultime ore, come un gigantesco condensatore. Le micro-scosse...»
«I propulsori!» azzardò Laurent.
«No, il resto della copertura di terriccio e scorie: è questo che deve aver sorpreso Controllo e i ricognitori.»
spiegò pacato Axel: una volta tanto la sua tendenza a prendere tutto quanto sottogamba sembrava essere svanita. «Ma se è così, secondo le tue previsioni sta immagazzinando sempre più energia ad ogni secondo che passa.
Perché?» chiese Bartoli.
Axel sorrise mesto: «Per rispondere alla sua precedente domanda, colonnello, quella che mi ha posto appena entrati in questa specie di trappola: gli serve energia di spunto per attivare i propulsori e decollare!»
«Quando? Fra quanto tempo?»
Axel alzò una mano ad indicare il ganglio risorto a nuova vita alle spalle del colonnello, attraversato da fasci luminosi in ogni direzione, ad intervalli sempre più frequenti: «Presto, direi. Molto presto!»
Bartoli prese atto della nuova situazione e reagì di conseguenza: «Via! Via di qua! Tutti al boccaporto! Utilizzate i getti al massimo della spinta, se necessario, ma dobbiamo riuscire ad uscire da qui il più in fretta possibile!»
In meno di un minuto, si lasciarono alle spalle il cingolo superiore lanciati a tutta velocità lungo gli ultimi
cinquecento metri di tunnel del ganglio cefalico.
Rallentarono solamente negli ultimi cinquanta, mettendo a dura prova gli inversori di spinta e i campi anti-g delle loro tute, per arrivare dolcemente di fronte al portello della camera di equilibrio.
Per trovarlo ermeticamente chiuso!



«Chiuso anche questo, colonnello!»
«Molto bene, Marcus! Direi che ora possiamo proseguire senza doverci preoccupare di causare un'ecatombe!»
La porta del deposito che avevano appena lasciato, il quarto, si apriva all'estremità di una corta strozzatura, in
fondo alla quale brillava una luce intensa.
"Possibile che si tratti di luce solare? Qui sotto? E comunque la luce del sole di Ajax dovrebbe essere molto
più arancione di così...
" Bartoli non sapeva che pensare.
«Signore! Venga a vedere!» Largo stava indicando una nicchia nella parete del tunnel: «Si direbbe una porta. Lei che ne pensa?»
«Penso che tu abbia ragione, Marcus. Però mi chiedo se valga la pena di perdere tempo ad aprirla solo per poi
trovarci dietro un altro magazzino...» Il colonnello picchiettò in vari punti con il guanto, poi: «Vapula, avverti
qualcosa?»
«Direi proprio di sì, colonnello: energia!» L'alieno teneva entrambe le mani aperte sul pannello, le dita distese,
come un ebanista che fosse intento a saggiare al tatto la grana di un'essenza particolarmente pregiata: «Credo
che qui dietro si trovi la conferma della mia teoria, signori.»
«Quella secondo cui i generatori dei campi di forza si dovrebbero trovare ben addentro al sistema di tunnel
dietro ciascun portale?»
Vapula annuì: «Proprio quella, Finn! La roccia qui dietro è piuttosto spessa e compatta, ma c'è di sicuro una
vasta camera, una decina di metri più avanti, ed è da lì che proviene l'energia che rilevo.»
Nel frattempo, Axel aveva appoggiato alla parete un trasduttore sonar, studiando per qualche minuto le prospezioni che ne aveva ricavato sullo schermo portatile: «Confermo, colonnello: guardi!» disse, mostrando a Bartoli e agli altri la ricostruzione effettuata dal computer: uno stretto passaggio, partendo dalla loro posizione, sfociava in una grotta più o meno cubica, colma di quelli che sembravano essere giganteschi macchinari. «Andiamo a dare un'occhiata?»
«Sarebbe inutile: si tratta di sistemi totalmente automatizzati, Axel.» Vapula staccò le mani dalla parete e si
spolverò i guanti.
«D'accordo, ma sono in funzione da secoli! Studiarli potrebbe essere...»
Bartoli troncò sul nascere l'obiezione del suo sottoposto: «Hai ragione, ma noi stiamo cercando di scoprire
cosa sta predando sui prigionieri di Ajax, Axel. Direi che, ora come ora, questo ha la precedenza, anche perché, se le cose non cambiano, i prossimi potremmo essere noi.»
Laurent posò una mano sulla spalla di Lazlo: «Consolati, ragazzo mio: nulla ci vieta di fermarci qui al ritorno, se tutto andrà per il meglio. Non è così, colonnello?»
«Certamente! Ora però... Rilevi sempre quelle tracce vitali, Layla?»
«Sì, signore. Di tipo sconosciuto, ma nettissime: moltissima vita vegetale, molta animale e tracce di qualcosa
che potrebbe essere un ibrido fra le due.» La ragazza studiò pensierosa i suoi strumenti prima di continuare il
rapporto: «Però è strano; è come se stessimo osservando un grande zoo o una sorta di riserva naturale: non avverto alcuna traccia di attività neurale superiore, solo il normale, consueto rumore di fondo.»
«Ti spiacerebbe spiegarti meglio, cara? Non ho capito assolutamente nulla di quello che hai detto.»
Layla gratificò Axel di uno smagliante sorriso: «Non mi sorprende, visto che questa roccia possiede molta più
materia grigia di te! Intendevo dire che non rilevo segni d'intelligenza, a parte i nostri, per un raggio di parecchi
chilometri! Se anche qualcuno è riuscito a costruire tutto questo, o se n'è andato o è morto da parecchio tempo.»
Il colonnello si guardò attorno, riflettendo: «Mi chiedo se quei cosi, quei sorrisi, siano intelligenti.»
Vapula sogghignò, colpito: «E bravo colonnello! Devo ammettere che non ci avevo pensato!»
«Non avevi pensato a cosa?» gli chiese Layla, provando un vago timore.
«Se non sono intelligenti, se si comportano come semplici animali in cerca di preda, è possibile distinguerli dalle altre forme di vita animale del luogo? Il tuo adorato scanner ci riesce, Layla cara?»
La ragazza aprì la bocca con l'intenzione di controbattere al pesante sarcasmo dell'alieno, ma non lo fece, rendendosi conto di quello che realmente voleva dire: «Oddio! Potrebbero essercene migliaia, qua attorno!»
«Calma! Calma! Se così fosse, a quest'ora non saremmo di certo qui a discutere!» si intromise seccamente Bartoli, «E per favore, vedi di non mettertici anche tu, Vapula: la situazione è già abbastanza complicata!»
«Come desidera, signore.» rispose l'altro, con somma noncuranza. «Mi permette di aggiungere soltanto
una cosa?»
«Non mi pare di aver mai vietato a nessuno di esprimere le proprie opinioni. Di che si tratta?»
«Alla luce di queste nuove considerazioni, consiglierei di non affidarci unicamente ai tracciati cerebrali, per
le nostre esplorazioni, ecco tutto.»
«Mi sembra sensato.» ammise il colonnello. «Bene! Arrivati a questo punto, direi che tanto vale proseguire e
vedere cosa c'è più in là!»
Si avviò lungo la galleria, lasciandoli impalati lì dov'erano: si mossero soltanto quando, arrivato lui all'altra
estremità, lo sentirono esclamare stupito: «Questa poi! È meraviglioso! Presto! Venite a vedere!»
E lo era, lo era davvero: persino Vapula rimase a bocca aperta di fronte allo spettacolo che gli si apriva innanzi!
Si resero conto, in quel momento, che tutto ciò che avevano visto fino ad allora era meno che nulla, semplici
corridoi di servizio, di fronte... di fronte a questo!
Si erano affacciati sul primo gradino di una lunghissima rampa di scale che dava accesso al fondo di una galleria ciclopica, riscaldata e illuminata a giorno da un piccolo sole artificiale posto sull'asse mediano della cavità, un centinaio di metri sopra le loro teste.
C'era vita, là dentro, dappertutto: il fondo e le terrazze che sporgevano dalle pareti (ciascuna in grado di contenere una piccola città con tanto di sobborghi!) erano letteralmente sepolte sotto una coltre fittissima di vegetazione scura, tendente al blu, dalla quale emergevano, ad intervalli irregolari, curiose strutture bitorzolute, leggermente più chiare del resto: si trattava sicuramente degli ibridi di cui aveva parlato Layla, dato che si muovevano con una ponderosa, inimmaginabile lentezza, guardandosi attorno con occhi poco più sofisticati di un ommatidio, anche se grandi come piatti, in cerca dei punti più caldi
e luminosi, là dove il mini-sole splendeva non oscurato dalle nubi.
"A quanto pare, proprio di luce solare si tratta! Impara, James Taron Bartoli: dopotutto, sembra che nemmeno
tu sia esente da errori!
" Ripensando alla sua ingenuità di poco prima, il colonnello rise di gusto, un suono allegro, gioioso, che per una volta tanto non sembrava fuori posto, lì su Ajax 2. «È incredibile! Guardate, ci sono addirittura delle colline là in fondo! E quel luccichio, laggiù in basso, deve essere un lago.» disse indicandolo agli altri.
Rimasero lungamente ad osservare quel piccolo paradiso, scambiandosi osservazioni e additandosi a vicenda nuovi fenomeni, oggetti, particolari, eccitati come scolaretti in gita, finché Finn non attirò la loro attenzione su qualcosa che si muoveva alla base della scalinata: «Colonnello! Non è uno di quei bruchi? E laggiù ve ne
sono altri due, mi pare...»
In effetti, risultò che erano ben più di due o tre: guardando attentamente, ne scorsero migliaia tutt'intorno,
perfettamente mimetizzati sullo sfondo della vegetazione e delle rocce che spuntavano qua e là dal terreno che
copriva soffice il fondo della grotta. Proprio mentre lo stavano guardando, quello sulla scala strisciò giù di un
paio di gradini, finendo all'ombra di un rialzo del terreno e scomparve!
Lo rividero per qualche secondo solo quando uscì dal cono d'ombra, assumendo all'istante l'esatta tonalità dei gradini.
«Capacità mimetiche al massimo grado! Potremmo calpestarne uno inavvertitamente ed accorgercene solamente a cose fatte!»
«Hai ragione, François, perciò vedremo di stare attenti. Però c'è una cosa che mi lascia perplesso: come mai
le terrazze non sono in ombra? Da come sono disposte, alcune delle più basse dovrebbero essere perennemente
al buio!»
«Specchi!» esclamò Pedersen.
Bartoli si volse verso di lei: «Andiamo, Layla! Sii seria: lo so anch'io che basterebbero dei semplici specchi,
per risolvere il problema, ma...»
Lei lo interruppe: «No, no, colonnello, non ha capito: ci sono degli specchi sotto ogni terrazza per riflettere
la luce su quella sottostante, solo che sono mimetizzati come tutto il resto! Ecco, osservi attentamente la più vicina! Li vede? Io ci ho messo un bel po' a notarli!»
Bartoli fissò a lungo il punto indicatogli e, sì, dovette ammettere che Layla aveva ragione: serie di grandi
specchi orientati in modo da riflettere il paesaggio sino a risultare praticamente invisibili, che concentravano
tutta la luce necessaria là dove serviva. Era un sistema geniale!
«Complimenti, Layla: grazie a te abbiamo risolto anche questo piccolo mistero! Ora proporrei di scendere e
di osservare più da vicino questo Eden sotterraneo; prima, però...»
Da uno scomparto della PCU estrasse un radiofaro miniaturizzato, che sistemò accuratamente in un incavo della roccia: «Ecco fatto! Non sappiamo cosa ci sia là sotto e probabilmente dovremo dividerci: con questo riusciremo comunque ad orientarci. Sintonizzate le vostre bussole sulla sua onda portante!»
Attese che tutti dessero conferma, prima di iniziare a scendere le scale.


Si resero conto molto presto che quello che credevano essere il fondo della grotta, in realtà non lo era affatto: dopo un lungo tratto allo scoperto, la scalinata si inabissava ­- considerati la pendenza e i riflessi bluastri della vegetazione era proprio il caso di dirlo! ­- sotto una volta di piante simili ad alberi, dal tronco liscio e privo di rami sino ad una ventina di metri da terra che, appunto, costituiva il vero fondo, peraltro sempre in pendenza,
della cavità.
«Ragazzi miei, sembra proprio che dovremo scarpinare un bel po' in più del previsto e quasi al buio, per
giunta! Non so voi, ma questa foresta mi ricorda quella dove abitavano le streghe cattive delle fiabe che mi leggevano da bambino!»
Fermo sul ciglio della penombra, netto come una linea di demarcazione, Bartoli cercò di farsi un'idea della profondità effettiva di quel mondo in miniatura: sicuramente, non doveva essere stata una bazzecola scavare e portar via tutta quella roccia. Un pensiero improvviso lo fece voltare di scatto verso Laurent: «François, sei tu l'esperto in scavi: dove credi che sia finito tutto questo materiale di riporto?»
«È difficile dirlo, signore: anche ammettendo che abbiano ampliato una rete di grotte già esistente, nel complesso si tratta pur sempre di svariate migliaia di tonnellate di terra e roccia. Così su due piedi, direi che, in
parte, ci stiamo camminando sopra: lo strato di terriccio che ricopre il basamento roccioso è sicuramente artificiale, così come le terrazze e le colline. Il resto, però...»
Si strinse nelle spalle.
«Non fa nulla, vedremo di scoprire anche questo.»
Erano giunti, intanto, alla base della scalinata: i gradini si allargavano, infatti, a semicerchio, affacciandosi
su quello che non poteva che essere un piazzale, da cui si dipartivano a raggiera tre strade; sia queste ultime che il piazzale erano pavimentati con un materiale liscio e vetroso, debolmente riflettente, ed erano del tutto
sgombri da foglie, erbacce o radici: lo sviluppo della vegetazione s'interrompeva brusco ad una ventina di centimetri dai due lati della carreggiata, lasciando due strette strisce di terreno scoperto, occupate inspiegabilmente da una serie di rotaie.
Finn si chinò ad osservarle, subito imitato da Vapula: «Parrebbero le tipiche linee super-conduttive utilizzate nella propulsione diamagnetica. Tu che ne dici?» chiese all'alieno.
«Sì, credo tu abbia ragione, anche se delle strade ad alta velocità che conducano alla base di una scala, non
mi pare che abbiano molto senso. A meno che...» Si alzò di scatto, percorrendo tutto il perimetro del piazzale, fino a fermarsi nuovamente poco discosto dalla rampa: «Ero certo che l'avrei trovato qui! Dovevano avere una vera e propria passione per la mimesi, colonnello: guardi qua!» disse, indicando sulla parete due solchi sottili, visibili a malapena e distanti fra loro poco più di due metri, che si perdevano verso l'alto seguendo i gradini.
«Interessante! Una sorta di teleferica che unisce questo agli ambienti che abbiamo già incontrato?»
Vapula annuì brevemente: «Già, doveva trattarsi di un importante nodo di transito: credo che, seguendo una
qualsiasi delle strade, ne incontreremo altri, forse persino qualche edificio!»
«Vale la pena di tentare. Qualche suggerimento?»
L'alieno rifletté per qualche secondo: «Ad occhio e croce, le due laterali dovrebbero condurre ad altri impianti
di risalita, quelli che permettevano di raggiungere le varie terrazze; ci saranno degli incroci, certo, ma rischieremmo di finire troppo fuori strada, quando è molto più probabile che quello che cerchiamo, il fulcro di questo mini-mondo per così dire, si trovi invece sulle rive del lago o, tutt'al più, in mezzo a quel gruppetto di colline che abbiamo scorto dall'alto. La via più diretta e veloce per arrivarci, pertanto, sembrerebbe essere seguire la strada centrale e vedere dove ci porta.»
«Okay, vada per il centro, allora! Abbiamo già perso abbastanza tempo, signori, quindi accendete i propulsori e
vediamo di sbrigarci: abbiamo ancora un mucchio di cose da fare, prima di sera!»
Partirono veloci lungo la strada, sfruttando l'effetto-suolo generato dagli ugelli di scarico per ottenere la massima manovrabilità, e sbucarono ben presto dal folto degli alberi in un'ampia radura, disseminata di bruchi intenti a pascolare, quella che sembrava essere la loro principale (e forse unica!) attività.
«Signore e signori, abbiamo l'onore e il piacere, nonché il sommo privilegio, di presentarvi la versione indigena delle vacche al pascolo! Possiedono sedici zampe, al posto delle solite quattro, ma direi che possiamo tranquillamente considerarlo un particolare di secondaria importanza, non vi pare?»
Conoscendolo da molti anni, Bartoli ormai sapeva che Axel tendeva ad allentare la tensione per mezzo di uscite
assurde come quella; ritenne comunque più saggio e producente richiamarlo all'ordine, ricordandogli di non esagerare: «Axel, stiamo lavorando: non abbiamo bisogno di altri stupidi, Khorov basta e avanza!»
Il rimbrotto colse subito nel segno: «Mi scusi, signore, è solo che... Ehi! Quello che diavolo è?» Indicò un oggetto dalla sagoma vagamente a goccia, interamente ricoperto da un fitto strato di rampicanti bluastri, poco lontano dal punto in cui la strada, lasciando la radura, tornava ad inoltrarsi nella foresta.
Avvicinatisi cautamente, videro che si trattava di un grosso veicolo da trasporto, completamente trasparente
e vuoto, con all'interno alcune file di sedili che avrebbero potuto comodamente accogliere delle forme di vita
umanoidi.
«Si direbbe un trasporto passeggeri, una sorta di autobus.» Bartoli scostò gentilmente alcune grandi foglie e i due piccoli bruchi intenti ad assaporarle, per riuscire solamente a scorgere, oltre ai sedili, una lucida superficie argentea ed un mucchietto di polvere giallastra raccoltasi sul fondo; deluso, si volse verso gli altri: «Non ci sono danni, lo scafo è intatto!»
«E se fossero sull'altro lato, quello sprofondato?» suggerì Laurent.
«Ne dubito: è perfettamente trasparente, riesco persino a distinguere le radici dei rampicanti dall'erba, sotto
la fiancata!»
Intervenne Axel, pensieroso: «Potrebbe essersi verificata un'improvvisa interruzione nel flusso d'energia
lungo la rotaia: se a quel punto, come credo, si fosse trovato in piena velocità, sarebbe schizzato come un missile fuori strada. Vi dirò, è quasi incredibile che non si sia frantumato all'impatto col terreno!»
«Hai ragione, Axel, la tua è l'ipotesi più calzante tra tutte quelle che mi vengano in mente; peccato che serva soltanto a spostare il problema: perché l'erogazione energetica avrebbe dovuto venir interrotta tanto bruscamente?»
«Non ne ho la più pallida idea, colonnello: forse potremo scoprirlo quando giungeremo a destinazione, qualunque essa sia!»
«Già, qualunque essa sia...» Bartoli si soffermò ancora un istante presso il trasporto: pulendosi i guanti dalla polvere raccolta sulla sua superficie, gettò un ultimo sguardo circolare alla radura. Sembrava che riuscissero solamente ad accumulare nuove domande, invece di trovare delle risposte certe alle molte che si erano posti fino a quel momento: per essere una missione esplorativa, la loro si stava rivelando un vero e proprio fallimento!
«Proseguiamo!» disse infine, lanciandosi nuovamente lungo la carreggiata.
Nei lunghi minuti successivi, trascorsi viaggiando ad alta velocità sotto un fitto baldacchino di foglie, cercarono
d'imprimersi nella memoria il maggior numero di particolari, scambiandosi osservazioni e fermandosi ogni tanto a raccogliere campioni e dati, così da poter formulare ed eventualmente verificare delle ipotesi in un momento successivo.
Disseminate lungo tutto il percorso, incontrarono le carcasse di molti altri veicoli, non tutti fortunati come lo era
stato il primo autobus, oltre ai primi esempi di quelli che potevano essere considerati edifici: bassi, tozzi e molto
estesi, presentavano delle lunghe e strette feritoie, che si affacciavano sulla strada dagli spiazzi erbosi dov'erano
stati costruiti, o forse sarebbe stato più appropriato dire scavati.
«Bunker, Vapula?»
«Non credo, colonnello. Presentano la stessa forma e struttura, ma così come sono, non servirebbero a nulla:
sono totalmente esposti, e quelle ampie superfici piane costituirebbero un aperto invito a colpire. Persino un cieco riuscirebbe a piazzare un missile su di un bersaglio così grande e visibile da lontano!»
Da militare professionista qual era, Bartoli non poteva che essere d'accordo: «E allora cosa sono, secondo
te?»«Impianti per lo stoccaggio di materiali pericolosi o, più probabilmente, laboratori per ricerche ad alto rischio, che necessitano di sistemi di sicurezza e di contenimento allo stato dell'arte. In questo caso, istallazioni sotterranee e pesantemente corazzate come queste sarebbero l'ideale. Mi sembra di ricordare che anche voi aveste luoghi del genere sul vostro pianeta d'origine, in passato, o sbaglio?»
Bartoli assentì, cupo: «Vorrei tanto che si fosse trattato solamente di laboratori di ricerca! Però, se questi
sono realmente laboratori o magazzini, dovremmo trovarci relativamente vicino ad un qualche centro abitato.
Qualche segno d'attività, Layla?»
«No, signore, solo radiazione termica. Tre ipotesi: i nostri amici sono dei maghi nella conservazione dell'energia, o sono tornati a coltivare i campi a mano, oppure...»
«Oppure questo posto è stato abbandonato a se stesso da decenni, se non addirittura da secoli!» concluse Marcus per lei: «Da qualunque parte la si voglia guardare, la situazione non è per niente rassicurante!»
«Ed io che pensavo d'essere l'unico ottimista del gruppo!» L'aperta autoironia di Finn li fece ridere tutti quanti,
mentre tornavano sulla pista, diretti nuovamente verso le colline.


«Non c'è che dire, amavano moltissimo gli alberi, questi tizi! A parte il piazzale e quella prima radura, non
abbiamo incontrato altro che tronchi, da quando siamo scesi quaggiù!»
«Spiacente di doverti contraddire, François, ma dimentichi i bunker.» Axel viaggiava a fianco del capitano,
nella stretta formazione che avevano assunto automaticamente, dopo i lunghi anni di servizio insieme. «E se
non ti bastasse, davanti a noi sembra esserci molta più luce!»
«È vero! Si direbbe una gibigiana sull'acqua... Il lago!» esclamò Laurent.
In quello stesso istante, sbucarono nuovamente alla luce del micro-sole sull'orlo di una vasta conca erbosa, il
cui fondo, una settantina di metri più in basso, era colmato da un ampio e placido specchio d'acqua. Da lontano,
non si erano realmente resi conto di quanto fosse bello quel luogo: alimentato da sette immissari, che scorrevano in profondi canali dalla sommità della conca fino a molto al di sotto della sua superficie, il lago rifletteva la luce direttamente sui pendii, creando fantastici effetti di chiaro-scuro fra gli edifici che li ricoprivano quasi interamente. La valle, infatti, era occupata da un'unica città dai palazzi di sogno, attraversata da viali alberati e punteggiata, qua e là, da parchi e giardini privati, digradanti fino al bordo dell'acqua; in lontananza, un ottavo canale si apriva quasi a forza la via attraverso le colline, dritto e piano, convogliando le sue acque verso le lontane foschie che celavano alla vista il fondo della grotta.
Sembrava fosse fiancheggiato da bassi edifici, letteralmente sepolti nel verde d'immensi parchi.
Rimasero a lungo ad ammirare il maestoso spettacolo che si apriva al loro sguardo colmo di meraviglia,
consci solamente del fatto che quel gioiello era rimasto nascosto per migliaia di anni, abbandonato, forse per
sempre, dai suoi abitanti: niente si muoveva nelle vie e nei parchi, a parte le ombre mutevoli generate dai riflessi del sole sull'acqua. Nemmeno i bruchi che brulicavano ovunque, persino lì, sulle sponde della conca.
"È un mondo morto" ricordò a sé stesso il colonnello, mentre seguiva con lo sguardo l'incredibile arco che
permetteva alla strada di attraversare di sbieco la valle, a più di cento metri d'altezza. "Noi non possiamo farci più nulla. Però, che tristezza!" Scosse bruscamente il capo dietro la visiera, per scacciare quei pensieri indesiderati. «Molto bene! Direi che non ci rimane altro da fare che esplorare il resto della cavità: mi pare evidente che qui non vi sia nulla che possa interessarci.» disse, preparandosi a scendere.
«Sbagliato, colonnello! Sto ricevendo dei segnali. Deboli, ma inequivocabili!»
Bartoli si voltò di scatto verso Layla: «Dove?»
Lei indicò vagamente l'altro lato della valle: «Da quella parte, lungo l'emissario, tra le colline. La strada dovrebbe passarci molto vicino, se non mi sbaglio. Vapula?»
«Confermo, signore: deboli tracce intellettive, stranamente diffuse, e...»
«E?» l'incalzò Bartoli.
Vapula sorrise, piacevolmente stupito lui stesso da quanto stava rilevando: «Una quantità immensa d'energia, colonnello! E non si tratta di un altro misero generatore di campo: qui ce n'è abbastanza da cancellare l'intero
sistema!»


«Ne sei certo?» chiese il colonnello, nervosamente.
Axel neppure staccò gli occhi dal suo monitor portatile: «Certissimo, signore: questo stramaledetto aggeggio
ha raggiunto piena potenza un quarto d'ora fa, subito dopo averci sbattuto la porta in faccia, eppure continua
ad accumulare energia e a trasferirla da qualche parte, ma non riesco a capire dove: con tutto quello che ha
ingollato finora, avrebbe già dovuto essere esploso da un pezzo, incenerendo tutto quanto da qui alla dannatissima fascia degli asteroidi!»
«Mmmh. Cosa dicono i ricognitori, Marcus?»
«Niente di nuovo, colonnello: confermano la caduta del materiale di copertura e aggiungono che il nostro
amico, qui, si è tolto qualche sassolino dalle scarpe!»
«La scossa di cinque minuti fa?» chiese Bartoli da sopra la spalla.
«Sì. Stando ai loro rilevamenti, ora come ora ci troviamo in equilibrio sulla cima di un ellissoide, lungo tre
chilometri, comodamente posato sulla propria coda al centro del più grande cratere artificiale che abbiano mai
visto!»
Bartoli tornò a fissare il monitor, che in qualche modo Finn era riuscito ad interfacciare con il ganglio cefalico:
le ondulazioni sullo schermo facevano pensare al sonno senza sogni di un idiota.
«Mi chiedo che cosa stia aspettando. È ovvio che, bloccato qui chissà da quanto, non attendeva altro che
qualcuno lo trovasse, consentendogli di rigenerarsi e ripartire per qualunque fosse stata la sua meta. Ma allora
perché esita?»
«Colonnello, ritengo che la domanda corretta da porsi, in questo caso, sia "Perché qui?". A quanto ci risulta, mai, nella fetta di galassia che abbiamo esplorato, è stato rinvenuto qualcosa di simile a questo oggetto, o
anche solamente altrettanto antico! Siamo tutti d'accordo, ormai, che si tratti di una nave spaziale e non di un
modulo di salvataggio, ma, pur essendo colossale, non vi è alcuna traccia dell'equipaggio o di strutture atte a
sostentare forme di vita!» fu l'ottimistico commento di  McLachlan.
«Un sistema di sostentamento vitale c'è...» obiettò Layla.
Finn sorrise: «Certo che c'è! Ma sono sempre più convinto che sia soltanto fine a se stesso; dopotutto, abbiamo
già accertato che si tratta di una nave vivente, un gigantesco animale con un'intelligenza di livello pari a quella
di un insetto, a voler esagerare, rimasto allo stato vegetativo per milioni di anni, forse.»
A quelle parole, Bartoli smise di guardare il monitor, alzandosi in piedi, stupito e preoccupato ad un tempo:
«Stato vegetativo, hai detto? Ma certo! Non è un insetto: è un cocoon, una spora! Non può che essere così, non
capite?» Nella foga, enumerò i punti salienti, contandoli sulla punta delle dita: «Primo: assorbe energia, di qualunque tipo riesca a reperirne, in quantità industriale; per alimentare i suoi processi interni, certamente, ma
anche in previsione di altri lunghi periodi di stasi, come quello appena trascorso.
Secondo: è costruita in modo da ottenere la massima funzionalità con il minimo di spesa: una forma semplice
e simmetrica, uno scafo ridotto ai minimi termini, gestito da un rudimentale sistema nervoso, fondamentalmente un timer in grado di attivare le varie funzioni in sequenza, seguendo un programma prestabilito, anche se sembrerebbe dotato di una certa capacità di reagire agli stimoli esterni. Terzo e ultimo, la capacità di riprodursi: cosa vi ricordano tutte quelle cellette? E se non mi sbaglio...»
Il colonnello si avviò a passo veloce lungo il tunnel assiale, deviando verso uno dei gangli principali appena
giunto al livello 1; da lì, infilò il tunnel che lo collegava al livello successivo.
Arrivato grossomodo a metà strada tra i due diaframmi si fermò e iniziò a cercare qualcosa sulla parete interna della camera. I suoi uomini, perplessi, l'avevano seguito in silenzio per tutto il tragitto
ed ora attendevano pazienti che si spiegasse.
«Maledizione! Con quella dannata nebbia azzurra non si riesce a distinguere bene. Dove...? Ah! Eccolo! L'ho trovato!» Soddisfatto, Bartoli si voltò verso il gruppo, digitando alcune coordinate sul tastierino integrato nell'avambraccio della tuta: «Tranquilli! Non mi sono ammattito tutto d'un colpo: puntate i binocoli delle vostre PCU alle coordinate che vi ho appena inviato, osservate attentamente e ditemi che cosa vedete!» disse, premendo il tasto che apriva il data-link.
Passarono un paio di minuti a cercare; il primo ad accorgersene fu Finn: «Che mi venisse...! Quello è un
portello! Un portello corazzato!»
«Ma è minuscolo! Ecco perché facevo fatica a vederlo!»
«Dimentichi che questo cilindro ha un diametro di un chilometro, Layla: quel portello non è poi così piccolo!»
Laurent stava appunto cercando di valutarne le effettive dimensioni per mezzo dei sensori a lungo raggio: «Però
non capisco: che senso ha piazzare un portello laggiù? Non è nemmeno raggiungibile, da qui!»
«Oltre a non essere raggiungibile, François, non è neppure solo!»
Trovato il primo obiettivo, spinto da un'intuizione, Axel aveva proseguito la ricerca. Si rivolse a Bartoli, che lo osservava attento: «Lei lo sospettava da prima, vero, colonnello? Da quando ha tirato fuori quella storia delle planarie.»
«Non potevo esserne certo, Axel, ma sembrava logico. Quanti ne hai trovati?»
«Sono nove, disposti ad intervalli regolari su tutta la circonferenza. Essendo dello stesso colore delle pareti, è
abbastanza difficile notarli, soprattutto con questa nebbia! E se tanto mi dà tanto...»
«Ce ne sono altrettanti ad ogni coppia di diaframmi, lungo tutto lo scafo! Delle camere stagne? O una qualche
sorta di sistema di scarico?» chiese Marcus, perplesso.
«Temo che si tratti di qualcosa di molto meno pacifico, ragazzo mio!» rispose Finn.
«Vorresti farci credere che tutte quelle aperture sarebbero sistemi d'arma?! Scusa Finn, ma alle volte sei
fin troppo paranoico, per i miei gusti!»
«No, Layla: stavo solo dicendo...» tentò di difendersi McLachlan.
«Intendeva dire che quelle aperture potrebbero essere state praticate per permettere l'uscita di ciò che è
verosimilmente contenuto nelle cellette, Layla.» interloquì pacatamente Bartoli «E visto che non ne sappiamo
ancora nulla...»
Discutendo, nel frattempo, erano tornati al punto di partenza.
«D'accordo, vada per il cocoon!» si arrese la ragazza: «Ma a cosa potrebbe servire una nave simile? Certo,
sarebbe perfetta come nave colonica, ma resta il fatto che, quando siamo scesi per la prima volta, il pianeta era
deserto: dove sono andati a finire, gli eventuali colonizzatori?»
Furono interrotti da un brontolio sordo e dal grido d'avvertimento di Axel: «Attenzione! Sta decollando!»
Subito dopo, però, la sua voce si improntò al più puro terrore: «Dio! Cosa dovrebbero essere quelli?!»
Con occhi stralunati, indicava il primo dei favi, dritto davanti a sé, oltre la parete del condotto: lentamente, in
lunghe file ordinate, i coperchi delle cellette si aprirono fessurandosi lungo le diagonali, liberando legioni
di creature che potevano essere uscite solamente dalla fantasia malata di un folle paranoico.
Erano enormi, le corazze chitinose ancora lucenti e umide dei fluidi della nascita, pulsanti al ritmo degli organi che pompavano sangue o che altro al loro interno, rendendole più spesse e impenetrabili col lento trascorrere dei minuti...
«Volevi vedere i coloni, Marcus? Temo proprio che tu sia stato accontentato!»
Un brivido di gelo lasciò Bartoli spossato: per la prima volta, da quando era bambino, era veramente spaventato.


«Ed ora che facciamo?»
Posta da uno come Vapula, la domanda aveva un che di terrificante.
Seguendo la strada e l'ottavo canale attraverso una serie di lussuose residenze, ognuna circondata dal proprio giardino, erano finalmente giunti ad un monumentale cancello di metallo lavorato, lucido e levigato come uno specchio, unico accesso ricavato nel primo muro di cinta che avessero visto fino a quel momento.
I battenti, aperti, lasciavano intravedere un lungo viale alberato, in fondo al quale, molto lontano, potevano scorgere una serie di edifici, con una torretta illuminata che svettava, solitaria, sopra le cime degli alberi.
Visto così, dava proprio l'impressione che qualcuno aspettasse solamente il loro arrivo, per dare inizio ai festeggiamenti... o alla caccia all'intruso!
«La fonte d'energia, Axel?»
«Dritto davanti a noi, signore: non si sposta e non oscilla, per ora.»
Bartoli sospirò: «Okay, ragazzi! Formazione da combattimento! Voglio la massima copertura reciproca. Vapula! In caso di bisogno, tiraci fuori tu da qui, o eliminaci, se proprio non ci sarà altra soluzione: non voglio
commettere due volte lo stesso errore e la fortuna, di solito, non bacia mai più di una volta la stessa persona,
nell'arco di una vita!»
«Certamente, colonnello: farò ciò che devo, se sarà necessario. Non si preoccupi!» Detto questo, varcò per
primo il cancello, avviandosi a passo spedito lungo il viale.
Le precauzioni prese risultarono fortunatamente inutili: non accadde nulla, non videro nessuno, lungo tutto
il tragitto, nemmeno i bruchi; circa a metà percorso, a Finn parve di scorgere un'ombra che si muoveva tra gli
alberi ma, non essendone sicuro, preferì non allarmare i compagni.
Trascorsa una decina di minuti, giunsero alla fine del viaggio: il viale sbucava in un'ampia piazza circolare,
circondata, per tre quarti, dalle ali di quello che aveva-no creduto essere un complesso di strutture separate, ma
che si rivelò essere, in realtà, un unico, fiabesco palazzo, cui davano accesso due ampie scalee, abbellite e messe in risalto dai giochi d'acqua di una fontana, fonte degli unici suoni udibili all'intorno che non fossero il loro respiro o lo stormire del vento tra le fronde.
Avanzare in mezzo a tutta quella maestosità e a quel silenzio parve a Bartoli e ai suoi uomini un sacrilegio; l'apertura della massiccia porta bronzea istoriata, in cima ai gradini, una profanazione e neppure la certezza di stare compiendo un'azione necessaria era sufficiente a fornire loro una sia pur magra consolazione.
Chiusesi silenziosamente da sole le porte alle loro spalle, tutti, persino Vapula, non poterono fare altro che
ammirare l'ampio salone, in marmo bianco e oro, che attraversava da una parte all'altra l'intero edificio, terminando in un'abside finemente decorata con forme astratte, in delicati colori pastello; al centro, assiso su di un trono, posto in cima ad una pedana, li attendeva un vecchio vestito di ampi abiti del colore delle porte, talmente smunto e rugoso da parere un fantasma.
Avvicinandosi ad un suo cenno, si resero conto di come non fosse esattamente umanoide, com'era parso loro da lontano: il cranio era molto allungato e stretto, senza alcun naso, con grandi occhi a specchio privi d'iride e una mascella delicata, munita di una serie di piccoli denti aguzzi e seghettati, taglientissimi.
Aveva quattro braccia, con articolazioni che consentivano movimenti semplicemente inconcepibili per un arto umano, e mani piccole con dita lunghissime e affusolate; il resto del corpo, nascosto sotto i vestiti, possedeva proporzioni pressoché umanoidi, ma sembrava dotato di un'agilità e di una grazia intrinseche ben superiori a quelle di qualunque razza fino ad allora conosciuta.
Alzandosi dallo scranno, rivelò un'altezza ben superiore ai due metri, mentre con passi lenti e dignitosi scendeva ad incontrarli, le mani tese verso di loro in segno d'amicizia.
Bartoli non si sentiva troppo rassicurato dal sorriso affabile della creatura, e neppure dalla sua presunta vecchiezza e fragilità, ma non si ritrasse, quando l'essere fu abbastanza vicino da toccarlo, lasciando libere di vagare a loro piacimento quelle dita diafane lungo le giunture e le superfici lisce e squadrate della sua PCU.
«Colonnello...»
Bartoli bloccò l'obiezione sul nascere: «Fermo, Marcus! Non muovere un muscolo! E anche voi, abbassate
le armi: sta solo cercando di capire cosa siamo!»
«Proprio così, col... colonnello... Bartoli, si dice così, vero?»
La creatura parlava senza quasi muovere le labbra, assorto, come se stesse concentrando tutto sé stesso
nell'operazione; o almeno, Bartoli non riusciva a trovare un altro concetto sufficientemente preciso per descrivere quello che stava accadendo. Passarono alcuni secondi, prima che si accorgesse delle dita di una mano, ferme a toccare delicatamente il punto ove i cavetti della ricetrasmittente andavano ad innestarsi nella sua tuta. «Una tuta da combattimento autonoma, con capacità multi-ruolo! Un po' rozza, ma sicuramente efficace.
E molto ben schermata, anche! Ho fatto una gran... fatica? Sì, mi sembra corretto... a trovare e decifrare questo apparto vocale! Per fortuna, il mio processore del linguaggio ha quasi terminato di decifrare e assimilare il vostro modulo linguistico, così che potremo conversare in pace, senza altre spiacevoli incomprensioni e... balbettii?, almeno da parte mia!»
Levò le dita dal collare stagno del colonnello, nascondendo le mani nelle ampie maniche della veste e si inchinò leggermente: «Ecco, colonnello! La prego di perdonarmi, per averla toccata: so che è da maleducati, ma mi auguro che lei comprenda che non potevo fare altrimenti. Permettete che mi presenti: sono Venadian-Tar, il Custode.»
I suoi occhi inespressivi si posarono a turno sui loro volti, come se volesse imprimerseli nella memoria; improvvisamente, il Custode si lasciò sfuggire una risatina divertita: «Sapete? È buffo, ma per un attimo ho temuto che foste lojnadh anche voi! Invece no, voi per fortuna siete reali e intelligenti!» La sua voce divenne triste, sconsolata: «Credo che non sarei riuscito a sopportare una tale delusione, dopo tutto questo tempo!»
«Scusate, Venadian, ma che cos'è un lojnadh?» chiese Bartoli, cortese.
«Un lojnadh, colonnello, è quello che voi chiamereste un computer senziente semovente. Io sono un lojnadh,
per esempio.» Venadian-Tar accompagnò la sua risposta ruotando lentamente su se stesso, come uno strano narcisista alieno; se non fosse stato per la grazia dei suoi movimenti e per la serietà della sua espressione, Bartoli avrebbe riso del suo stesso paragone.
«Un computer?» La curiosità di Axel, come al solito, stava per prevalere sulla prudenza: «Un computer semovente? Una specie di robot, insomma!»
«No, niente del genere: robot erano i mezzi di trasporto, che sicuramente avrete visto venendo qui. Noi lojnadh
non abbiamo alcun bisogno di un corpo, siamo costituiti da pura energia. Se non mi crede, controlli pure i suoi
strumenti: la fonte d'energia costante che rimaneva ferma, dritto davanti a voi... vedete, quella fonte sono io!»


Un silenzio di tomba scese su di loro, mentre assistevano impotenti agli avvenimenti. Fuori, una fila dopo
l'altra, uno strato dopo l'altro, milioni di cellette si aprivano, rilasciando i loro ospiti che subito iniziavano
a vagare per la cavità interna, calda e ospitale, come tanti grossi mosconi che si godessero il sole dopo il lungo freddo invernale: svolazzavano pigramente qua e là, esseri biomeccanici solo vagamente umanoidi.
Essenziali, braccia e gambe lunghe e robuste, adatte a correre agevolmente sia a due che a quattro zampe;
corpi snelli massicciamente corazzati; un paio d'ali membranose; coda prensile e bifida, ciascuna estremità
terminante in una lunga falce affilata come un rasoio; dita lunghe e sottili, da pianista, con artigli retrattili flessibili come lame di bisturi; una testa allungata, la cui ampia superficie liscia era interamente sensoria: perfette macchine da combattimento, pronte a sciamare sul bersaglio, qualunque esso fosse.
Bartoli fissava la nube nerastra di corpi in movimento che li circondava, inorridito ed affascinato ad un tempo da quello che vedeva, la mente momentaneamente svuotata da ogni pensiero: la semplice idea che qualcuno, in un passato per fortuna inconoscibile, fosse arrivato al punto di progettare e forse utilizzare armi come quella in una qualche guerra, lo spingeva pericolosamente vicino alla follia; molto meglio rifugiarsi nel vuoto assoluto della catatonia che rischiare di perdere tutto, per sempre! E poi...
Qualcuno lo scosse rudemente, facendolo riemergere poco a poco alla realtà; voltandosi, vide il volto di Largo a pochi centimetri dal suo, terreo, gli occhi ridotti dal terrore a due palloni, a stento contenuti dalle orbite. Volgendo attorno lo sguardo, vide, con sgomento, lo stesso rictus stampato sul volto di tutti: Axel, François,
Layla... perfino Finn l'ottimista! Anche sul proprio, riflesso nella visiera del capitano.
Fu allora che sentì qualcosa montargli dentro, qualcosa di enorme e violento, che non sapeva neppure di possedere.
Non era giusto!
Nessuno poteva permettersi di ingenerare un simile terrore in un altro essere vivente!
«Marcus! Svegliati!» urlò, e per la prima ed unica volta in vita sua, mollò un tale ceffone al suo sottoposto,
da fargli risuonare l'elmetto come una campana.
Largo accusò il colpo, scosse la testa e fissò il colonnello con l'espressione incredula e affranta di un cane bastonato ingiustamente dall'adorato padrone.
«Rapporto!» gli latrò contro Bartoli, notando con piacere come l'altro obbedisse prontamente, chinandosi
sul monitor. Era ancora pallidissimo, ma la crisi, come per gli altri membri della squadra, sembrava ormai superata.
«Siamo fuori dall'atmosfera, signore, in accelerazione costante. Secondo il Nimega, il nostro uovo si sta portando in orbita solare il più velocemente possibile. Non riescono a capire che tipo di propulsione utilizzi, comunque hanno deciso di seguirlo e stanno abbandonando in questo momento l'orbita di parcheggio. Unico segno di attività esterna...» Marcus fischiò: «Questa poi! Guardi qui, colonnello: questo dannato affare ha messo la gonna!»
Sullo schermo portatile, campeggiava l'immagine dell'oggetto, ritrasmessa dai sensori ad alta definizione
dell'incrociatore pesante Nimega: seppure non nitidissima a causa delle forti accelerazioni in gioco, mostrava
chiaramente le sei costolature estruse dalla poppa del loro cocoon, a sostegno ed irrigidimento di un gigantesco specchio parabolico. La gonna cui si riferiva Marcus, appunto.
«Axel? Sei tu l'esperto: che ne pensi?»
«Potrebbe trattarsi di un collettore, signore, o di un'antenna ad alto guadagno per telecomunicazioni: è troppo piccolo per essere una vela solare. Spero solo che non sia lo specchio di un laser!»
«Lo spero anch'io! Notizie dall'interno, Finn?»
«Sempre le stesse, signore: i nostri amichetti si sono fatti un poco più vivaci, ma non di molto; calma piatta, invece, sul fronte nervoso: se è davvero un timer, è un timer stupido!»
La voce di McLachlan, tremolante all'inizio, si era fatta via via più ferma e sicura mentre faceva rapporto.
Marcus intervenne dalla postazione radio: «Signore, Nimega ha calcolato l'E.T.A. con il sole dell'uovo: dieci
ore e cinquantotto minuti!»
Bartoli si voltò di scatto verso di lui, incredulo: «Undici ore per percorre due A.U.?» esclamò, quasi urlando.
Marcus si strinse nelle spalle: «Sì, signore: qualunque cosa lo spinga, è dannatamente efficiente.»
Il colonnello rimase silenzioso a lungo, poi: «François, credi che sia possibile farlo saltare?»
«Un affare così grosso?» chiese Laurent, scettico: «Posso provarci, ma senza aver accesso alla sala macchine, l'unica cosa veramente fattibile è quella di minare i gangli con le sub-munizioni in dotazione alle nostre PCU: distruggendogli il sistema nervoso, dovrebbe ridursi ad un grosso relitto galleggiante, un nuovo, grazioso satellite in orbita attorno al sole. Quanto potrebbe durare quell'orbita senza un controllo d'assetto attivo, però, non glielo so proprio dire!»
«Quanto ti ci vorrebbe per preparare il tutto ed essere sicuro al cento per cento che funzioni, in caso d'emergenza?»
«Come ultima risorsa, dice?» Fece mentalmente alcuni rapidi conti: «Direi all'incirca sette ore, più altre
tre per il controllo finale.»
«Ci resterebbe un'ora, per tentare un'ultima volta di uscire...» James Taron Bartoli ci pensò su, ma non più
di tanto, considerata la situazione in cui si trovavano: «D'accordo! Procedi pure! Nel frattempo, noi cercheremo di raccogliere il maggior numero d'informazioni da trasmettere al comando!»

Quelle che seguirono furono le dieci ore più lunghe della loro vita, continuamente rosi dall'incertezza: nessuno poteva sapere cos'avrebbe fatto la nave, una volta giunta a destinazione o, peggio, quando avrebbe deciso di rilasciare il suo carico vivente e questo rendeva più difficile svolgere i compiti che si erano assegnati, soprattutto quando, per un qualsiasi motivo, erano costretti a guardare, attraverso le pareti del tunnel, il brulicare
lucido che ormai invadeva tutta la cavità interna.
«Sono esseri stupefacenti, signore!»
«Lieto che ti piacciano, Layla! Ma cosa puoi dirmi di loro?»
«Di chi li ha progettati, posso solamente dirle che era un vero e proprio genio, a modo suo; di loro, invece,
adesso ritengo di saperne abbastanza da poterne fornire una prima stima approssimativa: sono macchine biologiche, colonnello, perfette in ogni dettaglio!»
Bartoli inarcò un sopracciglio, scettico: «Macchine biologiche, Layla? Non ti pare un controsenso?»
«Affatto, signore! Ascolti: lo scanner non è riuscito ad analizzarli in maniera esauriente -­ per farlo, occorrerebbe portarne uno qui e, anche se si potesse, non sarei certamente tanto pazza da suggerirlo! -­ ma, in dieci
ore, sono riuscita a ricavare dati sufficienti per essere certa di quello che dico. Ricorda quei progetti di ricerca che giravano, durante i primi anni d'esistenza delle A.E.F., tesi al potenziamento delle capacità psico-fisiche
dei soldati di prima linea, per mezzo di innesti bionici e neurali e che sfociarono nelle PCU, con la loro interazione semi-senziente con l'ospite?»
Bartoli, in effetti, ricordava ben altro di quei progetti, avendoli sperimentati di persona, prima ancora che
Layla nascesse, ma non era certo il caso di scoperchiare quel genere di tombe.
Assentì trucemente: «Sì, e allora?»
«Allora, qui possiamo vedere, dal vivo, l'effetto che tali progetti avrebbero prodotto se fossero stati spinti all'estremo: unità potenti, flessibili, dotate della resistenza e della distruttività di una macchina, unite indissolubilmente alle potenzialità di un essere vivente! Sono sistemi adattivi, in grado di funzionare altrettanto bene sia come singoli che in gruppo; dai dati che ho raccolto, infatti, è ormai certo che siano intelligenti e potenzialmente capaci di sviluppare strategie anche complesse: infatti alcuni si sono accorti di noi e hanno tentato di raggiungerci. Per fortuna, qualcosa li ha respinti...»
Un brivido incontrollabile la scosse, mentre lo diceva e Bartoli la abbracciò d'impulso, per infonderle quel poco di coraggio che gli era rimasto.
Layla gli sorrise, grata per quel gesto d'affetto, prima di continuare: «Quello che mi fa veramente paura, colonnello, è questo continuo ed intensissimo scambio di trasmissioni che ho rilevato: somigliano molto a dei comuni impulsi nervosi, solo che avvengono tra individuo e individuo. Si direbbe quasi che, quando sono in gruppo, agiscano più come cellule di un super organismo, che come singoli senzienti.»
Bartoli l'interruppe con un cenno: «Fammi capire bene: stai dicendo che ci troviamo di fronte ad un esercito di cyborg?!» Lo spaventoso ricordo della Legione Polare morpher, quella divisione di cyborg umani che aveva dovuto affrontare nel corso della prima, terrificante missione della sua carriera, sulla vecchia Terra, gli si ripresentò nitido e terribile alla mente, mentre poneva quella domanda.
«No, colonnello, non si tratta di cyborg.»
"Questo non conta nulla Layla, mia cara: neppure i membri della Legione lo erano: nessun impianto, nessuna parte metallica, solo lo stesso esemplare morpher, geneticamente perfetto, riprodotto all'infinito per mezzo
dei nano-ricostruttori!"
«E non sono propriamente macchine, le simulano: placche dermiche corazzate, formate da compositi e leghe metalliche sintetizzate attraverso processi organici; produzione autonoma d'energia; interfacciamento con
sistemi elettronici, meccanici e biologici di qualsivoglia genere e complessità; adattamento rapido a tutti i tipi di
condizioni ambientali: sembrerebbe non esistere nulla in grado di fermarli, una volta usciti dal bozzolo...»
La visione di una gigantesca cupola corazzata sotterranea; di un sergente impazzito che, sotto gli sguardi
increduli dei suoi uomini, fondeva la gamba di un battleram da duecento tonnellate semplicemente toccandola;
del cannone a particelle che, nell'istante successivo, lo vaporizzava dal collo in giù, unica arma che fosse stata
in grado di fermarlo...
Bartoli si distolse a fatica da quegli orrori: si era trattato di un esperimento mostruoso, certo, e questo si prospettava infinitamente peggiore: «Bozzolo, hai detto, Layla?» Si accorse a malapena di aver aperto bocca:
«Si, hai ragione: non una spora, un bozzolo! Ed io sono stato tanto stupido da disseppellirlo, permettendogli di
schiudersi!»



«No, colonnello, la colpa non è sua: è solo nostra, perché nessuno dovrebbe mai permettere alla propria gente,
alla propria intelligenza, di regredire fino a scomparire!»
Per quanto inespressivi fossero, gli occhi di Venadian-Tar sembravano perfettamente in grado, se non altro, di trasmettere appieno la sconfinata tristezza e il rimorso che lo pervadevano.
La storia del declino della razza che lui era stato costruito per servire e proteggere affondava le sue radici
nei millenni: evolutisi dagli insetti nativi di Delva, vero nome di Ajax 2, avevano prosperato nei secoli fino a
fondare delle colonie in tutto il loro sistema solare, più o meno all'epoca in cui, sulla Terra, l'uomo scopriva come accendere il fuoco; in seguito, raggiunto quello che consideravano l'optimum, i delvani si erano dedicati a ciò che preferivano, vegetando pacificamente su di una serie di mondi ricchi, addomesticati, dove il problema più urgente era quello di riuscire ad escogitare qualcosa che li tenesse occupati tra un evento sociale e l'altro.
Non era difficile, per gli occhi smaliziati di Bartoli e dei suoi uomini, vedere, in tutto questo, il germe della
stasi e del regresso; occorse qualcosa di eccezionale, di estremamente grave, per riscuotere i delvani dal loro torpore: un sole divenuto improvvisamente instabile, l'incertezza del domani, scatenò la frenetica ricerca di un
modo per sopravvivere.
I delvani fecero appena in tempo: al sicuro nei loro rifugi sotterranei, assistettero impotenti all'ultima, spettacolare eruzione della loro stella, una ventata di radiazioni dure che spazzò via la maggior parte dell'atmosfera, bruciando gli oceani e il terreno in pochi secondi; non si trattò di una vera e propria nova, questo no, ma piuttosto dello sbuffo di un sole stanco che portava violentemente a termine la sua esistenza, spegnendosi poi lentamente come un tizzone, la palla rossa che ancora illuminava Ajax 2, il mondo capitale.
Gli altri no: gli altri non fecero in tempo, nonostante tutta la loro abilità, tutta la loro tecnologia; al torpore, sempre latente, si unirono allora la disperazione, lo sconforto e la certezza di essere gli unici sopravvissuti,
finché tutto cessò di possedere il benché minimo interesse e i delvani tornarono, volontariamente, ad essere ciò che erano già stati in passato: grossi bruchi pascolanti qua e là nelle loro immense, meravigliose caverne sotterranee. Venadian-Tar riprese a parlare lentamente, dopo aver esaurito le sue recriminazioni: «Alla fine, rimanemmo solamente noi lojnadh, uno per ciascun micro-mondo, a vegliare su schiere di quelli che, un tempo, chiamavamo signori e padroni e a sorvegliare le decine di darsei-vom in stasi nei loro moduli di contenimento, sparsi un po' ovunque su tutto il pianeta, in attesa che qualcuno dei nostri creatori si risvegliasse e ci impartisse l'ordine di ritornare in superficie per ricostruire il pianeta, riportandolo alla vita. Ormai, però, temo che le mie speranze siano del tutto vane: sono l'ultimo rimasto e nessuno si è mai risvegliato...»
Faceva male al cuore, vedere tanta disperazione in un essere senziente e a Bartoli spiaceva disturbare il dolore
del Custode, ma qualcosa, nelle sue parole, aveva destato l'attenzione e i timori del colonnello: «Venadian-Tar,
ti prego di perdonarmi per quello che sto per chiederti: so che ti parrà forse scortese e inopportuno, ma ti assicuro che una tua eventuale risposta potrebbe essere della massima importanza, per tutti noi. Hai parlato dei
darsei-vom e dei loro moduli di contenimento: di che si tratta? Che cosa sono questi darsei-vom
Il Custode si meravigliò che qualcuno potesse provare interesse per un simile argomento e lo disse: «Colonnello, non riesco a capire quale importanza possano avere, per voi, delle semplici macchine per la trasformazione planetaria, per di più inutilizzate e in stasi da almeno tremila anni!»
«Macchine per trasformazioni planetarie!?»
A Bartoli occorsero alcuni secondi per rendersi pienamente conto del significato di quelle parole: anche quando
si muovevano veramente in grande, i terrestri e i loro alleati giungevano a concepire trasformazioni più o meno
profonde del territorio, non di interi pianeti: la terraformazione, per loro, era tuttora un concetto puramente teorico.
Per Venadian-Tar, invece, la cosa pareva perfettamente normale: «Certamente! I darsei-vom furono progetta-
ti all'epoca della creazione delle colonie e, in un certo senso, possono essere considerati i nostri progenitori:
noi lojnadh costituiamo la logica evoluzione dei darsei-vom
«Sì, sì, d'accordo! Ma di cosa si trattava, in realtà?»
«Sono stati i primi esemplari di computer dotati del controllo diretto delle proprie azioni e della propria energia: molto rudimentali, potevano svolgere un semplice programma di lavoro, atto a rendere abitabile un ambiente ostile. Lanciati sul pianeta-bersaglio nei loro gusci di... di... Diamine! Come si dice nella vostra lingua? Ah,
sì! Ora ricordo: palladio, è così che lo chiamate, vero? Dunque, dicevo, venivano lanciati sul pianeta prescelto,
nei loro moduli di contenimento in palladio e loro lo rendevano abitabile in poco tempo ­ da due a tre mesi, di
norma.» Sorrise, divertito: «Vedete, i darsei-vom sono, sostanzialmente, dei processori: processano qualunque cosa -­ gas, roccia, metalli, energia -­ trasformandolo in qualcosa di diverso. Al contrario di noi, che dovevamo trattare con i padroni, non possiedono una forma stabile e, pertanto, sono straordinariamente adattabili; tanto che, quando ve ne fu bisogno, vennero seppelliti in profondità sotto la crosta planetaria, per costruire, a tempo di record, questi ambienti!» Il Custode abbassò tristemente il capo: «Non abbastanza in fretta, purtroppo!»
Bartoli ascoltava in silenzio, terreo: l'idea che si era fatto di ciò che dovevano fronteggiare si era rivelata in-
significante, rispetto all'enormità della realtà che avevano scoperto! Senza rendersene minimamente conto, il
computer alieno stava parlando di una delle armi potenzialmente più pericolose e tremende della storia, come
se, per lui, si trattasse di un comunissimo paio di forbici da giardinaggio, o di un rastrello!
Già sentiva, alle sue spalle, gli altri membri della squadra sussurrarsi a vicenda la parola sorriso; dovette udirla
anche Venadian-Tar, perché chiese: «Sorriso, colonnello? Non capisco. Che vuol dire?»
«Che, probabilmente, una o forse due delle vostre macchine escavatrici si sono risvegliate dal letargo e adesso scorrazzano indisturbate sulla superficie del pianeta, convertendo tutto quello che incontrano in... gas, energia, dio solo sa che altro!»
«È ciò che temevo: il mio calcolatore centrale aveva percepito deboli segni d'intelligenza non aliena.
I programmi si devono essere alterati, forse addirittura evoluti, durante tutto questo tempo; ora non si tratta più
di pure macchine: si comportano da predatori, pur non avendone alcun bisogno; i progettisti originari avevano
inserito quello specifico schema comportamentale, nella loro pseudo-coscienza, per renderli capaci di adattarsi in maniera ottimale all'ambiente da modificare, pur dotandoli di opportuni freni inibitori.»
«C'è un modo per fermarli?»
«Ora che i padroni si sono virtualmente estinti? Mi dispiace, colonnello: no, nessuno.»
«Ma come? Avete detto che voi siete stati creati per controllarli!»
«Esatto, colonnello: controllarli durante la loro attività, guidarli, eventualmente correggerli. Non fermarli: questo, per motivi di sicurezza, era un compito che i padroni avevano riservato a loro stessi.»
Il silenzio costernato sceso a quelle parole sulla sala durò ben poco, perché dopo un paio di minuti Bartoli si
rivolse deciso ai suoi uomini: «Dobbiamo far presto: bisogna avvertire Kelmann e dare il via ai piani d'evacuazione del campo e dell'intero sistema e al diavolo Khorov e la sua cricca! Vapula, credi di poterli rallentare il tempo sufficiente a completare le operazioni di trasferimento e imbarco del personale?»
Per una volta, Vapula sembrò titubante: «Posso provarci, signore: con un buon livello di concentrazione...
Sì, penso di riuscire a farcela, a trattenerne uno per una bella chiacchierata tra amici, mentre voi raggiungete il Polo Sud. Badi bene, però: uno solo!»
«Quand'è così, possiamo solo sperare che l'altro non decida di fare il guastafeste!» Si volse verso Venadian-Tar:
«Dovresti venire con noi: mi farebbe molto piacere trascorrere qualche altra ora conversando in tua compagnia,
dico davvero!»
Il Custode scosse la testa: «No, colonnello Bartoli, non verrò. Anch'io ho molto gradito la vostra compagnia, ma
non potrei mai abbandonare questo luogo.»
Con gesti pacati delle quattro mani, impartì loro una specie di benedizione, l'antichissimo saluto che indicava
rispetto ed amicizia, tipico dei delvani, poi: «Avrei una richiesta da farle, colonnello: le cariche che avete piazzato lungo il percorso...» esitò, ma solo un istante: «Non c'è più niente, qui, niente di niente. Quando sarete usciti, quando sarete al sicuro, ve ne prego, fatele brillare!»
Si fissarono, il Custode e Bartoli, in un lungo discorso muto, prima di stringersi la mano.
«D'accordo, Venadian: come desideri.» acconsentì il colonnello.
Dette un ultimo sguardo al salone, poi: «Vapula, portaci fuori da qui!» ordinò.
In meno di un minuto, si ritrovarono accanto al loro ATT.
Lo sguardo fisso tristemente sull'imboccatura del tunnel-mondo, Bartoli diede l'ordine: «Fallo, François, premi il pulsante...»
«Sì, colonnello, subito.»
Non vi fu nulla più di una vibrazione, avvertita vagamente attraverso le suole degli stivali, mentre il plateau
crollava lentamente davanti ai loro occhi, afflosciandosi su
se stesso come un soufflé mal riuscito: «Avevo disposto le cariche in modo da evitare effetti catastrofici,
colonnello, già durante il primo viaggio...»
«Sei un vero artista, François: i miei complimenti!»
La sua voce suonò opaca, atona; ma non per molto: «Marcus! Al volante, e non stare a preoccuparti dei sobbalzi! Finn, mettiti alla radio, chiedi di Kelmann e informalo di quanto è avvenuto; digli di iniziare immediatamente a coordinare le operazioni di trasferimento!»
«Sissignore!»
«Ah! Un'altra cosa: digli anche di provvedere a riprogrammare il cargo: anche a piena potenza e utilizzando
tutti i mezzi disponibili, occorreranno almeno sedici ore perché noi si raggiunga la base polare e, dopo, potremmo non avere il tempo di farlo. Se quegli imbecilli avessero predisposto un campo d'atterraggio più vicino al campo, per i casi d'emergenza prioritaria!»
«Non si può avere tutto, colonnello!»
«Già, ma così noi adesso non abbiamo nulla, dannazione a loro!»
Si girò verso il sedile posteriore: «Quanto a voi quattro, Layla ed Axel ai sensori: se un elettrone si sposta nel raggio di un chilometro da noi, io lo voglio sapere! François e Vapula, invece, penseranno alla difesa di punto. E adesso, Largo, metti a tavoletta!»
«Come desidera, signore: le ossa sono sue!»
Bartoli sogghignò: «Vero! Anche tue, però!» e rise di gusto, nel vedere l'espressione costernata di Marcus.


Tutto sommato, Bartoli si ritenne fortunato: per quell'ora o poco più di corsa folle sull'ATT, fra buche e rocce,
stimò una prognosi di non più di due settimane nell'infermeria del campo; in fondo, non erano che semplici lividi!
Più preoccupante, invece, era l'assoluta assenza di qualsiasi risposta alle reiterate chiamate di Finn: tutto era calmo. Troppo, per i suoi gusti!
«Qualche segnale, Layla?»
«Nessuno: niente ci segue e niente ci precede. Quanto manca ancora al campo?»
Bartoli guardò l'odometro, poi il paesaggio intorno: «Poco più di cinque chilometri alla cresta di fronte alla porta sud: ci saremo in dieci minuti. Marcus, quando saremo sulla cima, fermati: voglio effettuare un ultimo controllo.»
«Agli ordini, signore!»
La stima di Bartoli si rivelò corretta: nove minuti più tardi, si fermarono sulla cresta, incapaci di credere a ciò
che vedevano. Il campo di lavoro era stato edificato sul fondo piatto di una valletta aprentesi a nord, probabilmente il bacino di un antico lago ed era, montagne a parte, il complesso più grande e visibile dell'intera regione; ora, però, ai piedi della cresta, al posto della cupola v'era soltanto un vasto buco, profondo una quarantina di metri, dalle pareti innaturalmente lisce e perfettamente circolare. Bartoli fu costretto a deglutire a vuoto varie volte, prima di riuscire a ritrovare la voce: «Siamo arrivati troppo tardi! Il campo è già stato...»


«Distrutto?!» Largo balzò in piedi come se l'avessero punto.
«Che diavolo t'è preso, Marcus? Perché sei scattato su a quel modo? E poi, che vuol dire, distrutto?»
Se c'era una cosa che assolutamente il colonnello non sopportava, nei suoi sottoposti, erano le reazioni
esagerate, in qualsiasi occasione, figurarsi poi in situazioni critiche come quella che stavano vivendo!
Si trovavano in orbita solare ormai da almeno un paio d'ore, senza che fosse ancora accaduto nulla di
particolarmente rilevante, tempo che la squadra di Bartoli aveva sfruttato continuando a darsi da fare: avevano portato a termine per l'ennesima volta la verifica di tutte le cariche piazzate sui gangli nervosi della nave
e continuato nel contempo a raccogliere ogni sorta di dati, per cercare di formarsi un quadro esaustivo della
situazione, al quale, purtroppo per loro, mancavano ancora sin troppi tasselli.
La propulsione, ad esempio: il cocoon aveva raggiunto il sole del sistema in tempo record senza utilizzare l'iperspazio e si era immesso su quella particolare orbita con un'unica, delicata manovra d'aggiustamento
che, stando ai sensori, l'aveva portato a percorrerla con la poppa costantemente rivolta verso la stella, ad una
distanza media che avrebbe incenerito qualunque altra cosa nel giro di pochi secondi.
Finn, che da esperto navigatore aveva monitorizzato costantemente i parametri di rotta durante tutto il viaggio, a quel punto si era chiesto con che cosa diavolo fosse stato costruito quel dannatissimo affare, e l'aveva fatto con una tale ricchezza e varietà di eloquio che per i lunghi minuti della sua invettiva tutti gli altri erano rimasti immobili ad ascoltarlo, allibiti e riluttantemente affascinati.
In compenso, dopo la perfetta manovra d'inserimento, che ad una comune astronave avrebbe richiesto varie
accensioni dei motori d'apogeo, era risultata anche fin troppo chiara la natura della gonna: come supposto da
Axel, si trattava di un collettore, un collettore solare per l'esattezza, che stava letteralmente risucchiando e immagazzinando da qualche parte svariati exajoule d'energia al secondo, direttamente dalla corona solare; per
farne che, comunque, rimaneva un mistero.
Purtroppo, la risposta a quella particolare domanda si palesò anche troppo presto, come risultò chiaro
dalle parole di Marcus: il Nimega, dopo aver arrancato per ore all'inseguimento del cocoon a piena potenza e
in assetto da combattimento, era finalmente riuscito a ridurre le distanze, fino a giungere a portata di tiro delle
artiglierie, e il suo comandante, confidando nella potenza dei suoi cannoni e nella robustezza della sua nave,
decise di porre termine a quella che riteneva essere solamente una perdita di tempo prezioso, dando ordine
di fare fuoco con tutti i pezzi: buon allievo e pupillo di Khorov, considerò solamente i vantaggi che la morte del
colonnello e della sua squadra gli avrebbe certamente arrecato...
Se Bartoli, in quel momento, si fosse trovato con lui sul ponte di comando, avrebbe sicuramente potuto insegnargli due o tre cosette sulla presunta robustezza degli incrociatori delle A.E.F.; ma non c'era, ed anche in caso contrario, era quanto meno dubbio il fatto che il comandante dell'incrociatore avrebbe ascoltato i suoi consigli: fu così che commise il più madornale errore della sua onorata carriera.
Per colmo di sfortuna, fu anche l'ultimo: da una distanza dalla quale, considerate le dimensioni del bersaglio, sarebbe stato praticamente impossibile mancarlo anche senza computer di puntamento, i fasci di particelle cariche impattarono tutti sulla superficie esterna del cocoon, brillarono per non più di un secondo e poi,
semplicemente, svanirono: nessun danno, neppure la più piccola scalfittura!
Tre secondi più tardi, prima ancora che sul ponte di comando del Nimega qualcuno avesse anche solo potuto
pensare ad una sua possibile reazione, una luce abbagliante, di un bel blu elettrico, si accese sulla prua estrema dell'uovo, dimostrando in maniera ineccepibile che, dopotutto, completamente disarmato non era...
Il raggio, con una larghezza molto prossima a quella della sezione maestra dell'incrociatore, divorò in un
lampo la distanza che separava la sua fonte dal bersaglio, si abbatté come un maglio sugli scudi della nave,
frantumandoli, vaporizzò i nove decimi posteriori dello scafo ­- un trascurabile errore di puntamento aveva causato un lievissimo disassamento del cannone -­ e proseguì la sua corsa nello spazio, divenendo sempre meno
visibile per la distanza. Un flash blu-violetto fu la prova lampante che, al momento dell'impatto con la superficie del pianeta, il raggio disponeva ancora di una notevolissima quantità d'energia.
Ascoltate le spiegazioni del capitano, Bartoli fu costretto ad ammettere con se stesso che la reazione di Marcus era stata fin troppo contenuta, viste le circostanze: «Il Nimega è andato! Ma come, dannazione! come?
Come ha fatto questa dannatissima scatoletta a distruggerlo così facilmente?»
«Ha preso la mira e ha sparato, colonnello. Con che razza di cannone, proprio non lo so e credo che morirò
più felice, non sapendolo mai! Comunque sia, gli è bastato un unico colpo.» Chissà come, Finn riusciva sempre a mantenere il suo abituale tono pacato: «Il problema consiste nel fatto che si è trattato di un'azione di riflesso: da quello che ho potuto vedere prima che s'interrompesse il contatto con i ricognitori, il Nimega -­ ma come si farà mai, dico io, ad affidare una tale bellezza ad un simile idiota, pace all'anima sua! -­ ha aperto il fuoco per primo e lui» disse, indicando il ganglio tutt'intorno a loro: «ha semplicemente agitato una mano per scacciare la zanzara. Non un solo segno di attività cosciente! Se non altro, adesso sappiamo cosa se ne fa, di tutta quell'energia che accumula!»
«Layla?»
«Confermo, colonnello: è stata una di quelle risposte all'ambiente di cui parlavamo poco fa.» rispose lei con
voce rotta. Stava piangendo, lacrimoni grossi e disperati come quelli di un bimbo. Faceva male, vederla in quello stato...
Improvvisa, Bartoli sentì la rabbia, feroce, ingigantirgli dentro di nuovo, questa volta, però, talmente violenta
che ne provò paura egli stesso: «Okay, gente! Adesso basta! È ora di chiudere questa dannata faccenda! Direi
che non ci rimane altro se non...»


«...Tentare di andarcene: oramai, qui non abbiamo più nulla da fare, purtroppo!»
Scesi dalla collina, avevano lentamente compiuto il periplo del pozzo che, una volta, era stato il campo: non
era rimasto nulla, persino le pareti erano state levigate al punto che ci si poteva tranquillamente specchiare.
«Colonnello, questa non è opera del nostro Sorriso. Non ha fatto lui tutto questo; non da solo, almeno!»
«L'altro che hai avvertito giorni fa, Vapula? C'era anche lui?»
Vapula scosse il capo: «Può darsi, ma non è a questo che mi riferivo: i residui che percepisco indicano chiaramente la presenza di due darsei-vom molto grandi e di un gran numero di altri più piccoli. Senza dubbio, si tratta di esemplari appena usciti dalla stasi: si sono diretti qui in massa, perché questa era l'unica fonte di materiale biologico non vietato dai loro programmi presente sull'intero pianeta...»
«Ci si sono gettati come squali sul sangue! Ma perché proprio materiale biologico, considerato che furono
progettati apposta per convertire qualunque cosa risultasse loro disponibile? E, d'altra parte, che significa non
vietato?!»
A quelle domande, Vapula sorrise: «Ritengo abbastanza logico supporre che, essendo stati basati sul modello
comportamentale dei predatori locali per aumentare le loro capacità d'adattamento ambientale, in mancanza di
altri schemi ripieghino naturalmente su questo, come se si trattasse di una sorta di memoria di backup: da qui,
la loro predilezione per le sostanze organiche e biologiche, perché dubito fortemente che i predatori di Delva
si siano mai nutriti di minerali e rocce! E dubito anche che i delvani originari fossero tanto stupidi da includersi
nel possibile menù di macchine che loro stessi avevano sviluppato e costruito, François, mio caro!»
«Effettivamente, il tuo ragionamento non fa una grinza, Vapula.» Bartoli fissava assorto il fondo del pozzo,
quarantacinque metri più in basso: «Credo anzi di poterlo portare alle sue logiche conclusioni: il modello predatorio doveva essere un sistema di backup! Per forza! I darsei-vom erano stati concepiti per terraformare interi pianeti nel giro di qualche mese e, per accelerare al massimo il processo, sono stati programmati per operare in regime di competizione totale: nella loro ottica operativa, ogni missione è considerata alla stregua di un'aspra lotta per la sopravvivenza, da combattersi con tutti i mezzi a disposizione, primo tra tutti l'apprendimento. Questi mostri imparano ad una velocità prodigiosa! Devono essere in grado di farlo, perché, altrimenti, verrebbero eliminati e assimilati in men che non si dica dai propri simili! La genialità dei delvani si intuisce proprio da questo: come potevano lasciare liberi sistemi del genere, una volta che avessero portato a termine il loro compito? Sarebbe stato un puro e semplice suicidio! Così, predisposero un fattore limitante: la memoria. Terminata la missione, i sopravvissuti venivano, per così dire, resettati, la loro memoria, per forza di cose a breve termine, completamente svuotata di tutto quanto avevano appreso ed infine impacchettati nei loro moduli di contenimento, a dormire, in attesa della chiamata successiva. L'unica cosa che rimaneva loro, sempre, era il modello comportamentale di base, capite? È il motivo per cui i darsei-vom non possono avere una forma propria stabile: non sarebbero mai in grado di ricordarne alcuna!
È soprattutto questo a renderli estremamente adattabili e a garantire il loro successo, in qualunque condizione! Al contrario, i lojnadh dovevano avere una forma ben definita, per riuscire a gestire i loro fratelli maggiori ed accudire i loro padroni, nonché possedere necessariamente una memoria quasi eterna!»
Il colonnello si fermò a riprendere fiato, raccogliendo nel contempo le idee: doveva riuscire a convincerli, era
assolutamente necessario!
«Forse fu proprio l'eccessiva protezione, combinata a tutto il resto, che spinse i delvani sulla strada dell'involuzione. Non lo so e, ad essere sinceri, non me ne importa granché, al momento: voglio solo che vi rendiate ben conto dello scenario che si svilupperà su tutto il pianeta, di qui a qualche ora!»
Bartoli annuì e sorrise, quando vide stupore e preoccupazione alternarsi sui loro volti, mentre la verità si faceva
strada nelle loro menti.
Vapula fu il primo a parlare: «Lei è molto perspicace, colonnello: nemmeno io mi ero spinto tanto avanti
nell'analisi delle conseguenze! Sarà, senza alcun dubbio, una guerra totale e cruenta dalla quale il vincitore uscirà...» L'alieno si azzittì di colpo: in fin dei conti, Bartoli, che gli stava di fronte con l'espressione più seria
che gli avesse mai visto in volto da che l'aveva conosciuto, doveva essere molto più perspicace di quanto lui
avesse mai creduto possibile.
Il colonnello sapeva, glielo leggeva chiaramente in volto: aveva compreso tutto sin dal primo momento, da quando il Custode aveva parlato loro delle macchine dei delvani, là, nel salone del palazzo ed ora che anche lui, Vapula, era finalmente riuscito a vedere il quadro nella sua spaventosa interezza, dovette ammettere che si trattava di una cosa allucinante.
«L'ultimo rimasto sarà il più forte, il più flessibile, come sempre; ma questa volta, nessuno verrà mai a cancellargli la memoria e a rimetterlo in stasi!» La voce del colonnello risuonò amara nei caschi, attraverso le riceventi: «Apprenderà sempre di più e ricorderà tutto quanto, a sprazzi, quando gli sarà più utile, perché la sua memoria è sì di breve durata e quindi rapidissima, ma anche e soprattutto praticamente sterminata!» Tirò un calcio ad un sassolino vicino all'ATT, spingendolo nel pozzo: «E poiché non potrà mai evolvere verso l'intelligenza ­- il suo modello base non glielo permette! -­ rimarrà per sempre un predatore, sempre più efficiente, raffinato, letale, un vero e proprio sistema esperto della distruzione, libero di vagare dove vorrà, perché, a quel punto, più nessuno potrà fermarlo!»
«Dobbiamo distruggerli! Tutti quanti! Non possiamo permettere che tutto questo si avveri, rimanendo a guardare con le mani in mano!»
«Marcus ha ragione, colonnello: dobbiamo fare qualcosa!»
«E qualcosa faremo, Finn, non preoccuparti! Vapula, hai detto che saresti stato capace di tenerne a bada uno di
grosso: come pensi di cavartela con i più piccoli?»
«Direi tre o quattro contemporaneamente, sicuramente più di due, comunque: finché non cominciano ad apprendere, non sono altro che rudimentali computer, cui abbiano tolto tutto l'hardware. Se le può interessare, colonnello, ho registrato le loro funzioni d'onda, mentre eravamo con Venadian: sono tutte variazioni di un unico schema principale.»
«Ma allora...»
«Ripeto: finché sono piccoli, Layla! I più grandi sono tutt'altra cosa, fidati!»
Intervenne Axel: «Potremmo...»
Bartoli l'incoraggiò con un cenno d'assenso: «Avanti, Axel: continua!»
«Se è il loro schema di base, che inizialmente li sostiene, non potremmo infettarli tutti quanti?»
«Infettarli? Con cosa?»
Axel sorrise: «Con un virus, che altro? Solo qui, nella mia PCU, ne avrò un centinaio e ...» Richiuse la bocca
con uno scatto secco, gli occhi bassi: «Mi scusi, colonnello: so che non avrei dovuto, ma mi annoiavo e così...»
«Per questa volta sei perdonato, Axel. Per questa volta!» sottolineò Bartoli, severo: «L'idea è buona, ma come
faremo a metterla in pratica?»
Finn borbottò qualcosa, assorto.
«Come, Finn?»
«Beh, una volta avviata, l'epidemia procederebbe da sola, se, come temo, le nostre ipotesi sul loro comportamento sono corrette. Il problema, semmai, è quello di trovare il vettore iniziale adatto: come si fa ad infettare un computer, se non... Ma sì! Certo! Un altro computer!»
«Ma bravo, Finn! E dove diavolo lo troviamo, un altro computer, in questo fottuto deserto?»
«Le navette, François, le navette! Ce ne sono quattro, alla base del Polo Sud: se Vapula riuscisse a portarci laggiù, sarebbe sufficiente infettarle con tutti i virus di Axel, con attivazione a tempo, riprogrammarle con la funzione d'onda di uno dei loro cuccioli e spedirle ai quattro angoli del mondo, abbandonandolo subito dopo a bordo del cargo. E se per te fosse uno sforzo troppo grande, Vapula, non importa, si tratterà solamente di attendere qualche ora in più in un luogo sicuro, mentre uno degli shuttle ci raggiunge: sono tranquillamente in grado di pilotarlo in remoto anche da qui, via satellite, da quando Kelmann ci ha dato i codici d'accesso al sistema!»
A quel punto, tutti si volsero verso Vapula: ci fu un forte bagliore, che li costrinse a chiudere gli occhi; quando
li riaprirono, si resero conto, con gioia, di stare fissando le tozze, massicce gambe di forza del carrello del cargo
automatico.
«Signori, tutti in carrozza!» fu l'unico, ironico commento dell'alieno.


Di nuovo nello spazio, in quello che restava di una nave spaziale: Bartoli pensò che la loro stava proprio diventando un'abitudine. Il virus aveva funzionato egregiamente, ma nessuno avrebbe mai immaginato una reazione tanto rapida e violenta: mentre attendevano di raggiungere il punto previsto per l'accensione finale dei propulsori, quella che li avrebbe messi in rotta per il più vicino avamposto delle A.E.F., avevano visto grosse porzioni di Delva sparire sotto i colpi di battaglie apocalittiche, là dove migliaia di tonnellate di roccia venivano istantaneamente convertite in energia e gas; in meno di un'ora, del pianeta non rimase altro che una nube di polvere finissima... e un darsei-vom, l'ultimo, il quale, prima di suicidarsi tentando di assimilare il sole di Delva, rivolse per un attimo il suo sorriso e la sua attenzione verso di loro.
Bartoli guardò la lunga fila di bare di cristallo, nelle quali già dormivano i suoi uomini: li aveva portati in salvo un'altra volta, e per questo era contento.
Certo, non tutto era andato come previsto: prima di gettarsi nel sole per autodistruggersi come da programma, Sorriso si era accorto di loro, ed aveva pensato bene di assaggiare i motori del cargo; per fortuna, la cosa non
aveva arrecato troppi danni: la nave era completamente modulare, così che era stato sufficiente sganciare il moncone rosicchiato della poppa estrema e proseguire con i propulsori di manovra: il viaggio sarebbe stato solamente un po' più lungo...
Ora il computer centrale stava elaborando le coordinate per il balzo; una volta pronto, un campanello avrebbe squillato in tutta la nave per avvertirne gli eventuali passeggeri, come da procedura, ma stavolta nessuno l'avrebbe sentito: steso nel suo giaciglio, Bartoli cominciava già a sbadigliare.
Nel dormiveglia, permise ai ricordi di riemergere: la disperazione che li aveva colti, nel cocoon, quando avevano visto galleggiare verso di loro la prua frastagliata del Nimega, la decisione di far esplodere tutto quanto, il dito di François già posato sul detonatore...
Poi l'arrivo improvviso di quell'altro colosso alieno e il colpo violentissimo con cui il computer dell'Astarte
assaporava finalmente la sua vendetta, maturata durante chissà quanti eoni...
Quella volta era stato Vapula a raccoglierli a bordo della sua astronave, dopo che l'Astarte se n'era andata chissà
dove, nel suo eterno girovagare a zonzo per l'universo; dopo che loro, strisciati a fatica fuori dallo scafo smembrato del cocoon, svicolando tra i resti più o meno vivi di milioni di Kyllain, erano giunti chissà come a chiudersi nell'ampia camera stagna di prua del Nimega: nonostante tutti i suoi sforzi, arrivato a questo punto, Bartoli non riusciva a ricordare più nulla e niente era mai riuscito a dissipare il velo nero che avvolgeva quegli ultimi, terribili momenti prima del loro salvataggio.
«Comunque, non ha importanza: siamo qui, siamo vivi e stiamo tornando a casa. Chissà a chi toccherà... trovarci questa... volta?» si chiese il colonnello, scivolando definitivamente nel nero oblio dell'ipersonno, con un largo sorriso stampato sulle labbra.


Il Comando Centrale delle A.E.F. orbitava lentamente attorno al gigante gassoso che i primi esploratori del
Settore Tyrant avevano battezzato Niidari, nessuno aveva mai saputo in onore di chi o che cosa.
Come sempre, tutti gli attracchi di Base Horus erano occupati da lunghe file di navi: tutti incrociatori, navi da
battaglia, corazzate, tutti con il loro personale sciame di vascelli minori, shuttle e veicoli di supporto al seguito.
Tutti quanti, tranne uno: due giorni prima, i rimorchiatori avevano trainato al Molo Cinque del Settore Est uno
scassatissimo cargo automatico privo del modulo di coda, quello che conteneva i propulsori sub-luce.
Correva voce che quel catorcio provenisse da molto lontano e che, con lui, avesse viaggiato un equipaggio immerso nel criosonno; si favoleggiava, persino, che quel cargo trasportasse un tesoro in metalli preziosi o degli
alieni di una razza sconosciuta...
In breve, il relitto era già divenuto una leggenda e, come tutte le leggende, anche questa conteneva un fondo di verità: giù, nelle profondità ben protette del nucleo centrale, nel sancta sanctorum del Comando, un pannello di
composito trasparente dava luce ad un piccolo ufficio, quello stesso ufficio dove un paonazzo generale Khorov
stava sfogando la propria frustrazione su di un impassibile colonnello James Taron Bartoli.
Il colonnello era troppo felice di aver riportato a casa la pelle ancora una volta, per dare retta alle scempiaggini del generale. Però, anche se al momento si trovava in uno stato di grazia, lui aveva di meglio da fare che
sopportarlo; perciò, fu con una calma a dir poco olimpica ­ e non poca soddisfazione! ­ che si avvicinò alla
scrivania del generale, per rifilargli un tale ceffone da farlo afflosciare miseramente sulla sua poltrona.
Da purpureo che era, il volto di Khorov si fece color del gesso, mentre si preparava letteralmente a saltare al
collo del colonnello: nessuno, nessuno mai, prima d'ora, aveva anche solo osato pensare di...
«Mi ascolti attentamente, generale, perché lo ripeterò una volta soltanto.»
Il tono di Bartoli era pacato, gelido, perfettamente controllato ed ottenne immediatamente l'effetto di calamitare,
suo malgrado, la completa attenzione del generale: «Questa storia, ormai, mi ha stancato e per evitare che si ripeta, io e i miei uomini abbiamo preso le debite precauzioni: c'è un'inchiesta in corso, da molto tempo, riguardo ciò che accadeva nel campo di lavoro di Ajax 2. Si informi pure, se non mi crede, chieda ai Servizi Segreti di un certo maggiore Kerensky: era il cuoco, laggiù, se le può interessare.
Noi abbiamo scoperto tutto quanto, aiutandolo, tutti i suoi sporchi intrallazzi, ed abbiamo inoltrato un rapporto ai Servizi appena arrivati qui, dietro suo mandato scritto!» "Tecnicamente vero: erano state le ultime volontà di Igor, anche se non le ha mai messe per iscritto!" pensò tra sé e sé Bartoli. «Al momento, l'intero protocollo è classificato top-secret, dietro mia formale richiesta: anche se è nauseante doverlo ammettere, rimuovere un bastardo farabutto come lei dal comando al momento arrecherebbe più male che bene alle A.E.F.! Sappia però
che se lei cercherà ancora di intralciarmi, o di mettere volontariamente in pericolo la vita dei miei uomini, io le
giuro che prima la sputtanerò pubblicamente e poi verrò a ridurla personalmente ad un lurido mucchietto di carne tritata! E lei sa benissimo che ne sono capace! È vero, su Delva 2 sono morte centinaia di uomini; feccia, nella maggioranza dei casi, ma anche ottime persone e la colpa è solo ed esclusivamente sua! Se ne ricordi, schifoso rifiuto della società, o lo farò io per lei, ogni sporco giorno che le resta della sua sporca vita!»
Bartoli non aveva urlato, non aveva gesticolato, era rimasto sempre perfettamente calmo; con un saluto da
manuale ed un perfetto dietro-front, incurante delle urla e degli epiteti non proprio amichevoli lanciatigli dietro
dal generale, uscì dalla stanza e si diresse a passo deciso verso il Molo Cinque, Settore Est, sorridendo e salutando cordialmente tutti quelli che incontrava.
Quando raggiunse gli altri nella stiva del cargo, si fermò a lungo ad ammirare l'enorme pepita cava di palladio
che Vapula era riuscito ­ sapeva solo lui come! ­ a salvare e portare via, unico souvenir rimasto loro di Delva. Per un attimo, il ricordo del colonnello si rivolse al defunto capitano Kelmann: "Visto? Te l'avevo detto, io,
che in qualche modo ci saremmo riusciti, a portarcela via, mio caro Kelmann!
".
Ne sfiorò lievemente le superfici lisce e lucenti con la punta delle dita, poi si volse verso i suoi uomini, riuniti
attorno a lui, e chiese, sfregandosi le mani soddisfatto: «Molto bene, ragazzi! Come dividiamo?»

Due mesi dopo, settore β-Pictoris
Il guardiamarina Jensen passeggiava nervosamente avanti e indietro nella sua cabina, indignatissimo: perché
il suo comandante l'aveva messo di corvè ­- dicendogli che era ora di crescere, poi! -­ subito dopo il suo rapporto? Perché non gli aveva creduto? Era sempre stato sincero e non beveva mai, neppure fuori servizio! Se aveva
detto di aver visto un'immensa ombra scura che nascondeva le stelle, a babordo, e che quell'ombra sorrideva e
ridacchiava come un vecchio demente dai denti aguzzi e luminosi, perché, dannazione a lui!, dargli del bugiardo
e chiamarlo stupido bamboccio!?
   
 
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