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Autore: Piu_Volto_Che_Maschera    05/11/2019    0 recensioni
Angoscia. E’ questa la prima sensazione che sento quando apro gli occhi, quella mattina. Perchè? Perché è il giorno della mietitura. Mi ricordo che non devo essere sorteggiata, qui nel Distretto Due. Per mia sorella. La mia dolce sorellona, lei era la mia metà. Piango, fa male ricordarla. L’anno scorso mia sorella maggiore è stata sorteggiata. Ricordo quello che ho sentito, dopo che quella maledetta voce ha urlato “Clove Smith”. Ho pensato, scappa. Sei in tempo. Ma non poteva, purtroppo. Era ormai circondata dagli strateghi.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clove
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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No.
No.

Non poteva essere… me l’ero immaginato… io. 
Stavo per piangere ma non volevo dare soddisfazione a Capitol City.
Mi costrinsi a reprimere le lacrime.

Clove, ti ho deluso. Clove, non ce l’ho fatta. Non l’avresti mai voluto. Perdonami.

“Coraggio, Cara...” mi incoraggiò Ronalda, che doveva aver capito che ero paralizzata dalla paura.
Dovevo andare. Dovevo farlo. Sarebbe stato peggio se fossero arrivate le guardie e mi avesero trascinata di peso.
Piano piano, un passo alla volta, uscii dalla folla di ragazze, che ora sembravano sollevate e sorridenti.
Mi diressi con lo sguardo perso nel vuoto verso il palco. Salii le scale e, senza nemmeno rendermene conto, mi ritrovai davanti a tutta la gente del mio Distretto; alcuni mi guardavano dispiaciuti, altri sollevati. Cercai di individuare Johnny nella folla di ragazzi, ma erano troppi, e lui era piuttosto basso. 

Nella follia del momento, pensai che la mia faccia dovesse essere paragonabile a quella di un cadavere. Non doveva essere un bello spettacolo.
Ronalda mi guardò con un’espressione mista a curiosità e dispiacere “quanti anni hai, cara?”
Non sapevo cosa rispondere… quanti anni avevo? La mia mente era annebbiata, mi sentivo svenire.
“T-tredici”.

A queste parole Ronalda assunse un’espressione piena di senso di colpa.
Mi sussurrò a fior di labbra “mi spiace” per poi assumere l’espressione felice e falsa di sempre.
“Che ipocrita”, pensai. 

“E ora, passiamo agli uomini!”
Mi riscossi improvvisamente dal mio stato di coma provvisorio, e riuscii solamente a pregare che non fosse Jhonny.
“Il fortunato è Kevin Hole!”
Tirai un sospiro di sollievo, almeno Johnson era salvo. Poi la mia faccia sollevata si sostituì con un’altra piena di preoccupazione “Fa che non sia grande e grosso, ti prego”.
Mai una volta la fortuna è a mio favore. 
Dalla mischia uscii un ragazzo che doveva avere almeno diciotto anni. Merda, che sfiga.
A differenza mia, sembrava per niente preoccupato, anzi quasi felice di essere stato chiamato.
Magari fossi io come lui, in questo momento. 

Mi sentii svenire, ancora non ci potevo credere.
Avrei dovuto partecipare agli Hunger Games, nessuno si era offerto volontario per me, e ormai ero spacciata. 

***

Corro verso il palco, cercando di raggiungere mia sorella. Ci provo almeno.
Ma non ci riesco.
Sento qualcuno afferrarmi da dietro e riportarmi al mio posto tra le ragazze.
E’ Kevin, il ragazzo che cammina per le strade buie del Distretto, di notte.
Lo fisso con sguardo omicida, ma lui mi fa segno di stare immobile. Lo ascolto.
Ma Clove viene portata via.
E io non mi sono offerta.
Io ho condannato a morte mia sorella.
Io, Giada Smith, sono una codarda
.

***

Mi voltai di scatto verso il compagno, lui recepì il mio sguardo gelido e capii, forse si ricordò della ragazzina a cui aveva impedito di salvare la sorella.
Una sua occhiata me lo confermò.
Il nostro scambio di sguardi venne bruscamente interrotto dalla parlantina di Ronalda
“Forza ragazzi, stringetevi la mano!”
Ci stringemmo la mano.

Dalla porta posta dietro di noi uscirono due guardie vestite di bianco, pacificatori.
Ci afferrarono e ci portarono dentro al grosso edificio, strappandomi dalla mia vita e dalla persona a cui volevo più bene, probabilmente per sempre.

***

Tutto nero, la vista appannata, il respiro spezzato e il cuore a mille.
Così mi sentivo mentre aspettavo Johnny nella piccola stanzetta delle visite. Il volto imprigionato tra le mani, gli occhi chiusi.

Li riaprii di scatto quando sentii qualcuno entrare nella stanza.
C’era Johnny, ma, con mio grande piacere, notai che c’erano anche i suoi genitori.
Subito mi buttai tra le braccia di quel ragazzo che ormai consideravo come un fratello.
Lui mi strinse, finché non sentii il mio pianto calmarsi. Mi staccai da lui e guardai i suoi genitori, che mi avevano accolto nella loro famiglia, sebbene non avessero mai avuto buoni rapporti con i miei genitori
“Apprezzo molto che siate venuti, davvero. Grazie per tutto quel che avete fatto quest’anno."
Loro annuirono in silenzio, avevano capito, ma Johnny si era adirato.
“Non parlare come se non tornassi più!"
Mi voltai a fissarlo. Lo sapeva che non avevo speranze, era inutile che adesso facesse l’eroe.
“Lo sai anche tu che non tornerò. Questo è un addio, lo sai.”
Mi afferrò per le spalle e mi scosse: “NON DIRLO!  Puoi vincere!”
Mi staccai violentemente, anche troppo bruscamente di come avrei voluto.
”Smettila, Johnny. Ormai sono già morta, saranno tutti più grandi e grossi e… insomma, non ho speranze!”
Detto questo, il ragazzo sembrò rendersi conto ora che effettivamente non avrei mai potuto vincere, poiché scoppiò anche lui a piangere e mi travolse in un abbraccio.
“Qualunque cosa accada, ricorda che ti voglio tanto bene. Sei come la sorellina che non ho mai avuto.”
Io mi commossì a quelle parole, ma sapevo che ormai il tempo era quasi scaduto, i pacificatori sarebbero arrivati a momenti a portar via le uniche persone che mi volevano bene a questo mondo.
Infatti, nemmeno il tempo di pensarlo che la porta si spalancò e due guardie bianche irruppero nella stanzettta e trascinarono via i tre.
Ebbi solo il tempo di urlare “TI VOGLIO BENE!”, che rimasi sola nella stanza, in mezzo all’eco di parole non dette. 

***

Scatto furioso.

Cominciai a scalciare e piangere e a urlare.

MALEDETTA PANEM.
MALEDETTO SNOW.
CLOVE, PERDONAMI.

Di nuovo quelle due maledette guardie irruppero e mi trascinarono via, insieme a Kevin, sul treno che ci avrebbe condotto a Capitol City, o meglio, nelle fauci del diavolo.

 

   
 
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