Notte francese
<<
Lia, >> la chiamò, e lei si voltò
nella sua direzione, la tazza di
cioccolata calda in mano. Gli sorrise, e lui ricambiò.
<< Sono venuto a
salutarti. La mia partenza è stata anticipata, parto questa
sera, >>
spiegò prima di stringerla in un abbraccio impacciato.
Lei
posò la tazza sul tavolo e ricambiò.
<<
Merci pour tout. Mi mancherai. Tu, la tua pazienza, i tuoi consigli.
>>
Lei
rise << io sono qui a Roma, e, bè, se hai
ancora il mio numero… >>
<<
Certo, >> annuì.
<<
Adesso ti prenderai un periodo di riposo, mi auguro. >>
Jeannot
chinò la testa, colpevole << non posso davvero
restare senza nulla da
fare, ho bisogno di tenere la mente occupata, altrimenti
penserò a lui. Buona
fortuna per tutto. >>
<<
Anche a te. >>
§
Era
stanco, e quella era una di quelle serate in cui si sentiva
particolarmente
asociale. Non antiqualcuno, no, proprio asociale, al limite della
misantropia. Se
fosse stato per lui, sarebbe rimasto a casa, a letto, e poi, se doveva
essere sincero,
non si sentiva nemmeno tanto bene. Forse gli stava venendo la febbre,
oppure
stava così al pensiero che quella sera, in quella sala, a
respirare la sua
stessa aria ci sarebbe stato anche Peter.
La
prima apparizione pubblica di Peter O’Leary dopo quattro mesi
di silenzio.
Quattro mesi e sei giorni, per la precisione.
Si
era ormai arreso all’evidenza, o meglio, a ciò che
sembrava essere tale, quando
il messaggio di Lia aveva sconvolto la sua pacifica giornata che, fino
a quel
momento si era alternata fra spartiti per flauto e clip di
‘Concerto per arpa e
flauto. ’
Come
stai?
Sul
punto di rispondere il classico - bene, tu? -, una vocina nella sua
mente gli
aveva suggerito che potesse esserci un motivo preciso per cui quella
domanda
era stata posta.
Altro
messaggio da Lia: vi siete sentiti?
Oh
sì, si era davvero perso qualcosa.
Con
chi?
Sta
scrivendo…
Sta
scrivendo…
Sta
scrivendo…
Sta
scrivendo…
Sta
scrivendo…
Peter
O’Leary.
Era
ricaduto di peso sulla sedia del tavolo, fortunatamente vicina a lui,
il
cellulare stretto in mano.
Di
cosa stava parlando? Peter era morto.
Forse
aveva letto male. Doveva aver letto
male, invece no. Il nome era lì, sullo schermo.
Aveva
chiuso la chat e aveva aperto internet.
Peter
O’Leary. News.
Articoli
di blog e giornali, video di youtube si presentarono davanti a lui. Non
c’era
molto materiale, ed erano tutti caricamenti piuttosto recenti, il
più vecchio
era di 12 ore prima.
Lesse
i titoli.
Dopo
quattro mesi, la famiglia O’Leary rompe il silenzio.
Peter
O’Leary, vivo e vegeto, torna sulle scene.
Ritorno
dal regno dei morti.
Come
stai?
Come
doveva stare? Il bastardo era vivo e non si era degnato di dirgli
nulla. Che
fossero fake news? Si trovò a desiderare che lo fosse, ma
allora Lia non gli
avrebbe scritto. Oppure gli scriveva proprio per quel motivo, per
assicurarsi
che lui non fosse così stupido e disperato da credere a
quelle idiozie.
Il
cellulare squillò. Era Lia. Si scusava per aver chiamato, ma
era preoccupata,
voleva assicurarsi che lui stesse bene, che lo shock non fosse stato
troppo
forte. Lei aveva saputo la sera prima, da un’amica conosciuta
durante lo stage.
Jeannot
la lasciò parlare, incapace di dire nulla, finché
la rabbia scemò, lasciando
solo un dolore sordo all’altezza del petto, come se qualcuno
gli avesse
trapassato lo sterno per raggiungere il cuore e comprimerlo con
violenza.
Dopotutto,
riuscì ad articolare, lui e Peter era solo amici, forse
nemmeno quello, non
c’era alcun motivo perché lui dovesse sapere certe
notizie prima della stampa.
Quella
telefonata si era svolta due giorni prima del Galà, e
Jeannot aveva ragionato
su tutti i modi possibili per evitare di prendere parte alla serata.
Aveva
seriamente considerato l’idea di buttarsi dalle scale,
storcersi una caviglia,
fingere di avere la febbre, inventarsi l’esistenza di un
parente ammalato, o la
vecchia scusa della morte del nonno, perché, si sa, i nonni
posso morire e
risorgere nell’arco di un anno innumerevoli volte come
nemmeno Gesù Cristo
avrebbe potuto.
Alla
fine era stato costretto ad andarci.
Peter
gli si era avvicinato non appena era rimasto solo. Aveva cercato di
tenersi
impegnato per tutta la serata, standogli lontano, parlando con chiunque
gli
passasse vicino, evitando anche di guardarlo. Poi si era allontanato
per
prendersi da bere, e lui l’aveva raggiunto. Si era sentito
una piccola volpe in
trappo, circondata dai cani. Una volpe stupida, tra l’altro,
visto che aveva
segretamente sperato di potersi confrontare col cane.
<<
Ehi, allora sei davvero vivo. >> La miglior difesa
è l’attacco. E
l’indifferenza. Fagli vedere che di lui non
t’importa, consigliò una voce nella
sua testa, fagli vedere che sta bene, che non ti sei minimante
preoccupato per
lui. Ma quella voce era crudele, voleva che Peter soffrisse. Mostragli
quanto
ti ha fatto soffrire, quanto sei stato male, fagli vedere cosa ti ha
fatto.
<<
Non essere così deluso, qualcuno potrebbe pensare che io non
ti piaccia.
>>
Jeannot
gli rivolse uno sorriso di circostanza. Una scenata, la rabbia,
così come
mostrarsi vulnerabile, non avrebbe cambiato ciò che era
stato né
l’atteggiamento che Peter aveva scelto di avere nei suoi
confronti.
Mandò
giù un lungo sorso del Manhattan che aveva in mano
semplicemente per prendere
tempo, perché non voleva parlare con lui, ma non voleva
nemmeno che se ne
andasse.
<<
Jeannot, sono successe tante cose… e la mia famiglia non
sapeva quanto tu fossi
importante per me. >>
<<
Non ti ho accusato di nulla. >> Magari non a parole, ma
il suo sguardo,
il suo tono di voce l’avevano fatto per lui.
Terminò il cocktail e lo posò su
un vassoio che vide passargli vicino.
Peter
gli disse qualcosa, ma non lo sentì. Si portò una
mano al volto a schermare gli
occhi, stordito da un improvviso giramento di testa. Una mano gli
strinse forte
un gomito.
<<
…not? Jeannot? >>
<<
Scusa. >>
<<
Stai sanguinando. >>
E
in quel momento sentì il sangue colare dal naso, raggiungere
le labbra.
Istintivamente, piegò la testa in avanti, portandosi le mani
al volto e
premendo la narice.
Stordito,
si lasciò trascinare in bagno e aiutare.
Peter
gli premette una mano sulla fronte. Era calda, ma Jeannot non voleva
sentire
ragioni: stava bene, non c’era alcun motivo per preoccuparsi,
potevano tornare
in sala e aspettare il termine della serata.
<<
Per te, il Galà finisce qui, e anche per me, visto che ora
ti accompagno a
casa. >>
Protestare
fu inutile, Peter non lo avrebbe lasciato tornare da solo in una casa
in cui
non ci sarebbe stato nessuno ad aspettarlo. E poi, ma quei pensieri li
tenne
per sé, sarebbe potuta essere il momento buono per parlare e
chiarirsi.
La
notte era silenziosa, e il cielo sgombro, illuminato dalla luna e dalle
stelle.
Sembrava quasi che un velo d’argento stesse ricoprendo il
mondo: uno spettacolo
affascinante per chi aveva fatto l’abitudine al cielo
d’Irlanda.
In
quei giorni Jeannot abitava in una vecchia casa di famiglia, un
po’ in
periferia, da cui si vedeva il viola dei campi di lavanda della
Provenza.
L’abitazione,
a un piano, era appartenuta a sua nonna paterna. I muri in pietra,
ampie
finestre con persiane verdi, e piante ovunque. Sembrava quasi di essere
in un
piccolo angolo di paradiso, lontano dal mondo e dalla
quotidianità.
<< Mi dispiace di averti reso difficili questi mesi.
>>
<<
Sì? Non sembra ti interessi molto di me. >>
<<
Cosa ti fa pensare che tu non mi interessi? >>
<<
No so, forse il fatto che tu sia morto e risorto senza dirmi nulla?! E
lo so
che non ti interesso in quel senso,
>> ecco, l’aveva detto, si era reso ridicolo
con le sue mani. Ma almeno
era stato sincero, magari avrebbe ottenuto un qualche bonus
sincerità, no?
La
sua camera da letto era al primo piano, e lui non aveva alcuna voglia
di salire
quei pochi gradini in legno. Probabilmente, se fosse stato da solo, si
sarebbe
addormentato sul divano del salotto.
<<
Jeannot… >> il modo in cui Peter
sospirò il suo nome gli fece quasi
mancare la voce e il poco coraggio che era riuscito a trovare senza
sapere
come. << Sei troppo piccolo per me. >>
<< Troppo piccolo? Ho ventiquattro anni! >>
<<
Guardati: hai ancora le labbra sporche di latte, >> lo
prese in giro,
passandogli il pollice sopra il labbro inferiore per asciugare una
goccia immaginaria,
e anche perché era la scusa perfetta per poterlo toccare.
<<
Le avrei sporche di altro, se tu me ne dessi la possibilità.
>>
<<
Ma sentitelo! Che linguaggio! >> gli prese il mento fra
due dita <<
eppure hai un faccino così dolce e innocente… non
mi sarei ai aspettato che tu
avanzassi certe proposte sconce. >>
Jeannot
si allontanò da lui << a quanto pare ci sono
tante cose che non ti
saresti aspettato da me. >>
<<
Jeannot, ehi, mi- >>
<<
No, >> si passò le mani fra i capelli, conscio
che, con le prossime
parole si sarebbe rovinato da solo. Aveva chiesto una seconda
occasione,
l’aveva avuta, ed era riuscito a rovinare anche quella.
<< Non voglio che
tu abbia problemi per colpa mia. No, lo so come finirebbe. Cosa credi?
Non sono
così stupido.
>> si schiarì la
voce, cercando di mantenere il controllo, ma allo stesso tempo
desiderando
crollare per mostrare a Peter quanto fosse importante per lui
<< grazie
per avermi accompagnato, ma ora è meglio che tu vada.
>>
Non
era così che doveva andare, non era così che
avrebbe voluto che andasse, ma non
c’era altro modo.
L’uomo
non si mosse.
<<
Peter… >> pregò <<
vai. >> Era stanco, e l’unica cosa che
voleva, era poter restare solo per rintanarsi sotto le coperte e
piangere,
piangere e soffrire come il disperato che era.
Vedeva
già i titoli dei giornali, degli articoli di blog. Gli
sembrò quasi di sentire
le critiche della gente, le domande maliziose dei giornalisti.
Avrebbero
accusato Peter di essere un approfittatore, un pedofilo –come
se lui fosse un
bimbo ingenuo-, la loro relazione sarebbe stata definita
‘abusiva’,
‘pericolosa’, ‘un pessimo
esempio’.
<<
Jeannot. Jeannot! >> gli afferrò un polso
<< aspetta, >> lo
lasciò andare per prendergli il volto fra le mani.
<< È davvero quello
che vuoi? Vuoi che io vada via? >>
Il
più giovane non rispose, e Peter si chinò su di
lui, sulle sua labbra,
baciandolo e spingendolo lentamente contro la parete vicina. Gli
circondò la
vita con le braccia, premendo il corpo contro il suo.
Jeannot
inspirò il profumo dell’altro a pieni polmoni:
vetiver e cedro. L’aveva sempre
adorato, avrebbe passato ore a respirarlo, fino a stordirsi e sentire
la testa
leggera. Si strusciò contro il corpo dell’altro
proprio mentre Peter faceva per
allontanarsi: non era così che aveva in mente di finire la
serata.
<<
Whoo >> la sua esclamazione si trasformò in
una risata bassa << sei
davvero contento di vedermi. >>
Il
più giovane non rispose, e distolse lo sguardo imbarazzato,
ma Peter gli
sollevò il mento per farsi guardare <<
dì un po’, ti è diventato duro per
colpa mia? >>
<<
In realtà questa sera avevo un appuntamento con un cetriolo
che ora mi attende
in cucina, se vuoi scusarmi. >>
<<
Un cetriolo, eh? Ma sentitelo. E riesci a fartelo entrare tutto, mh?
>>
<<
Sì! E ti dirò di più: mi fa godere
incredibilmente, >> lo sfidò. <<
È il paradiso. >>
<<
Il para- sì? Bè, buon per te. Ai miei tempi
c’erano le banane, o si teneva una
foto di qualcuno nella mano libera. Non hai mai pensato a me?
>>
<<
Nessuna goccia è stata versata pensando a te.
>>
<<
Quindi adesso ti è diventato duro pensando alla scopata con
un cetriolo. >>
Jeannot
annuì impacciato, improvvisamente incapace di parlare, poi
scosse la testa
abbassando lo sguardo e portandosi una mano in mezzo alle gambe,
stringendo e
cercando di alleviare il disagio.
<<
Togli. >>
<<
Peter-! >>
<<
Mi prendo sempre le mie responsabilità, io. Letto. Ora.
>>
Jeannot
si trovò fra le braccia di Peter, le gambe attorno al suo
bacino, e la schiena
premuta contro la testiera in legno dell’antico letto.
Strinse forte le
coperte, lasciando che l’altro gli togliesse la camicia,
prima di far scivolare
una mano dentro le sue mutande. Gettò la testa
all’indietro inarcando la
schiena, e si passò una mano fra i capelli.
<<
Allora, sono meglio del cetriolo? >>
<<
Lui non ha una carriera, >> articolò, cercando
di controllare la voce.
<<
Ssh, >> gli sussurrò all’orecchio,
chinandosi poi a baciargli il collo,
la spalla, la gola. << Non farò nulla contro
la tua volontà, ma tu sei
l’unica persona che voglio accontentare, sia che questo
significhi farti
venire, adesso, o fermarmi qui. >> Con la mano libera,
gli accarezzò
delicatamente un guancia, nel tentativo di farlo rilassare un
po’. << Non
farò nulla per paura del giudizio di persone che non sanno
nulla di noi.
>>
Peter
parlava con voce rassicurante, sussurrandogli parole sconnesse col suo
accento
irlandese, oscenità e dolcezza allo stesso tempo.
<<
Da bravo, vieni. >>
Jeannot
lo abbracciò di slancio, stringendosi a lui e affondando il
volto nell’incavo
del suo collo, sentendo un familiare calore attraversargli il corpo, i
muscoli
tendersi. Venne con un lamento soffocato, riversandosi sul petto e
sulla mano
dell’altro. << Ssh. Tranquillo.
Ssh,>> gli baciò la fronte <<
ssh. >> Lo strinse a sé finché non
sentì il suo respiro tornare regolare.
<< Non avevo questo in programma per la serata.
>>
<<
Non lo metto in dubbio, >> Jeannot si passò
una mano sul volto,
asciugando alcune lacrime << ora puoi andare.
>>
<<
Cos-? >>
<<
Bè, ti sei divertito, hai visto che effetto mi fai, ora puoi
andare, >>
tirò su col naso << lo spettacolo è
finito, >> si poggiò
completamente contro la testiera del letto, abbassando lo sguardo, in
attesa
che l’altro andasse via e lo lasciasse solo, ma lui non si
mosse. <<
Andiamo, Peter Rabbit, saltella
via.
>>
Quello
il era nomignolo con cui i suoi parenti lo prendevano in giro, e il
motivo del
suo nome: sua sorella maggiore adorava la fiabe di Beatrix Potter, e
aveva
sempre adorato il personaggio del coniglietto sempre pronto a mettersi
nei guai
per andare all’avventura.
L’uomo
rimase in silenzio, si chinò su di lui e lo
baciò. Jeannot mise le mani avanti,
cercando di divincolarsi.
<<
Pensavo avessimo chiarito? >>
<<
Chiarito? >> fece uno scatto in avanti, quando il
familiare odore di
ferro lo avvisò di ciò che sarebbe accaduto,
prima che il sangue iniziasse a
scendere. Saltò giù dal letto e corse verso il
bagno, una mano premuta contro
la narice, l’altra che teneva su’ i pantaloni
sbottonati. Peter arrivò poco
dopo, con in mano del ghiaccio che doveva aver preso in cucina.
<<
Grazie. >>
<<
È stata colpa mia? >>
<< No. Sono solo un po’ stressato.
>>
<<
Lo eri anche prima, al Galà? >>
<<
Sì. >> Si lasciò cadere in
ginocchio vicino al lavandino, e Peter si
chinò accanto a lui a stringerlo fra le braccia.
<<
Sei sparito per quattro mesi, e sono venuto a sapere che tu eri ancora
vivo da internet,
cazzo! Spero che tu abbia un motivo valido. >>
<<
Sì, ma non ne parleremo adesso. >>
<< Scherzi? >> urlò,
allontanando il fazzoletto dal naso.
<<
Ehi, >> Peter gli riportò la mano sopra la
narice. << No, non sei
in condizioni… di fare nulla, effettivamente. Hai bisogno di
riposo. Se ne
riparlerà domani mattina, >>
sentenziò. << Dopo colazione, >>
aggiunse, aiutandolo a cambiarsi per la notte, e ignorando le sue
lamentele.
Quello non era decisamente il fine serata che aveva programmato,
avrebbe dovuto
buttarlo in un vasca di ghiaccio e finirla così, e non
perché si era pentito di
essergli entrato nelle mutande, ma solo perché quella non
era la sera giusta.
<<
È sempre la sera giusta per quello. >>
<<
Non se mi muori dissanguato, porcellino. E ora dove vai? Torna subito a
letto.
>>
<<
Devo mandare un messaggio a un’amica. >>
<<
Amica? >>
<<
Sì, >> sorrise << Lia. Lei
è fantastica, dobbiamo tornare in
Italia, devi conoscerla anche tu. >>
Ho
avuto la mia seconda occasione, forse lo leggerai presto nei giornali,
ma ci
tenevo a dirtelo io.
Non
pensava di ricevere una risposta, non a quell’ora, invece
arrivò: preoccupato
dei giornali? Batteteli sul tempo: rendete voi pubblica la notizia.
Bacia il
tuo irlandese davanti a tutti, e fagli vedere che non vi interessa cosa
pensa
la gente.