Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Rosette_Carillon    05/11/2019    0 recensioni
Non è vero che non ci si rendo conto di quello che si ha finché lo non si perde. semplicemente, nessuno vuole prendere in considerazione l'idea di poter perdere chi ci fa star bene. E una volta che quella persona è persa, si desidera sempre avere una seconda occasione per poter dare voce a tutto ciò che è rimasto in sospeso, nascosto.
Jeannot la pensava così, solo non sapeva che avrebbe fatto così male.
Dal testo: Non c’era altro da aggiungere. Lui non era mai stato suo, pertanto non aveva il diritto di farsi vedere in lacrime, di portare un lutto così sofferto per colui che era stato solo un amico, conosciuto da nemmeno tanto tempo.
Lia si passò una mano sul volto, cercando di pensare velocemente. Poteva riaccompagnare Jeannot in albergo, augurargli la buona notte, e sperare di trovarlo vivo e in condizioni più o meno accettabili il giorno dopo, ma poi sarebbe certamente stata lei a passare la notte in bianco per via del senso di colpa.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

                                 

                                                                        Notte francese

 

 

 

 

 

 

 

<< Lia, >> la chiamò, e lei si voltò nella sua direzione, la tazza di cioccolata calda in mano. Gli sorrise, e lui ricambiò. << Sono venuto a salutarti. La mia partenza è stata anticipata, parto questa sera, >> spiegò prima di stringerla in un abbraccio impacciato.

Lei posò la tazza sul tavolo e ricambiò.

<< Merci pour tout. Mi mancherai. Tu, la tua pazienza, i tuoi consigli. >>

Lei rise << io sono qui a Roma, e, bè, se hai ancora il mio numero… >>

<< Certo, >> annuì.

<< Adesso ti prenderai un periodo di riposo, mi auguro. >>

Jeannot chinò la testa, colpevole << non posso davvero restare senza nulla da fare, ho bisogno di tenere la mente occupata, altrimenti penserò a lui. Buona fortuna per tutto. >>

<< Anche a te. >>

                                                                                              

                                                                          §

 

Era stanco, e quella era una di quelle serate in cui si sentiva particolarmente asociale. Non antiqualcuno, no, proprio asociale, al limite della misantropia. Se fosse stato per lui, sarebbe rimasto a casa, a letto, e poi, se doveva essere sincero, non si sentiva nemmeno tanto bene. Forse gli stava venendo la febbre, oppure stava così al pensiero che quella sera, in quella sala, a respirare la sua stessa aria ci sarebbe stato anche Peter.

La prima apparizione pubblica di Peter O’Leary dopo quattro mesi di silenzio. Quattro mesi e sei giorni, per la precisione.

Si era ormai arreso all’evidenza, o meglio, a ciò che sembrava essere tale, quando il messaggio di Lia aveva sconvolto la sua pacifica giornata che, fino a quel momento si era alternata fra spartiti per flauto e clip di ‘Concerto per arpa e flauto. ’

Come stai?

Sul punto di rispondere il classico - bene, tu? -, una vocina nella sua mente gli aveva suggerito che potesse esserci un motivo preciso per cui quella domanda era stata posta.

Altro messaggio da Lia: vi siete sentiti?

Oh sì, si era davvero perso qualcosa.

Con chi?

Sta scrivendo…

Sta scrivendo…

Sta scrivendo…

Sta scrivendo…

Sta scrivendo…

Peter O’Leary.

Era ricaduto di peso sulla sedia del tavolo, fortunatamente vicina a lui, il cellulare stretto in mano.

Di cosa stava parlando? Peter era morto.

Forse aveva letto male. Doveva aver letto male, invece no. Il nome era lì, sullo schermo.

Aveva chiuso la chat e aveva aperto internet.

Peter O’Leary.  News.

Articoli di blog e giornali, video di youtube si presentarono davanti a lui. Non c’era molto materiale, ed erano tutti caricamenti piuttosto recenti, il più vecchio era di 12 ore prima.

Lesse i titoli.

 

Dopo quattro mesi, la famiglia O’Leary rompe il silenzio.

 

Peter O’Leary, vivo e vegeto, torna sulle scene.

 

Ritorno dal regno dei morti.

 

Come stai?

Come doveva stare? Il bastardo era vivo e non si era degnato di dirgli nulla. Che fossero fake news? Si trovò a desiderare che lo fosse, ma allora Lia non gli avrebbe scritto. Oppure gli scriveva proprio per quel motivo, per assicurarsi che lui non fosse così stupido e disperato da credere a quelle idiozie.

Il cellulare squillò. Era Lia. Si scusava per aver chiamato, ma era preoccupata, voleva assicurarsi che lui stesse bene, che lo shock non fosse stato troppo forte. Lei aveva saputo la sera prima, da un’amica conosciuta durante lo stage.

Jeannot la lasciò parlare, incapace di dire nulla, finché la rabbia scemò, lasciando solo un dolore sordo all’altezza del petto, come se qualcuno gli avesse trapassato lo sterno per raggiungere il cuore e comprimerlo con violenza.

Dopotutto, riuscì ad articolare, lui e Peter era solo amici, forse nemmeno quello, non c’era alcun motivo perché lui dovesse sapere certe notizie prima della stampa.

Quella telefonata si era svolta due giorni prima del Galà, e Jeannot aveva ragionato su tutti i modi possibili per evitare di prendere parte alla serata. Aveva seriamente considerato l’idea di buttarsi dalle scale, storcersi una caviglia, fingere di avere la febbre, inventarsi l’esistenza di un parente ammalato, o la vecchia scusa della morte del nonno, perché, si sa, i nonni posso morire e risorgere nell’arco di un anno innumerevoli volte come nemmeno Gesù Cristo avrebbe potuto.

Alla fine era stato costretto ad andarci.

Peter gli si era avvicinato non appena era rimasto solo. Aveva cercato di tenersi impegnato per tutta la serata, standogli lontano, parlando con chiunque gli passasse vicino, evitando anche di guardarlo. Poi si era allontanato per prendersi da bere, e lui l’aveva raggiunto. Si era sentito una piccola volpe in trappo, circondata dai cani. Una volpe stupida, tra l’altro, visto che aveva segretamente sperato di potersi confrontare col cane.

<< Ehi, allora sei davvero vivo. >> La miglior difesa è l’attacco. E l’indifferenza. Fagli vedere che di lui non t’importa, consigliò una voce nella sua testa, fagli vedere che sta bene, che non ti sei minimante preoccupato per lui. Ma quella voce era crudele, voleva che Peter soffrisse. Mostragli quanto ti ha fatto soffrire, quanto sei stato male, fagli vedere cosa ti ha fatto.

<< Non essere così deluso, qualcuno potrebbe pensare che io non ti piaccia. >>

Jeannot gli rivolse uno sorriso di circostanza. Una scenata, la rabbia, così come mostrarsi vulnerabile, non avrebbe cambiato ciò che era stato né l’atteggiamento che Peter aveva scelto di avere nei suoi confronti.

Mandò giù un lungo sorso del Manhattan che aveva in mano semplicemente per prendere tempo, perché non voleva parlare con lui, ma non voleva nemmeno che se ne andasse.

<< Jeannot, sono successe tante cose… e la mia famiglia non sapeva quanto tu fossi importante per me. >>

<< Non ti ho accusato di nulla. >> Magari non a parole, ma il suo sguardo, il suo tono di voce l’avevano fatto per lui. Terminò il cocktail e lo posò su un vassoio che vide passargli vicino.

Peter gli disse qualcosa, ma non lo sentì. Si portò una mano al volto a schermare gli occhi, stordito da un improvviso giramento di testa. Una mano gli strinse forte un gomito.

<< …not? Jeannot? >>

<< Scusa. >>

<< Stai sanguinando. >>

E in quel momento sentì il sangue colare dal naso, raggiungere le labbra. Istintivamente, piegò la testa in avanti, portandosi le mani al volto e premendo la narice.

Stordito, si lasciò trascinare in bagno e aiutare.

Peter gli premette una mano sulla fronte. Era calda, ma Jeannot non voleva sentire ragioni: stava bene, non c’era alcun motivo per preoccuparsi, potevano tornare in sala e aspettare il termine della serata.

<< Per te, il Galà finisce qui, e anche per me, visto che ora ti accompagno a casa. >>

Protestare fu inutile, Peter non lo avrebbe lasciato tornare da solo in una casa in cui non ci sarebbe stato nessuno ad aspettarlo. E poi, ma quei pensieri li tenne per sé, sarebbe potuta essere il momento buono per parlare e chiarirsi.

La notte era silenziosa, e il cielo sgombro, illuminato dalla luna e dalle stelle. Sembrava quasi che un velo d’argento stesse ricoprendo il mondo: uno spettacolo affascinante per chi aveva fatto l’abitudine al cielo d’Irlanda.

In quei giorni Jeannot abitava in una vecchia casa di famiglia, un po’ in periferia, da cui si vedeva il viola dei campi di lavanda della Provenza.

L’abitazione, a un piano, era appartenuta a sua nonna paterna. I muri in pietra, ampie finestre con persiane verdi, e piante ovunque. Sembrava quasi di essere in un piccolo angolo di paradiso, lontano dal mondo e dalla quotidianità.
<< Mi dispiace di averti reso difficili questi mesi. >>

<< Sì? Non sembra ti interessi molto di me. >>

<< Cosa ti fa pensare che tu non mi interessi? >>

<< No so, forse il fatto che tu sia morto e risorto senza dirmi nulla?! E lo so che non ti interesso in quel senso, >> ecco, l’aveva detto, si era reso ridicolo con le sue mani. Ma almeno era stato sincero, magari avrebbe ottenuto un qualche bonus sincerità, no?

La sua camera da letto era al primo piano, e lui non aveva alcuna voglia di salire quei pochi gradini in legno. Probabilmente, se fosse stato da solo, si sarebbe addormentato sul divano del salotto.

<< Jeannot… >> il modo in cui Peter sospirò il suo nome gli fece quasi mancare la voce e il poco coraggio che era riuscito a trovare senza sapere come. << Sei troppo piccolo per me. >>
<< Troppo piccolo? Ho ventiquattro anni! >>

<< Guardati: hai ancora le labbra sporche di latte, >> lo prese in giro, passandogli il pollice sopra il labbro inferiore per asciugare una goccia immaginaria, e anche perché era la scusa perfetta per poterlo toccare.

<< Le avrei sporche di altro, se tu me ne dessi la possibilità. >>

<< Ma sentitelo! Che linguaggio! >> gli prese il mento fra due dita << eppure hai un faccino così dolce e innocente… non mi sarei ai aspettato che tu avanzassi certe proposte sconce. >>

Jeannot si allontanò da lui << a quanto pare ci sono tante cose che non ti saresti aspettato da me. >>

<< Jeannot, ehi, mi- >>

<< No, >> si passò le mani fra i capelli, conscio che, con le prossime parole si sarebbe rovinato da solo. Aveva chiesto una seconda occasione, l’aveva avuta, ed era riuscito a rovinare anche quella. << Non voglio che tu abbia problemi per colpa mia. No, lo so come finirebbe. Cosa credi? Non sono così stupido. >> si schiarì la voce, cercando di mantenere il controllo, ma allo stesso tempo desiderando crollare per mostrare a Peter quanto fosse importante per lui << grazie per avermi accompagnato, ma ora è meglio che tu vada. >>

Non era così che doveva andare, non era così che avrebbe voluto che andasse, ma non c’era altro modo.

L’uomo non si mosse.

<< Peter… >> pregò << vai. >> Era stanco, e l’unica cosa che voleva, era poter restare solo per rintanarsi sotto le coperte e piangere, piangere e soffrire come il disperato che era.

Vedeva già i titoli dei giornali, degli articoli di blog. Gli sembrò quasi di sentire le critiche della gente, le domande maliziose dei giornalisti. Avrebbero accusato Peter di essere un approfittatore, un pedofilo –come se lui fosse un bimbo ingenuo-, la loro relazione sarebbe stata definita ‘abusiva’, ‘pericolosa’, ‘un pessimo esempio’.

<< Jeannot. Jeannot! >> gli afferrò un polso << aspetta, >> lo lasciò andare per prendergli il volto fra le mani. << È davvero quello che vuoi? Vuoi che io vada via? >>

Il più giovane non rispose, e Peter si chinò su di lui, sulle sua labbra, baciandolo e spingendolo lentamente contro la parete vicina. Gli circondò la vita con le braccia, premendo il corpo contro il suo.

Jeannot inspirò il profumo dell’altro a pieni polmoni: vetiver e cedro. L’aveva sempre adorato, avrebbe passato ore a respirarlo, fino a stordirsi e sentire la testa leggera. Si strusciò contro il corpo dell’altro proprio mentre Peter faceva per allontanarsi: non era così che aveva in mente di finire la serata.

<< Whoo >> la sua esclamazione si trasformò in una risata bassa << sei davvero contento di vedermi. >>

Il più giovane non rispose, e distolse lo sguardo imbarazzato, ma Peter gli sollevò il mento per farsi guardare << dì un po’, ti è diventato duro per colpa mia? >>

<< In realtà questa sera avevo un appuntamento con un cetriolo che ora mi attende in cucina, se vuoi scusarmi. >>

<< Un cetriolo, eh? Ma sentitelo. E riesci a fartelo entrare tutto, mh? >>

<< Sì! E ti dirò di più: mi fa godere incredibilmente, >> lo sfidò. << È il paradiso. >>

<< Il para- sì? Bè, buon per te. Ai miei tempi c’erano le banane, o si teneva una foto di qualcuno nella mano libera. Non hai mai pensato a me? >>

<< Nessuna goccia è stata versata pensando a te. >>

<< Quindi adesso ti è diventato duro pensando alla scopata con un cetriolo. >>

Jeannot annuì impacciato, improvvisamente incapace di parlare, poi scosse la testa abbassando lo sguardo e portandosi una mano in mezzo alle gambe, stringendo e cercando di alleviare il disagio.

<< Togli. >>

<< Peter-! >>

<< Mi prendo sempre le mie responsabilità, io. Letto. Ora. >>

Jeannot si trovò fra le braccia di Peter, le gambe attorno al suo bacino, e la schiena premuta contro la testiera in legno dell’antico letto. Strinse forte le coperte, lasciando che l’altro gli togliesse la camicia, prima di far scivolare una mano dentro le sue mutande. Gettò la testa all’indietro inarcando la schiena, e si passò una mano fra i capelli.

<< Allora, sono meglio del cetriolo? >>

<< Lui non ha una carriera, >> articolò, cercando di controllare la voce.

<< Ssh, >> gli sussurrò all’orecchio, chinandosi poi a baciargli il collo, la spalla, la gola. << Non farò nulla contro la tua volontà, ma tu sei l’unica persona che voglio accontentare, sia che questo significhi farti venire, adesso, o fermarmi qui. >> Con la mano libera, gli accarezzò delicatamente un guancia, nel tentativo di farlo rilassare un po’. << Non farò nulla per paura del giudizio di persone che non sanno nulla di noi. >>

Peter parlava con voce rassicurante, sussurrandogli parole sconnesse col suo accento irlandese, oscenità e dolcezza allo stesso tempo.

<< Da bravo, vieni. >>

Jeannot lo abbracciò di slancio, stringendosi a lui e affondando il volto nell’incavo del suo collo, sentendo un familiare calore attraversargli il corpo, i muscoli tendersi. Venne con un lamento soffocato, riversandosi sul petto e sulla mano dell’altro. << Ssh. Tranquillo. Ssh,>> gli baciò la fronte << ssh. >> Lo strinse a sé finché non sentì il suo respiro tornare regolare. << Non avevo questo in programma per la serata. >>

<< Non lo metto in dubbio, >> Jeannot si passò una mano sul volto, asciugando alcune lacrime << ora puoi andare. >>

<< Cos-? >>

<< Bè, ti sei divertito, hai visto che effetto mi fai, ora puoi andare, >> tirò su col naso << lo spettacolo è finito, >> si poggiò completamente contro la testiera del letto, abbassando lo sguardo, in attesa che l’altro andasse via e lo lasciasse solo, ma lui non si mosse. << Andiamo, Peter Rabbit, saltella via. >>

Quello il era nomignolo con cui i suoi parenti lo prendevano in giro, e il motivo del suo nome: sua sorella maggiore adorava la fiabe di Beatrix Potter, e aveva sempre adorato il personaggio del coniglietto sempre pronto a mettersi nei guai per andare all’avventura.

L’uomo rimase in silenzio, si chinò su di lui e lo baciò. Jeannot mise le mani avanti, cercando di divincolarsi.

<< Pensavo avessimo chiarito? >>

<< Chiarito? >> fece uno scatto in avanti, quando il familiare odore di ferro lo avvisò di ciò che sarebbe accaduto, prima che il sangue iniziasse a scendere. Saltò giù dal letto e corse verso il bagno, una mano premuta contro la narice, l’altra che teneva su’ i pantaloni sbottonati. Peter arrivò poco dopo, con in mano del ghiaccio che doveva aver preso in cucina.

<< Grazie. >>

<< È stata colpa mia? >>
<< No. Sono solo un po’ stressato. >>

<< Lo eri anche prima, al Galà? >>

<< Sì. >> Si lasciò cadere in ginocchio vicino al lavandino, e Peter si chinò accanto a lui a stringerlo fra le braccia.

<< Sei sparito per quattro mesi, e sono venuto a sapere che tu eri ancora vivo da internet, cazzo! Spero che tu abbia un motivo valido. >>

<< Sì, ma non ne parleremo adesso. >>
<< Scherzi? >> urlò, allontanando il fazzoletto dal naso.

<< Ehi, >> Peter gli riportò la mano sopra la narice. << No, non sei in condizioni… di fare nulla, effettivamente. Hai bisogno di riposo. Se ne riparlerà domani mattina, >> sentenziò. << Dopo colazione, >> aggiunse, aiutandolo a cambiarsi per la notte, e ignorando le sue lamentele. Quello non era decisamente il fine serata che aveva programmato, avrebbe dovuto buttarlo in un vasca di ghiaccio e finirla così, e non perché si era pentito di essergli entrato nelle mutande, ma solo perché quella non era la sera giusta.

<< È sempre la sera giusta per quello. >>

<< Non se mi muori dissanguato, porcellino. E ora dove vai? Torna subito a letto. >>

<< Devo mandare un messaggio a un’amica. >>

<< Amica? >>

<< Sì, >> sorrise << Lia. Lei è fantastica, dobbiamo tornare in Italia, devi conoscerla anche tu. >>

Ho avuto la mia seconda occasione, forse lo leggerai presto nei giornali, ma ci tenevo a dirtelo io.

Non pensava di ricevere una risposta, non a quell’ora, invece arrivò: preoccupato dei giornali? Batteteli sul tempo: rendete voi pubblica la notizia. Bacia il tuo irlandese davanti a tutti, e fagli vedere che non vi interessa cosa pensa la gente.

 


 

  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Rosette_Carillon