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Autore: Hypnotic Poison    07/11/2019    6 recensioni
« A volte mi chiedo come sarebbe stato, essere amata da te. » [...]
Ha fatto l’amore con lei entrambe le sere con più forza, respirando il suo odore perché si imprimesse più forte di qualsiasi altra cosa nelle sue narici, riempendole le orecchie di promesse eterne che servono da scuse che non sentirà mai. [...] « Non puoi pensare che ti avrei fatta scappare. »

Prima classificata parimerito al contest "Il triangolo no!" indetto da_ Freya Crescent _ sul forum di EFP.
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ichigo Momomiya/Strawberry, Kisshu Ikisatashi/Ghish, Mint Aizawa/Mina
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo
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One last time

 

 

 

 

 

 

Che era solo l’ennesimo impatto tra la pioggia ed il fuoco
 
~
 
I don't deserve it, I know I don't deserve it
But stay with me a minute, I swear I'll make it worth it
 
 
 
 
La stringe più forte, le mani che scorrono familiari e decise lungo la curva della schiena, le labbra fin troppo determinate ma ben consapevoli che, almeno per quella sera, non importerà.
« Cosa ti è saltato in mente, » ride lei sottovoce, la voce rotta da una felicità incontrollabile nel vano tentativo di sgridarlo, « Sei impazzito. »
« Di te, » le prende il collo tra le mani, i pollici che le accarezzano le guance imporporate, il naso sfiora il suo e la bocca ghermisce ancora quella rossa di lei, « Avevo il terrore che mi tirassi dietro un piatto. »
La sente ridere ancora, un suono così bello alle sue orecchie, mentre si abbandona del tutto contro di lui, allungando le braccia dietro al suo collo: « Sei fortunato che sei carino, perché io odio le soprese. »
Lui sorride, la bacia ancora, intrecciando le dita tra le onde della sua nuca, imprimendosi quel momento nella mente, come se fosse l’ultimo felice della sua vita: « Buon compleanno, tortorella. »
 
 
Si pulì le mani con calma, grato che il silenzio del bagno gli concedesse un po’ di ristoro all’udito fino visto il caos dell’ultima mezz’ora. Si era preparato, ovviamente, ma la ciurma riusciva sempre a eccedere le sue aspettative.
Non fece caso al rumore della porta che si apriva finché non udì il tacchettio di scarpe decisamente non maschili e una voce molto conosciuta.
« Ci stai già ripensando? »
Kisshu alzò lo sguardo per incontrare quello appannato di Ichigo, appoggiata alla porta con un sorrisetto divertito e un bicchiere di champagne in mano.
« Sei nel bagno dei maschietti, gattina. »
Lei non si spostò, scuotendo solo una mano in aria: « C’era troppa coda, nell’altro. »
« Mmmh, » lui annuì e si asciugò nelle salviette dall’aria costosa impilate in maniera impeccabile, sorridendole di rimando, « E comunque no, non ci sto ripensando. Avevo solo bisogno di prendermi cinque secondi di silenzio. »
La ragazza inclinò la testa da un lato, il caschetto perfettamente simmetrico e lucido che seguì il movimento: « Hai davvero creato un certo scompiglio. Non me l’aspettavo, in effetti. »
Lui non rispose, studiandola ancora divertito e confuso, mentre ondeggiava appena contro la porta e poi faceva schioccare le labbra tinte di vermiglio.
« Poi in realtà ho detto una sciocchezza, tu sei molto bravo nei grandi gesti d’amore. »
Kisshu lanciò il tovagliolino dentro all’apposito cesto, con forse un po’ troppa convinzione: « Tutto bene, micetta? »
Ichigo si diede una spinta per staccarsi dall’entrata e barcollò incerta fino a lui, scuotendo la testa: « Sì sì. »
« Non si direbbe. »
« È che… è strano tornare, dopo tanto tempo e… partecipare a tutto questo. Sembra che le cose non siano cambiate, però… »
« Forse dovresti tornare più spesso che una volta ogni anno e mezzo. »
Ichigo fece una smorfia, sbuffando dal naso in maniera sarcastica, appoggiando una mano sul lavandino per sostenersi: « Non è così semplice. »
L’alieno la guardò incuriosito, poi le fece un cenno mentre si infilava le mani in tasca: « Be’, micetta, mi piacerebbe stare qui a parlare della storia della tua vita, ma devo tornare in sala. »
« Io e Minto non siamo più come prima, » lei sembrò ignorarlo del tutto mentre si guardava allo specchio, sistemandosi appena il vestito, « Anche con le altre, però con Minto… pensavo che io e lei… »
Kisshu dovette trattenersi dallo sbuffare ad alta voce, non molto a suo agio a essere bloccato tra il muro del bagno e la ragazza: « Le questioni tra amiche non sono il mio forte, gattina. »
« Credo che Minto non mi abbia mai perdonato del tutto il fatto che sia rimasta definitivamente a Londra, o che non abbia festeggiato il mio matrimonio in grande stile. »
« Non ti ha perdonato il fatto che tu sia sparita dalla circolazione, micetta, » replicò lui, una punta di acidità nella voce, « E non hai detto a nessuno che ti stavi sposando, è venuta a saperlo dai tuoi genitori quasi per caso, così come hai sempre fatto segreto dei tuoi piani di vita. »
« Come stai diventando saggio, » lei sbuffò dentro al bicchiere, prendendo un altro sorso, « Si direbbe che conosci più tu Minto di me. »
« Sicuro ci passo più tempo. »
La rossa corrucciò le labbra in un ghigno di fastidio: « Lei non ha mai concepito il fatto di voler passare del tempo con… con la persona amata. Ha sempre giocato alla donna forte e indipendente, che non aveva bisogno di nessuno. Be’, guardala ora! »
Kisshu aggrottò le sopracciglia, confuso: « Micetta? »
« Forse ora che ha avuto questo amore folle capirà. »
« Perché ti comporti così? Tu hai avuto la tua chance. »
Ichigo lo guardò da sotto in su, con fare sarcastico: « Intendi con te? »
Il tessuto della sua camicia sembrò farsi all’improvviso molto più fastidioso contro al suo petto, e lui non riuscì a trattenere una smorfia, accennando al diamante che lei portava all’anulare sinistro: « Sai benissimo di chi sto parlando. »
Lei sbuffò e svuotò il calice in un ultimo sorso, sporgendosi per appoggiarlo sul lavandino: « Non ti facevo tipo da relazioni così serie, » fece un sospiro e si voltò del tutto verso di lui, inclinando ancora la testa,  « La devi proprio amare molto. »
Kisshu sospirò, trovando la situazione assai irritante, i nervi stranamente tesi: « Devo seriamente risponderti? »
« Immagino che faresti di tutto per lei. Chissà se lei si rende conto di quanto, davvero, tu la ami. »
Lui le rivolse un’occhiata sbalordita, cogliendo l’ironia del fatto che stesse indossando un abito bianco proprio in quell’istanza, cercò di scivolare di lato per scostarsi da lei: « Micetta, andiamo - »
« A volte mi chiedo come sarebbe stato, essere amata da te. »
Era sempre stato sicuro di avere riflessi pronti, di aver vissuto una vita sull’attenti, pronto a reagire al minimo segnale perché era così che l’avevano addestrato.
Eppure, non si mosse quando le labbra della rossa catturarono le sue.
Non si mosse quando le braccia nude si strinsero attorno al suo addome, quando i seni rotondi premettero contro il suo petto mentre lei caracollava in avanti e poi lo costringeva a voltarsi, a dare le spalle alla porta così che lei potesse appoggiarsi al muro.
Riuscì solamente a chiudere gli occhi e ricambiare il bacio, perché qualcosa lo aveva trasformato in una marionetta e stava tirando tutti i suoi fili.
Era il sapore di Ichigo.
Come diavolo facesse la sua memoria, a ricordarselo, dopo quasi quindici anni… o perché glielo stesse ricordando, perché non riusciva mai a sopprimere questa sua vena masochista? Non gli aveva mai, mai fatto bene, eppure anche in quel momento…
Anche in quel momento stava cedendo all’unica che non aveva mai avuto veramente. Forse per orgoglio, forse per ripicca di tutti quegli anni, perché lei aveva cercato lui, forse soltanto per farla sentire un po’ come si era sentito lui.
Perché pur essendo il suo sapore, non riusciva a sentirne soddisfazione, perché mancava qualcosa, ma lui continuava a stare lì. L’avvertì armeggiare con i bottoni dei suoi pantaloni, poi la mano s’intrufolò svelta ad afferrarlo, a sfiorarlo con decisione.
Solo una parte di lui si stupì del suo continuare non riuscire a reagire, di non trovare la forza di scostarla, di fermarla, di smetterla di baciarla, il corpo che reagiva naturale agli stimoli mentre il cervello cercava di distrarlo. O forse fu la sua coscienza, che gli fece balenare davanti agli occhi chiusi l’immagine della sua fidanzata, facendogli mancare tre battiti, un pugnale gelido che gli trafisse lo stomaco.
Poi Ichigo lo prese in bocca con così tanta voluttà da fargli male al cuore, il calore del suo respiro che gli provocò un brivido lungo tutta la spina dorsale. Kisshu si lasciò scappare un gemito mentre appoggiava gli avambracci e la fronte contro la parete fredda del bagno, chiudendo gli occhi, forse per non vedere, per non realizzare, forse perché non voleva crederci.
Non era forse quello che aveva sognato per così tante notti, così tanto tempo fa?
Le labbra calde si chiusero ancora attorno a lui, che non riuscì a evitare di spingere in avanti i fianchi quasi con rabbia, con spregio, il cuore e la mente che gli gridavano il contrario mentre una cieca furia gli riempiva il petto.
Come si permetteva lei, di farlo adesso? Di rovinare tutto, potenzialmente, solo perché…
La sentì mugolare piano, contrariata, mentre lui premeva ancora più a fondo nella sua bocca, le afferrò i capelli della nuca per tenerla ferma e spinse di più, deciso, abbracciando dolore e piacere, senza lasciare la presa, senza aprire gli occhi.
In altre circostanze, il suo orgoglio gli avrebbe intimato di resistere di più, di non soccombere al piacere così presto. Non fece nulla, invece, per fermare l’orgasmo violento che gli strappò un gemito prontamente soffocato nella piega del gomito; forse era stato il troppo piacere, forse la voglia di interrompere tutto il più presto possibile.
Udì la ragazza ai suoi piedi sospirare forte e poi ridacchiare, si spostò di qualche passo per permetterle di alzarsi in piedi mentre si passava il dorso della mano sulle labbra arrossate, i contorni resi irregolari dal rossetto sbavato. Fece per tendere una mano verso di lui, forse reclamando qualcos’altro, ma Kisshu si scostò di scatto, come se le dita potessero bruciargli la pelle più di quanto non avessero già fatto con la sua anima.
« Vattene, » sussurrò, « Devi sparire dalla mia vista. »
Ichigo ebbe un sussultò impercettibile, gli occhi scuri che s’infiammarono di rabbia: « Ottieni quello che vuoi e poi - »
Le afferrò un braccio con così tanta furia da farle reprimere un grido, scuotendola appena, fiamme al posto delle iridi: « Tu non sei quello che voglio. Tu sei soltanto il mio incubo. E ora devi andartene. »
La rossa boccheggiò, chiaramente ferita: « Se… se usciamo insieme da qua… »
« Allora vattene nell’altro bagno e aspetta, fai quel cazzo che ti pare, ma lasciami solo. »
Lei fece per replicare, la collera negli occhi dorati che la convinse ad allontanarsi in silenzio, chiudendosi la porta con accortezza alle spalle.
Non che Kisshu avesse assistito alla scena; si era appoggiato di nuovo al muro, il volto tra le mani, a prendere quattro respiri profondi, per cercare di sopprimere il senso di nausea che gli era piombato addosso con la stessa velocità della ragazza, per ricomporsi prima di affrontare la folla là fuori.
Chiamarla solo nausea era riduttivo della potenza di quella vergogna.
La non poi così tanto sconvolgente comprensione che quella stronza aveva ancora troppo potere su di lui.
 
 
Si sarà sciacquato il viso almeno tre volte, alla ricerca di una minuscola traccia di qualsiasi cosa. Vorrebbe solamente una doccia, bollente, per togliersi di dosso odori e vergogna. Torna nel salone, un rimbombo nelle orecchie che ottunde tutto il resto, come se fosse sott’acqua. Sicuramente non riesce a respirare bene, il cuore batte impazzito, un velato bruciore in gola.
La vede là dove l’ha lasciata, così felice, così perfetta da squarciargli di nuovo la cicatrice che ha in petto, raggiante nei sorrisi rari. Gli sembra che siano passate ore, ma in realtà saranno stati poco più di venti minuti, o almeno spera, prega, che sia stato tutto troppo poco perché qualcuno abbia notato qualcosa.
« Ehi, eccoti, dov’eri finito? Mi stavo preoccupando, pensavo fossi scappato. »
Le avvolge un braccio intorno alle spalle per stringerla, schioccandole un bacio in testa per continuare a farla sorridere, lo stomaco avvolto in una morsa gelida.
« Scusami, ho dovuto raccontare più particolari del previsto. »
Le porge il cellulare per mostrarle i messaggi con Seiji, guadagnandosi uno schiaffetto sul braccio: « Ehi, mi hai rovinato la sorpresa! »
« Vuoi scherzare, tortorella, ho ottenuto l’approvazione anche del colore del tovagliolo, dovevo prevenire qualsiasi reazione negativa. »
Lei alza gli occhi al cielo e ride, ride, mentre si alza sulle punte dei piedi soltanto per appoggiare la guancia sulla sua e stringerlo un istante di più, non troppo perché non è quello che vuole il galateo ma abbastanza perché sia avvolto dal suo profumo sopra ogni altra cosa, sopra al rumore degli amici che continuano a chiacchierare condividendo la loro felicità, al cigolio della porta del bagno che si apre dall’altra parte della stanza ma che raggiunge in ogni modo il suo udito.
Non alza gli occhi, per controllare, non ne ha il coraggio. Non se lo merita. Continua a concentrarsi solo sulla ragazza accanto a sé, su ciò che rappresenta.
Forse è stato tutto solo un sogno. Il ricordo di un sapore estraneo gli ricorda esattamente cos’ha appena fatto.
Spera che tutto il resto non lo sia.
 
 
§§§
 
 
Sta diventando paranoico. È alla terza doccia in due giorni, e le temperature di ottobre non sono davvero una scusa valida. Spera che lei non pensi sia troppo strano.
Si sente sporco, e non sa come fare. Non importa quanto sia calda l’acqua o quante volte si riempia di sapone, sfregandosi fino a far bruciare la pelle.
Quella sensazione non se ne va. La bruciante, colpevole, vergognosa consapevolezza di aver ceduto e rischiato di mandare tutto a puttane.
Può sentirla canticchiare sottovoce mentre si prepara in camera, per uscire con le amiche e probabilmente continuare a spettegolare orgogliosa di quello che è appena successo e che le ha stampato in faccia un sorriso che non prova nemmeno a nascondere.
Ha fatto l’amore con lei entrambe le sere con più forza, respirando il suo odore perché si imprimesse più forte di qualsiasi altra cosa nelle sue narici, riempendole le orecchie di promesse eterne che servono da scuse che non sentirà mai. Ha approfittato del suo cercare più tenerezze del solito per marchiare sulla pelle il calore del suo corpo, si è impresso nella mente ogni singola sfumatura dei suoi occhi, alla costante ricerca di tutte le differenze possibili.
Lei non sa nulla, lei non sa nulla, continua a ripetersi come un mantra in ogni momento.
Lei non avrebbe mai saputo assolutamente nulla.
Perché lui sa che basterebbe una parola a cancellare tutto. A toglierle quelle risate che crede non averle mai regalato in vita sua.
« Lo stiamo facendo davvero? » gli ha chiesto già almeno un paio di volte, allineandosi a lui tra le lenzuola, lo sguardo rapito dal nuovo scintillio al suo dito.
« Non puoi pensare che ti avrei fatta scappare. »
E lei ride e lo bacia, spingendo il corpo contro a quello di lui, tirandolo ancora una volta verso di sé, reclamando di essere di nuovo una cosa sola.
Perché lo sono. E lui sarà dannato se non sarà così per sempre. 
 
 
« Stai bene? »
Kisshu alzò gli occhi, continuando a strofinarsi l’asciugamano sui capelli, per scambiarsi uno sguardo con Minto allo specchio.
« Certo, perché? »
Lei scosse le spalle e sorrise solo, concentrandosi per applicare il mascara: « Sembri… distratto. Ci stai già ripensando? »
La bile gli risalì in gola all’inquietante parallelo con quella sera, ma lui ricacciò indietro tutto, le fece l’occhiolino prima di agguantarla per la vita, cingerla da dietro e schiacciare la guancia contro la sua: « Una certa tortorella sta richiedendo molte delle mie energie. »
« Se mi fai sporcare giuro che ti uccido, » replicò lei, ma con una nota troppo allegra nella voce perché fosse davvero una minaccia, completamente rilassata nel suo abbraccio, « Io vado, ci sentiamo dopo? »
« E dove dovrei andare? »
Minto alzò gli occhi al cielo alla sua battutina, stendendosi appena sulle punte per schioccargli un ultimo bacio e mormorargli un saluto sottovoce.
Kisshu prese un respiro profondo quando udì la porta d’ingresso chiudersi, per calmare quella odiosa sensazione che avvertiva torturargli lo stomaco.
Colpa, gli ricordò la coscienza, si chiama senso di colpa, brutta testa di cazzo che non sei altro.
Appese accorto l’asciugamano bagnato, alla ricerca dell’apparenza perfetta, preparandosi mentalmente ad affrontare un’altra giornata all’insegna del rimettere insieme i pezzi, decidendo di chiamare suo fratello minore così da svagarsi un po’ insieme a lui, rincoglionendosi di videogiochi.
Il cellulare era rimasto intrigato nella pila dei suoi vestiti, e per fortuna, si disse, quando vide il messaggio che lampeggiava sfacciato sullo schermo.
 
Ehi, credo che dovremmo parlare. Possiamo vederci?
 
Sentì la rabbia montargli ancora addosso, più ruggente che mai. Come poteva essere così stupida? Se solamente il suo telefono fosse stato da un’altra parte, più visibile, se solo come al solito Minto avesse borbottato qualcosa sul suo essere così terribilmente disordinato mentre raccoglieva il mucchietto di vestiti che lui puntualmente abbandonava dentro al lavandino…
Cancellò veloce il messaggio, tutta la conversazione, quei pochi messaggi scambiati negli anni che lui ora odiava come non mai, e decise di telefonarle, ancora gocciolante con l’asciugamano attorno ai fianchi.
« Sei completamente impazzita? » non le diede nemmeno il tempo di dire pronto, vomitandole addosso tutto il risentimento che aveva provato per sé stesso in quei due giorni, « Ti sembra seriamente una scelta saggia questa, scrivermi così? »
«… credo che tu stia esagerando, » la voce di Ichigo fu sottile dall’altra parte della linea, « Non ho mica scritto che - »
« Cosa vuoi? » non poteva certo starla a sentire raccontare anche il minimo particolare della sera prima, le interiora che bruciavano per il rancore, la paura, lo schifo, la vergogna di essere di nuovo a quel punto. ulqueqqque
Lei titubò a rispondere: « Quello che dicevo nel messaggio, credo che almeno dovremmo chiarire un paio di cose. »
« Non ho assolutamente nulla da chiarire con te, non dobbiamo parlarne mai più. »
« … solo un’ultima volta, Kisshu, per favore. Voglio solo… spiegarmi. »
Lui esalò tra i denti, odiando il tono supplichevole che stava usando, detestando la memoria che gli rievocò la sensazione del corpo premuto contro al suo, i suoi sospiri strozzati mentre gli stava davanti in ginocchio. Si appoggiò al lavandino, stringendo il marmo tra le dita, i nervi che lo imploravano di tirare un cazzotto contro al muro. Le borbottò solamente un indirizzo e un orario, terminando la telefonata prima di poter ascoltare ancora la sua voce, poi cancellò anche la traccia di quella chiamata.
Lo stava facendo solo per trovare chiusura, si disse, lanciando con rabbia anche il secondo asciugamano nel cesto del bucato, soltanto per mettere un punto fermo a tutto.
Non c’entrava nulla il fatto di voler sapere il perché.
 
 
 
Il brusio di quell’izakaya (*) era insopportabile per il suo udito fino, perciò fu molto grato quando uno dei camerieri gli mostrò una delle salette private ancora libere, in fondo al locale, lontano dal resto degli avventori e soprattutto lontano da sguardi curiosi; non era certo un luogo o una parte della città dove avrebbe potuto incontrare qualcuno di sua conoscenza, ma voleva più che mai non sfidare la sorte un’altra volta.
Si accasciò sul tatami, cercando di mantenere il controllo sul battito del suo cuore. Non ricordava l’ultima volta che aveva provato così tanta furia scorrergli tra le vene.
O meglio, aveva fatto di tutto per provare a dimenticarla.
Non rimase solo a lungo, la porta del corridoio principale che si aprì per mostrargli la sua compagna di sventure. La guardò arrivare, fasciata da un dolcevita color panna, i capelli rossi ancora perfettamente lisci. Si chiese quale sorta di maleficio gli avesse fatto, nella sua vita precedente, perché lo avesse fatto sentire in quella maniera. Perché ancora si sentiva a disagio a rimanere vicino a lei, all’erta (e giustamente, gli ricordò quella vocina che si faceva viva più spesso ora). Perché stare da solo così, con lei, di nuovo, gli sembrava un tradimento ancora più grande di quanto non fosse accaduto due sere prima.
Ichigo gli sorrise titubante, piegando accorta il cappotto su un braccio nell’evidente tentativo di prendere più tempo. Era una minima soddisfazione, pensò lui, almeno sapere che lei fosse a disagio quasi quanto lui.
« Ciao, » l’alieno non rispose, fissandola solamente con rabbia, e lei si schiarì la gola per continuare, « Grazie per aver accettato di vedermi. »
Kisshu reclinò appena, poggiando la schiena contro la parete della stanzetta, il profumo della ragazza che gli raggiunse le narici facendogli ribaltare lo stomaco: « Vediamo di fare in fretta, d’accordo? Non ho molto tempo, non ho voglia di stare qui, e non vorrei dovermi inventare altre cazzate. »
La rossa annuì e posò le mani sul basso tavolino, intrecciando le dita, e lui non poté evitare lo sguardo che gli cadde sul suo anulare occupato.
Lui non aveva nemmeno fatto in tempo a occuparne un altro.
« Credo di dover iniziare con delle scuse, »  Ichigo sussurrò, gli occhi fissi sul legno scuro, « Avevo bevuto parecchio, l’altra sera, era una situazione molto… strana. »
« La festa di compleanno della tua migliore amica, circondata dalle persone con cui sei cresciuta e al cui fianco hai combattuto? Davvero bizzarra, in effetti. »
« Sto solo cercando di spiegarti - »
« Non ho bisogno delle tue spiegazioni, » lui sibilò con cattiveria, mentendo a entrambi, « Ho solo bisogno che mi lasci in pace e che tutta questa cosa sia dimenticata, seppellita. Tu più di tutte dovresti sapere quanto è difficile far sì che Minto si fidi di qualcuno, e se lei… »
Kisshu esalò e si afflosciò del tutto contro al muro, stringendo i pugni per non sbatterli sopra al tavolino.
« Devi giurarmi che non glielo dirai mai. »
Gli occhioni color cioccolata saettarono verso i suoi, colmi di colpa: « Non mi perdonerebbe mai. Non Minto. »
« Sinceramente, non me ne può fregare un cazzo di cosa pensa di te, a questo punto, ma non ho intenzione di perderla. »
La vide sussultare, il seno pieno che si alzò mentre prendeva un respiro di coraggio, torturandosi il polsino del maglione: « Potevi pensarci anche tu prima di - »
Questa volta, non riuscì a evitare di lanciarsi in avanti con rabbia, sbattendo il palmo aperto davanti a lei: « Hai la minima idea della fatica che ho fatto per liberarmi di te? »
Osservò lo sguardo inumidirsi, ma non si fece prendere dalla pietà, sciorinandole tutto il veleno di cui era capace.
« Sai benissimo tutto quello che ho dovuto passare per te, e nonostante tutto hai avuto la faccia tosta di venirmi a cercare, e anche ora sei qui a cercare di scusarti. Cazzo, non potevi andare da Shirogane o - »
Se possibile, il volto di Ichigo assunse ancora di più una smorfia di vergogna: « Non… non era perché sei tu, io… e-ero sola, e… io e Ryo non ci parliamo da tempo, non potrei… »
« Certo, perché invece io e te amiconi da sempre, » lui rise sarcastico, cattivo, poi scosse la testa, « Ammettilo che l’hai fatto apposta solo per vedere se ce l’avresti fatta, con me. Cos’era, una sfida con te stessa? Un modo per riguadagnare la tua gioventù? »
Lei scosse la testa, le lacrime che scorrevano libere lungo le gote senza che lei facesse niente per impedirglielo: « N-non è così, io… con Masaya, lontani, io - »
« Ecco, ricordiamoci anche dell’altro cornuto della situazione, ma bravi. »
« La mia… vita non è perfetta, Kisshu. »
« E allora andiamo ad approcciarci ai fidanzati delle proprie amiche, per essere cordiali. »
Si passò le mani tra i capelli, scompigliandoli un paio di volte per riversare il nervosismo su di loro, perché non riusciva a sopportare la faccia da cane bastonato che aveva davanti, e al tempo stesso non poteva trattenersi dal volerla ferire il più possibile, rovesciando su di lei tutta la colpa e la vergogna che gli riempivano le vene.
« Sai, Ichigo, tu davvero mi hai rovinato la vita! »
Lei si ritrasse appena, forse più conscia di quanto pensasse del multiplo significato di quelle parole: « Avresti potuto benissimo dirmi di no, fermarmi, io - ! »
« Infatti. È anche colpa mia. Soprattutto colpa mia. E sapere che non ce l’ho fatta mi fa sentire ancora di più una merda. »
« Avevo… soltanto bisogno di sentire che io… ancora facevo parte di tutto questo. »
« Senti, vaffanculo Ichigo, la prossima volta allora vai a prendere del tè con le tue cazzo di amiche e lasciami in pace. L’hai fatto soltanto per ripicca e perché sei sempre stata egoista, lo sappiamo tutti e due. »
I suoi occhi si posarono su di lui, fissi, da sotto le ciglia: « E allora perché sei rimasto? »
Kisshu la scrutò di ricambio, in silenzio.
Erano passati decenni dall’ultima volta in cui l’aveva osservata così, in ogni minimo particolare, trovandola così familiare, trovandola bella anche sotto le lacrime, trovandola insopportabile per tutto ciò che gli scatenava. Gli sembrò che non fosse mai passato tutto quel tempo, e che al contrario fosse passata una vita intera.
« Perché io sono ancora più egoista di te. »
Forse era la più grande verità che mai le avesse detto.
Ichigo annuì e si passò i palmi lungo le guance per asciugarle, prima di riprendere in mano il cappotto e alzarsi, mormorando sottovoce: « Vorrei che tu non mi odiassi. »
« Troppo tardi, micetta. Ma forse puoi ancora recuperare con Minto. »
Calò il silenzio sulla stanzetta mentre lei si rivestiva, ancora tirando su con il naso, poi prese l’uscio senza nemmeno rivolgergli un gesto di saluto.
« Ichigo. »
Non si voltò, ma poté percepirla fermarsi sulla soglia, trattenere il fiato.
« Dicevi sul serio, l’altro giorno, sul… sull’essere amata da me? »
Il gorgoglio della sua gola gli arrivò alle orecchie, insieme all’esitazione, al prendere un respiro, a quel sussurro.
« Per quello che vale, sì. »
 
 
Non sa nemmeno perché l’ha chiesto.
Forse per soddisfare solo una parte di sé. Quella che ha giurato di aver sepolto, sotto le macerie del suo vecchio io, sotto strati di pelle rimarginata.
Forse solo per sentirsi dire che non era stato del tutto invano, e che non era stato solo lui il coglione del momento.
Sa solo che è meglio smetta di pensarci, al più presto possibile.
Lei si stira pigramente, la testa incastrata sotto al suo mento, e lo scruta da sotto in su mentre gli scosta la frangia dagli occhi, per scoprirli meglio.
« Che c’è? »
Non sa come farà a mentirle una vita intera.
Guarda quegli occhioni scuri che lo conoscono così bene, che hanno osservato ogni angolo del suo corpo, che hanno guarito le sue ferite più profonde, quelli a cui ha sempre fatto fatica a mentire.
Si trasforma, si concentra come ha imparato negli anni per riporre tutti quei pensieri nel loro angolino remoto, sorride birbante come sa che la farà arrabbiare: « Stavo solo pregustando la prima notte. »
Lei alza lo sguardo al cielo, gli tira un pizzicotto sul naso: « Sono di fianco a te ora, e tu pensi a qualcosa per cui non abbiamo nemmeno  una data? »
« Motivo in più per spicciarci a sceglierla. »
« Non ci sarà niente di particolarmente eclatante, sappilo. »
« Magari per una volta potrò finalmente strapparti le mutandine. »
Lei sbuffa, ma il colorito sulle guance tradisce le sue vere intenzioni mentre lo ammonisce bonaria: « Sei proprio un idiota. »
Già, lo è.
« Colpa tua che mi hai detto sì. »
Borbotta ancora qualcosa sottovoce, ma si allunga languida a baciarlo, le mani a stringergli i capelli in un gesto che ha copiato da lui. Gli si stringe addosso, pelle contro pelle, e forse è solo una sua sensazione, ma lo bacia più decisa, meno leggera degli ultimi giorni, come fa quando gli serve capire che lei è lì, è vera. Poi le sue labbra gli scendono lungo il petto, l’addome, lasciandogli una calda linea di brividi d’anticipazione. Non chiude gli occhi, questa volta, mentre rotola sulla schiena per lasciarsi andare totalmente alla mercé di lei. Lei che ha imparato più di ogni altra a scovare ogni suo punto debole, ogni centimetro che gli toglie il respiro, ogni gesto che lo porta al limite.
Lei che sa esattamente come aiutarlo quando tornano gli incubi del passato, e che non ha più paura di lasciarsi andare quando le proprie ombre ribollono fino alla superficie.
Geme il suo nome sottovoce, scrutandola tra le palpebre socchiuse per godere della totale sensazione di essere avvolto dalla sua bocca e lambito dalla sua lingua, in quella maniera che appare reticente ma nasconde infinita passione, che è sempre stata solo di lei. Ma non la tocca, non può toccarla, per stringerle le ciocche corvine tra le dita e pregarla di accelerare, di concedergli più spazio, come fa sempre; non può farlo ora, non con quel ricordo così odioso ancora fresco, la certezza di aver solamente usato l’altra per quei corti istanti.
Vuole rimanere nascosto nel suo calore il più a lungo possibile, per rendersi conto che non è solo un’illusione.
Gli scappa un’imprecazione sottovoce quando lei si stacca da lui e gli scivola addosso con attenzione per accoglierlo davvero dentro di sé, incastrando le dita tra le sue, muovendo i fianchi con infinitesima lentezza.
« Mi uccidi, » mormora mentre lei si piega in avanti, i capelli neri che gli sfiorano il petto e le labbra che reclamano possessive le sue per nascondere l’inizio di un sorriso soddisfatto.
E forse potrebbe ucciderlo davvero, l’amore che prova per lei, di nuovo. Sarebbe pronto come l’ultima volta, forse ancora di più, solo per sconfiggere l’agghiacciante consapevolezza che non la merita.
Lei dovrebbe saperlo, che non la merita, anche se fa di tutto per ottenere il contrario, anche se seppellisce i fantasmi più in fondo che può.
Ma d’altronde, è un egoista, e si comporterà da tale.
Ogni volta come se fosse l’ultima.
 
 
 
 

 
***
(*) La versione giapponese di un pub o di un’osteria. Se i vari locali non appartengono a una catena, allora sono composti da salette private con un tavolino ciascuna.
 
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§§§

 

Ammettetelo che non avreste mai pensato di vedere il giorno in cui avrei pubblicato di nuovo una “Kishigo”! Rimango fedele a me stessa e non regalo lieti fini, almeno :D
 
La colpa di tutto è di Freya Crystal, che ha indetto il contest “Il triangolo no!” sul forum di EFP, dal quale non potevo esimermi, ovviamente, perché sono un’autrice crudele e mi piace far soffrire i personaggi.
Titolo e seconda strofa vengono da “One last time” di Ariana Grande, mentre la prima strofa è di “Proteggiti da me” di Marco Mengoni.
 
Devo concedere che sia stata molto una fic esperimento, perché non avevo mai trattato così Ichigo e Kisshu – l’unica altra mia storia con loro due come protagonisti andava in una direzione molto diversa, ed è stato molto difficile in effetti metterli a confronto in questa maniera. Spero di esserci riuscita, sinceramente, sono uscita molto dalla mia zona di conforto e ora è tempo di tornare alle mie cosine solite :3
 
Ringraziamenti in anticipo a chi vorrà lasciare un parere, chi leggerà e pigerà i vari pulsanti :3

Bacioni a tutti,

Hypnotic Poison

 

 

   
 
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