Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: greenroom    07/11/2019    1 recensioni
Per diminuire il numero dei cittadini e quindi la domanda di cibo, il Distretto di Yalkell decide di prendere bambini e bambine dei villaggi e affidarli al Corpo di Ricerca.
Tra i nuovi arrivati, stanchi e bagnati, dopo giorni di viaggio nel fango e nella nebbia, tra pianti e sussurri spaventati, c'è anche una strega.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eren Jaeger, Jean Kirshtein, Levi Ackerman, Mikasa Ackerman, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Anno 853*
Distretto di Yalkell


Una pioggia leggera cominciò a battere sul legno del tetto del porticato. Il sole calava dietro le gigantesche mura all’orizzonte e le ombre si allungavano sul pavimento del portico e, poco più in là, lungo il prato. 
“Mhm mhm,” canticchiò Anja, dondolando sulla sedia, cullando affettuosamente il bebè stretto tra le braccia, “Ci sarà un temporale, ma tu sarai lontano e al sicuro,” mormorò.
“Meglio entrare,” proruppe Emilie, spuntando dalla porta d’ingresso, ma solo con il naso, “Fa freddo, Niclas si ammalerà.”
Anja sorrise, mostrando le rughe attorno agli occhi. “Su su, c’è solo un po’ di vento. Non esagerare come sempre o questo bimbo avrà un brutto ricordo di te.”
La ragazza, stringendo il colletto della camicia, uscì sul portico e prese in braccio il figlio, che dormiva profondamente. 
“Non mi piace quest’aria,” disse mestamente, osservando i lineamenti angelici del pupo, “Ebba aveva ragione ad essere preoccupata. Aveva parlato di una bufera, di un’invasione di uccelli tormentati… ed ora Niclas ci viene portato via…” 
Anja si alzò con uno scricchiolio di ossa e sbuffò. Si sporse dal tetto, guardò il cielo ombroso da cui cadeva una pioggia sempre più fitta, poi si diresse dentro casa, tenendo la porta aperta per far passare figlia e nipote. 
“Non stare a sentire quella sciroccata con le sue premonizioni da strega, fortunatamente da domani non sarà più un problema per questo villaggio. Tu pensa a fare la scelta migliore per questo bambino,” asserì, chiudendo l’ingresso con una trave assicurandosi che fosse ben sicura, “Qui non c’è futuro per lui,” decretò ruvidamente.
“Mi fido di te, mamma,” pigolò Emilie, una piccola lacrima le solcava la guancia, “Ma è così difficile, ha solo due anni...” lamentò, guardando Anja sprangare ad una ad una tutte le finestre della casa, mentre il vento e la pioggia diventavano tempesta. 
La vecchia spense le candele e si diresse alla stanza da letto. “Il tempo curerà le tue ferite, figlia mia, ora andate a dormire. Domani arriveranno presto e all’alba saranno già partiti.”

 

*


Un fulmine spaccò l’oscurità. Una crepa luminosa accecò gli occhi dei soldati, ma fu un attimo, poi tornò il buio. 
“Rientramo,” ordinò seccamente Mike, “Le attrezzature sono inutilizzabili, ormai.” 
I sottoposti annuirono, alcuni osarono sospirare apertamente di gioia. L’allenamento era durato sei ore, la sera era calata da un pezzo, ma il Capitano si ostinava a prolungare gli esercizi di scontro diretto. I muscoli dei soldati dolevano, molte gambe faticavano a stare ancora in piedi. Si diressero verso i dormitori come fiammelle di candele al vento, tremolanti e affaticati. 
“Credo ancora che sia una stronzata.” 
Connie emise un lungo sospiro. “Non è il momento, Jean. Sono troppo stanco per parlare di questo.”
“Cosa intendi?” chiese Armin, che strascicava penosamente gli stivali nel fango. 
Connie teneva lo sguardo al suolo e fece solo un’alzata di spalle. 
Jean alzò energicamente la mano indicando il palazzo del Comandante dove la finestra di Erwin Smith era illuminata, segno che ancora non era andato a dormire come avrebbero fatto tutti a quell’ora tarda. 
“Intendo le nuove disposizioni del Governo Reale!” ringhiò, “Arruolare dei bambini! È una gran stronzata!”
Armin scosse il capo. “Ah. Allora mi trovi d’accordo con Connie: voglio andare a letto, non iniziare una discussione morale.”
L’altro lo fulminò con lo sguardo. “Se siamo stati fino ad ora ad esercitarci è perché domani mattina c’è da lavorare sui nuovi alloggi delle reclute…” strinse i pugni, “Reclute… sono poppanti,” si corresse.
Un tuono sovrastò le sue parole, la pioggia cadde imperiosa sulle loro teste bagnandoli velocemente. Si apprestarono a coprirsi sotto il portico del dormitorio centrale insieme agli altri soldati, quasi tutti con le palpebre cadenti, tanto distrutti dall’allenamento prolungato che una folata di vento freddo li fece quasi cadere a terra. 
“Se sei così contrario, vai a dirlo ai superiori,” brontolò Connie, “Io vado al mio letto prima di crollare qui fuori.” 
Armin guardò Jean scusandosi con un gesto della mano. “Preferisco anch’io dormici su, continueremo domani questa discussione dopo una buona dormita e lo stomaco pieno.”
“Non mi sto lamentando,” ringhiò l’altro, “Sto dicendo il vero, lo pensano tutti.”
Quelli abbastanza vicini da sentirlo abbassarono lo sguardo. Se erano d’accordo con lui non lo fecero vedere. 
“Andiamo, compagno, per oggi abbiamo combattuto abbastanza.” 
“Sei con me su questo, non è così, Armin? È una follia…” 
“Ho i miei dubbi, certo, ma non prendo le decisioni e nemmeno tu…” fece spallucce, poi tacque. Entrò nel dormitorio dietro agli altri soldati, pensando solo al suo caldo giaciglio. 
Domani sarebbe stato un altro giorno, un’altra battaglia, e una nuova vita per il Corpo di Ricerca. Meglio affrontarla con la mente lucida e le membra riposate. 

 

*


Il cielo si stava rischiarando pian piano, ma il sole restava ancora nascosto dietro le mura mentre la squadra della Gendarmeria passava di casa in casa scambiando denaro per i bambini. Niclas venne ceduto tra le braccia di una bambinaia del Distretto di Yalkell, una donnina dal sorriso cortese che iniziò subito a cullare il fagotto e a cantare una ninnananna. Emilia piangeva silenziosamente, si stringeva al braccio di Anja, che invece collezionò il denaro ringraziando il gendarme. 
“Non piangere,” diceva alla figlia, “È per il suo bene, non piangere.”
La nutrice scese i gradini e salì sul carro dal quale si potevano scorgere alcune testoline assonnate. Figli e figlie degli abitanti di questo misero villaggio senza futuro. 
“Il nostro Governo vi ringrazia, signore,” disse il gendarme meccanicamente, “Quando tornerà a casa, il vostro bambino sarà un uomo ed un eroe.”
Fece un inchino veloce, lasciando le due donne sole davanti alla porta, poi salì a cavallo e ordinò di partire. 
“Hai sentito, Emilie? Sarà un eroe,” Anja abbracciò la figlia, “È un bel futuro per Niclas.”
Ma la ragazza, anche se non lo avrebbe mai detto ad alta voce, temeva di aver appena venduto suo figlio e di averlo condannato alla morte. 
La squadra del Corpo di Guarnigione seguita dai carri di bambinaie e bambini si fece sempre più lontana, finché uscì dal villaggio e scomparve tra gli alti abeti del bosco. 

 

*


Avevano viaggiato tutto il giorno, i cavalli trainavano i carri di donne e bambini guidati dalla squadra di gendarmi, e tutti si chiedevano quando sarebbero finalmente arrivati a destinazione. Per la notte si erano accampati frettolosamente in uno spiazzo e dopo un’ora di gioco, maestre e bambinaie avevano subito  mandato i bimbi a dormire, mentre gli uomini e donne in divisa li sorvegliavano da poco lontano. 
Adelaide scese piano dalla carrozza per non far troppo rumore, non voleva di certo svegliare le due piccole pesti che aveva fatto addormentare dopo una lunga battaglia. Il vento gelido le alzò la gonna, così si strinse nel cappotto e andò a sedersi sotto a un grande tronco di abete, vicino al fuoco imbastito in mezzo all’accampamento. Si rilassò contro il legno, respirando l’odore del muschio. Pensava ai gemelli inviperiti, che ora sonnecchiavano come angioletti: non avevano ancora un nome perché la madre non aveva voluto darglielo, o non ne aveva avuto il tempo, troppo occupata a lavorare alla fattoria per portare a casa qualcosa da mangiare. Adelaide era certa che non avrebbe mai avuto figli in un mondo così crudele, per questo aveva chiesto di poterli nominare lei. Sarebbero stati Denise e Samuel, in onore dei suoi genitori morti per mano dei giganti. 
Si accorse che non era l’unica insonne in quella notte silenziosa. Due figure parlavano tra loro accanto alle fiamme, le quali crepitavano nascondendo parte delle loro parole. 
Un uomo in divisa si portò una mano alla tempia. “Abbiamo recuperato quindici infanti e una ventina ragazzini, non centinaia di bestie fuori controllo. Quattro nutrici e cinque maestre basteranno, Carla. In realtà mi stupisco che in così pochi abbiano voluto dar via bocche da sfamare...”
“Non è quello che intendo,” lo interruppe Carla, l’anziana governante, “Quando dico che siamo in pochi è perchè mi preoccupa la gestione della Scuola. Chi pulirà, chi controllerà la struttura? Servono inservienti, guardie e cuochi.” 
“È tutto nelle mani del Comandante Smith. Se non ci ha già pensato, potrai rivolgerti a lui con queste richieste. Io eseguo solo gli ordini e il mio compito è di scortarvi in sicurezza al Quartier Generale del Corpo di Ricerca.”
Ci furono altre proteste, ma una soffiata di vento le portò via con sé e Adelaide si sporse un poco per sentire meglio. 
“Ti ho chiamata per un altro motivo, quindi torniamo a quello,” disse l’uomo con tono sempre più scocciato, “Posso dare il tuo nome come referente principale della Scuola? Dovrai conferire con il Comandante Smith e riportare i suoi ordini al corpo insegnanti. Fare la direttrice, insomma.”
“No, no, no,” Carla esalò una risata secca, “Sono troppo vecchia, io voglio solo accudire i miei pupi in pace.”
Il fuoco illuminò l’espressione dura del gendarme. “E allora chi?” 
“Una mia nutrice in gamba è Adelaide Soyer. È intelligente e segue le regole. Potrà fare lei la spola tra la Scuola e il tuo adorato Comandante.”
Adelaide spalancò gli occhi, colpita sia di essere ben voluta dall’anziana, che mostrava raramente la sua benevolenza, sia di potersi assumere un incarico così importante. Era sempre stata una ragazza umile, che lavorava a testa bassa, motivata dal bene dei bimbi che aveva in cura. Non avrebbe mai pensato di poter aspirare ad altro… 
“Bene,” disse l’uomo, “Terrò il nome a mente. Ora perdonami, vecchia, ma devo occuparmi del mio cavallo. Tu avrai il tuo lavoro da svolgere immagino, con tutti quei bambini…” 
Carla sorrise, mostrando il suo sarcasmo. “Sei gentile a preoccuparti per me, ma come puoi udire da questo piacevole silenzio le mie diligenti balie hanno già messo tutti i pupi a letto.” 
Il gendarme si allontanò con un grugnito, brontolando: “Smith non è il mio Comandante, è solo un pazzo imbecille....”
Carla indugiò in una leggera risata, poi si diresse verso uno dei carri dove avevano arrangiato alla meglio dei letti per la notte. 
Adelaide strinse le gambe al petto, soffocando un gridolino di gioia. Sarebbe stata direttrice della Scuola, avrebbe partecipato ad assemblee, o semplicemente avrebbe avuto un ruolo di prestigio di fronte al Comandante Smith. Da quello che aveva sentito dalla gente del villaggio e, durante il giorno di viaggio, dal Corpo di Guarnigione, i soldati del Corpo di Ricerca erano un branco di masochisti guidati dal peggiore di tutti, un uomo che buttava via la vita della gente per una causa persa. Adelaide non aveva vissuto al di fuori del suo piccolo paese, al di fuori delle mura protettive della casa di famiglia, ma era curiosa di conoscere il mondo e, doveva ammettere, anche un poco ambiziosa. Diventando responsabile della Scuola poteva allora camminare a testa alta: c’era di più che poteva dare e prendere dal mondo e non sarebbe più stata una piccola formica come tutti gli altri. 

 

*


Anche la mattina successiva pioveva. Gocce sporadiche si abbandonavano sui tetti, nella terra, tra le foglie degli alberi. Una coltre di nebbia indugiava nel campo di addestramento, pareva fermare l’orologio ad un ora imprecisata.
“Lavoreremo alla Scuola anche con questo tempo, immagino,” mugugnò Jean, mettendo in bocca quella che assomigliava a una colazione. Se ne stava rannicchiato al tavolo come un pollo sul trespolo, tutto ingobbito su se stesso a rosicchiare il pezzo di pane.
“Questa è una pazzia, il Comandante doveva opporsi con tutte le forze!” sbattè il pugno sul tavolo, facendo tremare posate e bicchieri.
Al suo fianco, Armin sorseggiò il te bollente. “Pensaci bene, però, è anche una cosa positiva. No, non fraintendere, anch’io sono dell’idea che sia immorale mandare dei neonati nell’Esercito. Ma la Scuola permette allo stesso tempo di dare dei posti di lavoro alle persone dei villaggi vicini, persone che altrimenti sarebbero in mezzo alla strada…”
“Ah, così dobbiamo sfamare anche loro... Siamo già costretti a mangiare segatura, di questo passo mangeremo sterco di cavallo!” Jean sputò il boccone che non riusciva a mandare giù e Mikasa, appena arrivata dietro di lui, silenziosa come un gatto, lo fissò con sguardo gelido.
“Arriverà mai il giorno in cui non sentirò lamentarti? Sì, forse quando smetterai di respirare,” disse lapidaria e Jean, affranto, si sgonfiò come un pallone; picchiò la fronte contro il duro tavolo mentre Armin lo consolava con una pacca sulla spalla.
Mikasa andò alla finestra per tenere sott’occhio i movimenti all’esterno: i carri in arrivo portavano lo stemma della Guarnigione e con questo anche guai. Le chiacchiere e gli ordini urlati dei gendarmi, il rumore dei carri e il vociare dei bambini agitarono anche il resto dei soldati in mensa. Alcuni uscirono, per guardare meglio e deridere quelli che vestivano l’emblema con il muso di cavallo, ma la curiosità era tutta per gli occhietti che spuntavano dalle fessure delle carrozze. 
Bambini, infanti. Alcuni ancora gattonavano, ancora non sapevano parlare, ancora avevano bisogno del caldo abbraccio di un padre o una madre. 
Bambini gettati in un campo di addestramento militare, tra soldati, lame e morte. 

 

*


Adelaide mise un piede giù dalla carrozza e il fango schizzò dappertutto sullo stivale. Lo schiamazzare delle persone le inondò i timpani, c’erano gendarmi che davano ordini a destra e a manca, gesticolando in direzione dell’edificio poco più avanti, accanto ad un bosco fitto. 
“Sarò contenta solo quando questi manichini se ne saranno andati,” proruppe Carla, davanti a lei. 
La giovane non commentò. La verità era che la vicinanza dei soldati la tranquillizzava. Averli attorno la faceva sentire sicura, perchè se da una lato aveva voluto lasciare il suo villaggio, dall’altro barcollava in cerca di qualcuno a cui chiedere rifugio. Oppure si era sempre sentita così ed ora semplicemente se ne rendeva conto?
“Perdonami, Carla, ti ho sporcato la gonna,” disse solo, seguendola dietro alle altre nutrici e alcuni uomini senza divisa - forse degli impiegati della Scuola provenienti da villaggi vicini. 
Carla le fece un gesto della mano, intimandola ad andare insieme alle altre donne, mentre si guardava intorno con il solito cipiglio pratico e burbero.
“Vai con le ragazze a fare l’appello, io mi occupo di portare i pupi al caldo nelle camere,” comandò, dirigendosi verso il gendarme della sera prima, il Capitano della squadra. 
Non si poteva fare un passo senza imbrattarsi scarpe e cappotti, ma fortunatamente sotto il parapetto dell’edificio il gruppetto di bambinaie poté coprirsi dalla pioggia. Adelaide si sentì prendere la mano - era concentrata a fissare dei soldati che erano appena usciti dal bosco: erano giovani e agili, portavano carichi pesanti, probabilmente dei rifornimenti per la Scuola; erano soldati dai volti duri, pragmatici, e il mantello era segnato con lo stemma del Corpo di Ricerca. Per qualche motivo, il cuore le battè forte nel petto.
Qualcuno le strinse ancora la mano e voltandosi vide la faccia sorridente di Maura, rossa e tremolante per il freddo.
“Siamo arrivate,” gioiva, “Guarda, Adelaide, guarda che bell’edificio, che bravi uomini lavoreranno con noi, quanto spazio c’è per far giocare i bambini… e questa sarà la nostra nuova casa! Niente più sguardi di rimprovero degli anziani del villaggio, niente più sgridate dei genitori! Anche se il Capo Carla mi fa paura... ”
Si strinsero l’una con l’altra. “Non temerla,” Adelaide le accarezzò la guancia, “Ho sentito che non sarà lei a dirigere la Scuola, si è rifiutata di assumersi questo ruolo.”
“Oh! E chi diventerà il capo?” fu Julianne ad intromettersi, come al solito incapace di essere discreta, e anche le altre tate la guardarono con desiderio di sapere.
“Forse una delle maestre?” chiese la dolce Annette.
“No!” Julianne battè un piede a terra, col risultato di sporcare le gonne delle compagne, “Noi nutrici non dovremmo stare al di sotto solo perchè ci occupiamo di bambini più piccoli… Adelaide, tu sei benvoluta da Carla, dicci, cosa ti ha confidato?”
“Nulla, ragazze, non mi ha detto nulla, ” Adelaide represse un sorriso sfrontato, “Ma dovrebbero aver già deciso…”
I sussulti di sorpresa delle bambinaie furono troncati dalle grida dei gendarmi che stavano spostando con fatica i carri vuoti. Uno di loro si allontanò dal gruppo e le raggiunse correndo. 
“Chi di voi è Ebba Black?” urlò con quel tono duro e imperioso dei soldati che spaventava i bambini e, a dirla tutta, pure le nutrici. Queste si guardarono tra loro, confuse. Si stavano chiedendo la stessa domanda che pensava anche Adelaide: perchè Ebba? Perchè c’era sempre di mezzo quella strega?


*Note:
Interruzione storia originale all’anno 850, dopo la cattura di Annie.
Tra gli anni 850-853 hanno svolto ricerche sui giganti, senza grandi scoperte (ufficialmente).
E Mike è vivo, perchè sì.

Grazie per la lettura!

PS. ho cambiato i nomi della Polizia Militare in Corpo di Guarnigione e Armata Ricognitiva in Corpo di Ricerca. Purtroppo guardando la serie in inglese ho tradotto erroneamente i termini. Chiedo perdono. 

 

 
 
   
 
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