Serie TV > Starsky e Hutch
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Autore: Mariposa    31/07/2009    1 recensioni
Starsky non dormiva realmente certo che finché avesse sentito il respiro di quella bambina nel loro letto e le dita di Hutch tra i capelli, quel sogno non si sarebbe infranto.
Genere: Romantico, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ecco il secondo capitolo, li sto postando tutti insieme quindi non ho altri commenti da fare... anche questo capitolo non e’ molto leggero >.> ma nel prossimo mi impegno!

Buona lettura!

 

Capitolo II

-osso sacro-

 

Tutto si era svolto a caso. Non aveva avuto il minimo controllo sulla situazione. Vedere Starsky... Dio vedere Starsky lo aveva mandato fuori di testa, un totale corto circuito che gli aveva impedito di spiccicare anche una sola parola di uno dei mille discorsi che si era preparato.

E ora aveva accettato di dormire a casa sua, la loro vecchia casa. Aveva paura. Il sollievo per non essere stato scacciato da Starsky non alleviava il terrore del dopo.

Anche Starsky era confuso, lo sentiva. Come sentiva la sua rabbia e la sua speranza.

Sei venuto per restare?

Bella domanda. Era venuto perche' improvvisamente aveva sentito di non poter vivere un'altra sola ora senza vederlo. E' stato dopo notti e notti insonni che aveva ceduto alla tentayione di tornare. Si era voluto regalare un'oppurtunita', lasciando a Starsky il privilegio di decidere. E Starsky era venuto. Non era venuto per ammazzarlo o per sputargli addosso la sua rabbia per la carogna che era stato. Era venuto per la sua stessa ragione, concedergli un'oppurtunita'. E forse con quella domanda un po' urlata e un po' sussurrata voleva dire che sarebbe stato disposto a riprenderlo con lui. Poteva cambiare qualcosa.

Cosa? Non lo sapeva.

Poteva tornare con Starsky dopo averlo lasciato come un cane senza una spiegazione, senza una parola? Poteva ripresentarsi nella sua vita imponendogli l'ingombrante presenza di una bambina piccola?

Michelle, il suo prezioso tesoro che lo seguiva con silenziosa adorazione in ogni sua scelta. La sua bambina che rideva e lo chiamava papa', che amava disegnare e dormire con la testa poggiata sulle sue ginocchia. Come faceva Starsky quando suonava per lui.

Era tornato anche per lei, non meritava di vivere con un padre depresso che non riusciva piu' a trovare consolazione nella sua chitarra.

Starsky aveva preso bene la cosa, ma forse era semplicemente troppo stordito per mostrare particolari reazioni... l'aveva sorpreso spesso a lanciarle sguardi curiosi e imbarazzati.

Starsky e Hutch camminavano vicini, ma non abbastanza per potersi toccare. Erano riusciti a intavolare una conversazione, raccontandosi timidamente la loro vita in quegli anni.

Michelle sonnecchiava in braccio al padre, la guancia premuta tra la sua spalla e il collo e il pollice in bocca.
"Quindi vi siete incontrati in questa pensione gestita da un'anziana, dove avete vissuto insieme"

"Si, una pensioncina in realta', molto modesta, ci siamo stati solo noi per quasi tutto il tempo"

"Ma lei non aveva nessuno? Fratelli, una famiglia, cose cosi'..."

"Non ha mai voluto parlarmene. Non ho insistito visto che sono il primo a non parlare della mia"

"E... si, insomma lei e'..."

"Sapeva non sarebbe sopravvissuta al parto. Ma non aveva comunque possibilita', voleva solo un figlio"

"Avresti dovuto darle il suo di nome" commento' Starsky, un po' imbarazzato. Hutch sorrise.

"L'ho fatto" aspetto' che Starsky si voltasse verso di lui per continuare "Michelle Carolyn Hutchinson" fu il turno di Starsky di sorridere.

"Mamma mia che nome lungo" disse divertito.

"I miei dicevano che piu' il nome e' lungo, piu' sei importante..." risero entrambi. Suonava strano ridere ancora insieme.

Camminarono un po' in silenzio, nell' abbraccio della notte, Michelle mormoro' qualcosa nel dormiveglia e Hutch le sussurro' che tra poco sarebbero arrivati a casa. Starsky li osservava.

"E' stata dura? Con lei, dico..." chiese dopo un po', indicando la bambina. Hutch guardo' un momento la figlia, baciandole i capelli.

"Sono rimasto a vivere in quella pensione per piu' di un anno dalla sua nascita. La signora che la gestiva mi ha aiutato molto. E' dura, certo, ma non e' mai stato troppo pesante e concentrarmi su di lei mi aiuta a non pensare ad altro. Ma ora sta crescendo e sono terrorizzato all'idea di sbagliare qualcosa, ora che inizia a sentire e capire meglio cio' che la circonda..."

"Di che ti preoccupi? Ti adora, e' evidente..." disse guardando la bambina dormire. Era bellissima.

"Proprio per questo..." rispose Hutch col suo sorriso triste.

La casa di Starsky era a pochi isolati dal parco, ad un incrocio Hutch si fermo'.

"Ho la macchina qui dietro" disse "mi serve il borsone che sta nel bagagliaio"

La macchina era una semplice Ford bianca, con un segggiolino per bambini sul sedile del passeggero.

"Ma scusa, sei venuto in macchina dal Minnesota?!"

"No. E' da un po' che mi sono spostato in California" rispose Hutch chiudendo l'automobile.

"California... dove?" chiese Starsky, il dubbio che stava nascendo venne confermato dalla risposta di Hutch.

"Diversi posti, ma ora vengo da San Francisco"

San Francisco voleva dire una sola cosa per Starsky. La rabbia cieca che lo avvolse gli fece prudere le mani, si allontano' furioso di qualche passo solo per non coinvolgere la bambina. Hutch non colse subito il motivo di quel drastico cambiamento d'umore. La quiete quasi intima che sie era creata era stata spazzata via in un attimo.

"E cosi' te la sei spassata a San Francisco, eh? Sei venuto qui tanto per cambiare aria, chissa' quanti 'amici' avrai presentato a tua figlia!" disse Starsky con rabbia. Questa volta anche Hutch si arrabbio'.

"Perche' te ne esci sempre con queste stronzate?!" disse non riuscendo a controllare la voce.

"Scusa se dopo tanto tempo mi arrabbio nel sapere che te la sei spassata a Frisco, a DUE ore da qui, mentre io... bah, lascia perdere! Non dico altro solo per via della bambina..."

Le insinuazioni di Starsky erano pesanti. Per entrambi.

"E sentiamo, Starsky. Da quando si e' tenuti ad essere fedeli ai propri ex?" quella frase gli scappo' letteralemente di bocca e se ne penti' ancor prima di vedere l'espressione ferita di Starsky. Quest'ultimo si volto' senza una parola, dirigendosi a passo svelto verso casa. Hutch impreco'. Stupido, stupido, stupido, stupido, stupido, stupido.

"Papa'?" chiamo' Michelle con voce assonnata

"E' tutto ok, non e' successo niente, dormi" le mormoro', cominciando a correre dietro a Starsky.

"Starsky? Starsk!" l'altro non rallento', Hutch si fermo' ad un incrocio "scusami! scusami, sono un idiota. So che e' ridicolo chiederti di fidarti, ma... non ho visto nessuno in questi anni. La madre di Michelle, certo, ma nessun altro. Non avrei potuto. E' la verita', davvero, che tu ci creda o no"

Starsky non si volto', ma gli permise di raggiungerlo.

Hutch sapeva che la questione non era chiusa, la rabbia di Starsky non era cessata.

Salirono le scale per arrivare all'appartamento di Starsky. Era esattamente come Hutch lo ricordava, non era cambiato nulla, anzi c'erano ancora alcune sue cose sparse in giro, qualche suo libro, il suo grembiule da cucina... Hutch incateno' Starsky con lo sguardo. Perdonami.

"Mettila a letto, dai. E' gia' tardi... immagino ti ricordi dove si trova la camera" il tono arrabbiato di Starsky serviva anche a mascherare l'emozione di vedere di nuovo Hutch nel suo salotto. Hutch obbedi', portandosi dietro il borsone.

Dalla porta aperta della camera Starsky pote' intravedere Hutch che cambiava la figlia per poi infilarla sotto le coperte con un'attenta dolcezza. Hutch si chiuse la porta della camera alle spalle, rimandendo sullo stipite a fissare Starsky che lo guardava seduto in cucina con un'espressione disarmante.

"Cosi' vieni da San Francisco" comincio' senza preamboli, costringendosi ad essere duro.

"Starsk..."

"No, lascia perdere quella storia, e' ok. Non ho voglia di indagare. Te lo chiedo ancora, perche' sei qui?"

"Dovevo vederti"

"Bene, mi hai visto"

"Sai cosa voglio dire"

"No, non lo so, Hutch! Non lo so perche' non mi dici niente!" grido'

"Cosa vuoi che dica?! Niente puo' cancellare..."

"Puoi sempre provarci! O come tuo solito non farai nulla?!" si accorsero di stare urlando e smisero entrambi all'istante, ansimando. Hutch lancio' uno sguardo preoccupato alla camera da letto. Starsky si passo' una mano tra i ricci scuri.

"Te ne sei andato come un ladro, di notte e senza avere il coraggio di dirmi una sola parola. Mi sono svegliato e non c'eri, Hutch..." disse Starsky piano.

"Me l'avresti impedito" sussurro' Hutch.

"Certo che te l'avrei impedito" rispose in un soffio. Starsky cerco' il suo sguardo "Hutch, perche' te ne sei andato?" domando' semplicemente, con dolore.

"Lo sai il perche', David" rispose.

"C'erano altri modi"

"No, non ce n'erano" disse Hutch in un sussurro strozzato.

Starsky lo sapeva e in realta' una strana parte di lui lo capiva anche. Ricordo' quei giorni, dove Hutch viveva per Starsky e Starsky respirava per Hutch. Il loro era un rapporto troppo totale, erano talmente indispensabili l'uno all'altro da impazzire anche solo per una breve lontananza. Da diventare gelosi, invidiosi, terrorizzati, isolati e terribilmente possessivi.

Prendersi una pausa? Impossibile. Non facevano nemmeno piu' la spesa da soli. Possibile che una scelta tanto drastica fosse l'unica possibile?

Avevo paura di soffocarti, avevo paura di impazzire e farti del male, rabbrividivo alla sola idea di cosa avrei fatto se qualcuno avesse osato guardarti.

"Hai fatto passare anni prima di farti vivo...non avevo idea di cosa tu stessi facendo, se ti fosse successo qualcosa... "

"Sarebbe stato normale che tu non volessi nemmeno piu' sentire il mio nome" Starsky spalanco' gli occhi, non aveva mai smesso di vivere quella paura, quella solitudine e quell'abbandono, sentiva ancora le inutili parole di Huggy e le ore infinite in ogni singolo giorno.

"Non dire stronzate! Hutch, pezzo d'idiota, non una telefonata, non una lettera, una cartolina, NIENTE!" urlo' disperato.

"Una cartolina per dire cosa?! Qui il tempo e' bello, scusa se ti ho spezzato il cuore?"

"No! Per dirmi smetti di guardare i telegiornali, sono un bastardo ma sono vivo e sto bene! Altrove ma sto bene!" Hutch lo guardo' seriamente, con i suoi occhi da Hutch e le sue labbra che tremavano appena.

"Starsky. Ci sono state volte in cui ho quasi tentato di tranciarmi una mano pur di impedirmi di scriverti, sarebbe stato inutile. Cosa sarebbe cambiato? Mi avresti chiesto di tornare e io l'avrei fatto o sarei morto"

"Io, avrei rispettato la tua decisione..."

"No, Non e' vero, Starsk! E lo sai!" il respiro mozzo gli impedi' di continuare per qualche momento "e mi sono ritrovato con una neonata, non riuscivo a dormire ma non potevo mollare, lei dipendeva da me... e avrei dato la vita per poterti sentire ma ogni giorno che passava era un giorno in piu'... come potevo ripresentarmi dopo tutto quel tempo? E con una bambina..."

"Ma ora sei qui..."

"E ho sbagliato!!!"

"E allora vattene! Cristo Hutch, torni e mi dici che e' un errore?!"

"Cosa vuoi che ti dica?!"

"Sono un grosso figlio di puttana ma ti prego riprendimi con te!"

"Non posso!" grido'. Rimase in silenzio per riprendere fiato, Starsky ansimava a meno di un metro da lui, poteva sentirlo ma non poteva toccarlo "Starsk, non posso. Non e' giusto. Mi odio, se avessi retto fino alla fine tu saresti riuscito a dimenticarmi e rifarti una vita prima o poi... invece cosi'... sono egoista, sono debole e egoista e tu dovresti odiarmi, tutto sarebbe piu' semplice. E non posso chiederti scusa, hai ragione, non mi basterebbe una vita per chiederti scusa e non merito nemmeno di scusarmi. A questo punto non so cosa fare..." Hutch evito' deliberatamente lo sguardo di Starsky, si incammino' verso la porta d'ingresso e spari' nella notte.

Starsky crollo' su una sedia, lasciando scendere le lacrime che aveva trattenuto fino a quel momento. Il suo cuore batteva forte come l'eco delle loro grida che ancora risuonavano per la stanza o forse solo nella sua testa. Fisso' la porta di casa. Ti avrei aspettato per altri 100 anni, Hutch.

 

“Papà?”

Starsky sussultò nel sentire la voce preoccupata che veniva dalla sua camera. Diede un’occhiata alla finestra, di Hutch non c’era traccia. Era normalissimo che la bambina si fosse svegliata con tutte quelle urla.

Starsky sentì crescere uno sbagliato senso di appagamento all’idea che dopotutto Hutch si fosse fidato a lasciarlo solo con sua figlia. Si affacciò titubante alla porta della camera da letto, l’unica luce filtrava dal soggiorno.

“Il tuo papà è uscito un momento, però torna subito stai tranquilla” disse, poteva scorgere il profilo della bambina seduta sul letto.

“Avete litigato?”

“Si” ammise “ma non preoccuparti e dormi tranquilla” la figlia di Hutch. Perché la cosa lo spiazzava tanto?

“Non riesco a dormire quando faccio i brutti sogni” Starsky sospirò, attraversando la stanza per accendere la piccola abatjour sul comodino, non poteva rimetterci la bambina perché lui si sentiva impacciato. Gli occhi azzurri di Michelle gli comparvero davanti all’improvviso. Dio, gli somigliava così tanto. Starsky si sedette sul bordo del letto.

“Hai fatto un brutto sogno?” le chiese sentendosi tremendamente goffo. Lei annuì.

“Papà torna?” chiese con una piccola voce impaurita. Starsky si decise a carezzarle la testa, non si era mai sentito tanto imbarazzato con un bambino.

“Che domande sono? Certo che torna, fa solo una passeggiata” Michelle annuì ancora, ma il suo sguardo turbato non cambiò e decise di usare Starsky come palliativo, poggiandosi contro di lui, la testa bionda contro il suo stomaco. Starsky non sapeva se la sua paura fosse dovuta all’incubo, all’assenza del padre o ad altro.

“Vuoi raccontarmi il tuo sogno?” lei scosse la testa. Starsky si guardò attorno in cerca di qualcosa per distrarla.

“Cosa fa il tuo papà quando hai un incubo?”

“Mi canta una canzone. Mi piace quando papà canta, riesco sempre ad addormentarmi e non aver paura” Starsky sentì una morsa stringergli un qualche organo interno indefinito.

“Anche io” mormorò. Ed era vero. La sua risposta sembrò riscuotere la bambina perché si scostò da lui per guardarlo.

“Ti ha cantato la tua canzone?” Starsky la guardò senza capire.

“Come?”

“La tua canzone, la canzone di Starsky!” per nulla scoraggiata dall’espressione di Starsky, Michelle tentò di spiegarsi “papà dice sempre, questa è la preferita di Starsky, questa è la canzone di Starsky. E la suona sempre, la sera, anche quando è da solo e dice sempre, questa è la canzone di Starsky. Pensavo che voleva cantarla a te ora”

Starsky sentì le lacrime premere forte contro i suoi occhi, ma non le fece uscire. Non voleva arrischiarsi a parlare per cui scosse la testa in segno di diniego.

“A volte papà dice che un giorno mi porta a Bay City e mi mostra la sua casa vecchia, poi andiamo alla spiaggia. Poi mi fa bella e veniamo a trovarti. Andiamo a trovare Starsky cosi' gli fai vedere quanto sei carina, dice. O quando cucina parla da solo e quando prepara qualcosa di buono dice che lo prepara anche a te e lo vedro' quando vieni a cena. Questo piacerebbe a Starsky, dice. Poi diventa triste e suona la chitarra, dicendo sempre, questa è la preferita di Starsky, è la canzone di Starsky” Michelle lo guardava dritto negli occhi, Starsky immaginò che in quella giornata la bambina si fosse fatta un’idea ben strana di lui. Sotto il suo sguardo fisso si sentì in dovere di dire qualcosa.

“Mi piacerebbe sentirla… ancora”

“Sei arrabbiato con lui?” Starsky le sorrise stanco “papà dice che sei arrabbiato, per questo non potevamo venire a trovarti” mi fai anche fare la parte del cattivo, Hutch? Il sorriso di Starsky si fece amaro.

“Odi il mio papa?” era una domanda posta con tutta la serieta' e la preoccupazione dei suoi quattro anni di vita. Hutch, non mi sarei mai stancato di sentirti cantare.

“Se lo odiassi, non sarei tanto arrabbiato con lui” le rispose sinceramente. Ovviamente Michelle non poteva capire le sue parole e Starsky non poteva spiegarle cosa volessero dire.

“Se lui ti chiedesse scusa tu saresti ancora suo amico?” cosa poteva dire ad una bambina assonnata che lo guardava con gli stessi occhi tristi di suo padre?

“Si, certo” disse e le sorrise. Avrebbe voluto avere quattro anni per credere che le cose fossero davvero semplici come le scuse.

 

Quando Michelle si fu riaddormentata Starsky chiuse la porta della camera. L’appartamento era ancora vuoto, ma quando si affacciò alla finestra vide Hutch seduto sui primi scalini di fronte alla porta d’ingresso. Uscì all’aria della notte e gli si sedette a fianco, prendendo la mano che Hutch posava sullo scalino e stringendola forte. Quel contatto li sconvolse entrambi, avevano evitato accuratamente anche solo di sfiorarsi. Avevano paura di non riuscire a fermarsi, avevano paura di assaporarsi di nuovo e non sopravvivere al distacco.

“Io ti avrei perdonato tutto, Hutch” erano immobili con lo sguardo fisso in avanti, la mano di Hutch tremava un po’ ma non accennava nemmeno a lasciare la presa.

“A me non importava. Hutch, a me non importava” Hutch deglutì forte.

“Non è vero e comunque importava a me” la stretta alla mano si fece più forte.

“Sono anni che ho smesso di piangere, ma non ho mai fatto finta di smettere di aspettarti” Starsky sentiva il respiro affannato di Hutch e i brividi che percorrevano la sua pelle, ma non gli permise di aprire bocca certo che se l’avesse fatto, prevedendo le sue parole, non avrebbe resistito dal prenderlo a pugni.

“Non provare a scusarti, Hutch! Non pensare nemmeno di dire che ti dispiace, cazzo! O ti spingo giù dalle scale!” urlò. Scusami, piccola, ti ho mentito.

Starsky piangeva, piano, cercando di mascherare anche quei piccoli singhiozzi che sfuggivano al suo controllo. Hutch li assorbiva uno ad uno, ma un suo qualsiasi gesto sarebbe stato rifiutato da Starsky. Erano entrambe le mani a tremare ora, ma il rancore, la delusione, la paura e la stanchezza non riuscirono a sciogliere le loro dita.

“Tu non hai idea Hutch. Non hai idea di cosa sia stato” no, lui ne aveva idea e Starsky lo sapeva. Immaginò Hutch solo, con le sue robuste spalle curve, mentre suonava la “canzone di Starsky”. No, smettila Starsky! Ti impedisco di dispiacerti per lui. E’ stato lui ad andarsene, è stato lui a sparire. Come hai  potuto farlo?! Come hai potuto farci questo?!

Hutch si strinse contro di lui e le loro spalle e i loro fianchi combaciarono. Starsky avvertì il suo profumo familiare, che non aveva avuto il coraggio di sentire fino a quel momento, e non riuscì più ad esercitare controllo sul pianto. Starsk… se potessi toccarti con la purezza di un bambino non rischierei di farci male. Ancora. A volte mi mancavi tanto da farmi credere di poterti toccare e ora che posso farlo davvero non riesco a muovermi. L’ennesimo singhiozzo ricosse Hutch, aveva un sapore amaro il fermare lacrime che lui stesso aveva provocato.

Hutch gli posò la mano libera sulla guancia e lo fece voltare, Starsky sentì le sue labbra baciargli timidamente la guancia e immediatamente lo strinse forte con l’altro braccio, avvolgendolo con disperazione.

“Mi sei mancato… mi sei mancato, mi sei mancato, mi sei mancato, Hutch” gli pianse contro la spalla. Hutch lo strinse e si permise di farsi avvolgere dal quel calore conosciuto che faceva parte di lui. Starsky cercò le sue labbra e lui gliele fece trovare, fu uno dei loro baci più umidi tra lacrime e saliva, di sicuro il più affamato, c’era qualcosa di rovente, qualcosa che impediva di godere di quel bacio. Come una sete fortissima che l’acqua non riesce a soddisfare.

Starsky gli strinse i capelli, probabilmente facendogli male.

“Io non posso accoglierti sapendo che te ne andrai, Hutch così mi uccidi”

“Dovresti uccidere me” ansimò in risposta, parlando per la prima volta da tempo. Starsky continuò a baciarlo, impadronendosi di labbra e mento e pelle con urgente furore.

“Lo so” rispose. Hutch tentò di allontanarsi dal suo corpo bollente.

“Non sarei dovuto venire…”

“Non te ne saresti dovuto andare”

“Starsk…”

“No! Niente Starsk, non ci provare!” la rabbia era tornata a prendere il sopravvento su tutto il resto. Hutch lo guardava. Non sapeva come uscire da quella situazione. Lo amava? Certo. Lo voleva? Certo. Ogni fibra del suo corpo urlava come aveva urlato per cinque anni, non sarebbe dovuto venire, non avrebbe dovuto cedere, non poteva farlo di nuovo. Staccarsi da Starsky era impossibile, ma lo sarebbe stato ancora di più se non si fossero fermati.

“Starsk, non ho più promesse per nessuno. Non posso darti niente che non ti faccia del male. Non so cosa devo fare, non so nulla, dimmelo tu, dimmi tu cosa vuoi che faccia” Starsky gli morse un orecchio.

“Troppo facile così, Hutch. Non mi farò incastrare dai tuoi sensi di colpa, cosa vuol dire che non hai promesse? Cosa sei venuto a fare? Vuoi una notte di sesso?” forse dovrei davvero infischiarmene e prendere da te l’unica cosa che puoi darmi, colmare tutta la solitudine col tuo corpo... Dio se mi è mancato.

Starsky si mise a cavalcioni sul compagno, premendo i bacini in una disperata ricerca di maggior contatto. Sentì Hutch gemere e quel suono gli riportò alla mente un vortice di immagini, il suo corpo non era cambiato affatto, rispondeva a lui come un tempo con la stessa sintonia di quelle giornate intere passate abbracciati sul letto. Ricercò le labbra di Hutch con la stessa divorante urgenza mentre le mani scorrevano veloci sul suo petto, quasi strappando i bottoni della camicia leggera. Hutch si lasciava fare, inarcando la schiena e annaspando in cerca di ossigeno. Se anche avesse avuto proteste, non se le sarebbe concesse, Starsky non gliele avrebbe concesse. Aveva carta bianca. Starsky gli morse un capezzolo, mentre entrambi venivano scossi da un’ondata di piacere soffocante per uno sfregamento più entusiasta degli altri. Starsky si tese sul corpo di Hutch, facendogli poggiare la schiena sul piccolo pianerottolo, gli prese le mani e le guidò lungo la sua schiena, facendogli raggiungere il bordo dei jeans e superandolo. Hutch capì e gli strinse il sedere tra le mani, spingendolo maggiormente verso il suo bacino. Gemettero forte. Starsky lo guardò negli occhi per la prima volta da quando aveva cominciato quel gioco e si fermò di botto. Erano gli occhi di Hutch, del suo Hutch. E il suo corpo, i suoi capelli, le sue mani, il suo cuore. Lo bramava e la paura di perderlo ancora lo stava facendo impazzire. Non poteva perderlo ancora prima di ritrovarlo. Non poteva fare sesso con lui sulle scale, non poteva semplicemente appagare il suo corpo, non gli sarebbe mai bastato. Le lacrime scesero ancora e lo maledisse con il suo sapore sulle labbra e il bacino ancora premuto contro il suo. La sua voce uscì rotta e affaticata, resa strana dal turbinio di sentimenti che esprimeva.                                   

“Ti presenti qui dopo cinque anni e non hai niente da dirmi, mi porti una bambina e il tuo sorriso triste e mi travolgi, non hai il coraggio di toccarmi ma poi ti concedi a me sulle scale di casa mia, ma non posso. Sono cinque anni che contro la mia volontà guardo fuori dalla finestra con la speranza di vederti tornare. Tutti i giorni, Hutch. E così all’improvviso, realizzi quel desiderio che non sognavo nemmeno di dire ad alta voce, perché credevo non si sarebbe mai avverato. Perché sei qui? E perché mi fa così male?” Il petto di Hutch si alzava e si abbassava velocemente, la schiena sul pavimento sporco, uno scalino che premeva contro il suo osso sacro.

“Perché non potevo più vivere lontano da te e anche se non lo meritavo ho voluto vederti e ti ho fatto ancora del male, mi dispiace” fu il turno di Hutch di far scendere le lacrime, pesanti e silenziose come Starsky le ricordava. L’animo di Starsky si placò momentaneamente, lasciando spazio alla spossatezza. Si lasciò cadere su Hutch, poggiandogli il capo sul petto. Hutch non si spostò, nonostante lo scalino cominciava a piantarsi nella sua schiena in maniera più che dolorosa.

“E’ davvero bellissima la tua bambina, sai? Non ricordo se te l’ho detto…”

“E’ vero lo è. Ma il merito non è mio”

“Si lo so, le cose belle non sono mai merito tuo. Ma scommetto che se lei ha un solo difetto, quello lo ha preso da te, vero?”

“Già, ma almeno sono in grado di regolare la sua alimentazione”

“Ecco perché è così magra” Hutch sorrise, era la loro prima vera schermaglia amichevole.

“Le piace disegnare…” disse Hutch dopo un po’, anche Starsky sorrise, poi si accorse di trovarsi ancora sulla scalinata e si affrettò ad alzarsi. Hutch afferrò la mano che lui gli tendeva e si tirò in piedi, con un gemito di dolore. Starsky scosse la testa rassegnato.

“Potevi anche ricordarmi che stavamo ancora distesi su dei quanto meno scomodi scalini” commentò, ma Hutch scrollò le spalle. Entrarono in casa, chiudendo a chiave la porta d’ingresso.

Hutch si avvicinò alla camera da letto, voleva controllare il sonno della figlia, ma due braccia forti lo bloccarono da dietro, cingendogli il petto. Starsky premette il viso contro il suo collo.

“Io non ho ancora rinunciato a te, Hutch” Hutch inspirò profondamente e si chiese ancora come aveva fatto a vivere senza la sua voce.

“Starsk, tu lo sai vero che non me ne sono andato perché non ti amavo più” Starsky non volle pensare al dopo.

“Ti amo anche io” disse solo.

Starsky allentò la stretta delle sue braccia per permettere ad Hutch di girarsi e lo baciò, lentamente questa volta, assaporando ancora una volta le loro labbra unite. Starsky camminò verso il divano, senza cercare ossigeno, assecondato da Hutch che sentì le ginocchia piegarsi al contatto col bracciolo del mobile. Starsky lo spinse appena e gli fu subito sopra, calciando via le sue scarpe e sfilandosi la maglietta. Lo baciò ancora, mentre Hutch gli slacciava i pantaloni e glieli faceva scivolare sulle ginocchia. Quando le dita affusolate di Hutch si impadronirono esperte della sua erezione, Starsky quasi urlò, tanto che Hutch fu costretto a tappargli con la mano la bocca, lanciando sguardi ansiosi verso la camera da letto. Starsky si morse le labbra ma con gesti sempre più insistenti pregò Hutch di continuare.

Starsky non aveva completamente perso la bussola, come il suo sguardo appannato poteva far pensare, con gesti rapidi liberò anche il compagno dai pantaloni e lo vide tendersi aggrappandosi alla stoffa del sedile, al contatto con la sua mano. Erano passati cinque anni dall’ultima volta in cui avevano fatto l’amore su quel divano, ma i pettorali di  Hutch guizzavano ancora sotto la sua lingua e il suo addome era ancora incredibilmente sensibile, aveva ancora il potere di farlo contorcere e perdere il controllo. Starsky prese a giocare con la mascella contratta di Hutch, mentre l’altra mano fuggiva tra i testicoli e raggiungeva la meta.

“Stringi i denti o sveglierai tua figlia” ansimò divertito baciandogli le guance arrossate, pregustando il sussulto di Hutch alla penetrazione del suo dito. Hutch non lo deluse e per qualche momento non fu capace di far altro che aggrapparsi alle sue spalle.

Fare l’amore con Hutch era sempre stato così semplice e istintivo, i loro corpi obbedivano ai lori gesti e ogni brivido era sempre più forte del precedente. Prima di penetrarlo Starsky gli intrappolò la bocca con la sua, per impedire a entrambi suoni troppo impetuosi, Hutch aveva il suo tipico respiro mozzo di quando cercava di controllarlo, eppure le sue labbra giocavano disinibite con le sue, facendosi rincorrere e riprendere in una scia bollente. Starsky aveva sempre preso in giro Hutch su come divenisse erotico ed eccitante sotto i suoi tocchi, ma adorava anche quando spossato, si abbandonava tra le sue braccia in un sonno profondo.

Nessuno dei due riuscì a trattenere il gemito roco che riempì la stanza e il silenzio che ne seguì era striato del loro respiro.

Quando Starsky riuscì a guadagnare abbastanza lucidità per mettere a fuoco ciò che aveva intorno, si ritrovò a pochi centimetri dal viso sudato di Hutch. Con una mano gli carezzò la fronte, spostandogli le ciocche bionde dal viso.

“Prima che tu possa dire qualcosa, concedimi un paio di giorni. Voglio credere che qualsiasi cosa tu abbia intenzione di fare o non fare, non te ne andrai prima di essere riusciti a parlare. Regalami un paio di giorni, ne basta uno, senza pensieri o discussioni, senza chiarimenti, senza futuro. Permettimi solo una giornata serena,  per favore, Ken…” Starsky lo incatenò con lo sguardo e Hutch si sentì costretto ad annuire.

Nessuno dei due ebbe la forza di muoversi, si addormentarono sul divano, Starsky sopra Hutch, con la testa sul suo petto e Hutch che lo stringeva delicatamente.

 

  
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