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Autore: LysandraBlack    09/11/2019    4 recensioni
Marian è scampata al massacro di Ostagar. Garrett ha assistito alla distruzione di Lothering, mettendo in salvo la loro famiglia appena in tempo. Senza più nulla, gli Hawke partono per Kirkwall alla ricerca di un luogo dove mettere nuove radici. Ma la città delle catene non è un posto ospitale e i fratelli se ne renderanno conto appena arrivati.
Tra complotti, nuovi incontri e bevute all'Impiccato, Garrett e Marian si faranno ben presto un nome che Kirkwall e il Thedas intero non dimenticheranno facilmente.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altri, Anders, Hawke, Isabela, Varric Tethras
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The unlikely heroes of Thedas'
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CAPITOLO 22
Satinalia - Parte seconda



 

La serata, a dispetto delle aspettative, stava passando in modo più o meno sopportabile.

Il vino d'annata scorreva a fiumi, il cibo era gustoso e la musica orecchiabile. “E pure Myranda si è tolta dai coglioni”, osservò soddisfatto azzannando uno spiedino di nug al miele e sgranocchiando con soddisfazione la crosta croccante e dolce ricoperta di scaglie di mandorle.

Certo, c'era parecchia gente che non si era aspettato di vedere: Aveline, per esempio, soprattutto intenta a flirtare con Donnic (seppur a modo suo), o quella piaga di Cullen, che si aggirava ai margini della sala come un mabari in un recinto, e poteva giurare di aver intravisto la chioma ramata di Sebastian parlare con il Siniscalco e altri due invitati vestiti in abiti pomposi, poco prima.

«Messere, gradisce altro vino?»

Un'elfa graziosa, i capelli color miele ricci sopra le orecchie a punta, lo guardò con i suoi grandi occhi castani da dietro una caraffa di vetro, appoggiata su un vassoio d'argento. Sorrise, allungando la mano e versandosene un po' nel calice. Avvicinandosi a lei, notò una piccola macchia rossa sull'orlo della manica. «Bella serata, vero?» Chiese, cercando di osservarla meglio.

La ragazza annuì, appoggiando il vassoio sul tavolo e stiracchiandosi un attimo. «Sì, Messere.» La raggiunse un'altra elfa, trafelata. «Vanya, Lucinde chiede quando possono portare il dolce.»

«Appena inizieranno a suonare la ballata di Corin e Neriah, Miri, lo sai bene.»

La nuova arrivata annuì, raccogliendo dei calici vuoti lasciati sul tavolo e altre cose da riportare in cucina, impilandoli ordinatamente su un largo vassoio.

«Ma ditemi, questo vino... da dove viene? Ha un retrogusto fruttato che non riesco ad identificare.»

L'elfa di nome Vanya lo guardò sorpresa, esitando un attimo. «Antiva, Messere. Le terre lì intorno sono famose per i rigogliosi vigneti... Messere Cavin si fa mandare il vino da una particolare cantina, dove lo fanno invecchiare in botti di legno di ciliegio.»

«Ah, meraviglioso. Dovrò chiedergli il nome di questo vigneto, dopo stasera non potrò farne a meno.» Si avvicinò casualmente a lei, osservando che anche sotto al colletto della camicetta vi erano alcune macchie rosse. “Vino, o sangue?” «Con cosa mi consigliereste di abbinarlo, dunque? Mi affido a voi, ammetto candidamente di non essere un esperto nel settore.»

L'elfa si morse il labbro inferiore, la punta delle orecchie che si mosse impercettibilmente. «Con la selvaggina esprime al meglio il suo bouquet, avete assaggiato il fagiano? Miri, porta a Messer Hawke del fagiano, veloce.»

«Ah, conoscete il mio nome?» Le chiese affabile, prendendo il piattino che l'altra elfa gli porgeva, dei bocconcini di fagiano speziati.

«Messer Hawke, siete piuttosto famoso.» Sorrise enigmatica Vanya.

«Sembra di sì...»

«Garrett!»

Sobbalzò, preso alla sprovvista, voltandosi in tempo per vedere arrivare Marian di gran carriera. «Hei, che sorpresa, pensavo Rodney ti avesse ormai rapita.»

«Non c'è tempo per gli scherzi, ti sto cercando da un sacco, è importante.» Tagliò corto la sorella. «Tutto bene?»

Si strinse nelle spalle, facendo finta di niente quando Vanya sembrò irrigidirsi. «Io sì, è il tuo Capitano che ha una faccia più costipata del solito.» Cercò, senza dare nell'occhio, di fare un piccolo cenno verso la camicia dell'elfa.

«Ah-ah, molto divertente...» La sorella seguì il suo sguardo, notando anche lei le macchie e il suo comportamento sospetto. «Beh, nostra madre ti stava cercando.»

«Allora andiamo, non vorrei mai farla aspettare.»

Si allontanarono dalle due, sentendo i loro occhi puntati contro la nuca. Quando furono al sicuro in una delle stanze laterali, Marian si guardò attorno, assicurandosi fossero soli. «Sangue?»

«Da come si è agitata, scommetterei tre Sovrane di sì.»

«Garrett, mi servi serio, ti prego.» Lo rimproverò lei. «Ho sentito chiaramente qualcuno lanciare un incantesimo-»

«Immagino non ti stia riferendo alle tanto decantati doti di Rodney con le donne...» Si zittì subito, alzando le mani in segno di resa. «E va bene, non è divertente, hai ragione. Scusa. Comunque, se c'è un mago con cattive intenzioni qui attorno, con tutte queste maschere sarà un incubo trovarlo.»

«Una volpe.»

Sbattè le palpebre, confuso. «Che?»

«Ho visto qualcuno giù in giardino... aveva una maschera a forma di muso di volpe.» Lo tirò per una manica verso la porta. «Dobbiamo controllare il giardino.»

Garrett sospirò. “E addio serata tranquilla, pare proprio che avessimo ragione...” «C'è qualcosa che non ti ho detto.»

Lo sguardo omicida della sorella gli fece ricordare perchè avesse taciuto quel piccolo dettaglio. «Ho... invitato Anders, per così dire.»

«Tu cosa?!»

Tossicchiò, temendo potesse rompergli il naso con un pugno. «Non ti scaldare, posso spiegarti-»

«Marian, Garrett, cosa sta succedendo?»

Con sua grande sorpresa, Isabela scivolò nella stanza, portandosi Sebastian appresso e chiudendo la porta dietro di loro. La pirata sfoggiava un vistoso abito blu notte tempestato di piccoli ricami di perle e oro, probabilmente dono del facoltoso nobile che aveva circuito per essere lì quella sera, mentre il principe indossava un farsetto candido con piccoli inserti dorati e un mantello elegante orlato di pelliccia chiara.

«E voi cosa ci fate qui?»

«Come se tu non avessi fatto imbucare un pericoloso eretico-»

«Anders non è pericoloso!» “Non sempre, almeno.”

«C'è anche Anders?» Trillò Isabela, scoppiando a ridere. «Questa sì che è una festa!»

Sebastian aggrottò la fronte. «Isabela, non mi pare il caso.»

La porta si spalancò di colpo, lasciando entrare un'Aveline furente che spinse all'interno Anders, vestito di tutto punto e quasi irriconoscibile, la maschera di un gatto color del grano ancora in mano. «Ora mi spiegate cosa sta succedendo?»

Il guaritore tossicchiò, a disagio. «'Sera...»

«Stiamo organizzando una festicciola privata.» Rispose immediatamente Garrett, serissimo.

«Che sfocerà presto in un rito orgiastico, quindi sei appena appena in tempo per tagliare la corda.» Gli diede corda Isabela, tirando una pacca sul culo a Sebastian, che arrossì come un peperone. A Garrett non sfuggì l'occhiata che aveva lanciato alla sorella, ma l'altra sembrò non notarla.

«Non mi sembra il momento di scherzare!» Si lamentò l'uomo di Starkhaven, imbarazzato.

Marian li richiamò all'ordine con un sibilo furente. «Smettetela subito.» Lanciò uno sguardo di puro odio ad Anders, fulminandolo sul posto. «Sei scemo o cosa, a venire qui?»

Garrett spostò il peso da un piede all'altro, infine capitolando. «Marian, possiamo spiegare.»

«Sarebbe anche ora.»

«Abbiamo ragione di credere che qualcuno possa essersi introdotto qui stasera per...» Iniziò a spiegare, non sapendo bene quanto rivelarle. «Insomma, ultimamente organizzare feste a Kirkwall è diventato assai pericoloso, no?»

Anders gli corse in aiuto. «Sì, e dopo quello che è successo ai Mander e dagli Chaney... abbiamo pensato che fosse meglio tenere d'occhio la situazione.»

La sorella scosse la testa, aprendo la bocca un paio di volte come a voler dire qualcosa. Li guardò basita, passandosi una mano sulla guancia, dove si era ferita. «Siete due imbecilli.»

«Hei!» Esclamò Garrett, offeso, ma l'altra lo interruppe.

«Pensate davvero che i Templari non abbiano preso misure di sicurezza? Non stiamo certo ad affidarci a due eretici allo sbaraglio...»

«Ah certo, è così che si ringrazia.»

«Te l'avevo detto che i Templari-»

«Non è il momento, Anders!»

«Ora basta!» Li zittì entrambi Marian, sbottando. «L'elfa che ti stava servendo prima era sospetta, e io ho visto qualcuno cadere, probabilmente ferito, in giardino. Isabela, Aveline, Sebastian, voi andate a controllare di sotto, sia il giardino che l'interno. Io trovo Cullen e lo avviso che sta succedendo qualcosa, mentre voi due» si rivolse ai due maghi, che aspettavano pazientemente la fine della sfuriata «vedete se riuscite a scoprire qualcosa dai servitori. Ma non fate nulla di avventato e soprattutto non attirate l'attenzione

“Che equivale a dire usate la magia e siete morti”, sbuffò Garrett, ma annuì. «Ricevuto.»

Si ritrovarono da soli, incerti sul da farsi.

«Come entriamo nelle cucine?» Gli chiese Anders.

Garrett ghignò. «Guarda e impara.»



 

La porta delle cucine si aprì di scatto e lui barcollò in avanti, rovesciando parte del vino a terra e su sé stesso mentre scuoteva la caraffa mezza vuota. «Oh, cavolo, questa non è la cantina!» Esclamò a voce alta, scoppiando a ridere sguaiatamente e appoggiandosi su uno scaffale, facendolo crollare dal suo sostegno e causando la caduta di tutto ciò che vi era posto sopra sollevando un fracasso infernale. «Ah, scusate, scusate, non volevo-» Indietreggiò, prendendo la mira esattamente contro una pila ben ordinata di bicchieri che si inclinò da un lato, prima di collassare rovinosamente al suolo. I quattro elfi all'interno lo guardarono con tanto d'occhi, atterriti. Si stampò in faccia un sorriso stupido. «Ops.»

«Garrett!» Lo chiamò Anders, raggiungendolo di corsa. «Ma che hai combinato?»

Scoppiò a ridere di nuovo, versando altro vino in giro mentre prendeva qualche sorso. «Non è la cantina!»

L'elfa di nome Miri scattò in avanti, prima che potesse inciampare e cadere sul tavolo dove era stata sistemata una gigantesca torta di crema a più piani, che troneggiava in un angolo della cucina. «Messere, devo chiedervi di uscire!»

Garrett piroettò su sé stesso, eludendo la presa dell'elfa e aggrappandosi ad un altro servitore, che cercò di scollarselo di dosso inutilmente. «Questo vino è il migliore che abbia mai bevuto!» Gli bofonchiò in un orecchio a punta, scoppiando poi a ridere. «Non è che me lo state nascondendo...?»

«Garrett, ti prego di non renderti ulteriormente ridicolo.» Si intromise Anders afferrandolo per le spalle, ma lui riuscì a liberarsi con uno strattone. Nella lotta, gli sfuggì di mano la caraffa, che si infranse sul pavimento di pietra esplodendo in mille pezzi.

Con precisione chirurgica, ci scivolò sopra, cacciando un urlo esagerato quando il vetro gli procurò parecchi tagli sui palmi e sulle braccia. Sollevò platealmente le mani, guardando sconvolto le schegge che gli spuntavano dalla pelle, il sangue che colava copioso sulle maniche grigio chiaro della camicia, impregnandone il tessuto.

«Creatore, aiuto!» Gridò agitandosi convulsamente «Morirò dissanguato. Che si sappia che il magnifico Garrett Hawke ha incontrato la sua fine, proprio qui, questa sera, e non ha nemmeno trovato le cantine!»

Anders sbiancò, afferrando Miri per un braccio e urlandole di fare qualcosa, per poi cadere in ginocchio e stringerlo drammaticamente a sé. «No, non lasciarmi così!»

«È troppo tardi per me, ma tu, tu puoi ancora trovare il vino!» Garrett sbirciò da dietro la spalla del compagno. Un elfo stava immobile dal terrore, altri due col grembiule da cuochi cercavano freneticamente delle pezze pulite, Miri esitava, pallida. «Ti prego...»

Anders si voltò verso di lei, afferrandole la mano come per supplicarla. «Per favore, servono delle bende pulite, bisogna fermare il sangue.»

«Sì, certo, ma...» L'elfa cercò l'aiuto dei due cuochi, ma quelli scossero la testa, gettando una pezza macchiata in terra.

«Non c'è niente di pulito qui dentro!» Le urlò una dei due, avvicinandosi e scrollandola per le spalle. «Portali nel dormitorio e chiedi a Pete della radice elfica, forza!»

«Ma Luci, Vanya ha detto che nessuno deve entrare nel-»

«Muoviti, ragazza, se il Siniscalco sa che uno dei suoi ospiti si è fatto male qui dentro, non sarà il mio culo a finire per strada, stanne pur certa!»

Con riluttanza, Miri fece come le veniva detto.

Dopo che Anders aveva strappato le maniche della camicia di Garrett per farne un bendaggio di fortuna, lo tirò su di peso, seguendo l'elfa dietro una porta e per un lungo corridoio, scendendo di un piano.

“Forse ho esagerato...” pensò confusamente Garrett, la testa che gli girava un poco. Anders doveva averlo notato, perché lo strinse a sé con più forza.

«Ecco, ci siamo...» Sentì dire a Miri, mentre lo faceva accomodare su una scomoda sedia di legno in quello che sembrava un piccolo magazzino. Diverse erbe aromatiche erano appese a seccare in grossi mazzi, e delle cataste di sacchi di juta e casse di legno erano accatastate contro due pareti, mentre l'altra era interamente coperta da uno scaffale di boccette, barattoli e scatoline chiuse. «Pete!» Urlò a pieni polmoni l'elfa, e dopo poco comparve un elfo anziano con un grembiule quasi interamente sporco di sangue rappreso.

Alla vista, Garrett e Anders dovevano essere sbiancati ulteriormente, perché il vecchio elfo scoppiò a ridere, indicando il grosso coltello da macellaio che portava alla cintura. «Tutta quella carne di sopra non si è mica affettata da sola, messeri!» Si avvicinò ai due, afferrando una pezza pulita e intingendola in una bacinella d'acqua, pulendocisi sopra le mani. «Allora, che avete combinato?»

Garrett si ricordò di essere ubriaco. Scoppiò in una risatina debole, sollevando le mani per permettere all'elfo di esaminarle. «Sono caduto.»

«Ah, vedo, vedo... Vetro. Dovremo togliere le schegge. Miri, ragazza, fammi un piacere e portami le pinze più piccole che trovi.» Si alzò a rovistare tra gli scaffali, aprendo una scatola abbastanza grossa e traendone fuori una boccetta di un liquido rosa intenso. «Ah, eccola qua, radice elfica e loto bianco!» Si chinò a recuperare una seconda scatola, che conteneva una serie di stoffe pulite, e la appoggiò sul tavolo accanto a Garrett, che nel frattempo si era messo a dondolare le gambe.

Pete si chinò a slacciare le maniche della camicia ormai zuppe di sangue. «Ora, messere, togliamo queste e-»

Garrett sobbalzò, gemendo ad alta voce. «Aiuto! L'elfo vuole approfittarsi di me!»

Il poveretto saltò indietro, alzando le mani. «Ma non- non è vero!»

Anders cercò di tenere fermo Garrett, che si era alzato fingendo di voler fuggire. L'idea avrebbe anche funzionato, se non fosse inciampato cadendo addosso a Miri, che proprio in quel momento rientrava con le pinzette. Finirono a terra entrambi, e questa volta l'urlo di dolore di Garrett fu assolutamente genuino.

«State fermo, maledizione, state peggiorando la situazione!» Sbottò esasperato Pete, inginocchiandosi su di lui e chiedendo ad Anders di aiutarlo a bloccarlo sul pavimento mentre estraeva le pinzette, che si erano conficcate nella sua coscia.

«Un attimo più in su e sarebbe stato un vero peccato...» Sentì Anders sussurrargli in un orecchio, con la scusa di tenerlo per le spalle. Scoppiò a ridere, nonostante il dolore e la testa che gli girava.

Aspettarono che Pete rimuovesse le varie schegge di vetro, per poi imbibire delle bende nell'intruglio curativo e fasciargli le ferite. «Ah, ecco fatto, vedete? Molto meglio.»

Garrett gli rivolse un sorriso confuso. «Posso avere del vino per festeggiare?»

«Credo tu ne abbia già bevuto abbastanza.» Ribattè Anders, dandogli un buffetto sulla guancia.

«Miri, credo che ora possiamo riportare i nostri ospiti nel salone...» suggerì Pete all'elfa, che sembrava non vederne l'ora.

«Ah, aspettate!» Esclamò Anders, afferrando l'elfo per una manica. «Ecco, insomma... non possiamo farlo andare in giro così, è un personaggio importante, capite? Cosa direbbero gli altri ospiti se si presentasse in mezzo alle danze coperto di sangue?»

Pete lo scrutò come ad annusare la balla. «Ah, sì giusto...» Si scambiò uno sguardo con l'altra, corrucciato. Con un sospiro, capitolò. «E va bene. Miri, vai a prendere una camicia pulita dalla lavanderia.» Riportò lo sguardo su di loro, scrutandoli torvo. «Resteremo ad aspettarti qui.»

Appena sentirono l'elfa allontanarsi, Anders afferrò Pete per le spalle, posandogli due dita sulla fronte. «Scusaci.» Una luce viola illuminò per un attimo la stanza, e l'elfo si afflosciò tra le sue braccia, profondamente addormentato.

«Bel lavoro, ora se puoi dare una mano anche a me...»

Appena l'incantesimo di Anders lo rimise in forze, chiudendogli completamente le ferite e rimpolpandolo del sangue perso, si scambiarono uno sguardo d'intesa. Fecero capolino nel corridoio, apparentemente deserto, per poi proseguire verso i dormitori della servitù.

Dopo qualche stanza vuota, incapparono in una porta chiusa da un grosso chiavistello di metallo pesante. Garrett rovistò nella giacca, alla ricerca degli attrezzi da scasso che Varric gli aveva regalato per il compleanno, e che a detta del nano “funzionavano come le dita di Andraste in persona”. Non potè che dargli ragione per l'ennesima volta, sentendo il meccanismo scattare. “Meno male che ho pensato di portarmeli dietro.”

Scivolarono all'interno, la zaffata di sangue fresco ad invadergli le narici.

«Avevamo ragione.» Commentò tetro Anders, indicando il cadavere

Garrett si chinò ad osservarli meglio. «Hei, guarda. Non è un elfo, doveva essere uno degli ospiti.» Indicò la camicia raffinata dell'uomo e la giacca ricamata in filigrana d'argento.

«Poveraccio. Lo riconosci?»

Scosse la testa. Richiuse la porta, proseguendo per il corridoio.

«Se Geralt e Jowan sono qua intorno...»

«Il loro obiettivo saranno Cullen e l'altro templare, probabilmente.» “E Marian.”

«Stiamo davvero salvando dei templari?»

Si strinse nelle spalle. «Così pare.»

Evitarono per un soffio due servitori che parlottavano tra loro, appiattendosi contro la parete.

«Vanya ha detto di non avvicinarsi alle cantine, no, non so il motivo e non voglio nemmeno chiedere, quella mi fa una paura...» sentirono uno dei due lamentarsi.

Aspettarono di essere di nuovo soli, andando poi alla ricerca delle cantine. La porta era bloccata da un altro lucchetto, che stavolta non sembrò cedere sotto il grimaldello di Varric.

Anders si appoggiò al legno, incanalando un po' di mana e rompendo il sigillo magico. «Andiamo.»

Un forte odore di carogna che saliva dal basso li colpì appena entrati.

«Per le chiappe di Andraste, che schifo!» Bofonchiò Garrett, storcendo il naso mentre scendevano i gradini. «Cos'hanno combinato qui dentro?»

«Normale martedì sera da maghi del sangue?» Tirò ad indovinare Anders, tirando dritto.

Le cantine erano umide e buie, l'aria fetida toglieva loro il respiro. Camminarono lungo un corridoio sul quale si affacciavano numerose grate con dietro varie botti di legno, finchè non sentirono dei passi nella direzione opposta dalla quale provenivano.

Si nascosero dietro una botte di vino, trattenendo il fiato.

«È tutto pronto?» Sentirono chiedere da una voce maschile. Garrett pensò fosse vagamente familiare, ma non riusciva a ricordarsi dove l'avesse sentita prima.

Rispose una voce di donna. “Vanya”, la riconobbe dopo poco. «Sì, stanno per portare il dolce, i nostri sono in posizione.»

«“Nostri”?» Ripetè Anders con un sussurro, guardandolo preoccupato.

«Ottimo.»

«Non appena avremo la pietra...»

«Shh, arriva qualcuno!»

Dei passi pesanti li sorpresero alle spalle, mentre almeno tre persone procedevano attraverso il corridoio da dove provenivano i due maghi. Garrett si schiacciò ulteriormente su Anders, pregando che i nuovi arrivati non li notassero. Non riuscirono a vedere chi fosse, ma sembravano tre umani di grossa stazza, probabilmente in armatura.

«Ah, siete voi.» Salutò la voce maschile. «Vi stavamo aspettando. È tutto pronto?» L'accento di Antiva non gli era affatto estraneo, ma non riusciva a collegare la voce a un volto noto. «Ottimo. Mi delicia, noi torniamo su.»

I passi però non si avvicinarono a loro, segno che doveva esserci un'uscita dall'altra parte della cantina. Si scambiarono uno sguardo incerto.

«Forse dovremmo aspettare gli altri...?»

«Non abbiamo tempo.»

«Non ho nemmeno il mio arco, Anders, sono quasi disarmato!» Sibilò furente.

L'altro gli lanciò uno sguardo di sfida. «E io che pensavo fossi un mago.»

Sbuffò, capitolando. «Se ci uccidono, giuro che ti ammazzo.»

«Non ha molto senso, lo sai, sì?»

Interruppero il loro bisticciare, uscendo allo scoperto.

Vanya si voltò verso di loro, non sembrava molto sorpresa. Chinò leggermente il capo da un lato, gli occhi che brillavano come quelli di un gatto nella penombra della stanza. «Ah, mi chiedevo quando sareste arrivati ad impicciarvi.»

Garrett evocò tutto il mana che riusciva a controllare senza il proprio arco ad aiutarlo, pronto ad attaccare. «Tagliamo corto e arriviamo al punto dove ci dici cosa avete in mente.»

L'elfa lo schernì con una risata. «Fosse per me, ti chiuderei quella bocca da shem seduta stante, ma ho ordini precisi di non torcervi un capello... peccato che non possa garantire per i miei animaletti.»

Non fecero in tempo a chiedersi cosa intendesse, che la temperatura della stanza crollò vertiginosamente, mentre una mezza dozzina di ombre sbucavano dal terreno, emettendo un lungo lamento pronunciato. Si gettarono contro di loro, mentre l'elfa innalzava una barriera magica su di sé e scattava di corsa verso l'uscita alle sue spalle.

«Merda!» Imprecò Garrett, abbattendo la prima ombra con una scarica elettrica. Evitò per un soffio gli artigli di un'altra, mentre Anders si liberava di una terza. Qualcosa lo colpì alle spalle, e se non fosse stato per la barriera protettiva del guaritore l'arto deforme gli avrebbe tranciato il costato. Le quattro rimanenti si allontanarono, accerchiandoli poi di nuovo, schivando all'ultimo momento, prendendosi gioco di loro.

Riuscirono ad eliminarle dopo un bel po', perdendo del tempo prezioso.

Piegato sulle ginocchia, cercò di riprendere fiato un secondo, per poi imboccare il corridoio dov'era sparita l'elfa. In una delle celle laterali, scoprirono una dozzina di cadaveri orrendamente mutilati, il sangue ormai secco incrostato nel pavimento. Dovevano essere lì da almeno un giorno. Notò incuriosito come fossero solo umani.

Proseguirono lungo una scala a chiocciola immersa nel buio, che terminava di fronte ad una porta sigillata. Provarono ad aprirla utilizzando lo stesso trucchetto della precedente, ma non ebbero alcun risultato.

«'Fanculo, spostati.» Ringhiò Garrett, facendo allontanare Anders a distanza di sicurezza e puntando entrambe le mani verso la porta. Richiamò il mana, sentendo i capelli rizzarglisi in testa, e rilasciò la scarica elettrica, che si schiantò sulla porta con un boato assordante, sparando pezzi di legno e schegge di roccia ovunque che rimbalzarono sulla barriera di Anders.

«Se non ci fossi io, finiresti per ammazzarti da solo.» Lo rimbeccò lui. «Comunque, con questo ci avrà sentito mezzo palazzo, musica permettendo.»

«Ottimo.»

Sbucarono in un piccolo corridoio che si affacciava su un soggiorno di dimensioni modeste rispetto al resto della villa. Da una parte vi era un piccolo studio con degli scaffali pieni di libri, dall'altra una porta di legno massiccio rinforzata con delle sbarre di ferro opaco, mentre il corridoio proseguiva voltando a destra.

Avvicinandosi, notarono che le tre grosse serrature a guardia della porta erano state rotte. Garrett si appoggiò al legno, dando una piccola spinta e facendo cigolare i cardini mentre il battente si apriva verso l'interno. Quasi inciampò sul cadavere per terra, il pavimento reso appiccicoso dal sangue. A differenza degli altri corpi che avevano trovato fin'ora, però, la ferita sul costato dell'uomo era pulita e precisa, proprio all'altezza del cuore. Corrugò la fronte, aveva qualcosa di familiare.

«Cosa credi stessero cercando?» Chiese Anders, rompendo il silenzio teso. Per tutta la stanza erano state sistemate decine e decine di piccole teche di vetro, alcune contenenti armi di delicata fattura, altre gioielli preziosi, altre ancora libri e rotoli di pergamena dall'aspetto antico.

«Non ne ho idea, ma chiunque fosse cercava qualcosa in particolare.» Rispose Garrett, indicando le poche teche rotte. A confermare la sua ipotesi, a terra vi erano alcuni gioielli, che dovevano essere caduti al ladro durante la razzia. Un orecchino con una grossa pietra rettangolare verde, incastonata da un motivo di viticci d'argento, attirò la sua attenzione. Si chiese dove fosse finito il gemello.

«Non mi piace.» Vide Anders esaminare i pezzi di vetro rotti, chiudendo gli occhi. Per un attimo Giustizia fece capolino, il Velo che scricchiolava. «Qui vi era contenuto qualcosa di magico.» Disse lo spirito, indicando una teca vuota con all'interno un cuscino di velluto bianco che portava ancora i segni di qualcosa che vi era stato poggiato sopra, voltandosi a guardarlo coi suoi brillanti occhi bianchi. Sbattè un paio di volte le palpebre, mentre il mago tornava in controllo. «Dobbiamo fermarli, qualsiasi cosa abbiano in mente.»

«Se dovessimo arrivare allo scontro...»

Il guaritore infilò la porta senza rispondere, la schiena rigida.

Trovarono due camere per gli ospiti, un altro studiolo e, in fondo, una scalinata in pietra che portava al piano di sotto, le voci della festa che salivano fin lì.

Mentre erano a metà della rampa, un boato assordante gli fece perdere l'equilibrio, costringendolo ad aggrapparsi al corrimano per non cadere dai gradini.






 

Marian aveva trovato Cullen, mettendolo a conoscenza dei suoi timori riguardo alla festa. Il Capitano aveva subito dato l'ordine a due delle guardie di Aveline, tra cui Donnic, di controllare il giardino, mentre lui sarebbe rimasto a guardia del salone principale con altri due templari, Klaus e Lia. A Marian era stata affibbiata Mina, con cui per anni aveva condiviso il dormitorio. Tra le due non correva particolarmente buon sangue, e l'altra alla vista della tenente tutta vestita in abiti da nobile non aveva fatto un grande sforzo per contenere una smorfia di scherno.

«Nel caso ci attaccassero, hai intenzione di far ruotare la gonna per distrarli?» Le chiese Mina, arricciando il naso.

Marian scostò lo strato superiore dell'abito, rivelando la daga corta che aveva nascosto sotto la stoffa. «La tua preoccupazione per me mi commuove, davvero.» Scandagliò la sala con lo sguardo, notando Sebastian ed Aveline che venivano verso di lei.

«Isabela?» Chiese, vedendoli soli.

Aveline scosse le spalle. «È sparita ad esaminare le stanze al piano di sotto.»

«Non le sarà successo nulla di male, Marian.» Cercò di rassicurarla Sebastian.

Lei aggrottò le sopracciglia. «Non è quello che mi preoccupa...» Sbuffò, non aveva tempo da perdere dietro alle distrazioni dell'amica. «Avete trovato qualcosa in giardino?»

Aveline annuì, tetra. «Sangue, parecchio, che portava sul retro verso i magazzini. Abbiamo seguito le tracce, qualcuno aveva trascinato un corpo fino ai magazzini sul retro e giù verso gli alloggi della servitù. Poi abbiamo incontrato della... resistenza.»

«Due elfi ci hanno attaccati a bruciapelo e hanno chiuso la porta che conduceva alle cantine, devono aver usato la magia perché non siamo riusciti né ad aprirla, né a sfondarla.» Concluse Sebastian.

Marian annuì. «Allora è certo. Garrett e quell'altro non sono ancora tornati, spero non gli sia successo nulla. Dobbiamo far evacuare tutti, ma senza scatenare il panico, altrimenti-» Si interruppe, qualcosa agli angoli del suo campo visivo che aveva colto la sua attenzione. Voltandosi, vide l'elfo tatuato che le aveva preso il mantello all'ingresso bisbigliare qualcosa all'orecchio di una delle guardie dei Cavin: l'uomo annuì, portando la mano sulla spada che teneva legata alla cintura. La banda si mise a suonare la ballata di Corin e Neriah, mentre alcuni servitori facevano spostare gli ospiti per l'ingresso trionfale di un'enorme torta alla crema, formata da cinque dischi di circonferenze diverse posti l'uno sull'altro dal più grande al più piccolo e decorata con panna, uccelli variopinti di marzapane, scaglie d'oro e fiori colorati.

La seconda guardia girò i tacchi e uscì dalla sala.

Non fece in tempo a formulare un pensiero compiuto, che il boato dell'esplosione le perforò i timpani. Sentì qualcuno buttarla a terra, e solo in un secondo momento notò Sebastian sopra di lei, un braccio alzato a proteggerla dai detriti, un rivolo di sangue a scendergli sulla fronte.

Lo vide aprire la bocca, ma non riuscì a sentire niente, un fischio insistente nelle orecchie.

C'era polvere ovunque, fiamme, gente che urlava e tentava la fuga, calpestando i corpi a terra in un cieco terrore. Sbattè le palpebre cercando Aveline, trovandola in ginocchio mentre già tentava di rialzarsi, il braccio premuto su naso e bocca.

Con l'aiuto di Sebastian, si rimise in piedi barcollante, rendendosi conto che Mina non era da nessuna parte. Una folla di gente in preda al panico sfrecciò loro accanto, urtandoli senza la minima cura tanta era la foga di allontanarsi dal centro della sala, dove aveva avuto origine l'esplosione. Le parve di intravedere le due sorelle de Launcet e Tobias Harvent, mentre sperava disperatamente che la madre non si trovasse tra i corpi a terra. “Non ho sentito nessuna magia... perché non ho sentito della magia prima che-?!” Le fiamme ruggivano, il fumo toglieva il respiro. Venne spintonata a lungo, finchè non rimasero in piedi solo loro tre, a terra una serie di cadaveri e feriti che si muovevano debolmente. La puzza di carne bruciata era rivoltante.

La nube di fumo e detriti si era un poco diradata, permettendo loro di vedere meglio l'epicentro dell'esplosione. Una grossa voragine, larga almeno sei metri di diametro, aveva squartato il pavimento, i bordi ancora roventi e fumanti. Una serie di corpi erano sparpagliati qua e là tutto attorno, e proprio in centro alla sala vi erano quattro figure in piedi. Una sembrava essere sorretta da altre due, mentre l'ultima stava più in disparte. Marian assottigliò gli occhi, mettendo a fuoco la maschera scarlatta di una volpe.

La figura sorretta dai due si rivelò essere il Siniscalco Bran, ma fu con un'esclamazione di orrore che Marian riconobbe gli altri: Mina e Klaus sostenevano l'uomo per un braccio ciascuno, l'altro che reggeva la spada puntata sul prigioniero. Lo vide balbettare qualcosa, del sangue che colava dal naso sul farsetto.

Un urlo attirò la sua attenzione. «Lasciatelo andare, subito!» Riconobbe la voce di Cullen, roca, doveva essere stato colpito più forte dall'esplosione dato che era più vicino di lei.

Lia e Dennis erano al suo fianco: la prima presentava una vistosa bruciatura sulla guancia, mentre il secondo perdeva sangue da un taglio sulla nuca, ma entrambi sembravano non curarsene.

Marian provò a raggiungerli, mentre il Capitano ordinava di nuovo ai due templari di liberare il Siniscalco. Quelli non gli diedero però ascolto, limitandosi a voltare impercettibilmente il capo verso l'uomo con la maschera di volpe, che reggeva ora un bastone da mago.

La volpe sbattè il bastone a terra, spegnendo le fiamme tutto attorno con facilità.

Una risata sprezzante riecheggiò per tutta la sala. «Bene bene, chi si rivede... Ti sono mancato, Rutherford?» L'uomo mascherato fece due passi verso il Capitano, sganciando la fibbia del mantello scuro che cadde ondeggiando sul pavimento. “Conosco questa voce”, pensò Marian, scavando disperatamente nella memoria.

Prima che Cullen potesse ribattere, Dennis sollevò la sua spada, colpendo il Capitano alla tempia con il pomolo. Lia, all'unisono, gli assestò un colpo con la lama dietro al ginocchio, costringendolo a carponi per terra e disarmandolo in due rapide mosse. Cullen urlò, sbattendo il mento per terra e rialzandosi sui gomiti, perdendo sangue da un angolo della bocca e dalla gamba. Gli altri due lo immobilizzarono, le braccia bloccate dietro la schiena in una presa dolorosa.

La volpe rise di nuovo, un suono che fece accapponare la pelle di Marian. Lo vide chinarsi quasi all'altezza del Capitano, sfiorandogli la guancia con la punta delle dita. «Ne hai fatta di strada, lo devo ammettere. Certo, per essere un patetico idiota.»

Cullen sgranò gli occhi, realizzando chi aveva di fronte. «... Amell?!»

Marian sbiancò, mentre il cugino schioccava la lingua sollevandosi di nuovo e, con calcolata lentezza, andava a slegarsi i lacci della maschera. La volpe cadde a terra.

Geralt Amell ghignò soddisfatto. Si voltò poi verso di lei, trafiggendola con lo sguardo e inchiodandola sul posto, un brivido freddo a scenderle lungo la spina dorsale. «Buonasera, cugina, gentile da parte tua unirti alla nostra piccola festicciola.»

Prima che potesse rendersene conto, una nube oscura circondò lei e i suoi compagni, tentacoli di magia del sangue che si avviluppavano intorno alle gambe, stringendole il busto, rendendole difficile persino respirare... lasciò andare la daga con un gemito di dolore, il braccio che schioccò all'indietro immobilizzato dolorosamente contro la schiena. Cadde a terra digrignando i denti.

Sentì Sebastian agitarsi dietro di lei. «Marian, no-!» Un tonfo, e l'uomo crollò sul pavimento, privo di sensi.

Aveline grugniva di dolore, cercando di liberarsi dalla presa, lottando inutilmente con tutte le sue forze finchè non venne sollevata da un incantesimo e lanciata contro una parete. Non si rialzò.

Dei passi alle sue spalle, una risata acuta. Una figura minuta entrò nel suo campo visivo: Vanya, l'elfa della quale avevano sospettato fin dall'inizio, la guardava deliziata, un bastone da maga stretto in una mano, l'altra tenuta col palmo verso l'alto, intrisa di sangue fino alle spalle. «Sinceramente, sono un po' delusa.» Commentò serafica, i grandi occhi puntati su di lei. «Mi aspettavo qualcosa di meglio da tua cugina...»

«È solo una templare, nulla di più.» Tagliò corto Geralt. «Gli altri?»

«Che carino, si preoccupa per noi.» Rispose una voce dall'accento pesantemente antivano: l'elfo tatuato avanzò fino ad affiancarsi alla maga del sangue, sfiorandole la schiena con una mano mentre nell'altra reggeva un oggetto grosso quanto un pugno, che emetteva una fioca luce cremisi. «Di sotto sono tutti pronti, i nostri amici troveranno una brutta sorpresa ad attenderli.»

«Non la passerete liscia, Amell, appena l'Ordine arriverà qui in forze-» Ringhiò Cullen, venendo zittito con un colpo del bastone di metallo di Geralt, che si illuminò minaccioso.

«Fa' silenzio, idiota.» Il mago si voltò quindi verso il Siniscalco, scuotendo il capo. «Peccato, speravo proprio di trovare il vostro Visconte stasera, pare che mi dovrò accontentare... in ogni caso, una strage ad opera dei templari è abbastanza grave da suscitare scalpore e indignazione fino a Val Royeaux, anche se la vittima più importante è un patetico ometto come te.» Si guardò attorno, soddisfatto. «Quella bomba ha fatto proprio un bel lavoro, per non essere magica.»

La testa di Bran Cavin ciondolò, l'uomo era appena cosciente e troppo intontito per capire cosa gli stessero dicendo. Borbottò qualcosa di incomprensibile.

«Comunque, dicevo, alla fine era tutto un modo per attirarvi qui allo scoperto.»

Dall'altro capo della sala, spuntarono altri due elfi vestiti da servitori e un umano dai capelli e barba scuri, che rivolse a Geralt un cenno d'intesa. Ordinò agli elfi di farsi da parte, lasciando intravedere le scale dietro di loro.

Represse un ringhio di rabbia vedendo Anders spuntare alle loro spalle, ma quando anche Garrett si unì a loro, non riuscì a trattenersi. Strattonò i tentacoli di magia, tentando in tutti i modi di liberarsi, il braccio e la spalla che le dolevano da impazzire, ma non le importava più, la furia di vederlo assieme a quei maledetti maghi del sangue era tale da farle dimenticare tutto il resto. “Non è possibile. Non Garrett.” Si rifiutò di crederci.

Il tentacolo si strinse ulteriormente attorno alla sua gola, impedendole di emettere alcun suono articolato.

L'elfo tatuato raggiunse Geralt, porgendogli l'oggetto che teneva in mano. Le labbra del mago si aprirono in un sorriso di trionfo, ammirando per un attimo la gemma scarlatta. Lo vide sussurrare qualcosa che non riuscì a sentire, Dennis e Lia che strinsero ulteriormente la presa su Cullen, il quale si agitava convulsamente, terrorizzato.

«Quello che ti hanno fatto sulla torre sembrerà uno scherzo da prestigiatore, a confronto.» Gli disse Geralt, godendosi ogni istante di quella tortura. «E quando ti costringerò ad attaccare i tuoi stessi commilitoni, e magari se siamo fortunati uccidere la tua adorata Comandante... Pregherai perché ti abbattano come un cane rabbioso, credimi. Ti costringeremo a fare lo stesso con altri Circoli, ci aiuterai a farli cadere uno dopo l'altro, finchè nessuno si fiderà più di un templare, e ogni mago rinchiuso in quelle gabbie potrà finalmente ammazzarvi come meritate.»

«Nessuno crederà alla vostra folle storia!» Ringhiò Cullen, dibattendosi inutilmente.

Geralt rise di nuovo. «Ma sarai proprio tu a raccontarla, idiota. Chi meglio del fidato Capitano di Kirkwall, sopravvissuto anche ai terribili eventi di Kinloch Hold? Crederanno ad ogni tua parola, e tu racconterai per filo e per segno come i tuoi compagni abbiano organizzato un colpo di stato, cercando di detronizzare il Visconte e il Siniscalco sotto ordine di Meredith, caduta preda della sua sete di potere. E con te ci sarà anche la mia cara cugina, che da quanto so è entrata in fretta nelle grazie della Comandante. Testimonierete come abbia tentato di convincervi ad aiutarla, ordinandovi di colpire proprio stasera, e di come la vostra coscienza ve lo abbia impedito.» Con la lama appuntita alla base del bastone, gli fece sollevare il capo, puntandola alla gola del templare. «Ricordi, sulla torre dicesti che non desideravi altro che tutti i maghi venissero spazzati via dalla faccia del Thedas. Ti risposi che avresti fatto la stessa fine.» Sorrise, folle, stillando qualche goccia di sangue. «Non si dica che non mantengo la parola data.»

Marian ascoltò terrificata quelle parole, la certezza che non sarebbe uscita da lì che si faceva strada nella sua mente. Lanciò uno sguardo implorante a Garrett, ma il fratello teneva gli occhi bassi, puntati a terra.

Vide l'umano complice di Geralt avvicinarsi al cugino, sfiorandogli la mano per un attimo prima di afferrare insieme la gemma.

Il salone venne avvolto dall'oscurità più cupa, l'unica fonte di luce era ormai la pietra, le fiamme al suo interno che divampavano, ruggenti, proiettando le loro lingue di fuoco tutto attorno ai due maghi. Cullen si irrigidì, teso come una corda in procinto di spezzarsi, gli occhi rivolti all'interno del cranio, il bianco dei bulbi a riflettere la luce scarlatta, la bocca distorta in un grido disumano da farle gelare il sangue nelle vene.

Marian strattonò disperatamente i tentacoli di magia oscura, i suoi sforzi inutili mentre assisteva impotente a quell'empio incantesimo.

Geralt chiuse gli occhi, mentre i templari che reggevano Cavin estraevano le proprie spade dal fodero. «Xebenkeck, ascolta la mia voce.» Lo sguardo vitreo, si due si portarono le lame alla gola, lacerando la pelle con un taglio netto. Lasciarono andare il Siniscalco, che si accasciò a terra come un sacco di stracci. «Xebenkeck, accetta la mia offerta.» I due templari caddero in ginocchio, il capo rovesciato all'indietro per facilitare la fuoriuscita del sangue, che sprizzò sulle armature e sul Siniscalco davanti a loro, scorrendo tra i solchi sul pavimento di marmo. «Xebenkeck, attraversa il varco!»

Improvvisamente, venne accecata da un lampo di luce ardente.

Qualcuno urlò. Rumore di colluttazione, altre grida, uno scoppio. Il Velo era ormai a brandelli, poteva quasi sentire i demoni scalpitare per attraversarlo.

«Fermo, o lo ammazzo!» In mezzo a tutto quel trambusto, riconobbe la voce di Garrett.

Il fratello teneva un coltello premuto contro la gola del mago umano dai capelli scuri, che aveva lasciato cadere il bastone a terra e cercava di fermare la mano dell'altro. La barriera attorno a lui sembrava essere stata infranta.

Geralt, la mano sinistra che riportava una grossa bruciatura sul palmo dove aveva stretto la pietra, ora rotolata per terra, aveva occhi solo per il compagno. Una nube sanguigna lo avvolse completamente, piccole fiamme che danzavano tutto attorno a lui mentre l'aria sembrava venire risucchiata in un vortice, rendendo difficile persino respirare. «Lascialo.» Il tono era privo di qualsiasi umanità, ne trapelava solo una fredda furia.

Garrett scosse il capo, resistendo coraggiosamente nonostante il colorito pallido e le ginocchia tremanti. Era avvolto da una sottilissima barriera azzurrognola, che sembrava troppo flebile per resistere all'attacco. «Non costringermi a farlo.»

I due elfi accanto ad Anders tenevano il guaritore sotto scacco, puntandogli contro i propri bastoni magici, in attesa di un ordine. Anders sussultava da capo a piedi, ma sembrava mantenere il controllo sulla barriera eretta attorno a Garrett. Marian pensò che ci fosse qualcosa di strano nel corpo del guaritore. “Un altro demone?”

Nel silenzio carico di tensione, arrivarono delle urla provenienti dal piano di sotto, rumore di scontro ad arma bianca, qualche altra piccola esplosione, non abbastanza da essere una palla di fuoco lanciata da qualche mago. “Hanno pensato a tutto, anche a come rallentare i rinforzi senza che restino prove dei loro incantesimi.”

Geralt sollevò il bastone, rendendosi conto anche lui di non avere molto tempo, tuttavia non osando scatenare la sua furia contro Garrett, non con il compagno di mezzo. «Non oseresti. Sei uno di noi.»

«L'hai detto tu stesso. “Non ci sono amici o familiari, dall'altra parte della barricata”, ricordi?» Ringhiò Garrett, stringendo ancora di più la presa ma stando attento a non stillare nemmeno una goccia di sangue dall'uomo sotto la sua lama. «Per quanto mi riguarda, dall'altra parte ci sei tu e chiunque altro faccia del male alla mia famiglia. Vattene, finché siete in tempo.»

Geralt sembrò esitare. Lanciò un rapido sguardo ad Anders, per poi tornare a guardare l'altro mago del sangue. Di sotto, lo scontro continuava feroce.

«Geralt...» Biascicò l'altro mago, pallido in volto, gli occhi vitrei. Marian notò un piccolo movimento del capo, come se stesse cercando di scacciare qualcuno o qualcosa, poi lo vide stringere i denti.

Il Velo sussultò un'altra volta, sempre più sottile. Conosceva quella sensazione, l'aveva sperimentata ogni volta che aveva visto un mago soccombere ai demoni che volevano possederlo.

Geralt capitolò. Gettò a terra il bastone magico, interrompendo l'incantesimo e sollevando i palmi delle mani verso Garrett. «D'accordo. Lascialo andare.» Fece due passi verso di loro.
Garrett rimase un altro lunghissimo secondo immobile, per poi allentare di colpo la presa e spingere il prigioniero verso il cugino.

Geralt lo prese tra le braccia, stringendolo con forza, sussurrandogli qualcosa. Quello tremava visibilmente, il Velo ancora troppo sottile perché il pericolo fosse passato. Lanciò uno sguardo di puro odio a Garrett, che era pronto a difendersi con un incantesimo, l'energia che sfrigolava, così vicino a spezzare completamente la fragile barriera che li separava dall'Oblio.

In uno sbuffo di fumo, il mago dai capelli scuri sparì e al suo posto comparve un corvo, che spiccò il volo verso il balcone sparendo alla vista.

Marian si ritrovò libera. Vanya lasciò andare la presa su di lei e affiancò l'elfo tatuato, voltandosi un'ultima volta verso Geralt con un cenno del capo. L'elfo raccolse la pietra da terra, prima di scattare di corsa verso le scale che portavano alle cucine, seguito a ruota dalla compagna.

Prima che potesse rialzarsi in piedi completamente, vide Geralt sollevare di nuovo il braccio, un ghigno a deformargli il viso. Schioccò le dita.

Il Velo esplose.

Lia, al fianco di Cullen, si piegò su sé stessa, emettendo un verso animalesco da farle accapponare la pelle. In un lampo di luce, gli arti iniziarono ad allungarsi terminando in artigli affilati, due corna arcuate a bucarle il cranio. Due ali da pipistrello, viola e luminescenti, spaccarono la corazza spuntandole dalla schiena come germogli deformi.

Il demone del desiderio si erse in tutta la sua forma, spalancando le ali, i resti dell'armatura della templare che cadevano a terra.

«Divertitevi.» Sibilò malevolo Geralt, prima di svanire anche lui in uno sbuffo scarlatto. Un'enorme aquila dal manto rossiccio volò via nella notte.

I due maghi elfi rimasti vennero spediti lontano da un'esplosione di luce accecante, bianca e pura. Sbigottita, guardò Anders rialzarsi da terra, un'aura di energia a circondarlo, vorticante, gli occhi bianchi puntati con furia verso il demone. “Un demone e un Abominio?”, pensò disperata, certa che non sarebbero sopravvissuti. Garrett, però, aveva raccolto da terra il bastone da mago di Geralt, e lo puntava ora contro il demone, ignorando completamente cos'era diventato il suo amico.

Il demone del desiderio lo guardò con occhi scuri come la pece. «Colei che fu esiliata, ha varcato il Velo.» Parlò, la voce che rimbombava per il salone. «Nel sangue, la chiamarono. Nel sangue, sancirono il patto.» Si voltò verso di lei, e improvvisamente Marian si ricordò dell'avvertimento ricevuto nei suoi sogni mesi prima, e del demone che aveva posseduto il giovane elfo, Soren, durante il suo Tormento. «Da un fiume di sangue, la grande Xebenkeck ritorna!»

Cercò disperatamente un'arma con cui difendersi, la daga che aveva le pareva a quel punto inutile, mentre Garrett scatenava un vortice di energia attorno al demone, intrappolandolo temporaneamente al suo interno.

Si sentì avvolgere da un incantesimo di guarigione e vide Anders, o qualunque cosa fosse diventato il mago, illuminato della stessa luce che circondava lei e i loro compagni a terra. Aveline, accasciata contro la parete, si rialzò lentamente, recuperando poi spada e scudo. Tese una mano a Sebastian, aiutandolo a rimettersi in piedi e individuando poi i cadaveri di due guardie a terra poco lontano da loro, una spada e scudo ciascuno.

Marian si chinò a recuperarli, stringendo con forza lo scudo e nascondendovisi dietro. «Sai usarli?»

L'altro annuì. «Non eccello, ma ho avuto un addestramento sufficiente a tenermi in vita. O almeno spero.» Rispose tetro. «Dobbiamo recuperare il Siniscalco.»

Marian individuò Cavin vicino al bordo della voragine, ancora sporco del sangue dei due templari che l'avevano catturato: a stento cosciente, si era spostato strisciando sul pavimento, cercando di allontanarsi dallo scontro. «Io e Aveline distrarremo il demone, tu portalo in salvo.»

«E dove, di grazia?» Ribattè l'uomo, facendo un cenno col capo verso la scalinata di marmo che portava all'ingresso principale, da dove provenivano urla disumane.

Non seppe cosa rispondergli. Avanzarono guardinghi, mentre l'incantesimo che intrappolava la creatura veniva spazzato via con un colpo delle grandi ali.

Xebenkeck si lanciò contro Garrett, il quale ebbe appena il tempo di spostarsi, gli artigli del demone che andarono a graffiare l'aria dove un attimo prima c'era la sua testa.

«Hei, tu!» Urlò Marian a pieni polmoni, cercando di attirare l'attenzione del nemico e distoglierla dal fratello.

Il demone lanciò un ringhio assordante, scagliando loro contro un cono di gelo che venne prontamente annullato dalle abilità della templare, che non perse tempo: si gettò con una forza che non pensava di avere ancora contro la creatura, gli artigli che graffiavano contro il metallo dello scudo, abbassandosi e mirando al fianco. Xebenkeck si scostò all'ultimo, e la lama andò a tranciare la membrana sottile di un'ala spettrale. Il colpo di coda che seguì fece sbilanciare Aveline, la quale non fosse stato per Anders sarebbe caduta a terra. Il guaritore eresse attorno a loro una nuova barriera, mentre Garrett colpiva con tre rune di paralisi il demone, intrappolandolo temporaneamente e permettendo alle due guerriere di mandare a segno i colpi successivi: Marian trafisse la creatura sulla schiena, strappandole completamente un'ala e rendendo l'altra un moncone inutilizzabile, mentre Aveline riuscì a ferirle un braccio, staccando tre artigli dalla mano deforme e procurandole un grosso squarcio fin quasi alla spalla.

Il demone urlò di nuovo. Combattendo l'istinto di piegarsi su sé stessa e coprirsi le orecchie, Marian strinse i denti, ringhiando a sua volta. Vide Sebastian trascinare al sicuro il Siniscalco, tenendolo dietro allo scudo.

Garrett roteò il bastone sopra la testa una, due, tre volte: ad ogni giro completo, l'aria attorno a Xebenkeck scoppiettava sempre di più, scintillava, facendo rizzare a tutti i presenti i capelli in testa. «Via!» Urlò il fratello, e le due si affrettarono ad obbedire, facendo tre balzi indietro e proteggendosi con gli scudi.

Un'esplosione, un lampo di luce accecante, puzza di bruciato, come se qualcuno avesse dato fuoco ad un cesto di frutta. Il demone cacciò un urlo più acuto dei precedenti, crollando a terra, il moncherino di ala che si dibatteva inutilizzabile, il sangue che scorreva copioso.

Si rialzò barcollando, avvicinandosi pericolosamente a Cullen, gli artigli protesi. Si lanciò d'istinto tra la creatura e il Capitano, resistendo ai colpi furiosi della creatura che si avvinghiò al suo scudo. Con uno strattone, il demone glielo strappò di mano, lanciandolo lontano mentre si preparava a colpirla di nuovo.

Marian sollevò la spada in posizione di difesa, ma qualcos'altro lo ferì alle spalle, facendolo caracollare in avanti mancandola di un soffio.

«Vi sono mancata?!»

Isabela, l'elsa dei pugnali che spuntava dalla schiena del demone, le lanciò un sorriso feroce, mentre ruotava le sue armi di mezzo giro prima di estrarle. Aveva i capelli ridotti ad un groviglio di rovi, un graffio lungo la coscia che spuntava dal vestito stappato sopra le ginocchia e un rivoletto di sangue a colarle da sotto la manica.

«Dove ti eri cacciata?!» Urlò Marian, sovrastando il ruggito di dolore Xebenkeck.

«Là sotto non è proprio una pacchia-» Il resto della risposta venne coperto da un'ondata di gelo che le travolse come una tempesta, minuscole schegge di ghiaccio taglienti come lame che le ferivano la pelle. Si protesse gli occhi con un braccio, indietreggiando un poco.

Una seconda scarica colpì il demone, questa volta spedendolo lontano da loro. Anders lanciò un altro incantesimo di cura, facendo evaporare il ghiaccio e ridonandole la forza necessaria per trascinare Cullen lontano da lì. Con la coda dell'occhio notò il corpo di Dennis, apparentemente svenuto, sollevarsi da terra, del fumo nero come la pece che lo avvolgeva, le carni che bruciavano dall'interno. Il demone della rabbia proruppe dal suo corpo con un lamento terribile.

Marian lasciò andare il Capitano, fronteggiando la creatura.

Quando affondò la lama nel corpo del demone, ignorando le fiamme che le lambirono il volto, lo vide tremare convulsamente, accartocciandosi poi su sé stesso.

Non fece in tempo a spostarsi del tutto.

Le sfuggì un grido di dolore, dovendosi gettare a terra per spegnere le lingue di fuoco che avevano attecchito sulla stoffa ormai a brandelli dell'abito. Rotolò su un fianco, guardandosi il braccio destro che le doleva da impazzire: la pelle era rossa e violacea, grosse bolle chiare che iniziavano a formarsi sulla superficie. Strinse i denti, lasciando cadere la spadae, con l'unico braccio sano, finì di trascinare Cullen al sicuro contro il muro. «Con questo mi devi un favore, stronzo.» Borbottò furente, recuperando la spada e reggendola con la sinistra.

Aveline, Isabela e Garrett avevano circondato Xebenkeck, ridotta ormai carponi sul pavimento, schiacciata sotto una gabbia elettrica creata dal mago. La puzza di frutta bruciata era aumentata, e il demone sembrava sul punto di cedere: il braccio mutilato non si muoveva quasi più, la coda era stata mozzata così come una delle corna, sulla schiena le profonde ferite inflitte da Isabela sanguinavano abbondantemente.

Venne affiancata da Sebastian, con cui si scambiò uno sguardo di assenso prima di unirsi ai compagni per sferrare l'attacco finale contro la creatura.

L'incantesimo di Garrett venne spezzato in un esplosione di ghiaccio, ma prima che la creatura potesse avventarsi sul mago ormai stremato, venne rallentata da Anders, dando il tempo ad Aveline di frapporsi tra i due colpendola alla testa con lo scudo e caricando un fendente con la spada, che si piantò tra il collo e la spalla incastrandosi nella clavicola. La guerriera strappò via l'arma con un calcio, liberandola in una fontana di sangue violaceo. Sebastian la colpì al fianco con forza, strappandole un ruggito tormentato.

Marian, da dietro, ignorò lo spasmo di dolore quando dovette sollevare la spada con entrambe le braccia, trafiggendo Xebenkeck nella schiena esattamente in mezzo alle ali, troncando la spina dorsale e gli organi interni, e conficcando la lama in profondità fino all'elsa.

La creatura emise un ultimo rantolio prima di crollare in avanti: dopo qualche spasmo, il cadavere prese fuoco, riducendosi ad un cumulo di cenere fumante in pochi secondi.

Marian cadde in ginocchio con un gemito, cercando di riprendere fiato e rischiando di perdere i sensi dal male. Non si accorse nemmeno di Isabela, che si chinò su di lei sfiorandole i capelli.

«Tesoro...?»

Strinse i denti, scuotendo la testa.

«Marian!» Garrett si precipitò da lei, preoccupato, afferrandole delicatamente il braccio. «Anders, torna in te, ci servi.»

Istintivamente, Marian si ritrasse al tocco, lanciando uno sguardo spaventato all'Abominio che ora sembrava tornato il mago di sempre.

Anders sembrò rendersi conto della situazione, perché si immobilizzò, alzando una mano verso di lei ma concentrando un poco di mana, poteva sentire il Velo fremere attorno al mago. «Giuro che non è come credi.»

«Marian, non mi pare il caso-»

«So cos'ho visto, era un Abominio.» Non si voltò nemmeno verso il fratello. «È un Abominio.»

«No invece, è solo...»

«Condivido il corpo con uno Spirito.» Li interruppe Anders, restando guardingo. «Ma vi ho aiutati contro di loro, quindi credo di meritarmi almeno il beneficio del dubbio, no?»

Marian inspirò a fondo, cercando di ignorare il dolore e pensare lucidamente. Aveva la nausea, la testa le girava, non aveva la forza nemmeno per alzarsi, figuriamoci affrontare un altro mago, per di più ex Custode Grigio e possibile Abominio. “E alla fine non ha tutti i torti, se non ci fosse stato lui, forse saremmo morti”, dovette ammettere controvoglia. Chiuse gli occhi, annuendo stancamente.

Sebastian ed Aveline spostarono lo sguardo da lei al mago, interdetti. Il frastuono dal piano di sotto sembrava affievolirsi. Se avesse deciso di attaccare Anders, probabilmente avrebbe avuto presto il supporto dei templari. D'altra parte... No, era troppo stanca. “E poi, Garrett impazzirebbe.” Non sarebbe stato giusto. Anders aveva ragione, li aveva aiutati.

«Marian, sei sicura sia la scelta giusta?» Le chiese Sebastian, la spada ancora in pugno.

Sospirò, guardando il fratello. «Garantisci?»

Lo vide annuire.

«Bene, per me può bastare.» L'odore di bruciato e di sangue le riempiva le narici. «Gettate i bastoni, vi copro io con gli altri.»

«Grazie.» Il fratello la aiutò ad alzarsi, barcollante. Si guardarono attorno, erano circondati da cadaveri: nobili, servitori, guardie, templari, di alcuni resti non avrebbe nemmeno saputo indovinare la provenienza. Non che volesse farlo. Incrociò il suo sguardo, e seppe che entrambi si stavano ponendo la stessa domanda.

Si morse un labbro.

«Leandra è al sicuro, l'ho vista prima, è uscita prima dell'esplosione.» Si intromise Isabela, afferrandole una spalla e guardandola dritta negli occhi. «Sta bene. Era coi Selbrech, sono usciti giusto prima che cominciasse lo scontro... sembravano tutti impazziti, Luthor Mander ha accoltellato uno dei ragazzi dei Reinhardts con uno spiedo, e da lì il racconto diventa ancora più assurdo.»

Sbiancò, immaginando il caos che doveva essere scoppiato tra la folla. «Ma sta bene, sei sicura?»

Isabela annuì. «Ne sono sicura, i Selbrech sembravano normali, e c'era un altro uomo che le faceva molto cavallerescamente da scudo, non ho idea di chi fosse ma aveva tutta l'aria di essere pronto a tutto per difenderla...» lasciò cadere il discorso, allungando una mano verso di lei a sfiorarle la guancia. «Avrai bisogno di una spuntatina, tesoro.»

Marian si passò le dita della mano sana tra i capelli: era vero, una grossa ciocca era bruciata quasi fino alle spalle, non era riuscita a spegnerla abbastanza in fretta.

«Hei, quelli ricrescono.» Cercò di consolarla Garrett, indicando poi il braccio. «Anders, potresti...?»

Il mago aggrottò le sopracciglia, incerto, cercando la sua autorizzazione. Appena Marian gli fece un cenno col capo, si sentì avvolgere da una sensazione di fresco, come se fosse immersa in una spuma dalla mano alla spalla. Lentamente, il dolore si trasformò in un formicolio, e quando l'incantesimo cessò la pelle era soltanto un poco arrossata e le bolle erano sparite. «Grazie.»

Il guaritore sbuffò. «Vediamo di tenerne conto assieme al resto, eh?»

Sentirono avvicinarsi dei passi, molti. Lo scontro al piano di sotto doveva essersi concluso in loro favore.


 

La prima guardia che si affacciò dall'uscio fu Donnic: vedendoli in piedi circondati da cadaveri, si fermò un secondo, impalato sul posto. Aveva l'armatura a brandelli, il braccio sinistro stretto al petto che perdeva sangue da sotto una fasciatura di fortuna. «Aveline! Cioè, intendevo... Capitano!» Esclamò correndo verso la donna, incurante di aver dimenticato il titolo. Dietro di lui, venivano alcuni templari e guardie cittadine, più una dozzina di nobili e gente comune che avevano preso le armi: tutti erano sporchi e feriti, la battaglia doveva essere stata feroce.

Aveline accennò un sorriso stanco, che si spense subito quando anche il suo sguardo vagò sul resto della sala.

Meredith e Karras fecero il loro ingresso nella sala, le armature graffiate e sporche di sangue, ma incolumi. Puntarono dritti verso Marian, china su Cullen a controllare che fosse vivo.

Ci misero un po' a spiegare cosa fosse successo: a quanto pareva, di sotto i superstiti avevano cominciato ad attaccarsi a vicenda, preda di qualche controllo mentale. Guardie, nobili, servitori e persino molti templari si erano gettati gli uni sugli altri, incuranti dei colpi che ricevevano, vittime di un'animalesca sete di sangue. Alcuni di loro, ma una minima parte, si era alla fine rivelata un Abominio, ma nessun demone potente quanto Xebenkeck era comparso, e comunque la maggioranza era solo assoggettata ad un controllo mentale. Marian giurò solennemente che là sopra non ci fosse più alcun mago, e anzi arrivò al punto di asserire che Garrett ed Anders avevano combattuto coraggiosamente al loro fianco, armati di spade e pugnali.

Il cadavere di Xebenkeck era ormai irriconoscibile, quindi nemmeno la Comandante ebbe da ridire.

Cullen era ancora svenuto, ma Marian era certa che non potesse ricordarsi nulla. In ogni caso, sarebbe stata attenta a qualsiasi cosa si sarebbe fatto sfuggire una volta sveglio. Il Siniscalco fu trasportato in tutta fretta verso la chiesa, dove un gruppo di maghi del circolo era già pronto ad accogliere i feriti, seguito dal Capitano.

«Dovremo esaminare ogni singolo templare alla Forca.» Commentò Meredith, massaggiandosi le tempie. «Pensavo che i nostri interrogatori avessero funzionato, ma temo dovrò fidarmi di Orsino per scoprire in quanti sono ancora posseduti...» Vedendo che Marian rispondeva solo con un cenno stanco del capo, il cipiglio della Comandante si distese un poco. «Vai a darti una rinfrescata, Tenente, e a metterti qualcosa addosso.» Le disse accennando al suo abito ormai a brandelli «Ti sei guadagnata un altro encomio, stasera. L'Ordine ti è riconoscente.»

Marian chinò il capo. Voleva solo controllare come stesse la madre, e far allontanare di lì il fratello. «Vi ringrazio, Comandante.»

«Sono io a doverti ringraziare, a nome dell'Ordine e della città.» Sospirò, notando come lo sguardo della più giovane fosse caduto sui cadaveri a terra. «Non possiamo salvarli tutti, ma hai fatto il tuo dovere. Sii fiera di te stessa, senza il vostro intervento non oso immaginare cosa sarebbe successo.»

Fece un cenno al fratello e al resto dei compagni, che la seguirono sollevati fuori dalla villa. I pochi superstiti ancora lì erano pallidi, alcuni presentavano leggere escoriazioni e bruciature, molti piangevano e cercavano di rientrare alla ricerca di familiari o amici.

Leandra, alla vista dei figli, strattonò un uomo della guardia cittadina che aveva provato a fermarla, sfuggendo alla sua presa e correndo verso i figli.

«Pensavo... Cretore, temevo...» Incespicò la madre, i capelli grigi arruffati liberi dalla cuffietta, le guance rigate di lacrime. «Grazie al cielo.»

Marian e Garrett la strinsero in un abbraccio, senza nemmeno pensarci. «Stiamo bene.» Le sussurrò lei, ripetendolo per il beneficio di tutti e tre. «Stiamo tutti bene.»

«Stavo parlando coi coniugi Selbrech quando abbiamo sentito... Tobias Harvent ha parlato di un'esplosione magica, ma Alphonse ha detto-» Leandra scosse la testa. «Non importa.»

Garrett le rivolse uno sguardo confuso. «Alphonse?»

«Oh, nessuno, è un amico dei Selbrech, meno male che c'era lui, ha evitato che Mirabelle Chaney ci saltasse addosso armata di attizzatoio... ha detto che l'esplosione non gli sembrava magica, ma prendiamo tutto con le pinze, di sicuro un'indagine dell'Ordine ci saprà dire di più, vero Marian?»

Annuì distrattamente, mentre camminavano verso la fontana del giardino.

«Lady Amell, sono lieto di sapervi sana e salva.» Si voltò, vedendo Sebastian raggiungerli.

Leandra, sorpresa, lo ringraziò. «Avete combattuto a fianco di mia figlia, vedo, Ser...?»

«Sebastian Vael, sono un amico di Marian. Devo ammettere che non è stata la prima volta che ci siamo ritrovati in una situazione difficile fianco a fianco, ma questa volta...» Sospirò, affranto, il capo chino. «Così tante morti. Che Andraste li accolga al fianco del Creatore.»

Leandra ripetè l'ultima frase, ma i suoi occhi chiari erano puntati sull'uomo. «Mia figlia si mette spesso nei guai, sono contenta che abbia amici fidati su cui contare.» Si limitò a rispondere, accennando un sorriso.

Marian sentì che c'era sotto qualcosa, ma non commentò. Vide il fratello allontanarsi un poco, e individuò Anders nascosto dietro una siepe.

«Ti avevo detto di andartene. Non è sicuro.» Sentì Garrett riprenderlo.

«Non starei tranquillo, a saperti qui da solo.»

Marian andò verso di loro, accostandosi al fratello. «Non è solo.»

Il guaritore indietreggiò istintivamente. «Volevo solo dire-»

«Lo so.» Gli tese la mano, in segno di pace. «Grazie.»

Il mago esitò per il tempo di un respiro, poi, riluttante, gliela strinse.

«Garrett, Marian!» Sentirono gridare, mentre Myranda Selbrech e Rodney Cavin si facevano strada verso di loro. Lei col vestito strappato e sporco, le guance rigate di lacrime e i capelli diventati un nido di rondini; lui con un bernoccolo sulla fronte ma per il resto incolume.

«Oh, siete vivi, meno male!» Esclamò la ragazza, avvinghiandosi al braccio di Garrett, troppo stanco per scollarsela di dosso.

Rodney le afferrò una mano tra le sue, portandosela al petto. «Marian, credetemi, avrei-»

Con uno strattone, si liberò della sua presa, lanciando un'occhiata di sdegno alla spada che l'altro portava al fianco, ancora nel fodero, intonsa. «Non state a tediarci con le vostre scuse, Rodney. Qualcuno che lascia che siano altri a proteggere la propria famiglia, sfoggiando armi che è troppo codardo per usare, non merita la mia attenzione né quella dei presenti.»

Quello si lasciò sfuggire un'esclamazione oltraggiata. «Come osate insinuare...?!» Gonfiò il petto come un pavone, paonazzo in volto. «Mi sono preoccupato della sicurezza dei nostri ospiti, ma non avrei indietreggiato nemmeno di fronte ad un esercito di-»

Marian lo affrontò a muso duro, zittendolo. «Siete un codardo, un montato, un laido, viscido, spregevole individuo che si fa grosso della posizione politica del padre e delle ricchezze di famiglia per circuire chiunque gli passi tra le grinfie. Ora andatevene prima che vi costringa io stessa, ne ho abbastanza di voi.»

Rodney Cavin deglutì, gli occhi improvvisamente lucidi mentre cercava un aiuto che non sarebbe arrivato, indietreggiando per poi sparire quasi di corsa tra le siepi. Marian lo seguì con lo sguardo, un sorriso che le compariva sulle labbra.

Garrett battè le mani. «Finalmente.»

«Non ne potevo più.»

Myranda Selbrech era rimasta ipnotizzata dalle parole di Marian, e ora la guardava come si farebbe con un animale esotico uscito dalla sua teca. «Se la sarà presa.»

«Sì, immagino di sì.»

«Myranda, a tal proposito...» iniziò Garrett, cercando di scollarsela di dosso ma venendo interrotti dall'arrivo di Leandra e Sebastian.

L'uomo le lanciò uno sguardo ammirato e divertito, un sorriso sghembo sul volto. Il suo stomaco fece una capriola. Arrossì.

«Marian, credevo di averti insegnato maniere migliori...» La rimproverò bonariamente la madre, ma contrariamente alle sue parole non sembrava arrabbiata.

«Qualcuno doveva insegnarle prima a lui.» Bofonchiò lei, incrociando le braccia al petto.

Leandra sospirò, guardando la giovane Selbrech. «Cara, i tuoi ti stanno cercando.»

Quella sembrò cogliere l'antifona, perché lasciò finalmente il braccio di Garrett e si allontanò.

La donna guardò entrambi i figli, e Marian si sentì sotto scrutinio. «Ho proprio sbagliato tutto con te, eh?» Sussurrò Leandra, scuotendo il capo. «Con entrambi, temo. A volte mi dimentico che ve la sapete cavare da soli.»

Marian sorrise a sua volta, sollevata che finalmente la madre sembrasse aver desistito dai suoi propositi di matrimonio. «Scuse accettate. Almeno non ho dovuto massacrare Rodney con un vassoio per fartelo capire.»

Leandra ridacchiò. «Per come gliele hai cantate, forse lo avrebbe preferito.»

«Ahem.» Si voltarono verso Garrett, che tossicchiò di nuovo per attirare la loro attenzione. «Anche io avrei un annuncio da fare, a tal proposito.»

Confusi, videro Garrett afferrare Anders, che sembrò sorpreso quanto i loro ignari spettatori. In una mossa fluida, si avvicinò a lui, soffocando l'esclamazione sorpresa dell'altro in un lungo bacio che non aveva proprio nulla di casto.

Marian fu la prima a distogliere lo sguardo, disgustata. «Per le palle del... trovatevi una stanza.»

Garrett, per tutta risposta, sollevò il pugno destro, mostrandole il dito medio.

Leandra si era trasformata in una statua di sale. Per un folle attimo, Marian temette potesse avere un infarto proprio lì, che quella sarebbe stata la ciliegina sulla terribile serata che andava a concludersi. Stava per controllare che fosse viva, quando Sebastian le fermò il braccio, tirandola un poco indietro verso la fontana.

Garrett ed Anders si staccarono, il primo con un cipiglio di sfida rivolto verso di loro, il secondo paonazzo con gli occhi puntati a terra. Vedendo che la madre non sembrava reagire, il fratello fece un passo verso di lei. Le mise una mano sulla spalla, chinandosi un poco per essere alla sua altezza. «Madre...?»

Leandra chiuse gli occhi, inspirando profondamente. Li riaprì dopo un paio di secondi, annuendo solennemente. «Dopo tutte quelle ragazze, questa non me l'aspettavo...» Sospirò, alzando lentamente una mano e appoggiandola sulla guancia del figlio. «Sembra che non ci siano nipotini all'orizzonte, nonostante i miei sforzi.»

Garrett ridacchiò, imbarazzato. «Però avevi ragione, mi piacciono le bionde.»

Anders, poco dietro di lui, si passò una mano tra i capelli, estremamente a disagio. «Potevi almeno avvisarmi...»

Quando Sebastian le rivolse un sorriso affettuoso, il cuore di Marian perse un battito. «Visto?»

Arrossì, afferrandosi una ciocca di capelli e voltandosi dalla parte opposta, sedendosi su una delle panchine di fronte alla testa del serpente marino nella fontana. «Uh, sì. Io lo sospettavo da un pezzo, per la cronaca.» Rabbrividì, rendendosi improvvisamente conto di avere freddo: l'adrenalina che aveva in corpo stava calando, lasciando spazio alla stanchezza.

L'altro sembrò notarlo, perché si tolse cavallerescamente il mantello orlato di pelliccia per metterlo attorno alle sue spalle, ignorando le sue flebili proteste e restando col semplice farsetto, sedendosi accanto a lei. «Sono imperdonabile, avrei dovuto farlo prima.»

Marian se lo strinse al corpo, ignorando come fosse strappato e bruciacchiato. «Figurati, grazie. Tu stai bene?»

L'uomo annuì. «Volevo anche dirti che quell'abito ti stava divinamente, ma ormai temo sia un po' tardi.»

Si sentì arrossire di nuovo, mentre le sfuggiva una risatina. «Per una volta che mi tolgo l'armatura...»

Sebastian le si avvicinò un poco, sfiorandole la mano. «Non importa cosa indossi, sei sempre b-»

«Hei, voi due!» Li interruppe Isabela, spuntando alle loro spalle e abbracciandola da dietro, stringendola in una morsa soffocante che le fece sfuggire un gemito tra il dolore e la frustrazione. «Che mi sono persa?»

Marian la fulminò con lo sguardo, ma ormai era tardi. Sebastian si era già scostato da lei, irrigidendosi sul posto e salutando la pirata con un sospiro. «Niente di che.»

«Marian, mi chiedevo, posso tornare a casa con voi?» Fece finta di niente Isabela, cercando di sistemarsi in qualche modo i capelli aggrovigliati. «Garrett ha una vasca da bagno meravigliosa, proprio quello che mi servirebbe in questo momento.»

Marian inspirò profondamente. «Non ho nemmeno la forza di chiederti perché sai com'è la vasca di mio fratello, Bela.»

«Ah, vedo che capisci al volo.»

“E tu proprio adesso scegli di non capire nulla?!” Voleva urlarle lei, ma lasciò correre. «Andiamo, allora, tanto devo trovare qualcosa da mettermi addosso.» Si voltò verso Sebastian, facendo per restituirgli il mantello, ma l'altro scosse la testa.

«Tienilo pure, ci vediamo domani.» Le disse, alzandosi e passandosi il dorso della mano sul taglio ormai quasi rimarginato sulla fronte. «Ho bisogno anche io di darmi una sistemata, e poi andrò ad aiutare il resto dei fratelli e sorelle con i feriti.»

«Allora ci vediamo lì tra qualche ora.» Rispose subito Marian, scattando in piedi anche lei.

L'altro sorrise. «Ti aspetto.»

Isabela scosse la testa, sbuffando. «Certo che siete proprio incredibili...»
































Note dell'Autrice: ebbene sì, il piano di Geralt e co era quasi andato in porto, e avrebbe forse funzionato se non ci fossero stati gli Hawke e amici a fermarli. Ma Xebenkeck comunque non è l'unico demone che ha attirato l'attenzione del nostro mago del sangue (chi ha orecchie per intendere intenda, gli altri in camper), vedremo in futuro cosa combinerà (e se si darà una regolata). Jowan ha rischiato di cedere al demone della disperazione che lo perseguita, e Zevran sembra aver trovato un'amica elfa maga del sangue con cui divertirsi. Proprio una bella compagnia, no? (Ho in mente di scrivere qualcosina tra la fine del secondo atto e l'inizio del terzo, per vedere come se la stanno passando i protagonisti di Dragged... vedremo cosa ne esce.)
Marian non ha dubitato manco per un attimo del fratello, e addirittura si è dovuta ricredere su Anders, pur scoprendo il suo segreto. Leandra si è messa il cuore in pace, vedendo sistemato almeno uno dei due figli (l'altra ahimè è ancora in alto mare) e Rodney Cavin finalmente si è levato di torno (per ora), mentre Aveline e Donnic hanno dovuto rischiare la pelle per combinare qualcosa.  Il teatrino di Garrett ed Anders nelle cucine mi ha divertito moltissimo mentre lo scrivevo, così come il bacio finale. 
Alla prossima! :D 

  
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