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Autore: Emmastory    10/11/2019    5 recensioni
Dopo essersi unita al suo Christopher nel sacro vincolo del matrimonio, Kaleia è felice. La cerimonia è stata per lei un vero sogno, e ancora incredula, è ancora in viaggio verso un nuovo bosco. Lascia indietro la vecchia vita, per uscire nuovamente dalla propria crisalide ed evolvere, abituandosi lentamente a quella nuova. Memore delle tempeste che ha affrontato, sa che le ci vorrà tempo, e mentre il suo legame con l'amato protettore complica le cose, forse una speranza è nascosta nell'accogliente Giardino di Eltaria. Se avrà fortuna, la pace l'accompagnerà ancora, ma in ogni caso, seguitela nell'avventura che la condurrà alla libertà.
(Seguito di: Luce e ombra: Essere o non essere)
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Luce e ombra'
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Luce-e-ombra-III-mod
 
 
Capitolo XXXI

Uniti ma feriti

In un battito di ciglia, un nuovo eppure vecchio gioco astrale si era ripetuto ancora una volta, e con il sole a solleticarmi il viso, apro gli occhi a fatica, proteggendomi da quella luce timida ma accecante. Sono appena sveglia, non sento niente se non proprio quella sensazione di calore sulla pelle, e all’improvviso, scomparsa l’adrenalina, eccolo. Il dolore, lo stesso dolore sentito poco prima di svenire, forse un semplice caso, una reazione allo stress o un tentativo dei miei bambini di rincuorarmi in un momento come questo tramite quello che le ninfe chiamavano eccesso di magia, forse perfino qualcosa di diverso, ma ora non importava. Non volevo pensarci, solo riposare e sperare che stessero bene. La mia condizione non era grave, anzi, ero certa che presto mi sarei rimessa in piedi, ma a quanto sembrava, non era ancora il momento. Indolenzita, mi rigirai sul fianco alla ricerca di una posizione più comoda e un minimo sollievo dal dolore, e grazie al cielo, ogni acciacco scomparve non appena mi voltai. Confusa, mi guardai intorno alla ricerca di Christopher, e aguzzando appena la vista, lo scoprii in piedi accanto al lago dei cigni, intento a giocare con uno dei boccioli e parlargli dolcemente. “Avanti piccolino, puoi farcela, so che puoi.” diceva, rivolgendo a un futuro folletto e incoraggiandolo a provare a volare. A quella vista, sorrisi debolmente, e pur sicura che non avrebbe imparato prima dei tre anni di vita, quando le  sue ali sarebbero state grandi abbastanza da riuscire a permetterglielo, trovai tenero quel gesto, e rompendo il silenzio, presi la parola. “Chris, è troppo presto. Non vedi quant’è piccolo?” dissi soltanto, facendogli notare quel suo errore con dolcezza. Voltandosi a guardarmi, lui sorrise a sua volta, poi si avvicinò, e inginocchiandosi, mi prese per mano. “Lo vedo, amore, ma tutti hanno bisogno d’aiuto una volta o l’altra. Sai bene che prendo il mio lavoro sul serio. Che c’è, non lo ricordi più?” mi chiese, scherzoso come al solito, capace di trovare ilarità anche nei momenti più seri. “Certo. Certo che lo ricordo, mio custode.” Risposi, soffiandogli quelle poche parole sulle labbra appena prima di un bacio che ci tenne uniti per i secondi a venire. Un contatto dolce, caldo e tenero, con lo strano eppure unico potere di calmare i battiti del mio cuore e al tempo stesso accelerarli, farmi sentire serena e al sicuro, e tranquilla come non mai. Senza volerlo, finii per chiudere gli occhi, e non vedendo altro che il buio, mi strinsi a lui alla ricerca di conforto. Silenziosi, gli ospiti della grotta rimasero a guardarci, e sia Carlos che Aster, innamorati almeno tanto quanto noi, si emozionarono nel notare ancora una volta la profondità del nostro amore. “Algo asì nunca habia pasado. No crees, mi amor?” Un’altra frase in quella lingua che non capivo, ma che data la situazione, compresi essere una sorta di esclamazione di sorpresa o qualcosa di simile. “No, nunca, corazón.” Tre sole parole che Aster pronunciò in risposta, ma che nonostante il sorriso che le accompagnò, non riuscii a intuire. “Chris, sai cos’hanno detto?” azzardai, sempre più confusa. Intenerito dalla mia curiosità, Christopher mi riservò un sorriso più dolce degli altri, e accarezzandomi una guancia, si preparò a parlare. “Per te è una lingua nuova, fatina. Si chiama spagnolo. Lui ha detto che una cosa del genere non è mai successa, riferendosi a noi, e lei invece gli ha dato manforte. L’ha chiamato “suo cuore.” Spiegò, tranquillo e rilassato mentre mi sfiorava la guancia. “Suo cuore?” gli feci eco io, emozionata. “Santo cielo, è così dolce.” Commentai poi, sorpresa. “E anche vero per tutti e quattro, non trovi?” fu veloce a rispondere lui, per nulla impressionato dalle tenere effusioni che i nostri due amici si stavano scambiando. “Già, hai ragione. Dì, credi che potrei impararlo?” replicai con tranquillità, poco prima di azzardare quella domanda. Sorpreso e stupito dalla mia forza di volontà, il mio amato si limitò a guardarmi, e non appena pochi istanti svanirono nel vento, si ridusse al silenzio, accennando appena un nuovo sorriso. “Certamente, amore. Nessuno potrà mai vietartelo.” Disse poco dopo, sincero e innamorato come non mai. Con il cuore in tumulto, per poco non piansi, ma imponendomi a mia volta la calma, non dissi altro, e nel silenzio di quel mattino appena spuntato, parlai con me stessa. “Come nessuna potrà mai vietarmi di amarti, Chris.” Come tante, anche queste furono parole che mi rimasero nella mente e nel cuore, scolpite e dipinte come statue o graffiti nella roccia. Persa in un silenzio tutto mio, mi rimisi in piedi, e concentrando l’energia nelle punte delle dita, decisi di fare ciò che andava fatto, e regalare a quel minuscolo folletto almeno qualche istante di meraviglia. Ancora troppo piccolo per volare davvero, avrebbe imparato con il tempo, ma fu fermandomi a pensare che compresi che Christopher aveva ragione. In fin dei conti, chi ero per negare la gioia a quella creatura? Nessuno, ecco chi. Tranquilla, diedi vita a un incantesimo di levitazione, e trasportato dalla mia magia, il folletto, o bocciolo, come diceva Aster, riempì la caverna della sua risata cristallina e infantile. Orgogliosa anche dei più goffi dei suoi tentativi, e abbassando lo sguardo, lo fissai ancora una volta sul mio ventre. Sempre piatto, sempre affatto visibile, ma nonostante tutto capace di nascondere e custodire la vita, anzi le vite che mi portavo dentro. Distratta, provai ad accarezzarlo, e reagendo, il mio ciondolo brillò di luce propria, riportando a galla i ricordi del giorno già scomparso. Eravamo arrivati alla grotta solo grazie a un pizzico di fortuna, avevo avuto paura ed ero perfino svenuta, ma alla fine era andato tutto per il meglio. Se c’era qualcuno da ringraziare, quelli erano Christopher, Amelie, Lucy e la sua intera famiglia, cucciolo compreso, che ora se ne stavano tutti in disparte, ognuno preso da diverse mansioni. Se Amelie restava con le sorelle, e Aster con il suo fidanzato, la mia amica pixie giocava con la sorellina sul pavimento di roccia a poca distanza da me, improvvisando un gioco che guardandola, ricordai subito. Sedute l’una di fronte all’altra, le due si colpivano le mani a vicenda tenendole alte di fronte a loro, e poi, dopo ogni scoppio di magia, recitavano una sorta di formula. Concentrata, tentai di ricordarla, e proprio in quel momento, mi apparve in mente, chiara e inconfondibile. Magimani, ecco qual’era. Intanto, il loro piccolo Rover giocava per conto suo, rincorrendosi la coda e sparendo in una nuvola color sabbia non appena la trovava, per poi ricomparire in tutt’altro punto della grotta. A quella scena, risi di cuore, e quasi commossa dalla loro innocenza, distolsi lo sguardo per evitare di emozionarmi troppo. Era stato bello vedere i risultati della mia prima ecografia, i corpicini dei miei due futuri figli ancora intenti a formarsi a dovere, sentire il battito dei loro minuscoli cuori in perfetta sincronia, regali che ogni madre riceveva costantemente, e che io avrei conservato anche dopo la loro crescita e il loro ingresso nell’età adulta. Pensieri ai quali mi abbandonavo nell’attesa del lieto evento, e che mi cullavano durante il sonno e poco prima della veglia. Ad ogni modo, ormai in piedi e troppo annoiata per restar chiusa fra quelle mura, mi riavvicinai a Christopher. “Che dici, ti va di uscire?” proposi, desiderosa di far quattro passi, sgranchire le gambe e perché no, anche rivedere quel magnifico Giardino di cui in precedenza avevo avuto solo un assaggio. Annuendo, Christopher si preparò a seguirmi, voltandosi verso Amelie per cercare una conferma, e prima che potessimo lasciare quel luogo, L’Arylu di Lucy insistette per seguirci. Piccolo e nero, vantava delle focature marroni sul petto e su parte delle zampe, mentre anche la lingua aveva lo stesso colore. Abbaiando felice, ci corse incontro, e imbarazzata, la padroncina fece del suo meglio per fermarlo. “Rover, no! Aspettaci!” gridò, sperando di richiamarlo all’ordine. Voltandosi verso di lei, il cucciolo si sedette, e agitando la coda, diede vita a piccole scosse all'interno della grotta stessa, mentre un piccolo cumulo di terra comparve proprio dov’era seduto. Tornato alla calma, non si mosse, e guardandola con i suoi occhioni scuri, attese.“Sono stato bravo?” parve volerle chiedere, con la lingua colorata che gli spuntava fuori dalla bocca. “Dobbiamo chiedere il permesso prima di fare qualcosa, capito?” gli disse, abbassandosi al suo livello e accarezzandogli la testolina pelosa. Incapace di star fermo e in silenzio, il cucciolo abbaiò ancora, poi si calmò. “Ecco, bravo cucciolo.” Continuò la bambina, orgogliosa di lui. Felice, il cagnolino si godette quelle carezze, e dopo una sorta di via libera da parte di Amelie, uscimmo. Seguita da Lucy e Lune, salutai le ninfe ringraziandole dell’aiuto, e sorridendomi, queste mi imitarono. Di lì a poco, il viaggio verso il Giardino ebbe inizio. Incuriosito dal mondo circostante, il piccolo Rover continuava a guardarsi intorno, abbaiare e correre mettendosi in testa alla nostra marcia, e Lucy rideva di lui, divertita dal non riuscire a stargli dietro. “Però! È veloce!” commentai, sorpresa. “Tipico di un cucciolo curioso, amore.” Rispose Christopher, per nulla impressionato e anzi divertito dalle scorribande dell’animaletto. Della stessa taglia di un cagnolino, ma con le sembianze di un lupacchiotto, dolce e adorabile nella sua ingenuità. Ignorandolo, Chris ed io continuammo a camminare, e fatti pochi passi, notai qualcosa. Proprio davanti a noi, un lungo ponte di corda sapientemente ricavato dal legno d’albero, e per tutta la sua lunghezza, alberi di ciliegio. Colpita, sentii il respiro spezzarmisi in gola, e stringendo la mano di Christopher ne approfittai per un abbraccio. “Baciami, amore, ti prego.” Supplicai, ritrovandomi a non desiderare altro che il contatto delle sue labbra sulle mie. Silenzioso, lui non si fece attendere, e accontentandomi, parve dimenticare qualunque cosa. Improvvisamente, le nostre amiche pixie erano come scomparse, con loro anche l’amico Arylu, e pochi istanti più tardi, perfino ogni suono e rumore attorno a noi. Gli unici ancora esistenti erano i battiti dei nostri cuori, che sicuri e continui, ci facevano quasi male, minacciando di schizzarci via dal petto alla prima occasione. Innamorata com’ero, non trovai pace, e avida di lui, chiesi con la lingua l’accesso alla sua bocca, sospirando quando il nostro bacio si fece più profondo. Non l’avevo mai pregato a quel modo, non ne avevo mai avuto né sentito il bisogno, ma a quanto sembrava, il lento avanzare della mia condizione portava con sé anche cambiamenti del genere. Distratte dai loro giochi le pixie ci ignorarono, e sospinte forse dal vento, forse dalla mia magia senza controllo e libera di scorrere, mille e mille foglie rosa caddero dai rami fino a formare un tappeto ai nostri piedi, e sempre più emozionata, osai ancora, sentendo il mio amato gemere mentre la mia lingua si intrecciava alla sua. Emozionata quanto e forse più di lui, finii per imitarlo, ma in quel preciso momento, ogni cosa ebbe fine. Sorpresi, ci staccammo subito, e fu allora che lo notai. Veloce come il vento, Ranger, il falco di Noah, che volando appena sopra di noi, per poco non perse il controllo. Spaventata, mi protessi il viso con un braccio, e aguzzando la vista, notai il suo padrone in lontananza. Sfidando il moto d’aria creato dalle ali del falco, tentai di avvicinarmi, ma invano. Il vento era troppo forte, i miei muscoli improvvisamente deboli, e lui, lontano e irraggiungibile, triste come mai l’avevo visto. Facendo ancora ricorso alla magia, tentai di dominare l’aria, e per pura fortuna, anche quella tempesta cessò. Attonita, non seppi cosa pensare, ma quando finalmente anche Ranger tornò alla calma, provando a posarsi sulla spalla di colui che l’addestrava, rimase invece sospeso a mezz’aria, confuso nel vederlo allontanarsi senza una ragione apparente. Provando istintivamente pena per lui, mossi qualche passo in avanti pregandolo di fermarsi, ma con il vento fermo e la voce ancora spezzata dalla paura, non riuscii a farmi sentire. Pallide come cenci, anche le pixie tornarono da noi, e tremante, Rover si accucciò accanto a Lucy, trovando poi rifugio proprio dietro di lei. “Ho paura.” Sembrò voler dire, rompendo il silenzio con un debole uggiolio. “Ho paura anch’io, Rover, anch’io.” Gli risposi in un sussurro, l’ultimo che riuscii a proferire mentre guardavo Noah allontanarsi sempre di più. Contrariamente a ciò che pensavo, ora Eden non era con lei, e rimasti soli, sia lui che Sky provavano le stesse cose. Spostando lo sguardo, lo fissai su Christopher, e scambiandomi con lui un’occhiata d’intesa, capii. Vicini o lontani che fossero, lui e mia sorella avevano ancora dei sentimenti l’uno per l’altra, amandosi e odiandosi a vicenda e nello stesso momento. Sapevano di amarsi ancora, di sentire ancora i propri cuori battere nel silenzio, ma detestavano non poterselo dire, lui perché confuso dal rapporto con Eden e lei perché ferita dal suo abbandono. Se lei si sentiva usata, lui si reputava un idiota, e ora, solo in assenza dell’elfa, non riusciva a smettere di pensare a lei. Poco prima che se ne andasse, avevo visto il dolore nei suoi occhi, ma per pura sfortuna, non il coraggio di cui avrebbe dovuto avvalersi per decidere di fare, o meglio, rifare il primo passo. Geloso e desideroso di difendere il padrone ed evitargli altra sofferenza, Ranger era intervenuto per dividerci, e in quel pomeriggio passato da luminoso a cupo, rimasi ferma su quel ponte a riflettere, e con lo sguardo rivolto al fiume appena sotto di noi, a piangere. Soffrivo, e se accadeva c’era una ragione, in quanto lo facevo per una coppia che ormai non era più tale, e per due innamorati uniti ma feriti.  
 
 
Un buon pomeriggio ai miei lettori. Mi scuso del ritardo nella pubblicazione del nuovo capitolo, ma il freddo e il brutto tempo degli ultimi giorni mi avevano davvero messa KO. Ora sto meglio, e sono finalmente riuscita a scrivere il prosieguo della storia della nostra fata Kaleia, ora più che mai in pena per la sorella che ancora soffre per amore. Vi ringrazio di cuore di tutto il vostro supporto, ci rivedremo nel prossimo capitolo,
 
Emmastory :)
   
 
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