Ƹ̵̡Ӝ̵̨̄Ʒ A Little Too Much, A Little Too Soon (Maybe) Ƹ̵̡Ӝ̵̨̄Ʒ
«Se
pensavate davvero
che potesse finire diversamente siete idioti».
«Tu
non dai a me dell’idiota,
Tesarus! Ci siamo capiti?!» sbottò Helex.
Di
norma era difficile trovare un simile livello
d’irrequietezza nella Peaceful Tiranny il giorno dopo aver
eliminato un nome
dalla Lista: era quel che costituiva la migliore valvola di sfogo per
la
violenza e il sadismo indicibili che albergavano nella stragrande
maggioranza
dei componenti della DJD.
Il
giorno prima però era successo qualcosa che non sarebbe
dovuto succedere, o meglio, che era successo prematuramente.
«Io
non l’ho fatto. Hai fatto da solo, e non capisco come tu
abbia potuto credere che potesse veramente far parte del gruppo. Non mi
è
antipatica, solo che non c’entra niente con noi»
continuò Tesarus «Noi siamo
Decepticon, noi abbiamo scelto di essere qui. Lei è qui solo
perché a Tarn è
venuta voglia di riempire quella piccola testa vuota con parole che non
può
neanche capire! Si era seduta su un cadavere con quella cyberfarfalla
sul dito
e non aveva nemmeno capito cosa stesse
usando come
sedia! Cazzo!»
«Dovresti
proprio dire tutto questo a Tarn quando si farà
vedere, Tess» lo punzecchiò Kaon, giocando
distrattamente col cane.
«Io
ho ragione!» sbottò il Decepticon «Noi
siamo la DJD,
facciamo il nostro mestiere, ci piace e continueremo a farlo. Qualcuno
di voi
ha voglia di smettere solo perché una bambina si
è sconvolta?... No, eh?
Appunto!»
Nickel,
solitamente con una risposta sempre pronta, in quel
caso non si sentì di dar torto a Tesarus. Pur non
concordando sul “parole che
non può neanche capire”, il resto del suo discorso
aveva dato voce ai pensieri
che aveva sempre avuto da quando aveva fatto conoscenza con
Spectra.
Tesarus
aveva parlato bene, tutti loro erano lì di propria
volontà e per buoni motivi, lei per prima aveva abbracciato
la filosofia
Decepticon perché il loro disprezzo verso gli organici
rispecchiava il suo: era
la sola sopravvissuta di un massacro in cui degli alieni organici
appartenenti
a un ordine fortemente anti mecha aveva spazzato via la colonia -tra
l’altro
totalmente pacifica- dov’era nata e cresciuta, e in nome di
questo riusciva
anche ad accettare tranquillamente le attività della
DJD.
Spectra
però non odiava nessuno, non era violenta né
sadica e
per forza di cose sapeva ben poco della vita reale. Se fosse successo
più tardi,
se Tarn fosse riuscito a istruirla di più, a plasmarla di
più rispetto a quanto
fatto in quei venti giorni -ormai ventuno- forse sarebbe
stato
diverso, ma così… come avrebbe potuto accettare
quel che aveva visto il giorno
prima?
.::. Il
giorno precedente .::.
Tarn
aveva una quantità infinita di morti sulla coscienza,
talmente tante da aver perso il conto da tempo immemorabile. Il suo era
più di
un mestiere: era una vocazione, era uno stile di vita, era praticamente
una
fede, ed era forte.
Di
solito tendeva ad andarne fiero.
Tarn,
dopo Megatron stesso -inarrivabile, non paragonabile ad
alcun altro- era sicuro di essere il Decepticon che più di
chiunque altro
incarnava quello spirito; di conseguenza non perdeva mai
l’occasione di fare
monologhi più o meno lunghi per darne ulteriore
dimostrazione, specie quando
decideva di porre fine alle atroci sofferenze cui il sui gruppo
condannava la
vittima di turno.
“No,
non vittima: il reo. Definire loro delle vittime farebbe
di noi i colpevoli, farebbe di me il
colpevole,
cosa che non è. Sono loro che se la cercano. Non
succederebbe nulla se non
fossero Autobots, se non tradissero la dottrina Decepticon
deliberatamente o se
la conoscessero quanto dovrebbero, così da evitare errori
grossolani. Essere
nemico dei Decepticon è una colpa grave, il tradimento lo
è ancora di più e
anche l’ignoranza, salvo un caso su miliardi, lo è
altrettanto. Ecco perché
sono loro i colpevoli. Ecco perché lo sono sempre. Loro, non
noi, non io”.
Tuttavia
c’erano delle occasioni in cui le vitt- in cui i colpevoli cui
lui era
in procinto di dare il colpo di grazia riuscivano a coglierlo con la
guardia
abbassata.
Di
solito erano quelli che, pur ricevendo la pena massima
come tutti quelli che passavano per le mani della DJD, avevano commesso
infrazioni
“minori”. Per modo di dire, in realtà
erano tutte gravi, ogni possibile
minaccia all’autorità di Megatron lo era
già solo in quanto tale.
Eppure
nonostante il numero di esecuzioni, nonostante
l’abitudine, c’era ancora qualche caso in
cui per qualche momento si
sentiva perfino… toccato.
A
volte, come quel giorno, tale sensazione lo spingeva a
decidere di non uccidere il malcapitato con la propria voce,
lasciandolo invece
alle amorevoli cure di Tesarus, Vos, Helex e Kaon, i quali non si
facevano
domande: era tutto divertimento in più per loro.
«È
vostro».
Quelli
erano i momenti in cui ricordava il vero motivo per
cui portava la maschera.
Non
lo faceva in onore del loro fondatore, non lo faceva per
nascondere la propria identità o per terrorizzare
ulteriormente le proprie
vittime: lo faceva perché nessuno potesse notare quei suoi
momenti di debolezza
-momenti che in realtà erano più che altro
di consapevolezza, vaghi
barlumi di
coscienza in un costante delirio da zelota.
Prima
che potesse allontanarsi vide il disgraziato
animarsi improvvisamente, come ad aver intravisto una speranza di
scamparla che
non poteva esistere.
«Ai…
u…»
Con
un filo di voce proveniente dall’ammasso di buchi che un
tempo era stato una faccia -non più, da dopo che Vos gli
aveva fatto indossare
la propria- e con lacrime di energon a gocciolare dal solo mezzo
sensore ottico
che gli restava, stava tendendo disperatamente in avanti quel che
restava delle
braccia fuse fino a oltre metà. Dimenava quel che fino a
poco prima era stato
un corpo da seeker e ora era un ammasso di ferraglia distrutto e
semidisciolto,
la cui unica ala sopravvissuta recava ancora il simbolo dei Decepticon,
diventato talmente fragile da poter essere graffiato dal terreno
roccioso.
“Non
ho voglia di assistere a questa cosa triste e patetica,
non adesso” pensò Tarn.
«A…
aiut…»
Helex
fece uno sbuffo. «Pare che questo sia uno di quelli che
ha le visioni, direi di farlo stare zitt… oh, guarda chi
c’è! Lilleth, vieni qui
anche tu, ora che è ammorbidito magari riesci a staccargli
qualche pezzo!»
No.
Non
poteva essere.
Helex
non poteva aver detto veramente “Lilleth”. Quello
era
il modo in cui alcuni nella nave avevano iniziato a chiamare Spectra,
ma
Spectra non poteva essere lì, non doveva essere
lì, Spectra doveva essere nella
Peaceful Tiranny che sì, era effettivamente poco distante,
ma non significava
nulla.
Lei
non doveva essere lì, non in quel giorno, non in quel
momento, lei non era pronta e lui lo sapeva. Non era pronta, non poteva
esserlo, non le aveva ancora insegnato abbastanza, e se lei avesse
visto quello
ora -quello,
un qualcosa che
aveva toccato anche lui con la sua fede incrollabile- tutto il lavoro
che stava
facendo avrebbe potuto svanire, cancellato da un’esperienza
vissuta troppo
presto, maledizione, troppo presto!
Si
voltò, vide che purtroppo era veramente lì e si
chiese
come a Helex fosse potuto passare per la testa che invitarla a unirsi
fosse una
buona idea: l’espressione terrorizzata, il tremore e le
manine strette al petto
facevano pensare che avrebbe potuto collassare da un momento
all’altro.
«Spectra,
ferma. Rimani dove sei» le intimò, notandola
indietreggiare nel vederlo avvicinarsi «È tutto a
posto. Tu e io adesso
torniamo alla nave».
Vide
a terra un contenitore rovesciato dal quale erano
fuoriusciti dei biscotti. Quello doveva essere il motivo per cui si
trovava lì:
guardando il radar doveva aver visto i loro segnali fermi relativamente
vicino
alla nave e, poiché era giorno di dolci, doveva aver deciso
di fare loro una
sorpresa e raggiungerli con quelli.
“Invece
la sorpresa l’ha avuta lei”.
«Ti
consiglio di staccare i recettori audio fino a quando ti
poserò a terra di nuovo» le disse, prendendola in
braccio.
La
giovane iniziò a piangere. «N-non… non
puoi fermare tutto?
Fermali, per favore…»
«No.
Stacca i recettori, Spectra».
Non
poteva essere sicuro che lei gli obbedisse, non aveva
modo di controllare che li staccasse o meno, dunque poté
solo augurarsi che gli
desse retta. I rumori che avrebbe sentito se non l’avesse
fatto non le
sarebbero piaciuti.
«Di
tutto quel che avresti potuto fare, di tutti i momenti
che avresti potuto scegliere…»
sospirò.
Lei
non rispose né si mosse durante tutto il tragitto da
lì alla
Peaceful Tiranny. Tarn non sapeva se interpretarlo come un buon segno
ma era
sempre più comodo rispetto a dover tenere fermo qualcuno che
strillava cercando
di scappare.
«Spero
per te che stavolta i T-Cog siano in condizioni
decenti» fu la prima cosa che gli disse Nickel vedendolo
rientrare «Perché ti
avverto, se così non fosse questa è
l’ultima volta in cui-»
Si
interruppe bruscamente notando prima che non era solo, poi
tutto il resto. Non impiegò molto per mettere insieme i
tasselli.
«Oh
no».
«Oh
sì» replicò Tarn.
«Non
mi ero accorta che fosse uscita, se l’avessi
vista-»
«Tu
non sei la sua balia» la interruppe lui «Inoltre
non le
ho mai ordinato in modo chiaro di non uscire dalla nave in mia assenza
per
andarsene in giro, avevo dato per scontato che non avesse motivi per
farlo. È
stata una mia mancanza non aver previsto che Spectra potesse fare delle
azioni
da… Spectra. Voleva portarci i dolci».
Nickel,
con un sospiro nervoso, si massaggiò la fronte.
«In
ogni caso era inevitabile. Prima o poi, più prima che poi,
avresti dovuto
scendere più nel dettaglio riguardo quel che fa la DJD. Il
fatto che sembri non
riuscire neppure a sentirci non è
incoraggiante».
«Le
ho detto di staccare i recettori audio. Le parlerò una
volta che l’avrò portata nel vostro alloggio,
spero con buoni risultati».
«E
se non dovessero essercene?»
La
risposta di Tarn alla domanda di Nickel fu qualche secondo
di completo silenzio.
Senza
attendere oltre, il Decepticon portò Spectra
nell’alloggio condiviso da lei e Nickel. Progettato con una
singola cuccetta
per transformers di statura non eccessiva, risultava comunque spazioso
per due
piccolette come loro. C’era perfino un piccolo bagno attiguo,
installato dopo
l’arrivo di Nickel a bordo: era un minicon ma era sempre una
signora.
Mise
Spectra sulla cuccetta. «Hai riattivato i tuoi
recettori?»
Lei
annuì. Li aveva riattivati appena lui l’aveva
messa giù,
proprio come le aveva ordinato.
«Bene.
Dobbiamo parlare un po’».
Spectra
sollevò lo sguardo. Piangeva ancora.
«Perché?»
«Mi
sembra ovvio il perché».
«Perché quello?»
domandò ancora
Spectra, sollevando una mano tremante a indicare un punto non meglio
definito
«Perché? C-cosa… cos’ha
fatto? Cosa… n-no» scosse la testa «No,
qualunque cosa
possa aver fatto non… non meritava… i-io lo so
che c’è la guerra, avevo capito
che voi… che vi capitava di uccidere m-ma… ma
quello che avete fatto, tutto
quello» si coprì il viso con le mani,
artigliandosi la fronte «È troppo,
è…
orribile, orribile…»
Indubbiamente
lo era e lei non avrebbe potuto scegliere
occasione peggiore per ricordarglielo, ancora reduce com’era
dalla “debolezza”
di prima.
“Questa
è una valida ragione per farmela passare. Dire a lei
perché lo faccio lo ricorderà anche a me stesso.
Dovrei vergognarmi di
lasciarmi ancora andare a certe cose” pensò
Tarn.
Dopo
qualche istante strinse le braccia della giovane in una
presa salda e le abbassò. «Quello che facciamo
è necessario. Il nostro lavoro è
giustiziare chi si rende colpevole di atti tali da meritarlo. I
“cattivi”, se
ti è più chiaro detto così. Non
è un destino a cui vanno incontro tutte le
persone che ci capitano davanti per sbaglio, Spectra, la tua presenza
qui ne è
la prova».
«Era
anche un Decepticon… era un Decepticon, io l’ho
visto,
ho visto il simbolo che aveva addosso, era uno della tua fazione,
perché dici
che era cattivo?!»
«Perché
a volte le persone fanno cose che sono contrarie a
quello cui dicono di credere e per cui dicono di combattere. Si
allontanano
dalla dottrina che avevano scelto, la ripudiano, la ignorano, ne
minacciano la
stabilità con le loro azioni stupide, inconsulte o
volutamente dannose. Le minacce
interne sono peggiori di quelle esterne: da quelle esterne sai
cos’aspettarti e
come difenderti, con quelle interne può essere un
po’più difficile. Questo è il
motivo per cui esiste la DJD. Questo è anche il motivo
dietro a quello che hai
visto» aggiunse Tarn.
«I-il
motivo?...»
«La
pace attraverso la tirannia a volte ha bisogno dell’aiuto
della paura per essere mantenuta. Se tu fossi un Decepticon con una
mezza
voglia di fare qualcosa di stupido, saresti propensa ad assecondarla
sapendo
qual è la pena? No. Ecco che così facendo
c’è già un cattivo un meno a
minacciare tutto quel che Megatron ha costruito. Ricordi quello di cui
abbiamo
parlato il tuo tredicesimo giorno qui, la parte riguardo i sacrifici?
Ricordi
cosa ti ho detto in quell’occasione?»
Se
non gli avesse risposto lo avrebbe capito, era un momento
difficile per lei, ma Spectra parve riuscire a fare mente
locale.
«”Nessun
sacrificio è troppo grande se la causa è
giusta”»
disse con un filo di voce.
Sentire
che aveva ricordato e capito di cosa le stava
parlando riuscì perfino a dare a Tarn una mezza
speranza.
«Esatto»
confermò «È di questo che si tratta.
Quel che
facciamo, quel che faccio, è risaputo. Ad avere meno voglia
di fare qualcosa di
stupido quindi non è un solo Decepticon, sono molti. Tutti
“cattivi” corretti
prima che lo diventino e che complichino l’esistenza a se
stessi e agli altri,
e che quindi vivranno tranquillamente. Anche per sempre felici e
contenti,
perché no?»
«Dici
che era cattivo e ho capito ma quel che avete fatto
è…
voi l’avete bruciato, voi l’avete distrutto, lui
era-»
«“E
fu così che il principe e la principessa vissero per
sempre felici e contenti, mentre al perfido fratello della principessa,
per
tutto quel che le aveva fatto, venne fatta indossare
un’armatura di corde
magiche imbevute di olio che avrebbero bruciato senza consumarsi fino a
quando
di lui non sarebbero rimasti altro che i brutti ricordi,
anch’essi destinati a
svanire col tempo”. Sì, ho dato
un’occhiata ai tuoi libri di fiabe»
confermò
Tarn, vedendola sorpresa «Tutto molto bello per i buoni, ma i
cattivi… le loro
pene mi ricordano qualcosa. Pare che a volte le fiabe diventino
realtà, anche
se non nel modo e nelle parti in cui ci si
aspetterebbe».
Lei
stavolta non disse nulla, restando ferma anche
quando lui asciugò le sue lacrime e pose con fermezza le
mani sulle sue piccole
spalle.
«Spectra,
ora io devo chiederti una cosa» disse il
Decepticon, percependo chiaramente attraverso i pollici le pulsazioni
della
Scintilla della giovane «Allo stato attuale, ora che abbiamo
parlato, pensi di
riuscire a capire e accettare il tutto?»
Spectra
rimase immobile per qualche attimo.
«Sì»
mormorò.
Tarn
tolse le mani dalle sue spalle. «Bene. Speravo che lo
dicessi».
«Solo…
m-mi sento un po’stanca, adesso».
«Capisco.
Hai il resto della giornata libera, puoi riposare
tranquillamente, nessuno ti disturberà. Ovviamente Nickel
tornerà qui per
dormire quando sarà l’ora ma di certo non ti
accorgerai neppure».
Spectra
si rannicchiò sulla cuccetta.
«Grazie».
Arrivato
sulla soglia, Tarn si voltò nuovamente a guardarla.
«Non eri pronta per questo. Sarebbe stato meglio se avessi
potuto assorbire un
altro po’della nostra mentalità e del nostro stile
di vita prima di venire a
conoscenza di certi dettagli. Quello che ci è stato giocato
è stato proprio un
brutto tiro. A domani, Spectra».
Detto
questo se ne andò. Lasciarla stare era la miglior cosa,
soprattutto in vista del fatto che contasse di tenerla particolarmente
d’occhio
nei giorni successivi.
Aver
sentito quel suo “Sì” era stato
già molto, se non
moltissimo, però non era sufficiente sul lungo termine. Tra
il dire e il fare
c’era di mezzo il mare, dunque voleva vedere come si sarebbe
comportata e
quanto tempo avrebbe impiegato per riprendersi, sperando che riuscisse
a farlo
davvero.
Dopo
essere rimasta sola Spectra aspettò di sentire i passi
di Tarn farsi più distanti e, quando ebbe concluso che
questi si fosse
allontanato abbastanza, corse dritta in bagno, preda di
un’irrefrenabile nausea
che la costrinse a inginocchiarsi e rimettere anche
l’anima.
Passati
gli ultimi strascichi di conati, sentendosi
mentalmente stremata come mai le era capitato in vita sua,
aprì il rubinetto
della doccia di olio caldo e, poggiata la fronte contro la parete, si
lasciò
avvolgere dal calore di quell’abbraccio liquido.
“A…
aiut…”
Strinse
la testa tra le mani e chiuse i sensori ottici
nuovamente pieni di lacrime, cercando di scacciare dalla mente
l’immagine di
quel povero disgraziato.
Non
poteva fare niente per lui, a quel punto probabilmente
era già morto, o così c’era da
sperare.
«Mai
farò del male a qualcuno in quel modo»
sussurrò «Mai
ucciderò, mai. Mai!» esclamò,
stringendosi la testa ancora più forte con le
mani tremanti «Non importa se mi daranno addosso, non importa
se saranno Autobots
o altri Decepticon, non importa, io mai, mai diventerò… mai diventerò…»
“Un
mostro come loro”.
Crollò
nuovamente in ginocchio.
“Pensano
davvero di avere ragione, pensano davvero che gli
altri lo meritino e che siano cattivi, e io gli ho detto che lo
capisco, ed è
vero, io ho capito quello che mi ha detto, e io gli ho detto che lo
posso
accettare, ma come, perché-”
Le
mani di Tarn sulle sue spalle.
Aveva
le mani grandi rispetto alle sue spalle, vero, ma quei
pollici che erano rimasti all’altezza della sua Scintilla non
avrebbero
impiegato molto sforzo per sfondarle il petto in caso di una risposta
sbagliata, lei era così esile.
Sarebbe
stato rapido e pressoché indolore.
«NO!»
gridò, scagliando entrambi i pugni contro il muro
metallico.
“Non
l’avrebbe fatto, non ha pensato di farlo e non dovrei
pensarlo nemmeno io. Lui è quello che è, loro
sono quello che sono ma…” i pugni
scivolarono lungo il muro “Hanno anche qualcosa di buono. Lo
hanno, sono mostri
ma lo hanno, lo devono avere, tutti lo
hanno…”
Vos.
Lui
in quei venti giorni era sempre stato dispostissimo a
cercare di insegnarle la sua lingua, mai l’aveva maltrattata
nonostante la sua
pronuncia continuasse a fare piuttosto schifo.
Helex.
Aveva
sempre apprezzato i suoi biscotti ed era stato lui a
chiamarla “Lilleth” per primo. Il soprannome le
piaceva anche se, purtroppo,
lei dei graziosi uccellini di vetro aveva visto solo le
immagini.
Kaon.
Sembrava
starle intorno volentieri quando lei giocava col suo
cane e nell’ultima settimana aveva anche iniziato a farle
vedere qualche
trucchetto di hacking. Erano stati tutti interessanti!
Tesarus.
Non
avevano scambiato molte parole a parte “Buongiorno”
e
“C’è una guerra lì
fuori”, ma alla fine neppure lui era stato cattivo con
lei.
Nickel.
Era
stata carina con lei fin dall’inizio, e lei stessa era
carina, piccolina ma con un carattere e una capacità di
rispondere che Spectra
in certi casi avrebbe voluto possedere a sua volta. Le aveva permesso
di
decorare un po’la loro stanza e le aveva anche insegnato
svariate cose, ora
avrebbe saputo trapiantarsi un sensore ottico anche da sola.
Tarn.
Avrebbe
avuto molto da dire su di lui, sulla pazienza che
aveva avuto con lei e la sua ignoranza, sulla quantità di
cose che le stava
insegnando, sul fatto che cercasse sempre di spiegarle le cose come se
pensasse
che valesse la pena e lei potesse davvero capirle -e le capiva,
infatti- e
sulla faccia che aveva fatto quando lei gli aveva fatto ascoltare il
tipo di
musica cui era abituata, ben diverso da quello che invece le aveva
fatto
sentire lui. Quest’ultimo in verità le risultava
anche più gradevole.
Spectra
all’inizio se ne accorse solo in parte ma, ricordando
lo sguardo di Tarn nel momento aveva sentito il cantante sbraitare
“let the
bodies hit the FLOOOOR!”,
si rese conto di
essersi messa a ridere in modo sì sommesso, ma anche
piuttosto isterico.
Quando
la risata smise fece un sospiro, rialzandosi con
cautela.
Sì,
aveva deciso: doveva mettersi in testa che le persone a
bordo della Peaceful Tiranny erano sempre quelle con cui si era trovata
piuttosto bene fino a neanche un’ora prima. Erano mostri ma
non lo erano
diventati tutto d’un tratto, lo erano sempre stati, lei
l’aveva solo scoperto
in ritardo.
Doveva
concentrarsi su ciò che c’era di buono in loro,
doveva
credere che quello che aveva visto di buono ci fosse davvero, anche
perché…
“Anche
perché se non lo facessi come potrei continuare a guardarli
in faccia e a vivere nella loro stessa astronave?”
Dopo
un altro paio di minuti sotto la doccia, durante i quali
riuscì a smettere di tremare, chiuse il rubinetto e
andò ad asciugarsi. Tutto
quel che desiderava era fare una lunga ricarica fino al giorno
successivo…
sperando che gli incubi non la tormentassero troppo.
.::. Ora .::.
«Magari
riuscirà ad adattarsi» disse Nickel, seppur poco
convinta. Il fatto che Spectra stesse ricaricando quasi da un giorno
intero
-quando lei qualche ora fa si era destata, Spectra dormiva ancora-
forse non
era un bel segno.
Tutti
quanti, notata l’ora, si stavano dirigendo verso la
cucina. Sapevano di doversi procurare la razione ordinaria, senza
dolci. Il
giorno dei dolci di energon purtroppo era saltato per tutti.
Tranne
che per Helex. Lui, dopo aver notato i biscotti che
Spectra aveva fatto cadere a terra, li aveva raccolti e mangiati lo
stesso.
«No
invece. È stato come mettere un uovo di lilleth tra le
mie lame» Tesarus indicò il grosso foro che aveva
sul petto, per l’appunto
pieno di lame «E averlo tritato. Le uova di lilleth sono roba
troppo delicata.
Come lei. Tu preparati a rinunciare all’aiuto, tu»
indicò Helex «Ai dolci, tu»
indicò Vos «Ad avere qualcun altro, oltre a Tarn,
che capisca quel che diamine
dici, e tu» indicò Kaon «A vedere il
cane fare la verticale. Sapete benissimo
cosa succederà dopo qualche giorno in cui la vedremo girare
per la nave nelle
condizioni di ieri. Io l’avevo detto che ucciderla subito
sarebbe stato un atto
di pietà».
Giunti
nei pressi della cucina, sentirono degli strani
rumori.
«C’è
già qualcuno lì dentro?» si
stupì Helex.
Nickel
si affacciò per prima sulla soglia. «Tarn? Sei
t…»
Il
medico di bordo ammutolì, così come tutto il
resto dei
membri della squadra presenti.
«Buongiorno!»
li salutò Spectra, intenta a spargere granella
di rame sui dolci di energon che aveva appena fatto «Quando
ho visto che gli
ingredienti per i dolci non erano ancora stati spostati ho pensato di
rifarli,
dal momento che quelli di ieri sono andati un po’…
persi. Diciamo».
«Altro
che delicata, questa ci seppellirà tutti» disse
Kaon,
il primo a riprendersi dall’incredulità assoluta
che aveva colpito il gruppo.
«Ehm…
come stai, Spectra?» le domandò Nickel,
avvicinandosi
cautamente «Stanotte ti sei agitata un po’ durante
la ricarica».
«Lo
immaginavo. Mi dispiace se ti ho disturbata, è che ho
avuto un po’di incubi, non ti preoccupare. Una lunga ricarica
mi serviva
proprio ma ora va tutto bene. Siamo tutti le stesse persone che eravamo
anche
due giorni fa… giusto?»
Altra
pausa di silenzio.
«Secondo
me ha avvelenato i dolci, non li mangiat-»
«Non
c’è niente di velenoso qui dentro, Tess, falla
finita e
sta’contento!» lo interruppe Helex, rubando
immediatamente cinque biscotti «Sei
sempre un uccellino di vetro ma sei più resistente di loro,
Lilleth. A proposito,
indovina cos’ho visto ieri mentre tornavamo nella
nave».
«Cos’hai
visto?»
«Un
nido di lilleth con due uova. Volevo prenderlo, mi hai
detto di non averne mai visti, però era un
po’troppo fragile per le mie mani.
Tra poco dovremmo andare via dal pianeta ma se non togli dalla mia
razione i cinque biscotti che ho preso ora posso provare a
portarti a
vederlo prima del decollo».
«Lo
farei volentieri, mi piacerebbe tanto vederlo, però non
posso. Se lo faccio finisci nei guai…»
“Ma
tu ci sei o ci fai?” pensò Nickel. Aveva sperato
che si
riprendesse, lo aveva fatto sul serio ma quello era troppo.
«E
poi si è già mangiato quelli che erano caduti per
terra
ieri, è seriamente peggio del cane!»
commentò Kaon.
«Fatti
gli affari tuoi!»
Perplessa
ma convinta di aver visto abbastanza, Nickel prese
la propria razione e se ne andò dalla cucina. Non sapeva
cosa pensare.
Sentendo
rumori di passi, sollevò lo sguardo.
«Tarn».
«Nickel.
Gli altri sono già in cucina a prendere la loro
razione? Tra poco si parte, dovranno essere tutti al proprio posto.
Comunque,
sai dirmi qualcosa di come stia Sp…»
Vedendo
dei dolci nelle mani di Nickel, la domanda morì prima
di essere fatta.
«È
fragile, Tarn… ma forse anche no.
Non so cosa le passi per la testa al momento, è come se i
fatti di ieri non fossero mai accaduti. Forse però non
dovrei farmi troppe
domande su qualcuno che è finito qui inseguendo
cyberfarfalle».
«Forse.
In ogni caso credo che dovrai rinunciare per un
po’alla sua compagnia, ho predisposto una sistemazione per
lei nei miei
appartamenti. Quel che è successo ieri ha fatto di questo un
periodo delicato
per la sua formazione. La nostra prossima destinazione è
abbastanza lontana ed
escludendo l’amministrazione non dovrei essere
particolarmente impegnato,
voglio osservare gli sviluppi» disse Tarn.
“Così
forse non mi stupirò più nel vederla sconvolta il
giorno prima e fare dolci il giorno dopo. Non so quanto sia positivo
che lei,
anche dopo ventuno giorni, continui a sorprendermi”
pensò.