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Autore: _Cthylla_    10/11/2019    1 recensioni
|Transformers: Prime/IDW comics|Prequel a "The Specter Bros'" (non è necessario conoscerla)|
"Non è una buona idea inseguire una farfalla in luoghi che non si conoscono": una lezione che la giovanissima Spectra imparerà -o forse no?- grazie ai "maestri" più improbabili che ci siano, nonché le ultime persone che qualsiasi Autobot o Decepticon vorrebbe incrociare sul proprio cammino.
Dal primo capitolo:
"«Cosa è “Towards Peace”?»
La domanda di Spectra ebbe un impatto tale da far sì che Tarn non si curasse minimamente di essere stato interrotto.
Il silenzio che calò per qualche secondo fu abissale.
«Tu non conosci il libro scritto da Megatron in persona?!» domandò il Decepticon, più sconvolto di quanto avrebbe mai ammesso, stringendola ancora nella sua mano.
Spectra fece spallucce. «Io non so nemmeno come sia fatto Megatron. So solo che è il capo dei Decepticon e che i Decepticon portano il simbolo che avete voi sui vostri corpi e tu sul tuo viso… aspetta: per caso sei tu Megatron e hai scelto il tuo viso come simbolo?»
"
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: DJD/Decepticon Justice Division, Nuovo personaggio
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Transformers: Prime
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- Questa storia fa parte della serie 'The Specter Bros'- la serie'
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Ƹ̵̡Ӝ̵̨̄Ʒ  A Little Too Much, A Little Too Soon (Maybe)    Ƹ̵̡Ӝ̵̨̄Ʒ












 «Se pensavate davvero che potesse finire diversamente siete idioti». 
  
«Tu non dai a me dell’idiota, Tesarus! Ci siamo capiti?!» sbottò Helex. 
  
Di norma era difficile trovare un simile livello d’irrequietezza nella Peaceful Tiranny il giorno dopo aver eliminato un nome dalla Lista: era quel che costituiva la migliore valvola di sfogo per la violenza e il sadismo indicibili che albergavano nella stragrande maggioranza dei componenti della DJD. 
Il giorno prima però era successo qualcosa che non sarebbe dovuto succedere, o meglio, che era successo prematuramente. 
  
«Io non l’ho fatto. Hai fatto da solo, e non capisco come tu abbia potuto credere che potesse veramente far parte del gruppo. Non mi è antipatica, solo che non c’entra niente con noi» continuò Tesarus «Noi siamo Decepticon, noi abbiamo scelto di essere qui. Lei è qui solo perché a Tarn è venuta voglia di riempire quella piccola testa vuota con parole che non può neanche capire! Si era seduta su un cadavere con quella cyberfarfalla sul dito e non aveva nemmeno capito cosa stesse usando come sedia! Cazzo!» 
  
«Dovresti proprio dire tutto questo a Tarn quando si farà vedere, Tess» lo punzecchiò Kaon, giocando distrattamente col cane. 
  
«Io ho ragione!» sbottò il Decepticon «Noi siamo la DJD, facciamo il nostro mestiere, ci piace e continueremo a farlo. Qualcuno di voi ha voglia di smettere solo perché una bambina si è sconvolta?... No, eh? Appunto!» 
  
Nickel, solitamente con una risposta sempre pronta, in quel caso non si sentì di dar torto a Tesarus. Pur non concordando sul “parole che non può neanche capire”, il resto del suo discorso aveva dato voce ai pensieri che aveva sempre avuto da quando aveva fatto conoscenza con Spectra. 
Tesarus aveva parlato bene, tutti loro erano lì di propria volontà e per buoni motivi, lei per prima aveva abbracciato la filosofia Decepticon perché il loro disprezzo verso gli organici rispecchiava il suo: era la sola sopravvissuta di un massacro in cui degli alieni organici appartenenti a un ordine fortemente anti mecha aveva spazzato via la colonia -tra l’altro totalmente pacifica- dov’era nata e cresciuta, e in nome di questo riusciva anche ad accettare tranquillamente le attività della DJD. 
Spectra però non odiava nessuno, non era violenta né sadica e per forza di cose sapeva ben poco della vita reale. Se fosse successo più tardi, se Tarn fosse riuscito a istruirla di più, a plasmarla di più rispetto a quanto fatto in quei venti giorni -ormai ventuno- forse sarebbe stato diverso, ma così… come avrebbe potuto accettare quel che aveva visto il giorno prima? 
  
  
  
  
  
.::. Il giorno precedente .::. 
  
  
  
  
  
Tarn aveva una quantità infinita di morti sulla coscienza, talmente tante da aver perso il conto da tempo immemorabile. Il suo era più di un mestiere: era una vocazione, era uno stile di vita, era praticamente una fede, ed era forte. 
Di solito tendeva ad andarne fiero. 
Tarn, dopo Megatron stesso -inarrivabile, non paragonabile ad alcun altro- era sicuro di essere il Decepticon che più di chiunque altro incarnava quello spirito; di conseguenza non perdeva mai l’occasione di fare monologhi più o meno lunghi per darne ulteriore dimostrazione, specie quando decideva di porre fine alle atroci sofferenze cui il sui gruppo condannava la vittima di turno. 
  
“No, non vittima: il reo. Definire loro delle vittime farebbe di noi i colpevoli, farebbe di me il colpevole, cosa che non è. Sono loro che se la cercano. Non succederebbe nulla se non fossero Autobots, se non tradissero la dottrina Decepticon deliberatamente o se la conoscessero quanto dovrebbero, così da evitare errori grossolani. Essere nemico dei Decepticon è una colpa grave, il tradimento lo è ancora di più e anche l’ignoranza, salvo un caso su miliardi, lo è altrettanto. Ecco perché sono loro i colpevoli. Ecco perché lo sono sempre. Loro, non noi, non io”. 
  
Tuttavia c’erano delle occasioni in cui le vitt- in cui i colpevoli cui lui era in procinto di dare il colpo di grazia riuscivano a coglierlo con la guardia abbassata. 
Di solito erano quelli che, pur ricevendo la pena massima come tutti quelli che passavano per le mani della DJD, avevano commesso infrazioni “minori”. Per modo di dire, in realtà erano tutte gravi, ogni possibile minaccia all’autorità di Megatron lo era già solo in quanto tale. 
Eppure nonostante il numero di esecuzioni, nonostante l’abitudine, c’era ancora qualche caso in cui per qualche momento si sentiva perfino… toccato. 
  
A volte, come quel giorno, tale sensazione lo spingeva a decidere di non uccidere il malcapitato con la propria voce, lasciandolo invece alle amorevoli cure di Tesarus, Vos, Helex e Kaon, i quali non si facevano domande: era tutto divertimento in più per loro. 
  
«È vostro». 
  
Quelli erano i momenti in cui ricordava il vero motivo per cui portava la maschera. 
Non lo faceva in onore del loro fondatore, non lo faceva per nascondere la propria identità o per terrorizzare ulteriormente le proprie vittime: lo faceva perché nessuno potesse notare quei suoi momenti di debolezza -momenti che in realtà erano più che altro di consapevolezza, vaghi barlumi di coscienza in un costante delirio da zelota. 
  
Prima che potesse allontanarsi  vide il disgraziato animarsi improvvisamente, come ad aver intravisto una speranza di scamparla che non poteva esistere. 
  
«Ai… u…» 
  
Con un filo di voce proveniente dall’ammasso di buchi che un tempo era stato una faccia -non più, da dopo che Vos gli aveva fatto indossare la propria- e con lacrime di energon a gocciolare dal solo mezzo sensore ottico che gli restava, stava tendendo disperatamente in avanti quel che restava delle braccia fuse fino a oltre metà. Dimenava quel che fino a poco prima era stato un corpo da seeker e ora era un ammasso di ferraglia distrutto e semidisciolto, la cui unica ala sopravvissuta recava ancora il simbolo dei Decepticon, diventato talmente fragile da poter essere graffiato dal terreno roccioso. 
  
“Non ho voglia di assistere a questa cosa triste e patetica, non adesso” pensò Tarn. 
  
«A… aiut…» 
  
Helex fece uno sbuffo. «Pare che questo sia uno di quelli che ha le visioni, direi di farlo stare zitt… oh, guarda chi c’è! Lilleth, vieni qui anche tu, ora che è ammorbidito magari riesci a staccargli qualche pezzo!» 
  
No. 
Non poteva essere. 
Helex non poteva aver detto veramente “Lilleth”. Quello era il modo in cui alcuni nella nave avevano iniziato a chiamare Spectra, ma Spectra non poteva essere lì, non doveva essere lì, Spectra doveva essere nella Peaceful Tiranny che sì, era effettivamente poco distante, ma non significava nulla. 
Lei non doveva essere lì, non in quel giorno, non in quel momento, lei non era pronta e lui lo sapeva. Non era pronta, non poteva esserlo, non le aveva ancora insegnato abbastanza, e se lei avesse visto quello ora -quello, un qualcosa che aveva toccato anche lui con la sua fede incrollabile- tutto il lavoro che stava facendo avrebbe potuto svanire, cancellato da un’esperienza vissuta troppo presto, maledizione, troppo presto! 
  
Si voltò, vide che purtroppo era veramente lì e si chiese come a Helex fosse potuto passare per la testa che invitarla a unirsi fosse una buona idea: l’espressione terrorizzata, il tremore e le manine strette al petto facevano pensare che avrebbe potuto collassare da un momento all’altro. 
  
«Spectra, ferma. Rimani dove sei» le intimò, notandola indietreggiare nel vederlo avvicinarsi «È tutto a posto. Tu e io adesso torniamo alla nave». 
  
Vide a terra un contenitore rovesciato dal quale erano fuoriusciti dei biscotti. Quello doveva essere il motivo per cui si trovava lì: guardando il radar doveva aver visto i loro segnali fermi relativamente vicino alla nave e, poiché era giorno di dolci, doveva aver deciso di fare loro una sorpresa e raggiungerli con quelli. 
  
“Invece la sorpresa l’ha avuta lei”. 
  
«Ti consiglio di staccare i recettori audio fino a quando ti poserò a terra di nuovo» le disse, prendendola in braccio. 
  
La giovane iniziò a piangere. «N-non… non puoi fermare tutto? Fermali, per favore…» 
  
«No. Stacca i recettori, Spectra». 
  
Non poteva essere sicuro che lei gli obbedisse, non aveva modo di controllare che li staccasse o meno, dunque poté solo augurarsi che gli desse retta. I rumori che avrebbe sentito se non l’avesse fatto non le sarebbero piaciuti. 
  
«Di tutto quel che avresti potuto fare, di tutti i momenti che avresti potuto scegliere…» sospirò. 
  
Lei non rispose né si mosse durante tutto il tragitto da lì alla Peaceful Tiranny. Tarn non sapeva se interpretarlo come un buon segno ma era sempre più comodo rispetto a dover tenere fermo qualcuno che strillava cercando di scappare. 
  
«Spero per te che stavolta i T-Cog siano in condizioni decenti» fu la prima cosa che gli disse Nickel vedendolo rientrare «Perché ti avverto, se così non fosse questa è l’ultima volta in cui-» 
  
Si interruppe bruscamente notando prima che non era solo, poi tutto il resto. Non impiegò molto per mettere insieme i tasselli. 
  
«Oh no». 
  
«Oh sì» replicò Tarn. 
  
«Non mi ero accorta che fosse uscita, se l’avessi vista-» 
  
«Tu non sei la sua balia» la interruppe lui «Inoltre non le ho mai ordinato in modo chiaro di non uscire dalla nave in mia assenza per andarsene in giro, avevo dato per scontato che non avesse motivi per farlo. È stata una mia mancanza non aver previsto che Spectra potesse fare delle azioni da… Spectra. Voleva portarci i dolci». 
  
Nickel, con un sospiro nervoso, si massaggiò la fronte. «In ogni caso era inevitabile. Prima o poi, più prima che poi, avresti dovuto scendere più nel dettaglio riguardo quel che fa la DJD. Il fatto che sembri non riuscire neppure a sentirci non è incoraggiante». 
  
«Le ho detto di staccare i recettori audio. Le parlerò una volta che l’avrò portata nel vostro alloggio, spero con buoni risultati». 
  
«E se non dovessero essercene?» 
  
La risposta di Tarn alla domanda di Nickel fu qualche secondo di completo silenzio. 
  
Senza attendere oltre, il Decepticon portò Spectra nell’alloggio condiviso da lei e Nickel. Progettato con una singola cuccetta per transformers di statura non eccessiva, risultava comunque spazioso per due piccolette come loro. C’era perfino un piccolo bagno attiguo, installato dopo l’arrivo di Nickel a bordo: era un minicon ma era sempre una signora. 
  
Mise Spectra sulla cuccetta. «Hai riattivato i tuoi recettori?» 
  
Lei annuì. Li aveva riattivati appena lui l’aveva messa giù, proprio come le aveva ordinato. 
  
«Bene. Dobbiamo parlare un po’». 
  
Spectra sollevò lo sguardo. Piangeva ancora. «Perché?» 
  
«Mi sembra ovvio il perché». 
  
«Perché quello?» domandò ancora Spectra, sollevando una mano tremante a indicare un punto non meglio definito «Perché? C-cosa… cos’ha fatto? Cosa… n-no» scosse la testa «No, qualunque cosa possa aver fatto non… non meritava… i-io lo so che c’è la guerra, avevo capito che voi… che vi capitava di uccidere m-ma… ma quello che avete fatto, tutto quello» si coprì il viso con le mani, artigliandosi la fronte «È troppo, è… orribile, orribile…» 
  
Indubbiamente lo era e lei non avrebbe potuto scegliere occasione peggiore per ricordarglielo, ancora reduce com’era dalla “debolezza” di prima. 
  
“Questa è una valida ragione per farmela passare. Dire a lei perché lo faccio lo ricorderà anche a me stesso. Dovrei vergognarmi di lasciarmi ancora andare a certe cose” pensò Tarn. 
  
Dopo qualche istante strinse le braccia della giovane in una presa salda e le abbassò. «Quello che facciamo è necessario. Il nostro lavoro è giustiziare chi si rende colpevole di atti tali da meritarlo. I “cattivi”, se ti è più chiaro detto così. Non è un destino a cui vanno incontro tutte le persone che ci capitano davanti per sbaglio, Spectra, la tua presenza qui ne è la prova». 
  
«Era anche un Decepticon… era un Decepticon, io l’ho visto, ho visto il simbolo che aveva addosso, era uno della tua fazione, perché dici che era cattivo?!» 
  
«Perché a volte le persone fanno cose che sono contrarie a quello cui dicono di credere e per cui dicono di combattere. Si allontanano dalla dottrina che avevano scelto, la ripudiano, la ignorano, ne minacciano la stabilità con le loro azioni stupide, inconsulte o volutamente dannose. Le minacce interne sono peggiori di quelle esterne: da quelle esterne sai cos’aspettarti e come difenderti, con quelle interne può essere un po’più difficile. Questo è il motivo per cui esiste la DJD. Questo è anche il motivo dietro a quello che hai visto» aggiunse Tarn. 
  
«I-il motivo?...» 
  
«La pace attraverso la tirannia a volte ha bisogno dell’aiuto della paura per essere mantenuta. Se tu fossi un Decepticon con una mezza voglia di fare qualcosa di stupido, saresti propensa ad assecondarla sapendo qual è la pena? No. Ecco che così facendo c’è già un cattivo un meno a minacciare tutto quel che Megatron ha costruito. Ricordi quello di cui abbiamo parlato il tuo tredicesimo giorno qui, la parte riguardo i sacrifici? Ricordi cosa ti ho detto in quell’occasione?» 
  
Se non gli avesse risposto lo avrebbe capito, era un momento difficile per lei, ma Spectra parve riuscire a fare mente locale. 
  
«”Nessun sacrificio è troppo grande se la causa è giusta”» disse con un filo di voce. 
  
Sentire che aveva ricordato e capito di cosa le stava parlando riuscì perfino a dare a Tarn una mezza speranza. 
  
«Esatto» confermò «È di questo che si tratta. Quel che facciamo, quel che faccio, è risaputo. Ad avere meno voglia di fare qualcosa di stupido quindi non è un solo Decepticon, sono molti. Tutti “cattivi” corretti prima che lo diventino e che complichino l’esistenza a se stessi e agli altri, e che quindi vivranno tranquillamente. Anche per sempre felici e contenti, perché no?» 
  
«Dici che era cattivo e ho capito ma quel che avete fatto è… voi l’avete bruciato, voi l’avete distrutto, lui era-» 
  
«“E fu così che il principe e la principessa vissero per sempre felici e contenti, mentre al perfido fratello della principessa, per tutto quel che le aveva fatto, venne fatta indossare un’armatura di corde magiche imbevute di olio che avrebbero bruciato senza consumarsi fino a quando di lui non sarebbero rimasti altro che i brutti ricordi, anch’essi destinati a svanire col tempo”. Sì, ho dato un’occhiata ai tuoi libri di fiabe» confermò Tarn, vedendola sorpresa «Tutto molto bello per i buoni, ma i cattivi… le loro pene mi ricordano qualcosa. Pare che a volte le fiabe diventino realtà, anche se non nel modo e nelle parti in cui ci si aspetterebbe». 
  
Lei  stavolta non disse nulla, restando ferma anche quando lui asciugò le sue lacrime e pose con fermezza le mani sulle sue piccole spalle. 
  
«Spectra, ora io devo chiederti una cosa» disse il Decepticon, percependo chiaramente attraverso i pollici le pulsazioni della Scintilla della giovane «Allo stato attuale, ora che abbiamo parlato, pensi di riuscire a capire e accettare il tutto?» 
  
Spectra rimase immobile per qualche attimo. 
  
«Sì» mormorò. 
  
Tarn tolse le mani dalle sue spalle. «Bene. Speravo che lo dicessi». 
  
«Solo… m-mi sento un po’stanca, adesso». 
  
«Capisco. Hai il resto della giornata libera, puoi riposare tranquillamente, nessuno ti disturberà. Ovviamente Nickel tornerà qui per dormire quando sarà l’ora ma di certo non ti accorgerai neppure». 
  
Spectra si rannicchiò sulla cuccetta. «Grazie». 
  
Arrivato sulla soglia, Tarn si voltò nuovamente a guardarla. «Non eri pronta per questo. Sarebbe stato meglio se avessi potuto assorbire un altro po’della nostra mentalità e del nostro stile di vita prima di venire a conoscenza di certi dettagli. Quello che ci è stato giocato è stato proprio un brutto tiro. A domani, Spectra». 
  
Detto questo se ne andò. Lasciarla stare era la miglior cosa, soprattutto in vista del fatto che contasse di tenerla particolarmente d’occhio nei giorni successivi. 
Aver sentito quel suo “Sì” era stato già molto, se non moltissimo, però non era sufficiente sul lungo termine. Tra il dire e il fare c’era di mezzo il mare, dunque voleva vedere come si sarebbe comportata e quanto tempo avrebbe impiegato per riprendersi, sperando che riuscisse a farlo davvero. 
  
Dopo essere rimasta sola Spectra aspettò di sentire i passi di Tarn farsi più distanti e, quando ebbe concluso che questi si fosse allontanato abbastanza, corse dritta in bagno, preda di un’irrefrenabile nausea che la costrinse a inginocchiarsi e rimettere anche l’anima. 
Passati gli ultimi strascichi di conati, sentendosi mentalmente stremata come mai le era capitato in vita sua, aprì il rubinetto della doccia di olio caldo e, poggiata la fronte contro la parete, si lasciò avvolgere dal calore di quell’abbraccio liquido. 
  
  
“A… aiut…” 
  
  
Strinse la testa tra le mani e chiuse i sensori ottici nuovamente pieni di lacrime, cercando di scacciare dalla mente l’immagine di quel povero disgraziato. 
Non poteva fare niente per lui, a quel punto probabilmente era già morto, o così c’era da sperare. 
  
«Mai farò del male a qualcuno in quel modo» sussurrò «Mai ucciderò, mai. Mai!» esclamò, stringendosi la testa ancora più forte con le mani tremanti «Non importa se mi daranno addosso, non importa se saranno Autobots o altri Decepticon, non importa, io mai, mai diventerò mai diventerò…» 
  
“Un mostro come loro”. 
  
Crollò nuovamente in ginocchio. 
  
“Pensano davvero di avere ragione, pensano davvero che gli altri lo meritino e che siano cattivi, e io gli ho detto che lo capisco, ed è vero, io ho capito quello che mi ha detto, e io gli ho detto che lo posso accettare, ma come, perché-” 
  
Le mani di Tarn sulle sue spalle. 
Aveva le mani grandi rispetto alle sue spalle, vero, ma quei pollici che erano rimasti all’altezza della sua Scintilla non avrebbero impiegato molto sforzo per sfondarle il petto in caso di una risposta sbagliata, lei era così esile. 
Sarebbe stato rapido e pressoché indolore. 
  
«NO!» gridò, scagliando entrambi i pugni contro il muro metallico. 
  
“Non l’avrebbe fatto, non ha pensato di farlo e non dovrei pensarlo nemmeno io. Lui è quello che è, loro sono quello che sono ma…” i pugni scivolarono lungo il muro “Hanno anche qualcosa di buono. Lo hanno, sono mostri ma lo hanno, lo devono avere, tutti lo hanno…” 
  
Vos. 
Lui in quei venti giorni era sempre stato dispostissimo a cercare di insegnarle la sua lingua, mai l’aveva maltrattata nonostante la sua pronuncia continuasse a fare piuttosto schifo. 
  
Helex. 
Aveva sempre apprezzato i suoi biscotti ed era stato lui a chiamarla “Lilleth” per primo. Il soprannome le piaceva anche se, purtroppo, lei dei graziosi uccellini di vetro aveva visto solo le immagini. 
  
Kaon. 
Sembrava starle intorno volentieri quando lei giocava col suo cane e nell’ultima settimana aveva anche iniziato a farle vedere qualche trucchetto di hacking. Erano stati tutti interessanti! 
  
Tesarus. 
Non avevano scambiato molte parole a parte “Buongiorno” e “C’è una guerra lì fuori”, ma alla fine neppure lui era stato cattivo con lei. 
  
Nickel. 
Era stata carina con lei fin dall’inizio, e lei stessa era carina, piccolina ma con un carattere e una capacità di rispondere che Spectra in certi casi avrebbe voluto possedere a sua volta. Le aveva permesso di decorare un po’la loro stanza e le aveva anche insegnato svariate cose, ora avrebbe saputo trapiantarsi un sensore ottico anche da sola. 
  
Tarn. 
Avrebbe avuto molto da dire su di lui, sulla pazienza che aveva avuto con lei e la sua ignoranza, sulla quantità di cose che le stava insegnando, sul fatto che cercasse sempre di spiegarle le cose come se pensasse che valesse la pena e lei potesse davvero capirle -e le capiva, infatti- e sulla faccia che aveva fatto quando lei gli aveva fatto ascoltare il tipo di musica cui era abituata, ben diverso da quello che invece le aveva fatto sentire lui. Quest’ultimo in verità le risultava anche più gradevole. 
  
Spectra all’inizio se ne accorse solo in parte ma, ricordando lo sguardo di Tarn nel momento aveva sentito il cantante sbraitare “let the bodies hit the FLOOOOR!”, si rese conto di essersi messa a ridere in modo sì sommesso, ma anche piuttosto isterico. 
  
Quando la risata smise fece un sospiro, rialzandosi con cautela. 
  
Sì, aveva deciso: doveva mettersi in testa che le persone a bordo della Peaceful Tiranny erano sempre quelle con cui si era trovata piuttosto bene fino a neanche un’ora prima. Erano mostri ma non lo erano diventati tutto d’un tratto, lo erano sempre stati, lei l’aveva solo scoperto in ritardo. 
Doveva concentrarsi su ciò che c’era di buono in loro, doveva credere che quello che aveva visto di buono ci fosse davvero, anche perché… 
  
“Anche perché se non lo facessi come potrei continuare a guardarli in faccia e a vivere nella loro stessa astronave?” 
  
Dopo un altro paio di minuti sotto la doccia, durante i quali riuscì a smettere di tremare, chiuse il rubinetto e andò ad asciugarsi. Tutto quel che desiderava era fare una lunga ricarica fino al giorno successivo… sperando che gli incubi non la tormentassero troppo. 
  
  
  
  
  
.::. Ora .::. 
  
  
  
  
  
«Magari riuscirà ad adattarsi» disse Nickel, seppur poco convinta. Il fatto che Spectra stesse ricaricando quasi da un giorno intero -quando lei qualche ora fa si era destata, Spectra dormiva ancora- forse non era un bel segno. 
  
Tutti quanti, notata l’ora, si stavano dirigendo verso la cucina. Sapevano di doversi procurare la razione ordinaria, senza dolci. Il giorno dei dolci di energon purtroppo era saltato per tutti. 
Tranne che per Helex. Lui, dopo aver notato i biscotti che Spectra aveva fatto cadere a terra, li aveva raccolti e mangiati lo stesso. 
  
«No invece. È stato come mettere un uovo di lilleth tra le mie lame» Tesarus indicò il grosso foro che aveva sul petto, per l’appunto pieno di lame «E averlo tritato. Le uova di lilleth sono roba troppo delicata. Come lei. Tu preparati a rinunciare all’aiuto, tu» indicò Helex «Ai dolci, tu» indicò Vos «Ad avere qualcun altro, oltre a Tarn, che capisca quel che diamine dici, e tu» indicò Kaon «A vedere il cane fare la verticale. Sapete benissimo cosa succederà dopo qualche giorno in cui la vedremo girare per la nave nelle condizioni di ieri. Io l’avevo detto che ucciderla subito sarebbe stato un atto di pietà». 
  
Giunti nei pressi della cucina, sentirono degli strani rumori. 
  
«C’è già qualcuno lì dentro?» si stupì Helex. 
  
Nickel si affacciò per prima sulla soglia. «Tarn? Sei t…» 
  
Il medico di bordo ammutolì, così come tutto il resto dei membri della squadra presenti. 
  
«Buongiorno!» li salutò Spectra, intenta a spargere granella di rame sui dolci di energon che aveva appena fatto «Quando ho visto che gli ingredienti per i dolci non erano ancora stati spostati ho pensato di rifarli, dal momento che quelli di ieri sono andati un po’… persi. Diciamo». 
  
«Altro che delicata, questa ci seppellirà tutti» disse Kaon, il primo a riprendersi dall’incredulità assoluta che aveva colpito il gruppo. 
  
«Ehm… come stai, Spectra?» le domandò Nickel, avvicinandosi cautamente «Stanotte ti sei agitata un po’ durante la ricarica». 
  
«Lo immaginavo. Mi dispiace se ti ho disturbata, è che ho avuto un po’di incubi, non ti preoccupare. Una lunga ricarica mi serviva proprio ma ora va tutto bene. Siamo tutti le stesse persone che eravamo anche due giorni fa… giusto?» 

Altra pausa di silenzio.
  
«Secondo me ha avvelenato i dolci, non li mangiat-» 
  
«Non c’è niente di velenoso qui dentro, Tess, falla finita e sta’contento!» lo interruppe Helex, rubando immediatamente cinque biscotti «Sei sempre un uccellino di vetro ma sei più resistente di loro, Lilleth. A proposito, indovina cos’ho visto ieri mentre tornavamo nella nave». 
  
«Cos’hai visto?» 
  
«Un nido di lilleth con due uova. Volevo prenderlo, mi hai detto di non averne mai visti, però era un po’troppo fragile per le mie mani. Tra poco dovremmo andare via dal pianeta ma se non togli dalla mia razione i cinque biscotti che ho preso ora posso provare a portarti a vederlo prima del decollo». 
  
«Lo farei volentieri, mi piacerebbe tanto vederlo, però non posso. Se lo faccio finisci nei guai…» 
  
“Ma tu ci sei o ci fai?” pensò Nickel. Aveva sperato che si riprendesse, lo aveva fatto sul serio ma quello era troppo. 
  
«E poi si è già mangiato quelli che erano caduti per terra ieri, è seriamente peggio del cane!» commentò Kaon. 
  
«Fatti gli affari tuoi!» 
  
Perplessa ma convinta di aver visto abbastanza, Nickel prese la propria razione e se ne andò dalla cucina. Non sapeva cosa pensare. 
  
Sentendo rumori di passi, sollevò lo sguardo. «Tarn». 
  
«Nickel. Gli altri sono già in cucina a prendere la loro razione? Tra poco si parte, dovranno essere tutti al proprio posto. Comunque, sai dirmi qualcosa di come stia Sp…» 
  
Vedendo dei dolci nelle mani di Nickel, la domanda morì prima di essere fatta. 
  
«È fragile, Tarn… ma forse anche no. Non so cosa le passi per la testa al momento, è come se i fatti di ieri non fossero mai accaduti. Forse però non dovrei farmi troppe domande su qualcuno che è finito qui inseguendo cyberfarfalle». 
  
«Forse. In ogni caso credo che dovrai rinunciare per un po’alla sua compagnia, ho predisposto una sistemazione per lei nei miei appartamenti. Quel che è successo ieri ha fatto di questo un periodo delicato per la sua formazione. La nostra prossima destinazione è abbastanza lontana ed escludendo l’amministrazione non dovrei essere particolarmente impegnato, voglio osservare gli sviluppi» disse Tarn. 
  
“Così forse non mi stupirò più nel vederla sconvolta il giorno prima e fare dolci il giorno dopo. Non so quanto sia positivo che lei, anche dopo ventuno giorni, continui a sorprendermi” pensò. 

   
 
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