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Autore: RedeNetele    11/11/2019    0 recensioni
A quasi ventinove anni, Anna si trova di fronte a una scelta: lasciare la sua vecchia vita per ottenere un lavoro oppure rimanere disoccupata. Anche se a malincuore, Anna lascia Lorenzo, il suo ragazzo, e si trasferisce a più di duecento chilometri di distanza, nella città che l'ha vista crescere, dove l'aspetta un posto come impiegata nell'ospedale cittadino.
La vita da single è più difficile del previsto, soprattutto se a complicare le cose ci si mettono un vicino di casa ostile, irritante e con due occhi di ghiaccio e il suo cane-killer costantemente a caccia dei gatti di Anna. Ma chissà che non sia proprio Yaroslav, levriero apparentemente bipolare, ad alleviare la solitudine di Anna e a farle vedere sotto una nuova luce anche lo scostante Oleksander?
Ma l'imprevisto è sempre dietro l'angolo e, quando Lorenzo si dimostrerà più tenace del previsto, Anna dovrà fare i conti con l'amore, un sentimento che non ha mai compreso fino in fondo.
Una storia di umani, cani e mostri da sconfiggere.
Genere: Commedia, Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
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Cinque settimane dopo

Appoggiata a braccia incrociate contro la sua cucina nuova di zecca, Anna guardava Paolo, il compagno di sua madre, e suo figlio Francesco che trasportavano un ingombrante materasso matrimoniale.

«Da che parte hai detto che è la camera, Annina?» chiese Paolo, con il volto scarlatto a causa della fatica. « A sinistra?»

«No, a destra!» ripeté per l'ennesima volta la ragazza, allungando un braccio per indicare la direzione corretta.

Paolo era semplicemente adorabile. Sebbene non fosse particolarmente dotato per i lavori manuali – era un mite professore che insegnava scienze naturali al liceo – non perdeva occasione di cimentarvisi con grande entusiasmo, ridendo dei propri insuccessi e senza mai lasciarsi abbattere da essi. Anna l'aveva conosciuto a dieci anni e sulle prime era stata cautamente sospettosa nei suoi confronti. Suo padre se n'era andato tre anni prima, abbandonando moglie e figlioletta per inseguire una giovane russa e lasciando nel cuore della bambina un buco a forma di papà e una certa ostilità nei confronti di tutto ciò che apparteneva al mondo slavo. Quando Daniela, la madre di Anna, con la scusa di mangiare una pizza, le aveva presentato quell'uomo strano, più vecchio della mamma e per giunta accompagnato da un adolescente dalla pelle butterata dall'acne, la bambina si era sentita quasi tradita. Del resto, si erano appena trasferite in una città nuova e lontana, lasciandosi alle spalle l'amata Lanzate, e Anna non poteva fare a meno di pensare che quell'ometto con gli occhiali tondi avesse qualcosa a che fare con quel cambio di casa improvviso.

Ma Paolo si era dimostrato estremamente paziente, con una dolcezza che a Daniela mancava e con un certo savoir faire con i bambini e l'antipatia di Anna nei suoi confronti aveva avuto vita breve: non era il suo papà, ma era qualcosa di molto simile e lei se lo sarebbe fatto andar bene comunque. E anche Francesco non era poi tanto male, una volta superato il sospetto reciproco: non avevano passato tanti anni insieme sotto lo stesso tetto, perché il ragazzo aveva frequentato l'università a Roma ed era tornato a casa con una ragazza che era presto diventata sua moglie, ma lui e Anna erano tutto sommato in buoni rapporti. La ragazza era poi particolarmente affezionata a Giulio ed Enea, i bambini di Francesco. Mi mancheranno i miei due monelli, pensò tristemente la ragazza, pensando con nostalgia ai due nipotini che ora avrebbe visto molto più raramente di prima.

«Et voilà! Il letto è sistemato!»

La voce di Paolo la riscosse da quei pensieri e Anna trotterellò verso la sua nuova camera da letto, osservando l'opera completa con una certa soddisfazione.

«Qui ci devi mettere delle tende belle spesse, Annina» le disse Francesco, indicando la grande finestra che illuminava la stanza. «Non puoi lasciarle così: dalla strada si vede tutto.»

«Sì, certo» annuì lei, raggiungendo il fratellastro e sbirciando nella stessa direzione in cui stava guardando lui. In effetti, tra la sua finestra e la strada c'era solamente il vialetto condominiale circondato da un pezzo di prato e il suo appartamento era al piano terra. «Anche se non credo proprio che qualcuno sia interessato a scoprire di che colore sono le mie mutande.»

«Non si sa mai» ridacchiò Francesco, cingendole le spalle con un braccio e attirandola contro il proprio fianco. «Il mondo è pieno di maniaci e tu sei qui, sola soletta...»

Anna rise e si liberò dalla stretta dell'uomo. «Questo è un posto tranquilla, e comunque non sono esattamente sola: la zia Clara abita a cinque minuti da qui, sai?» gli fece notare, alludendo alla sorella della madre che l'aveva ospitata in attesa che l'appartamento che aveva preso in affitto fosse pronto.

Francesco sospirò teatralmente. «Lo so, ma tu non sei abituata a stare da sola, povera piccola...»

Evitando di commentare, Anna levò gli occhi al cielo e si allontanò dalla finestra, scrollando il capo con un sorriso ironico dipinto sulle labbra. La verità era che, da quando lei e Lorenzo non stavano più insieme, la sua famiglia aveva preso la pessima abitudine di fare domande e commenti apparentemente casuali, ma che avevano lo scopo di sondare il terreno e verificare se la loro piccola Anna stesse soffrendo a causa della separazione.

Se solo si decidessero a chiedermelo una volta per tutte, potrei dirgli che no, non sto per cadere in depressione per colpa di Lorenzo, pensò la ragazza, dirigendosi nuovamente verso la cucina. Anche se non le sembrava il caso di sollevare lei stessa l'argomento – più che altro per evitare di dargli più importanza di quanta le sembrava che meritasse – Anna avrebbe voluto gridare a tutti che stava bene e che non c'era alcun bisogno che si preoccupassero per lei. Certo, i primi tempi non erano stati facilissimi: Lorenzo l'aveva tempestata di telefonate – a cui lei non aveva mai risposto – e poi era passato ai messaggi, senza lasciarsi scoraggiare dal fatto che Anna li cancellava senza nemmeno leggerli. La totale mancanza di reazioni aveva però richiesto un certo impegno da parte sua: anche se quella sera al bar se n'era andata senza voltarsi nemmeno una volta, otto anni di relazione non si potevano cancellare in poche decine di giorni. Anche perché, se doveva essere perfettamente onesta con sé stessa, la ragazza non era del tutto sicura che la colpa della fine della loro storia fosse interamente da attribuire a Lorenzo. Anche lei, forse, aveva commesso degli errori che avevano condotto al triste epilogo.

Anna aveva però stretto i denti e aveva sfiorato il tasto rosso ogni volta che il nome del suo ex ragazzo era comparso sullo schermo, e aveva eliminato ogni singolo messaggio di WhatsApp. Del resto, non era cambiato nulla dal giorno in cui aveva deciso di lasciarlo e di rifarsi una nuova vita a duecento chilometri da lui. Se anche avesse pensato di aver preso la decisione sbagliata, Anna sarebbe stata troppo orgogliosa per ritornare sui propri passi: in ogni caso, poi, la giovane era convinta che la sua scelta fosse corretta, anche se, forse, avrebbe potuto rivedere qualcosa nel modo in cui si era svolta la sua ultima conversazione con Lorenzo.

Poi, quando era stata sul punto di bloccare il suo numero, il ragazzo aveva improvvisamente smesso di cercarla. Da un giorno all'altro erano cessate le telefonate e non era arrivato più nessun messaggio. Anna si era quasi preoccupata, temendo che gli fosse successo qualcosa: i pochi amici che lo conoscevano, però, le avevano fatto sapere che Lorenzo godeva di ottima salute e che non aveva cambiato nulla nella propria vita. Semplicemente, si era stancato di cercarla e aveva deciso di passare oltre.

Anche in quel momento, quand'erano ormai passate più di due settimane dall'ultima volta che Lorenzo aveva cercato di contattarla, Anna non sapeva bene come prendere quello sviluppo: se da un lato si sentiva sollevata, come se avesse chiuso definitivamente una parte della propria vita e fosse quindi pronta ad andare avanti, dall'altro avvertiva un pizzico di delusione. Possibile che il ragazzo si fosse già dimenticato di lei?

Il suono deciso del citofono la fece sobbalzare e la costrinse a riscuotersi da quei pensieri. «Sì?» chiese, dopo aver armeggiato brevemente attorno al pannello elettronico per capire quale fosse il pulsante da premere per avviare la conversazione. «Chi è?»

«La mamma! Apri, che mi si stanno staccando le braccia!»

Una manciata di secondi più tardi, Daniela fece irruzione nell'appartamento, tenendo in mano i trasportini che contenevano Calliope e Cassandra, le due gatte di Anna. «Uff» sbuffò la donna. «Stanno diventando pesanti: sei sicura che non le stai nutrendo troppo?»

Posando le due gabbiette a terra, Daniela si passò le mani tra i capelli, come per riprendere fiato. Anna sorrise: arrivata ai sessant'anni, sua madre aveva deciso di liberarsi dalla schiavitù della tinta e aveva lasciato che i suoi capelli crescessero del loro naturale color grigio argentato. Li aveva tagliati corti e le ciocche più lunghe misuravano solo un paio di centimetri. Complici la sua corporatura minuta e i brillanti occhi scuri, che la figlia aveva ereditato, la donna aveva l'aspetto di un folletto.

«Non sono grasse» rispose Anna, chinandosi per liberare le bestiole. Cassandra, nera come la notte e dolce come il miele, prese subito a strusciarsi sulle sue gambe ronfando come un motorino, mentre Calliope, di natura più schiva e indipendente, evitò le carezze della ragazza con un passetto laterale. Dopo aver esaminato con una rapida occhiata di sufficienza quella che sarebbe stata la sua nuova casa, balzò sul divano, apprestandosi a cospargerlo di peli bianchi, neri e rossi.

«Calli!» la riprese Anna. «Non sul divano, che è nuovo! Ci devo ancora mettere la coperta!»

Richiamato dall'esclamazione della sorellastra, Francesco sbucò dalla camera da letto dove, in compagnia del padre, stava sistemando le ultime cose. «Oh, sono arrivate le bestie di Satana» commentò serafico l'uomo, che ai gatti aveva sempre preferito i cani. «Loro non mi mancheranno.»

«E tu non mancherai a loro» ribatté con sussiego Anna, chinandosi per grattare le orecchie di Cassandra.

«Questo è certo. Quella tricolore ha cercato di uccidermi un paio di volte, lo sai?» sghignazzò lui, lanciando un'occhiata di sfida a Calliope, che ancora si aggirava ai piedi del divano. «A proposito, hai dato un'occhiata al giardino dei tuoi vicini di casa?»

Aggrottando la fronte, Anna scosse il capo. «No, non ho ancora avuto tempo. Perché?»

Francesco si strinse nelle spalle. «Mah, ho visto che in giardino c'è una ciotola. A giudicare dalla dimensione, deve appartenere a un cane, e anche bello grosso: stai attenta che le gatte non gironzolino al di là della recinzione.»

Con una punta di allarme, la ragazza si avvicinò alla finestra della cucina e sbirciò in direzione del giardino dei vicini, cercando di individuare la ciotola incriminata. L'angolo era però tale che Anna non vide altro che un innocente segmento di prato dall'aria curata. «Be', non avevo comunque intenzione di farle uscire quando io non sono nei paraggi: la strada qui dietro non è molto trafficata, ma qualche auto ci passa comunque. E la rete della recinzione è stretta, non credo che le gatte riescano a passarci attraverso.»

In ogni caso, pensò Anna, sarebbe presto andata a conoscere i vicini. Innanzitutto perché non li aveva ancora né visti né sentiti e voleva farsi un'idea di che persone vivessero attorno a lei, e poi perché voleva giudicare personalmente la pericolosità dell'ipotetico cane che, secondo Francesco, risiedeva nel giardino accanto. Speriamo che non sia del tipo che abbaia notte e giorno, considerò, temendo già che le sue notti sarebbero state disturbate da un latrare incessante.

«Dove le metto, le ciotole?» chiese Daniela, sventolando i due piattini – rosa per Cassandra e verde per Calliope – in cui le due gatte erano solite mangiare.

«Lasciale davanti al frigorifero» replicò distrattamente Anna, recuperando poi i vari giochini delle gatte e depositandoli nell'apposito cestone che aveva predisposto accanto al divano.

«I cartoni vuoti, invece, dove li butto?» chiese ancora Daniela.

Anna soppesò con lo sguardo i due ingombranti scatoloni vuoti che sua madre teneva tra le mani, poi allungò le braccia per prenderli. «Dammeli, va': vado a buttarli in strada, che qua ingombrano.»

Bilanciando davanti a sé i due scatoloni, la ragazza raggiunse il cancello che separava la strada dal vialetto dalle quattro villette bifamiliari nella quale si trovava il trilocale che aveva preso in affitto. Dunque, pensò, guardandosi attorno, la tizia dell'agenzia mi ha detto che la carta e il cartone li ritirano il lunedì mattina, quindi domani. Se non ricordo male, dovrebbe esserci una specie di piazzola sulla destra.

Seguendo per qualche metro il muro di cinta, Anna si trovò effettivamente davanti a una sorta di nicchia nella quale qualcuno aveva già sistemato un sacco di plastica viola. Ecco fatto! Pensò, con una certa soddisfazione. Per quanto strano potesse sembrare, Anna amava pulire, riordinare ed eliminare tutto ciò che riteneva inutile e superfluo: aveva una vera e propria avversione per il disordine e lo sporco e gli unici corpi estranei che tollerava erano i peli delle sue gatte.

Ruotando sui tacchi, la giovane fece per dirigersi nuovamente verso il l'appartamento, quando con la coda dell'occhio scorse qualcosa che la fece tornare sui propri passi. Ma tu guarda come ha parcheggiato, 'sto cretino!

Con passi lenti, Anna si avvicinò con circospezione al suo piccolo Panda giallo, parcheggiato ordinatamente nell'ultimo della serie di posti auto ad uso dei condomini. Nello spazio immediatamente a destra rispetto al suo c'era un mostruoso SUV nero. Sarà grosso almeno il doppio del mio povero Pandino, costatò la ragazza, guardando con disprezzo la sfavillante Audi Q5. L'autista non si era premurato di parcheggiarla all'interno delle righe gialle o, meglio: il muso del SUV era posizionato correttamente, ma la parte posteriore sporgeva di molto e, di fatto, bloccava l'uscita al Panda di Anna.

Come diavolo dovrei fare ad andare al lavoro, domani mattina? Di qua c'è il marciapiede e di là c'è il culo di quella specie di transatlantico! Pensò la ragazza, indispettita. Mi avrà lasciato sì e no un metro e mezzo di spazio, 'sto cafone. Se non fosse che ci tengo, alla mia macchinetta, sarebbe da ammaccargli tutta la fiancata con una bella retro!

Stringendo e rilassando ritmicamente i pugni, Anna meditò sul da farsi. Il primo istinto era stato quello di suonare a tutti i campanelli dei vicini per trovare il colpevole del parcheggio selvaggio ed esigere che il SUV venisse posteggiato correttamente, ma poi la ragazza rinunciò a quel proposito: non era certo il modo migliore per fare conoscenza con il vicinato e poi, chissà, magari l'auto non apparteneva nemmeno alle persone che abitavano lì. Era pur sempre domenica e, sebbene quelli fossero dei parcheggi privati, Anna sospettava che venissero utilizzati anche dagli escursionisti che li usavano come base di partenza per esplorare le montagne che si ergevano ripide alle spalle dell'appartamento che aveva preso in affitto.

Con un po' di fortuna, domani l'avranno spostato, ragionò la giovane, lanciando un ultimo sguardo di odio alla vettura e incamminandosi verso casa. In fin dei conti, lei iniziava a lavorare piuttosto tardi e c'erano buone possibilità che il proprietario – o la proprietaria – del SUV se ne andasse prima.

Quando rientrò in casa fu accolta dalle occhiate interrogative dei suoi famigliari. «Che fine avevi fatto?» le chiese Paolo.

La ragazza scrollò le spalle. «Stavo vedendo che qualche genio con l'Audi mi ha praticamente chiusa nel parcheggio: se non levano quella macchina, domani mattina non so proprio come farò ad andare all'Ospedale.»

Francesco le rivolse un sorriso furbo. «Un'Audi, eh?» ripeté. «Che tipo di Audi? Dici che riusciamo a rimorchiarla con il pick-up? Se vuoi la spostiamo a forza, così imparano a parcheggiarla alla cazzo...»

«Mah, è una specie di fuoristrada... insomma, un SUV» replicò Anna.

Il giovane emise un suono di disappunto. «Ah, allora no: rischia di pesare di più quella macchina inutile, rispetto al nostro pick-up.»

Anna ammiccò nella sua direzione. «Oh, non preoccuparti: vedi che, in un modo o nell'altro, gliela faccio spostare.»

«E su questo punto non abbiamo nessun dubbio» commentò serafica Daniela.

La ragazza le rispose con un sorriso divertito. Quella nuova vita da single e da adulta indipendente portava con sé parecchie incognite, ma di una cosa Anna era certa: non aveva intenzione di lasciarsi mettere i piedi in testa da nessuno.

♥♥♥

Ehi, tu, lettore di EFP che passi in silenzio e non lasci traccia della tua visita: sappi che io ti vedo. Che ne dici di lasciarmi un commentino, già che ci sei?

   
 
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