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Autore: Anya_tara    15/11/2019    2 recensioni
Sono tre mesi che va avanti quella storia. Anzi, quattro la settimana prossima.
E lei non ce la fa più.
Sa che Bakugō non è capace di fingere o mentire, al massimo può tacere qualcosa se reputa sia per il meglio.
E questo pensiero adesso la colpisce con forza inusitata.
P.S: SECONDA PARTE DI NEVER TOO LATE.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Katsuki Bakugou, Ochako Uraraka
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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<< Questa storia deve finire. Io … mi dispiace, Katsuki, ma non ce la faccio più a vivere così. Lo sai che ti amo, ma questo … non posso sopportarlo. O mi dici la verità, oppure … >>.
Questo bel discorso rigira da giorni nella mente di Ochaco.
Tuttavia non riesce neppure ad accennarlo.
Mentre piega le tutine della bambina, posandole via via sul tavolo immagina con chiarezza la scena per l’ennesima volta. Ode il suo tono pacato, ragionevole, le parole ben scelte, l’intenzione del tutto sana di venirgli incontro.
Ma è la reazione di Katsuki che non riesce a figurarsi.
E questo la spaventa.
Prova a immaginare che la prenda con una risata, domandandole se il riassestamento ormonale dopo il parto non le stia ancora dando al cervello; ma le pare forzato, sgradevole, quasi dietro ci sia nascosto qualcos’altro.
Forse perché sa che non è così.
Eppure lei si fida ciecamente del suo compagno. Sa che non guarderebbe mai un’altra donna; per cui no, sicuramente non c’è qualche tresca a tenerglielo lontano tutto il giorno e tutta la notte, soltanto il lavoro.
D’altronde è anche necessario. Le spese sono aumentate, adesso che c’è anche Shakuyaku – non c’era altro nome che potessero darle, oltre quello delle peonie in boccio; solo è un nome complicato per una bimba così piccola, ed è stata immediatamente ribattezzata Shakya- e che sono andati a vivere da soli, in un grazioso appartamento non molto distante da casa Bakugō, Katsuki ha accolto come un segno della benevolenza divina il fatto che gli impegni si siano moltiplicati ancora più di prima, tant’è vero che non inveiva nemmeno più contro Tsuki quando glieli affidava. 
Ochaco, malgrado sapesse che avevano necessità di quei soldi extra, si preoccupava tuttavia che si sfiancasse troppo, facendosi carico di tutto da solo.
Adesso è arrivata quasi al punto di augurarsi che si tratti soltanto di quello.
Dopo aver dato alla luce sua figlia, il medico si è raccomandato di osservare un periodo di “riposo”, per dar modo al suo corpo di riaversi, prima di … poter giacere nuovamente con Katsuki.
Ochaco, avvampando, aveva domandato quanto ci volesse.
<< Circa un mese e mezzo >>, era stata la risposta.
E lei aveva iniziato distrattamente a contare i giorni.
Ne aveva anche atteso uno in più.
Quella sera, aspettando che Katsuki tornasse dal lavoro, aveva preparato una cenetta deliziosa. Aveva acceso delle candele, messo su un abitino semplice ma che evidenziava il decolléte reso ancora più generoso dall’allattamento e che le lasciava scoperte le gambe.
Quasi fosse pienamente d’accordo Shakya si era addormentata quasi subito; vero ch’era una bimba buonissima, mangiava e dormiva tutta la notte e si svegliava soltanto al mattino, ma quella sera si era appisolata perfino più presto del solito, lasciandole tempo e modo di fare le cose con calma, per bene.
Mentre la piccola ronfava Ochaco aveva sorriso, notando una volta di più quanto il suo desiderio fosse stato esaudito.
Somigliava a Katsuki in tutto e per tutto. Aveva il suo stesso naso, le sue labbra, persino la stessa forma delle mani.
E gli occhi. Dal blu cieco di tutti i neonati avevano iniziato a cambiare, erano divenuti di un violetto luminoso che gradualmente si andava stemperando sempre più nel rosso.
Da lei aveva preso il colore dei capelli, castano dorato, e la struttura del volto.
Una piccola Faccia Tonda.
Che Katsuki ama visceralmente. Non perde occasione di tenerla in braccio, di parlarle, di giocare con lei; anche se torna ad orari assurdi la mattina è capace comunque di svegliarsi prestissimo pur di stare con sua figlia prima di uscire di nuovo.
Vederli insieme è qualcosa che scalda il cuore. Nessuno che abbia conosciuto Bakugō ai tempi della scuola, o anche soltanto una manciata di mesi prima lo riconoscerebbe nell’uomo pacato, affettuoso che finalmente ha cominciato a mostrarsi, senza più remore.
E che le manca, in quei determinati atti, in quei gesti che erano soltanto loro.
Nella loro intimità. In quei baci ardenti, nelle sue carezze delicate, nella sua passione intensa, viva, in grado di farla sentire l’unica donna al mondo.
Non vedeva l’ora di essere di nuovo tra le sue braccia. Di provare ancora quelle sensazioni incendiarie, eppure tenere, morbide, profonde.
Di sentire il suo respiro caldo farsi affannoso, sbatterle sul volto e riempirla di beatitudine.
Aveva stretto l’orlo tra le mani, deglutendo. Lo stomaco le si era chiuso, malgrado l’odore solleticante dell’arrosto non aveva nemmeno un briciolo di fame che non fosse di lui.
Il tempo sembrava però volerle fare un dispetto. Scorreva lento, lentissimo, ogni volta in cui rivolgeva lo sguardo al quadrante erano trascorsi solo pochi minuti.
L’ultima volta in cui l’aveva guardato erano le undici e quarto.
Aveva finito con l’addormentarsi anche lei, sul divano.
Quando aveva riaperto gli occhi la prima cosa che aveva fatto era stato balzare a sedere, il ricordo vago e confuso delle candele che ardevano sul tavolo, anche se erano di quelle apposite chiuse in piccole gabbie ignifughe, programmate per spegnersi da sole appena giunte alla fine dello stoppino.
Ma si era ritrovata a letto.
Ed era luce. Non molta, ma quanto bastava a rischiarare la loro camera, e la schiena del suo compagno fasciata – ancora? già? - dalla maglia della tenuta Hero accanto alla culla della bambina.
<< Buon … buongiorno >>, aveva mormorato incerta. 
Lui non si era voltato subito. Continuava a dare il biberon alla bambina, rivolgendole le spalle.
<< Katsuki? >>, l’aveva chiamato con un po’ più di voce.
Aveva girato appena la testa, con un’occhiata obliqua.
E Ochaco era trasalita.
Sembrava irritato. Molto. << Hai lasciato le candele accese, ieri sera >>, era stato il suo saluto. << Capisco che sei stanca, ma potresti fare più attenzione >>.
Quel rimprovero freddo l’aveva riempita di sconcerto.
Aveva chinato il capo, deglutito a stento.
Aveva ragione. Non avrebbero potuto comunque far danno, ma non riusciva a spiegarglielo.
Non in quel momento. << Mi dispiace >>.
Allora si era avvicinato e le aveva porto la bambina, sfiorandole appena la testa con le dita. Una carezza fuggevole, distratta.
<< Non importa, basta che non sia accaduto nulla. Vado a lavoro. Ci vediamo stasera >>.
Nulla. Non un accenno alla cena rimasta a freddarsi nel forno, non uno al vestito che ora, gualcito, doveva togliere da sola.
Nessuno al perché di tutti quei preparativi.
E nemmeno un bacio di congedo.
Da allora Ochaco aveva rinunciato a ricorrere a quel genere di sotterfugio, limitandosi ad avvicinarsi, a carezzarlo dolcemente dove lo sa più sensibile, dietro la nuca ad esempio, o nell’incavo del fianco.
Ma niente. Ogni tentativo finisce sempre allo stesso modo: le raccoglie la mano nella propria, per portarla alle labbra e posare un bacio castissimo sulle nocche.
<< Sono molto stanco, Ochaco >>, è l’immancabile risposta che riceve ogni volta.
Una porta sbattuta in faccia.  
Sono tre mesi che va avanti quella storia. Anzi, quattro la settimana prossima.
E lei non ce la fa più.
Sa che Bakugō non è capace di fingere o mentire, al massimo può tacere qualcosa se reputa sia per il meglio.
E questo pensiero adesso la colpisce con forza inusitata.  
Non dev’esserci necessariamente un’altra donna di mezzo. Forse, semplicemente, il sentimento che credeva di provare nei suoi riguardi ha iniziato ad affievolirsi, si è già pentito di quel ch’è stato e non glielo vuole dire perché non vuole addolorarla, proprio adesso ch’è più vulnerabile.
E sta prendendo tempo.
Sono pensieri angoscianti, terribili. A cui non riesce a far fronte, il futuro che aveva immaginato insieme a lui che diveniva fragile bolla ed esplodeva, così, senza far rumore. 
In quel mentre Shakya inizia a lamentarsi dalla camera accanto. Quasi senta anche lei la sofferenza della madre e voglia farvi eco; in realtà è più facile che abbia le coliche, dacché ha mangiato da poco.
Lascia tutto e corre da lei, prendendola in braccio. << Shhh … cosa c’è, piccolina? Fa male il pancino? >>, le mormora piano, massaggiandola delicatamente. La sistema su una spalla e inizia a passeggiare avanti e indietro, battendole pianissimo sulla piccola schiena forte; le controlla il pannolino, le avvolge una coperta intorno casomai senta freddo, e ancora niente.
Così la porta in cucina, apre il pensile e tira fuori la tisana al finocchio. La prepara, ma appena le posa la tettarella sul musetto Shakya la risputa quasi avesse tentato di darle rabarbaro.
Scoraggiata ma non arresa Ochaco riprova con della camomilla. E anche stavolta la manda al diavolo rifiutando il biberon con manine e piedini, nell’equivalente dei neonati di un bel dito medio alzato.
E continua a piangere disperata, senza placarsi e facendo venir voglia di piangere anche a lei.
Se ci fosse Katsuki lui saprebbe cosa fare.
Inizia a dubitare di se stessa anche come madre, Ochaco. Quasi che i suoi pensieri facciano male a quella creatura, che sia troppo presa da se stessa per occuparsi di lei come dovrebbe.
E adesso … anche lei comincia a respingerla.
<< Scusami … perdonami, Shakya. Perdonami … >>. Le sfugge un lieve singhiozzo, appena percettibile, mentre stringe la bambina al seno.
<< Ehi >>. Mitsuki si affaccia dalla porta con la spesa in mano, facendola sussultare.
Non si è neppure accorta che fosse entrata. << Ochaco, va tutto bene, cara? >>.
<< Sì. Sì, certo, Mitsuki-san >>. Cerca di sorridere, per nascondere l’angoscia che fino ad un istante fa le attanagliava il cuore. << Solo, non si calma. Ho provato tutto ma continua a piangere … non capisco cos’abbia >>. Lo ammette quasi con vergogna, sconfessando proverbio che vuole la madre in grado di comprendere i bisogni del figlio anche da un solo respiro.
Mitsuki inarca un sopracciglio, posando le borse sul tavolo. E Ochaco si sente avvampare di disagio, al suo sguardo indagatore non sfugge nulla.
<< Eh, io sì invece, mi sa. Dammela qui >>. Le prende la piccola dalle braccia, la dondola leggermente accarezzandole la testolina e subito, Shakya smette di gridare e inizia a piagnucolare, per poi acquietarsi del tutto.
<< Ma … >>.
<< Ma, nulla. Ti si vede chiaro in faccia che stai rimuginando su qualcosa, e non è nulla di allegro, sennò non avresti quel faccino triste. E lei lo sente, sai? E le fa male, oltre che farne a te >>. Cambia posizione alla bambina, senza però smettere di guardare lei. << Avanti. Che c’è che non va? E non dirmi le bugie. Quel testone di mio figlio ti sta facendo arrabbiare? >>.
<< Oh, no, no >>.
La donna sospira, scuotendo il capo con fare sapiente. << Come immaginavo. E’ colpa sua. Che ti ha fatto stavolta? >>.
<< Nulla. Davvero, non mi ha fatto niente >>. Ed è questo … il problema.
Gli occhi rossi di Mitsuki, così simili a quelli di suo figlio la scrutano attentamente.
Ochaco si morde il labbro. Le sembra ingiusto lamentarsi del fatto che lavori come un dannato per offrirle una vita più comoda, garantire a lei e sua figlia il necessario e anche qualcosa in più.
Ma una spiegazione qualsiasi deve pur darla a Mitsuki. Altrimenti è capacissima di andare a prenderlo a ceffoni sul lavoro. << E’ che … perdonami, non voglio pensi male. Ma … mi sento un po’ sola >>, mormora sedendosi, abbassando le mani tra le ginocchia e incrociando le dita tra loro. << Da quando è nata Shakya … è sempre fuori per lavoro, e io neanche riesco quasi a vederlo, a trascorrere un po’ di tempo con lui e… Oddio, cioè, so che ci sei tu, mia mamma, e poi la bambina ma … >>.
<< Tesoro ma è una cosa normalissima! Ogni donna vuole il suo uomo accanto, caz … volo! >>. Porta una mano  alle labbra, ricordandosi del fatto che adesso neanche suo figlio dice più parole poco consone in presenza della piccola. << Insomma, voglio dire, anche se è quello screanzato isterico di Katsuki, e che diamine. E’ il tuo compagno, oltre che il padre di tua figlia, sarebbe strano che non lo volessi semmai >>. Sbuffa, tirandosi indietro nella sedia. << Questi uomini Bakugō, tutti una pezza. Appena mettono su famiglia lavoro, lavoro, lavoro e pace amen. E’ proprio uguale a suo padre, santo cielo >>. 
Ochaco stira un breve sorriso. Parrebbe quasi un’eresia, una cosa del genere; eppure è vero.
In certi momenti somiglia moltissimo a Masaru. Specie con Shakya.
<< Ma ne hai parlato con lui? Gliel’hai detto, che vorresti ci fosse un po’ di più anche per te? >>, insiste Mitsuki-san. 
<< Io … non ne ho avuto l’occasione, in realtà. Hanno sempre tantissimo da fare … rientra sempre tardi, ed esce presto, e … non parliamo quasi, a parte se non quando viene a casa a pranzo, se gli riesce. E quando rientra non mi pare bello impedirgli di stare con sua figlia, che non ha visto tutto il giorno >>.
Mitsuki è allibita. << Gesù. Dico, figliola, ma parli seria o stai scherzando? Non sei forse un essere umano anche tu? Capisco che la bambina venga al primo posto, è chiaro, ma non è che si può mandare a tr… ehm, donne di malaffare una relazione perché ho un figlio idiota e una nuora troppo comprensiva >>. Sospira, ora più pacata.<< Senti, non sta a me dirti cosa fare. Tuttavia, se accetti un consiglio, dovresti chiamare il suo capo e convincerla a concedergli qualche giorno di ferie. Potresti dirle che sei molto stanca per via della bambina e ti serve un po’ di riposo. Cioè, insomma, non è proprio onorevole, ma funziona sempre >>.
<< Dici? >>.
<< Bah. Prova. Non ci perdi nulla. Vado a mettere nella culla Shakya, intanto >>. La lascia, per darle modo
di mettere in atto quel suggerimento.
Si è sempre fidata dei consigli di Mitsuki. E non c’è ragione per cui debba smettere adesso.
Prende il cellulare e compone il numero. << Ciao, Scarlet >>.
<< Uraraka-san! Che meraviglia sentirti! Come sta quell’adorabile batuffolo?? >>.
<< Bene, grazie >>.
<< Bakugō non c’è, è fuori per delle commissioni, sai, le solite scartoffie >>, la avvisa.
Ochaco si schiarisce piano la voce. accidenti, che ansia. << Veramente volevo parlare con te, Scarlet >>.
<< Oh. Che coincidenza. In realtà volevo giusto chiamarti per chiederti se è tutto okay, a casa. E se potevi riuscire a convincere Ground Zero a prendersi un po’ di riposo. Non fa altro che prendersi tutti gli incarichi che può, anche quelli che di solito affidiamo ai tirocinanti, c’è Aruimi che non fa altro che spostare le cose sulla sua scrivania e limarsi le unghie, quando non va di ronda. Cioè, capisco che le spese lievitano quando di mezzo ci sono bambini, eh! Per questo gli ho dato da firmare i documenti per il congedo parentale >>.
Ochaco sussulta. Katsuki non le ha detto nulla al riguardo. << Co… come? >>.
<< Massì. Per legge gli spetta di diritto, sono quattro giorni al mese per stare con la sua famiglia oltre a quello libero. Ed è retribuito ovviamente, gli basta compilare la domanda, cosa che ancora non ha fatto. So che il suo orgoglio marcio gli impedisce di farsi “regalare” soldi senza che li abbia guadagnati sul campo, però così si sta ammazzando. Ma almeno lo trascorre un po’ di tempo con sua figlia? >>.
Si morde il labbro, per non lasciarle sentire che quella novità l’ha colpita come un fulmine a ciel sereno. << Sì, assolutamente. Ogni minuto libero lo passa con la piccola >>.
E’ con lei che non vuole trascorrerne a quanto pare. Il fatto che la eviti, quasi, ne è la dimostrazione patente.
E adesso questo. << Comunque ho cercato di persuaderlo a prendersi quanto meno un fine settimana, visto ch’è da quando è nata la bambina che non si concede neppure un attimo di tregua. Oh, io non sono madre ma capisco che una donna ha anche bisogno di ritrovarsi un po’ dopo la nascita di un figlio no? Insomma … anche tu dovresti prenderti un po’ di tempo per te stessa >>.
<< Oh io … non … preoccuparti, Scarlet. Per fortuna ho … mia suocera e mia mamma, mi aiutano loro >>. E’ vero, sì, ma c’è anche una punta di orgoglio in quell’affermazione; lo è anche lei, dannatamente caparbia.
Non può certo dirle che vorrebbe il suo compagno accanto per tutt’altra ragione.
Tanto più che Tsuki non supporrebbe mai qualcosa del genere. << Allora … va bene. Però comunque non è sano. Prova a parlarci tu >>.
Mhmm. Se me lo lascia fare, mugugna silenziosamente Uraraka tra sé. << Ciao, Uravity. Bacia la piccina per me! >>.
<< Certo. Ciao, Tsuki-san >>. Chiude la conversazione, con un senso di vuoto alla bocca dello stomaco.
E’ peggio di quanto pensasse.
<< Sì è addormentata >>, mormora Mitsuki affacciandosi dalla porta. << Be’, che ha detto? >>. 
Uraraka tace.
Non le piacciono le bugie. I segreti, tanto meno.
Spera che quel silenzio sia abbastanza eloquente.
Mitsuki stira un angolo delle labbra, di disappunto. << Ho capito. Ci parlo io con mio figlio >>.
<< No, per favore … Mitsuki-san, davvero … >>.
In quel mentre bussano alla porta. << Chi sarà? Aspettavi qualcuno, Ochaco? >>.
<< No, in realtà. Mamma oggi aveva da lavorare, mi ha detto che non sarebbe passata stamattina >>. Si alza, va ad aprire.
Si trova davanti un uomo barbuto, occhialuto, piuttosto anzianotto, mai visto prima. << Salve, signora >>.
<< Salve >>.
<< Lei è Uraraka Ochaco? >>.
<< Ehm, sì. Sono io >>. 
<< C’è una lettera per lei >>. L’ometto mette fuori una busta, più grande di una comune lettera, dalla carta spessa, color perla.
Ochaco la prende, la volta. << Chi la manda? >>.
<< Ah, questo non posso dirglielo signora, deve leggerla lei. Buona giornata >>.
<< A lei >>. Richiude, con quella strana missiva stretta tra le dita.
Non è affrancata, non c’è nulla sulla busta che indichi il mittente. << Vuoi … che ti lasci sola? >>, azzarda mamma Bakugō, notando la sua esitazione.
<< Oh, no, ma figurati Mitsuki-san. Solo non riesco proprio a capire di cosa si tratti >>. L’addestramento Hero è ancora vivo in lei, malgrado non eserciti da mesi non ha certo dimenticato le mille precauzioni da adottare in caso di eventi fuori dall’ordinario.
Potrebbe essere una trappola. Toga non è più apparsa in giro, è vero, ma questo non significa che sia magicamente svanita nel nulla. E’ lì fuori da qualche parte, e potrebbe rispuntare da un momento all’altro, con in mente qualche piano nuovo di zecca per vendicarsi della delusione subita poco più di un anno addietro.
Anche il semplice contatto con quella lettera così insolita potrebbe nuocerle. Ma ce l’ha in mano da un po’, e se così fosse stato avrebbero già dovuto manifestarsi dei sintomi.
Che non siano quel cerchio alla testa e quella specie di piccolo “ bloop “ nel petto.
Non resta da fare una sola cosa.
Aprirla.
Sfila piano la linguetta, tirando fuori il cartoncino che vi è dentro, scorrendolo con gli occhi.
Oh. OH.
Questa non se l’aspettava. Cioè, insomma, sapeva che prima o poi sarebbe accaduto ma … non così presto, conoscendo la natura di uno dei due chiamati in causa.
Ma ehi, cavolo. Accadono anche più cose, in meno tempo.
Quindi non è poi tanto una sorpresa alla fin fine. << Ochaco, tutto bene? >>.
<< Ah ah >>. Rialza lo sguardo, sperando che Mitsuki non noti troppo lo sconcerto ch’è certa di avere dipinto in faccia.
Perché comincia già ad intuire le conseguenze di quel che significano quelle poche righe vergate a mano, con una calligrafia elegante e precisa che conosce fin troppo bene.
Tutte. Nessuna esclusa. << Pare che io e Katsuki … siamo invitati … ad un matrimonio >>.
   
 
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