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Autore: Vanclau    17/11/2019    1 recensioni
È quando l'oscurità si fa più fitta che la luce risplende più fulgida. Proprio per questo, nell'ora più tetra dell'umanità, sette fiaccole ardono intense come guide degli uomini; sette spade, sette ragazzi uniti da un destino comune, sette Altari del passato che riemergono nel futuro per scrivere un'altra volta le pagine dei libri di storia.
Genere: Fantasy, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’occhio troneggiava sulla città ignara di quanto stava per accadere, invisibile a occhi comuni. Merlino osservava con sguardo preoccupato quello che era il preludio alla fine, seduto a terra sul ciglio della strada e vestito come di consueto con abiti stracciati. Poteva sembrare un comune senzatetto che chiedeva l’elemosina, e alcuni passanti impietositi avevano anche avuto il buon cuore di lasciargli alcune monete all’interno di uno sporco cappello rovesciato posto dinnanzi a sé. Sapeva che quella era solo una facciata, un modo per impedire di essere scoperto troppo presto, ma era comunque rimasto sorpreso dal gesto di alcuni.

Ormai portava avanti quella maschera di se stesso da molti anni, e non era la prima volta che si ritrovava a racimolare qualche moneta con quella finta elemosina, pur sapendo che la maggior parte di quei “buoni samaritani” pensavano che facendo così sarebbero semplicemente stati in pace con loro stessi e con la comunità, quasi fosse un modo per dire a chi invece passava oltre “guardatemi, io sono generoso”; ma, in mezzo a tanta superficialità, lui che con la sua magia poteva scrutare nel cuore delle persone aveva visto gente che davvero riteneva che fosse giusto aiutare chi era più sfortunato, che lasciava qualcosa non per farsi notare ma solo per un cuore troppo buono per una società come quella in cui vivevano. Era per loro che continuava a combattere e per loro che doveva trovare una via verso un futuro luminoso.

Quando fu certo di aver ricaricato la sua magia, che ultimamente aveva iniziato a indebolirsi troppo velocemente dopo pochi incantesimi, prese il cappello infilandosi le monete nella tasca dei pantaloni scuri e pensando a Jeanne. Tornato in Francia, come sua abitudine, avrebbe dato a lei quelle monete convinto che servissero più alla piccola erede di Gioiosa che a lui, che da diverso tempo non aveva più neanche bisogno di mangiare. Ormai era diventato poco più di uno spettro del passato, e sentiva il gelo della fine farsi vicino giorno dopo giorno. “Mio Re, se potessi vedermi ora cosa diresti?” chiese allo spettro di colui che un tempo aveva servito fedelmente fino al triste giorno della sua morte. “Quale consiglio daresti a colui che un tempo era il tuo più fidato consigliere?”

Iniziò a incamminarsi verso la sua destinazione, la mente persa in ricordi lontani, immagini di un passato le cui spoglie non erano quasi neanche più visibili nella società contemporanea della Gran Bretagna. Dopo la morte del sovrano aveva vagato per il mondo, condannato all’attesa perenne di un futuro del quale conosceva lo svolgersi fino all’arrivo dell’Era Oscura, aspettando pazientemente che il mondo avesse ancora bisogno del potere di Excalibur, ma qualcosa era andato fuori dalle sue previsioni. Differentemente da quanto immaginava, infatti, altre armi si erano risvegliate e da quel momento aveva iniziato il suo studio su tutto ciò che era leggenda, mitologia e storia, eppure mancavano ancora dei tasselli e le cose stavano precipitando più velocemente del previsto.

Dopo aver percepito la nascita di Edgard, Jeanne e di chi era come loro si era reso conto che nelle sue condizioni non sarebbe riuscito a raggiungerli tutti per tempo, e che probabilmente non avrebbe avuto modo di prepararli a dovere all’immane compito che li aspettava. Per questo aveva avuto bisogno di un aiuto esterno, di qualcuno che potesse dargli una mano a trovare quei ragazzi. Però almeno lui doveva incontrarlo.

Secondo il suo primo e unico allievo, James O’Brian, il ragazzo si chiamava Julius Klein ed era il legittimo proprietario di Excalibur, l’erede del suo Re. Ancora si interrogava con quale criterio il destino scegliesse gli eredi di eroi e condottieri del passato, ma reputava la nascita di Julius in Inghilterra come un segno diretto a sé. Lui si sentiva ancora parte di quel Paese, devoto al Re di Camelot e ai suoi Cavalieri, e forse il fato aveva voluto fargli quell’ultimo regalo, poter rivedere in patria Arthur.

Fu l’accorgersi che qualcuno lo seguisse a farlo fermare voltandosi allarmato. Non c’era alcun motivo evidente per cui bisognava seguirlo, aveva nascosto la propria presenza meglio che poteva e vestito di stracci non poteva neanche suscitare le brame di un qualche borseggiatore, però nello sguardo che incrociò nel misterioso individuo poté notare una luce che avrebbe riconosciuto in ogni circostanza.

«Merlino» disse semplicemente il suo pedinatore avanzando di qualche passo. «Quanti secoli sono passati?»

Merlino sbatté un paio di volte le palpebre, come a sperare che fosse un’allucinazione per quella stanchezza che da troppo tempo si portava appresso. L’aspetto era diverso da quel che ricordava, ma la voce rauca che sembrava provenire da un altro mondo e gli occhi che parevano stillare odio per ogni cosa erano inconfondibili per il vecchio stregone di Camelot. Era la prima volta che lo incontrava con sembianze umane, ma non poteva sbagliarsi e gli risultava difficile credere di esserselo ritrovato davanti, o semplicemente che fosse ancora vivo dopo essere stato presente alla sua caduta «Fafnir.» Un nome che rievocava tristi ricordi di un suo viaggio nelle terre del Nord dopo aver sentito racconti su un eroe che poteva essere possessore di una delle armi che stava cercando. Aveva conosciuto Fafnir e suo fratello proprio in quel periodo, assistendo impotente alla mutazione che aveva subito per colpa della propria avidità; colui che un tempo riteneva un amico ora gli stava davanti scrutandolo con sguardo assassino.

«È così che saluti un vecchio amico? Neanche un abbraccio?» Fafnir si fece più vicino, portando Merlino ad indietreggiare. Gran parte dei suoi poteri era andata perduta da tempo e non era certo di poter competere con l’essere che in quel momento si stava fingendo un semplice umano ben vestito con una giaccia sportiva blu sopra una camicia bianca, jeans e scarpe nere.

«Tu non sei l’amico che conoscevo» disse Merlino, voltandosi poi intorno e rendendosi conto che si trovavano completamente soli pur stando in una via principale che solitamente ospitava diversi passanti.

«Non verrà nessuno in tuo aiuto, Merlino, lo sai bene.»

E lo stregone capì. Fafnir non era mai stato realmente portato per la magia, nonostante avesse provato a insegnargliela come aveva fatto con Jeanne e James, ma anche uno come lui poteva lanciare un incantesimo tanto semplice. Si maledisse per non essersene accorto prima, tentando di spezzare il sortilegio che li aveva trasportati in quella dimensione parallela. Poiché non erano i passanti a essere scomparsi, ma loro a essere stati portati in una dimensione illusoria costruita dallo stesso Fafnir a immagine e somiglianza di quella reale. Merlino sapeva che non era possibile creare nuovi universi con la magia, ma tra le varie dimensioni già esistenti vi era uno “spazio vuoto” composto dal nulla più assoluto, dove con un incantesimo di illusione era possibile generare realtà fittizie con le sembianze che si desideravano. E loro si trovavano proprio in quel luogo, nel Vuoto.

«È inutile» sentenziò Fafnir con voce divertita dopo qualche istante. «La Sua influenza può raggiungere anche questo luogo, non te ne sei accorto?»

Merlino dovette dargli credito. Nonostante si fosse riposato a sufficienza poteva percepire la propria magia venire prosciugata costantemente, e la causa doveva essere l’occhio nel cielo. «Che cosa vuoi?»

«Volevo solo salutare un vecchio amico» rispose lui. «Ma non sembri molto felice di vedermi.»

«Come potrei esserlo dopo quello che hai fatto? Dopo quello che sei diventato?» Doveva trovare il modo di fuggire dal Vuoto o si sarebbe ritrovato completamente in balia di Fafnir che aveva il pieno controllo di quell’illusione. Sapeva che in fatto di magia avrebbe potuto batterlo anche con i poteri indeboliti, ma se l’essere avesse riacquisito le sue reali sembianze non avrebbe più avuto scampo.

All’improvviso un boato proveniente dal mondo reale raggiunse il Vuoto, sebbene il suono fosse attutito dal passaggio dimensionale in cui era stato trasportato. Se il rumore aveva addirittura raggiunto quell’illusione, però, doveva essere stato così forte da far tremare la terra stessa, e anche Merlino in quel momento tremava di paura.

Fafnir rise. «È iniziato» sentenziò.

«No, è troppo presto!» urlò disperato Merlino tornando a guardare il suo interlocutore e lasciandosi scappare un colpo di tosse, portandosi una mano alla bocca. Quando vi posò gli occhi notò del sangue sul palmo, il suo tempo stava per finire.

«Lo so.» Fafnir non sembrava averci dato peso. «Ma io non sono l’unico alleato che hanno. Noi siamo il preludio alla fine e gli annunciatori del Suo ritorno in questo mondo.»

Altri come Fafnir dunque avevano già iniziato l’opera di distruzione preannunciata dalle visioni, non c’era altra spiegazione. Quando Merlino lo comprese, lo sguardo che rivolse all’essere non era più carico di odio e rammarico per l’amicizia perduta, ma solo pieno di domande. «Quali sono i vostri veri obiettivi? Cosa sperate di ottenere dall’Era Oscura?» Merlino non riusciva neanche lontanamente a immaginare la risposta a quelle domande, al motivo che aveva spinto uno come Fafnir ad allearsi con gli Oscuri, i portatori della più pura distruzione. Un tempo egli era mosso dall’invidia, e i suoi obiettivi erano chiari quando poi venne sconfitto dalla lama di Sigurd, ma perché poi allearsi con simili esseri? Cosa ne avrebbe ricavato?

«Anche se ti rispondessi dubito che riusciresti a comprendere cosa ci muove.» Fafnir sembrava essersi quasi intristito. «Nessuno però mi aveva chiesto di venire a farti visita, è stata una mia scelta.» Gli tese una mano. «So che ormai sei al limite, e voglio offrirti una possibilità di sopravvivenza in nome della nostra vecchia amicizia. Unisciti a noi e vivi, o sarò io stesso a ucciderti; non voglio vederti morire per mano del crudele tempo limitato che ci è concesso in questo mondo.»

Merlino guardò quella mano che chiedeva di essere stretta, ma la scostò con uno schiaffo. «Quello che mi offri implica macchiarmi di tradimento nei confronti del mio Re» sibilò.

«È un vero peccato» fu il commento di Fafnir mentre indietreggiava. Accadde più rapidamente di quanto lo stregone potesse immaginare, il corpo umano dell’essere fu scosso da alcuni spasmi mentre la pelle si ricopriva di squame nere, i vestiti si strappavano e al posto del giovane uomo di cui aveva preso le sembianze apparve il suo vero aspetto, quello di un enorme linnormr, una creatura a metà tra una serpe e un drago, ma senza le ali tipiche di questi ultimi. La creatura si allungava per circa dieci metri, più robusta nella parte centrale del corpo dove le spuntavano gli unici due arti che possedeva, lunghe zampe artigliate. La coda, lunga circa un terzo dell’intero corpo e più sottile e affusolata, sbatté a terra con un fragore assordante mentre il collo si allungava verso merlino e la bocca si apriva in un ghigno mostrando una chiostra di zanne affilate. «Non volevo arrivare a questo, ma non mi hai lasciato scelta» disse.

Merlino era pronto alla più dura battaglia della sua vita.

 

Tra gli involontari spettatori qualcuno si portò le man alla bocca, gli occhi increduli; altri scesero dall’autobus per avvicinarsi e poter meglio osservare, di certo i più coraggiosi, mentre un terzo gruppo di persone iniziava ad allontanarsi il più velocemente possibile per evitare la possibilità di rimanere coinvolti. L’unico che poteva dire di non appartenere a nessuna delle tre categorie era Julius, che immobile sulla soglia del mezzo lasciò che la rivista ancora arrotolata nelle mano destra scivolasse a terra. Qualcuno gli diede una spinta facendolo spostare leggermente e il giovane vide l’autista stesso essere sceso per controllare cosa stesse accadendo, e come gli altri non poté far altro che rimanere sorpreso da quello spettacolo.

Un’enorme colonna di fumo nero aveva iniziato ad alzarsi in lontananza, approssimativamente dove sorgeva il Tower Bridge, uno dei simboli della città stessa, ma non era tanto quello a sorprendere quanto l’enorme alone di una tonalità tra il rosso e l’arancio che pareva annunciare la presenza di un incendio di vaste dimensioni.

Ripresosi dallo shock per quella inaspettata vista, Julius iniziò a muoversi istintivamente verso l’origine del boato, continuando ad accelerare il passo finché non si ritrovò a correre. Erano tanti i motivi che lo stavano spingendo ad affrettarsi, tra la curiosità di scoprire se l’esplosione fosse collegata all’occhio e, soprattutto, lei. Victoria abitava proprio nei pressi del Tower Bridge e la sola idea che potesse esserle capitato qualcosa lo stava facendo impazzire. Doveva sbrigarsi, raggiungerla prima che fosse troppo tardi.

Ormai con il fiato corto si fermò quando gli si parò davanti agli occhi la più terrificante delle visioni con l’intero quartiere di Southwark avvolto nelle fiamme, tra i suoni delle grida strazianti di chi cercava di fuggire, gli antifurti delle macchine che sembravano partiti tutti insieme e il pianto di un bambino. Fu proprio da quest’ultimo, l’unica persona che potesse vedere chiaramente in quella confusione, che si diresse con passo svelto cercando di allontanarlo dalle zone incendiate; il piccolo, però, si dibatteva urlando frasi sconnesse tra loro delle quali Julius poté comprendere solo le parole “mamma” e “sorella”.

Qualcuno doveva averlo visto alle prese con quel salvataggio, poiché un uomo gli si avvicinò aiutandolo e quando il bambino lo vide sembrò tranquillizzarsi permettendo che lo allontanassero di qualche metro, ancora in lacrime.

Julius ringraziò l’uomo, che però continuava ad abbracciare il piccolo lanciando solo fugaci occhiate all’incendio. Quando sembrò rendersi conto che Julius era rimasto vicino a loro, finalmente, gli parlò. «Sono io che ti ringrazio per aver salvato mio figlio!»

A quel punto per Julius fu semplice mettere assieme tutti i pezzi. «Il bambino ha parlato di sua madre e sua sorella» disse tutto d’un fiato, senza sapere cos’altro poter dire e con la mente ancora rivolta alla ricerca di Victoria.

«Mia moglie e mia figlia…» Gli occhi dell’uomo si arrossarono per il pianto. «Devono stare ancora…» Il padre del bambino non finì la frase, ma allungò una mano tremante verso le fiamme.

Julius chiuse gli occhi pensieroso. Dopotutto doveva ancora trovare Victoria, e quindi era anche nel suo interesse attraversare il borgo in fiamme; quando tornò a guardare padre e figlio aveva preso la sua decisione. «Cercherò di trovarle, voi restate qua al sicuro» disse ostentando una sicurezza che non aveva. Per tutto quel tempo aveva rifiutato di aiutare O’Brian proprio per non rimanere coinvolto in cose del genere, e pur non essendo certo che l’occhio e l’incendio avessero un qualche collegamento ora si ritrovava proprio in una di quelle situazioni che avrebbe volentieri evitato. Per un attimo pensò che avere con sé Excalibur avrebbe potuto fargli comodo, ma di certo non poteva perdere tempo ad andare al museo, rubare la spada e capire come poteva funzionare il suo potere e quale protezione avrebbe potuto offrirgli dal fuoco.

Sul luogo si stavano già radunando diversi pompieri e volontari nell’intento di domare l’incendio, così senza esitazione si diresse verso un uomo che stava riempiendo un secchio con dell’acqua, strappandoglielo dalle mani e inzuppandosi da capo a piedi nella speranza che ciò avrebbe tenuto le fiamme lontane abbastanza a lungo. Il volontario, incredulo, provò a dire qualcosa ma Julius non lo lasciò parlare e corse con gli occhi chiusi attraverso quello che sembrava a tutti gli effetti un muro di fuoco. L’ultima cosa che poté sentire prima di avere le orecchie piene del crepitio delle fiamme fu il tipico rumore metallico dei droni pompieri, forse gli unici che avrebbero potuto realmente domare quelle fiamme così estese, ma Julius non poteva attendere che droni e umani pompieri estinguessero l’incendio con la speranza di trovare Victoria e la famiglia del bambino tra i sopravvissuti.

 

Fafnir era davvero troppo forte per lui, ora ne aveva la conferma. Con l’occhio che gli prosciugava le energie magiche non riusciva a mantenere attivi i suoi incantesimi troppo a lungo e l’essere metà serpente e metà drago incombeva minaccioso sferzando l’aria con gli artigli e la possente coda, colpendolo a più riprese. Merlino non si stupì che era servita un’arma dai grandi poteri magici per riuscire a sconfiggerlo in passato, ma se almeno avesse avuto i suoi pieni poteri avrebbe potuto tentare una fuga per riorganizzarsi, poiché se non usciva dal Vuoto era praticamente in trappola. Inutile quanto tentasse di allontanarsi dall’essere, quello manipolava la propria illusione trasportandosi ogni volta a portata per poterlo colpire ripetutamente e ormai lo stregone sembrava rassegnarsi alla sua impotenza dinnanzi a una simile creatura. Aveva anche osato sperare che l’incantesimo illusorio non durasse a lungo, ricordando come Fafnir non fosse stato portato per apprendere tutti i segreti della magia, ma evidentemente traeva potere da qualcosa che amplificava la sua forza consentendogli imprese un tempo impossibili; l’unica risposta poteva essere l’occhio che prosciugava la sua magia e la donava ai propri alleati.

Provò nuovamente ad allontanarsi per riprendere fiato e provare un nuovo attacco magico, ma di nuovo si ritrovò la creatura alle proprie spalle che gli graffiò la schiena lacerando indumenti e carne e provocandogli un dolore lancinante che lo costrinse a terra boccheggiante. Non poteva morire in quel luogo, non dopo aver assicurato a Jeanne che sarebbe tornato da lei e non prima di aver incontrato di nuovo il suo Re, doveva trovare una soluzione.

Si rialzò per l’ennesima volta richiamando a sé tutta la forza fisica che il suo vecchio corpo gli stava concedendo, ma prima che potesse anche solo pensare a un attacco Fafnir gli era di nuovo addosso e Merlino si preparò a ricevere un altro colpo, che però non giunse mai. Il linnomrmr sembrava essersi arrestato di proposito, annusando l’aria con sguardo quasi sorpreso.

«Sembra che sia tempo di concludere questo triste spettacolo» annunciò con un ghigno, prima di tornare all’attacco. Questa volta Merlino ebbe l’assoluta certezza che Fafnir non si sarebbe limitato ad attaccare per divertirsi a farlo soffrire, ma puntava a ucciderlo con un unico colpo in cui stava riversando tutta la sua foga e la sua brama di sangue. Lo stregone si preparò a incassare e quando percepì il dolore degli artigli sulla sua pelle tutto si fece confuso e la sua coscienza scivolò nell’oblio.

 

«Ehi! Svegliati, ti prego!» La voce di Julius tentava disperatamente di superare in volume gli urli di terrore misti a dolore di chi non stava riuscendo a sfuggire alle fiamme, mentre osservava la piccola ragazzina di circa dodici anni che giaceva a terra, il respiro affannato, accanto al corpo di quella che doveva essere la madre, ormai senza vita.

Julius l’aveva trovata quasi subito dopo essere entrato in mezzo alle fiamme, accanto ai resti di quella che doveva essere il palazzo dove vivevano e sotto il corpo della donna, che presumibilmente le aveva fatto da scudo contro una vampata esplosa proprio dal portone d’ingresso mentre fuggivano. Julius non era giunto troppo tardi per salvarla, ma se solo fosse arrivato prima avrebbe potuto forse portare via anche la donna. Quella consapevolezza lo aveva demoralizzato, facendogli capire che immane follia aveva deciso di compiere. Per un attimo, dicendo quelle parole all’uomo e al bambino, si era creduto realmente l’eroe che tanto O’Brian aveva voluto fargli credere di essere, ma lui non era mai stato portato per quel ruolo. Come poteva essere un eroe se non era stato in grado neanche di salvare una donna?

Le lacrime che ormai avevano cominciato a sgorgare copiose, con i ricordi del giorno in cui era toccato proprio a lui perdere i propri genitori, provò ancora a scuotere la piccola con delicatezza. «Ti prego, non puoi farmi questo…» sussurrò mentre il respiro si stava affievolendo con allarmante velocità. Si diede un violento schiaffo per riprendersi, sollevando la bambina di peso e iniziando a trasportarla fuori da quell’inferno. Il passo era incerto per il peso che portava sulle spalle e le fiamme cominciavano con lentezza ad attecchire sui suoi vestiti, ormai quasi completamente asciutti, ma non si fermò mai finché finalmente non stava per riemergere dalle fiamme quando il suo sguardo si posò su un’altra figura distesa a terra dagli inconfondibili capelli quasi color cremisi che potevano sembrare tinti. «Victoria!» urlò senza sapere se doveva essere felice per averla trovata o triste per le sue condizioni. La ragazza non diede segni di averlo sentito, o di essere cosciente, così Julius diede fondo a tutte le proprie energie per portarsi accanto a lei, impaurito da ciò che poteva scoprire.

La giovane, per sua fortuna, ancora respirava ma l’aria stava lentamente diventando più pesante per l’anidride carbonica che ormai, pur trovandosi all’aperto, stava diventando insopportabile. Nessuna normale esplosione avrebbe potuto causare qualcosa del genere in così poco tempo, Julius lo aveva compreso subito pur cercando di non pensarci.

Victoria, che comunque doveva avere un fisico più resistente della bambina, aprì gli occhi dopo essere stata scossa un paio di volte. «Julius» disse con una voce flebile, quasi irriconoscibile per una che era sempre piena di vita come lei.

«Sono qui, Victoria» le rispose lui cercando di esibirsi nel più tranquillo e sereno sorriso, senza troppi successi.

La razza tossì. «E la piccola chi è?»

«Pensavo di adottarla e fare una sorpresa a O’Brian» cercò di scherzare lui, nonostante quella situazione.

Victoria sembrò iniziare a ridere, ma dovette interrompersi per un altro colpo di tosse. «Come fai a scherzare in un momento del genere…»

«Ti porterò fuori da questo inferno» disse lui tornando serio.

«Non ce la farai con anche la piccola, io non riesco neanche a camminare.» Victoria allungò una mano a sfiorare il volto di Julius. «Porta prima lei, io ti aspetterò.»

«Non posso farlo.» La risolutezza di quella risposta sorprese lo stesso Julius, oltre che Victoria, ora con gli occhi che lo guardavano interrogativi. «Non ho potuto fare niente per i miei genitori e ho già fallito nel salvare la madre di lei, non posso perdere anche te!»

Una forza che era certo non gli appartenesse stava iniziando a pervaderlo mentre prendeva Victoria sotto braccio aiutandola ad alzarsi e ritrovandosi a dover avere la bambina come peso morto sulle spalle e la ragazza che anziché camminare si limitava a lasciarsi trasportare strusciando le gambe inerti. Julius non aveva alcuna conoscenza in campo medico e sperò che non avesse riportato seri danni agli arti inferiori. Victoria non doveva essere coinvolta in tutto ciò, non si meritava di rimanere paralizzata per un qualcosa che riguardava solo lui.

L’uscita dal borgo, dove le fiamme non sembravano intenzionate a voler andare, altro segnale che non avevano nulla di realmente naturale, era proprio davanti a lui ma più avanzava più la stanchezza lo pervadeva, fino a quando non ebbe la sensazione di star perdendo conoscenza e tutto ciò che gli stava intorno iniziò a perdere di consistenza, finché non si ritrovò davanti l’immagine di un limpido lago. Pur essendo certo di non esserci mai stato personalmente, quella visione gli suscitò un immane senso di nostalgia, mentre sentiva sorprendentemente il peso di Victoria e della piccola senza nome sparire dal proprio corpo.

All’improvviso dal calmo specchio d’acqua emerse una figura eterea che aveva le sembianze di una giovane e avvenente donna, i piedi scalzi che appena sfioravano la superficie dell’erba di quella misteriosa radura. L’abito che indossava era quasi un semplice velo trasparente che però, anziché lasciare intravedere il corpo nudo di lei sotto di esso, permetteva letteralmente di scrutare attraverso la donna il paesaggio circostante, quasi come fosse un fantasma.

«Julius Klein» lo apostrofò lei con voce suadente che Julius si ritrovò a pensare non potesse appartenere al suo stesso mondo. «Vuoi davvero salvarle entrambe?»

Julius, che all’apparizione della donna sembrava aver perso l’uso della parola per lo stupore, deglutì. «Sì» rispose infine.

La donna sembrò sorridere mentre faceva un gesto con la mano, il palmo rivolto al cielo, come stesse sorreggendo qualcosa. Le acque del lago si incresparono, permettendo l’emergere di una roccia dalla forma di una mano sul quale si vedeva chiaramente la presenza di una spada. «Allora ti concederò tale potere.»

«Chi sei?» Julius non era riuscito a trattenersi dal chiederglielo, chiedendosi per un istante se non fosse morto tra le fiamme e si trovasse dunque nell’ipotetico aldilà di cui tanto si parlava, tra diverse credenze e scetticismo; ma se così fosse stato la domanda di lei non avrebbe avuto molto senso.

«I nomi non hanno importanza per me, e nel corso del tempo me ne hanno attribuiti tanti» fu la risposta che ricevette. «Ma ai tempi del Re mi conoscevano prevalentemente con l’appellativo di Dama del Lago.»

Julius la guardò sbalordito. «Allora quella spada…»

«È Excalibur» confermò la Dama. «Ma non posso dartela fisicamente, recuperarla è un compito che spetta solo a te, Julius Klein. Posso però concederti il potere che ti serve a salvare coloro che si stanno affidando alla tua forza.»

Julius, ora che aveva compreso cosa comportasse quella visione, distolse lo sguardo. «Mi sono stancato di ripeterlo, ma con tutta questa storia e con Excalibur non voglio essere coinvolto.»

A differenza di quanto accadeva con O’Brian, però, a quelle parole la Dama non mostrò né delusione né rabbia. Semplicemente sorrise con quel suo fare tranquillo. «Allora considera questo come un prestito e non un dono, Julius.» L’assenza del cognome dopo il suo nome aveva dato alla voce della Dama un tono meno solenne e più colloquiale, quasi amichevole. Per qualche ragione Julius sentiva di poter fidarsi di lei. «Dopotutto nulla è ancora scritto e tutto può succedere, indipendentemente da quel che il destino ci riserva alla nostra nascita. Sta agli umani decidere se seguire le trame del fato o nuotare controcorrente percorrendo la propria via.» In quelle parole il giovane notò una nuova nota nelle sfumature della sua voce, quasi un rammarico inespresso, un qualcosa di incompiuto.

Julius si limitò ad accettare con un cenno di assenso, mentre iniziava nuovamente a sentire la fatica derivata da quanto stava accadendo al suo corpo, segno che probabilmente la Dama lo stava riportando alla realtà. «Ho solo un favore da chiederti in cambio, ma starà a te decidere se accontentarmi o meno, io non potrò comunque costringerti nelle mie attuali condizioni.»

Julius si fece nuovamente attento, cercando di scacciare il senso di spossatezza. «Quando tornerai indietro sarete tutti e tre salvi, e quando l’Era Oscura giungerà ti chiedo di proteggere una ragazza, il suo nome è Jeanne.» Una breve pausa mentre il paesaggio intorno a loro sbiadiva e solo la figura della Dama manteneva una parte della sua nitidezza. «Ella avrà un ruolo fondamentale nei tempi che verranno, non dimenticarlo.» La figura della Dama anche infine scomparve, lasciando Julius nella più completa oscurità. «Difendi l’Altare di Lancillotto.» Quelle ultime parole lo raggiunsero poco prima che perdesse i sensi.

 

Quando riaprì gli occhi si trovava sotto un cielo limpido che non lasciava neanche intuire il paesaggio carico di distruzione che lo circondava. Dolorante e senza riuscire ancora ad alzarsi si portò il palmo della mano destra davanti agli occhi. Era certo di aver visto una figura femminile seguita da un urlo carico di rabbia e rancore mentre si preparava a una morte non cercata, una creatura che non aveva faticato a riconoscere.

«E così mi hai salvato, Nimue» disse Merlino senza riuscire trattenersi dal fare una risata che doveva aver suscitato curiosità nei presenti. Poté percepire diversi occhi puntati su di lui, ma non voleva prestare loro attenzione, e forse ci sarebbe riuscito se un ragazzo con i capelli biondi non gli si fosse parato davanti. Il volto era sporco di cenere e i vestiti in parte bruciati, ma non sembrava ferito e Merlino constatò che doveva avere all’incirca sedici anni. Con fatica riuscì a sollevarsi e a guardare meglio quel viso che parve per un attimo riconoscere, prima di scuotere la testa e pensare che fosse impossibile. Ma il giovane non sembrava intenzionato ad allontanarsi e pareva pure fin troppo incuriosito.

«Hai detto Nimue?»

Merlino sussultò. Non credeva che qualcuno potesse averlo sentito in quella piccola constatazione appena sussurrata, ma il giovane doveva essersi trovato proprio vicino. Merlino tentò di divagare guardandosi intorno e contemplando il quartiere quasi totalmente distrutto dalle fiamme. Pur non essendo stato presente al momento dell’esplosione i segni dell’incendio erano inconfondibili e percepiva nell’aria qualche residuo della magia utilizzata. «Ti sei sbagliato, ragazzo» disse lo stregone tornando a guardarlo.

«Invece credo di aver sentito bene uno dei nomi della Dama del Lago» rispose lui mettendoglisi seduto davanti e facendo un cenno a una ragazza come a chiederle di aspettare.

«È solo un personaggio mitologico e letterario» affermò Merlino tentando di finire la discussione.

Il giovane gli si avvicinò. «Io non credo che lo sia, così come penso che esista anche la leggendaria Excalibur.» Merlino non riuscì a trattenersi dallo stupore e deglutì, suscitando un sorriso divertito nel suo interlocutore. «Il mio nome è Julius Klein.»

Al sentire pronunciare quel nome per poco non gli prese un infarto, tornando a guardare gli occhi del giovane e perdendosi in quell’azzurro così simile al limpido cielo estivo. «Mio Re» lo chiamò con semplicità, senza riuscire ad aggiungere altro.

   
 
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