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Autore: Ksyl    21/11/2019    4 recensioni
Alcuni mesi dopo la 2x24
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Richard Castle
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Seconda stagione
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8. Beckett

Le sarebbe piaciuto negare, anche di fronte a se stessa o a una giuria preposta a sentenziare su tale specifica materia, di sentirsi più nervosa di quanto si fosse aspettata. Di quanto fosse normale aspettarsi.
"È solo Castle", si ripeté per l'ennesima volta, aggiustandosi i capelli davanti al minuscolo specchio posizionato sopra il lavabo – non ne aveva uno che la ritraesse a figura intera, fino a quel momento non era stata una necessità -, poco incline a mostrarsi compassionevole di fronte a qualcosa che considerava solo una debolezza, sperabilmente transitoria. "Solo una cena".

Avevano trascorso insieme al distretto molti più giorni di quanti riuscisse a ricordare, che cosa sarebbe potuto succedere di tanto eclatante da renderla nervosa come un riccio imbizzarrito, al pensiero di un paio d'ore di chiacchiere tra ex colleghi – sicuramente una definizione che Castle avrebbe apprezzato più di compatrioti - che si sarebbero giocoforza concluse quando avessero consumato il cibo nei loro piatti ed esaurito un'eventuale conversazione? Niente. Magari la serata si sarebbe perfino rivelata noiosa. Fece una smorfia di disapprovazione rivolta a se stessa. No, sarebbe potuta succedere qualsiasi catastrofe, compreso il ritrovamento di cadaveri occultati nel retro del locale, ma di certo non si sarebbe annoiata, non con Castle. Molto più probabile che avrebbe finito col minacciarlo con un coltello da cucina, se solo si fossero dimostrati abbastanza affilati.

La questione era un po' più complessa. Sospirò. Complesso era un termine che a cui stava ricorrendo un po' troppo spesso per definire i chiaroscuri della sua esistenza.
Il problema non era uscire con Castle. Le venne un colpo, quando si accorse della pessima scelta linguistica che le era affiorata alla mente con tanta naturalezza. Doveva immediatamente riformulare la frase o avrebbe corso il rischio che durante la cena le scappasse un commento inopportuno che lui avrebbe usato contro di lei in eterno.

Il problema era che quella che stavano incautamente per affrontare, in qualsiasi modo la si volesse chiamare, era una situazione molto diversa dal solito. Nella vita che avevano condiviso in precedenza, condiviso unicamente in senso professionale, erano stati costretti a muoversi entro ruoli prestabiliti, ruoli molto chiari e non soggetti ad alcuna interpretazione arbitraria, che prevedevano precisi codici comportamentali. Per dirla in breve, quando Castle esagerava, lei poteva richiamarlo all'ordine ricordandogli che si stavano occupando di un crimine, non del suo parco giochi. Aveva avuto l'autorità per frenare qualsiasi deriva inappropriata.
Dopo il rocambolesco arrivo di Castle al distretto e superato il primo periodo di rodaggio – lei avrebbe preferito parlare di cataclisma - avevano imparato a rispettare una routine che aveva il duplice vantaggio di permettere a lei di continuare a essere produttiva nel suo lavoro, e a Castle di tenere a bada la sua dirompente vitalità, traducendola in impulsi creativi che lei riteneva preziosi, il tutto senza vedersi tragicamente invadere il proprio spazio personale, nonostante occasionali scossoni.

Una cena a due era qualcosa di molto più intimo, era soprattutto un territorio inesplorato che non prevedeva alcun muro di contenimento. C'erano almeno un miliardo di ottime scuse per non accettare il suo invito, ma lei le aveva sorprendentemente dimenticate tutte, quando aveva accettato. Poteva solo prendersela con se stessa, constatazione che contribuiva ad aumentare la sensazione di essersi ficcata in trappola senza motivo. Inoltre, Castle avrebbe certamente voluto porre domande – affascinato com'era dalle pulsioni e dagli abissi degli esseri umani, in particolare quelli che la riguardavano - su una serie di questioni di cui lei non aveva nessuna voglia di metterlo al corrente, tanto più che non gli sarebbe bastata una risposta superficiale. Non avrebbe mollato finché non avesse scavato fino a farle sputare la verità, prontissimo a impicciarsi in fatti che non lo riguardavano, tenace abbastanza da non darle tregua.
Senza un omicidio a distrarlo non sarebbe stato semplice contenere la sua curiosità, legittima o meno. Rifiutare sarebbe stato molto più salutare. Ma a questo punto non poteva disdire, perché era certa che si sarebbe presentato alla sua porta con una bottiglia di vino in mano e la prospettiva era anche più spaventosa di trascorrere qualche ora a difendersi dai suoi tentativi infruttuosi di penetrare la sua armatura.

...

Una brezza calda e asciutta le scompigliò i capelli che non era riuscita a domare in nessuna acconciatura soddisfacente e accompagnò i suoi passi rapidi, accarezzandole le gambe nude, mentre si affrettava verso la meta. Era un po' in ritardo, ovvio e scontato risultato per aver rimandato i preparativi fino all'ultimo. Non che ci fosse stato niente da preparare in senso stretto, ma ultimamente la sua vita era stata così povera di vivacità da far diventare un evento perfino una tranquilla cena a due. Si ripromise di fornire una versione meno miserabile della sua vita, per non allarmare Castle più di quanto non già non fosse.

Si impose di sorridere al suo riflesso in una vetrina un attimo prima di fare il suo ingresso nell'unico locale che avesse frequentato nei dintorni, e solo sporadicamente. Anche su questo avrebbe prudentemente fatto silenzio.
L'interno del ristorante era fresco e suggeriva un'idea di agio informale che, a dispetto delle apparenze, doveva essere stata accuratamente studiato. Salutò la persona che l'accolse appena entrata e che si affrettò premurosamente ad accompagnarla a destinazione, avvisandola che il suo accompagnatore era già arrivato. Lui era puntuale, naturalmente. Era lei a presentarsi in posizione di svantaggio, trafelata e tesa com'era.
L'aveva notato non appena varcata la soglia - dopotutto era rimasta un detective nell'animo e quindi addestrata a notare ogni dettaglio dell'ambiente circostante –, ma la verità era che il suo sguardo era stato immediatamente attratto da lui, seduto da solo e intento a emanare senza sforzo la consueta combinazione di fascino magnetico e sicurezza di sé. Questo l'avrebbe necessariamente tenuto per sé.

Pur non volendolo, fu lusingata dall'occhiata di apprezzamento che le rivolse quando gli comparve davanti, scortata dalla sua guida, che si defilò con discrezione. Chissà che cosa gli aveva raccontato Castle per produrre una reazione del genere. Capacissimo di avergli allungato dei soldi per accalappiarla in strada, nell'eventualità in cui all'ultimo avesse assecondato la voglia di fuggire.
"Sei venuta", esclamò con stupore, studiandola da capo a piedi con tale intensa concentrazione da trasformare il suo sguardo in una sensazione tattile, quasi fosse in grado di avvertire il tocco delle sue dita sulla pelle, che iniziò a formicolare. Erano allucinazioni sensoriali? Un pizzicore dietro la nuca la avvertì che sarebbe stata necessaria molta più cautela di quanto avesse preventivato.

Forse si era aspettato che gli desse buca, senza avvisarlo. Non era un'ipotesi così infondata, semplicemente non aveva trovato un motivo credibile per annullare l'appuntamento e si era quindi consegnata al suo triste destino con tutta l'audacia che le era rimasta.
Dopo averla fissata inebetito per qualche secondo, riuscendo a farla sentire perfino più nervosa di quanto non fosse quando era uscita dal suo appartamento, Castle si riscosse dal torpore e tornò disinvoltamente alle solite maniere impeccabili.
Si alzò in piedi e, nonostante le sue proteste – non era necessario tutto quel dispiego di gentilezza – l'aiutò cavallerescamente a sedersi, accompagnando la sedia e omaggiandola di ampi sorrisi, a beneficio del pubblico femminile già pronto ad adorarlo. Le venne da chiedersi se fosse tanto rilassato come appariva o se, come lei, temesse l'incertezza di quel loro incontro fuori dai soliti canoni. Ne dubitò. Castle era sempre a suo agio, in ogni circostanza. Come facesse, era sempre stato un mistero per lei.

Si accomodò in silenzio, evitando di fare commenti sarcastici che le bruciavano sulle labbra per quell'inutile sfoggio di galanteria. Accavallò le gambe occupando il minor spazio possibile per non sfiorarlo, neppure accidentalmente. Era una posizione di chiusura che non sarebbe passata inosservata, ma che le serviva per riprendere fiato e porre una distanza di sicurezza tra sé e tutto quello che sarebbe successo da lì in avanti. O che era appena successo, a essere del tutto sincera.
Prese il menù, che finse di studiare solo per avere qualcosa che le impegnasse le mani. Castle era insolitamente poco loquace.
"Che cosa c'è, Castle? Il gatto ti ha mangiato la lingua?", lo punzecchiò, non riuscendo a trattenersi, né a sopportare il silenzio prolungato.
"No, sono solo sorpreso. Ero convinto che non ti saresti presentata. E sei... incantevole", ammise candidamente, fissandola con un'espressione che francamente trovò eccessiva, quasi si trovasse davanti a una perduta meraviglia terrestre, accidentalmente finita sul suo cammino. Da quando pensava per metafore tanto ingarbugliate? Doveva essere lo scompiglio causato dal suo imprevedibile comportamento e lo stomaco vuoto da troppe ore.

"Per fortuna non è un appuntamento galante, Castle, o l'ammissione della tua sorpresa sarebbe un pessimo punto di partenza", commentò caustica, distogliendo lo sguardo per mostrarsi molto più interessata alla lista di vini, su cui in realtà non riusciva a concentrarsi. Divertirsi a tormentarlo le dava modo di calmarsi. Sapeva che era una strategia di gestione dello stress di cui non avrebbe dovuto abusare, ma era la cosa più efficace di cui si trovasse a disporre.
"Sei sempre stata molto bella", accondiscese, quasi ritenesse che il suo fosse stato un tentativo di ricevere un complimento, cosa che la indispettì. Lei non era quel genere di persona. "Ma diciamo che il look europeo ti dona particolarmente", concluse soddisfatto di sé.

Alzò un sopracciglio per esprimere il suo scetticismo. "Sei diventato un esperto di moda, da quando non fai più il detective a tempo perso? Mi correggo, consulente della polizia non pagato. È solo un vecchio abito che mi sono portata, decisamente non europeo". Non era vero, l'aveva appositamente comprato per quella serata, ma non aveva nessuna intenzione di far aumentare il suo ego a dismisura – se era perfino possibile, trattandosi di lui. "Pensavi che mi sarei presentata con l'uniforme da poliziotto?"
"Non tentarmi, Beckett. Lo sai che è sempre stata una delle mie fantasie..."
"Castle!", lo redarguì, perdendo le staffe. "Lascia perdere le fantasie e concentrati sulla realtà".
"Lo sto facendo", le rispose sognante, fissandola socchiudendo gli occhi, teatrale come sempre. Sarebbe stata una cena molto lunga e tempestosa, se non avessero cambiato registro in fretta. Valutò se fosse il caso di piantargli un tacco nel polpaccio per zittirlo, ma lui si sarebbe approfittato anche di quella vicinanza fisica occasionale, e invero ostile, per esprimere altre inopportune esternazioni. Preferì chiudersi in un elegante silenzio, dando un'occhiata discreta ai coltelli di cui il locale disponeva, nel caso fosse dovuta ricorrere alle maniere forti.

Si accorse solo a quel punto che il tavolo era apparecchiato per tre persone. Fissò interrogativamente il terzo piatto chiedendosi se le fosse sfuggito qualcosa.
"Non hai specificato se il tuo fidanzato si sarebbe unito a noi", esordì Castle, dopo essersi schiarito la voce, seguendo il suo sguardo. Cadde dalle nuvole. Quale fidanzato? "Ieri sera non hai né confermato né negato di essere impegnata, – lo stesso modus operandi della CIA, a proposito – quando ho esteso l'invito ad altri, quindi ho dovuto tener conto della possibilità che ci fosse una persona in più", le illustrò pazientemente, come se lei fosse meno sagace del consueto.
Le venne da ridere, nell'ascoltare quell'elaborata spiegazione. Aveva completamente dimenticato di non aver soddisfatto la sua curiosità ben poco camuffata, quando aveva insistito nel voler essere messo al corrente della sua situazione sentimentale. Non erano fatti suoi, in fin dei conti.
"Hai fatto bene, Castle, ho dimenticato di dirti che ha qualche minuto di ritardo, ma ci raggiungerà presto". Mantenne un'espressione impassibile, notando l'occhiata avvilita che Castle si affrettò subito a reprimere. Era sempre stato troppo semplice da decifrare per lei, avrebbe dovuto impegnarsi di più se avesse voluto avere qualche possibilità di batterla a poker.

Si chiese se continuare a stuzzicarlo – prospettiva allettante - ma decise che sarebbe stato meglio evitare che si imbattessero in altre situazioni imbarazzanti nel corso della serata.
Abbassò il menu, che aveva fin lì brandito come uno scudo. "Non c'è nessuno oltre a noi due, Castle, puoi rilassarti", ammise addolcendo il tono. "Non c'è nessun fidanzato in generale", chiarì una volta per tutte, un po' spazientita, quando lui sembrò convinto che si riferisse unicamente a quella particolare finestra temporale.
"Non ci sarebbe stato nessun problema per me...". Gli lanciò un'occhiata severa, che lo indusse a modificare la sua versione. "D'accordo, forse avrei avuto qualche problema, ma non sono fatti che mi riguardano".
"Davvero?", si lasciò scappare caustica, senza riuscire a trattenersi. Si sporse verso di lui: "Intendo, non è da te trattenere la curiosità su mie possibili, anche se allo stato attuale non esistenti, frequentazioni". Forse quel fidanzato avrebbe dovuto fingere sul serio di averlo, sarebbe stato un argomento di conversazione meno ingombrante.

"Se queste possibili frequentazioni ti rendessero felice, chi sarei io per avere qualcosa da dire a riguardo?". Subito dopo aver concluso la sua dichiarazione solenne, scoppiò a ridere. Doveva aver notato da solo l'assurdità delle sue farneticazioni. "No, hai ragione, avrei voluto sapere tutto. Ma ci sarei arrivato in modi molto più creativi".
"Dimenticavo i tuoi poteri da Jedi", sbuffò, ricordando la sottile pressione silenziosamente esercitata ai suoi danni in più occasioni, i primi tempi al distretto. "E che cosa mi dici di te, Castle? La tua ex-moglie ti impone ancora scadenze per tutto?". Forse era stata un'uscita meschina, ma non le importava.
"Penso che niente al mondo le piacerebbe di più", rise, per nulla in imbarazzo. Questa sì che era una notizia interessante. L'ex moglie tornata in carica era di nuovo sparita dall'orizzonte? Castle fortunatamente non indovinò il contenuto dei suoi pensieri, ma continuò a offrire dettagli. "Soprattutto perché sono in ritardo con la consegna degli ultimi capitoli. In realtà non ho scritto una riga da mesi, ma preferisco che lei non lo sappia".

"Non hai pubblicato altri romanzi?", si stupì, lasciando cadere il precedente argomento. Si era ben guardata dal cercarli in libreria, ma era stata sicura che un autore prolifico come lui avrebbe sfornato un titolo dopo l'altro, come aveva sempre fatto. Al telefono aveva sempre sostenuto che andasse tutto bene.
"Ho perso la mia ispirazione", commentò laconico, sfuggendo al suo sguardo. Era un'ammissione abbastanza vaga da non doversi per forza ricondurre alla sua assenza, nonostante si fosse sentita subito in colpa. Per quale motivo? Aveva raccolto idee e appunti utili a scrivere decine di libri, ed era abbastanza ferrato in materia da non avere bisogno di spunti giornalieri.
"Ma sono fiducioso che le attuali circostanze risveglieranno la mia vena creativa inaridita. Ho ritrovato la mia protagonista, in fin dei conti. Chissà che non ne nasca una nuova storia, quando scoprirò che cosa le è successo nel frattempo".
"Che tipo di storia ti aspetti, Castle? Qualcosa come Nikki Heat in esilio?". Si morse la lingua. Da dove le era uscita quella frase tanto amara? Perché aveva abbassato la guardia? Non si era ripromessa di non fare alcun cenno ad alcunché che la riguardasse tanto da vicino?
Castle, come era prevedibile, non si fece sfuggire la ghiotta occasione: "È questo che sei, Kate? In esilio?", le domandò abbassando la voce e facendosi più vicino. Non voleva la sua compassione. Né confidarsi o ricevere dichiarazioni di solidarietà.
Sfoderò il miglior sorriso falso del suo ridotto repertorio di attrice mancata. "Sto scherzando, Castle. Mi sembrava solo un titolo a effetto che potesse solleticare la fantasia dei tuoi lettori. Nel caso, però, devi almeno citarmi nei ringraziamenti".
Non se la sarebbe bevuta, ne era certa. Ma la conosceva abbastanza da ritirare le truppe e deviare la conversazione verso lidi meno pericolosi. Cosa che puntualmente fece.

"Sono felice che tu abbia accettato il mio invito" mormorò sottovoce, mostrandosi quasi intimidito e abbandonando i modi galanti dietro cui si mascherava di solito e che la indispettivano. Qualcosa nel suo tono la rese più attenta. "Non trovi strano anche tu essere a cena con me, senza la scusa di un'indagine?". Quindi anche lui si rendeva conto che c'era qualcosa di diverso, tendeva a dimenticare quanto fossero naturalmente connessi a un livello inesprimibile a parole.
"Possiamo sempre infilarci nella centrale di polizia più vicina e chiedere se ci fanno dare un'occhiata ai loro casi in corso, se la mia compagnia non ti basta", finse di offendersi di nuovo.
Castle si animò subito, come si era aspettata: "Credi che potremmo davvero offrirci come consulenti? Sarebbe perfetto! E loro molto fortunati ad averci".
"Sei molto generoso, ma sono sicura che ce la facciano anche senza il contributo del tuo impressionante acume, grazie al quale la città di New York ha potuto dormire sonni tranquilli, almeno finché non sei rimasto al distretto".
"Ho solo avuto la fortuna di imparare dal miglior detective in circolazione", si schermì con falsa modestia. "Comunque, no, non ho bisogno di nessun omicidio. La tua presenza è tutto quello che desidero", dichiarò solennemente, innervosendola per via di quel dispiego di lusinghe che non potevano raggiungere un destinatario più refrattario al loro potere di seduzione.

Se la sua intenzione era quella di continuare con quei manierismi da quattro soldi, lei lo avrebbe piantato in asso, non prima di avergli chiarito qualche punto con toni che non avrebbe apprezzato.
"Ti ricordo che questo non è un appuntamento, Castle", espose gelida, con un pizzico di pedanteria. "Non c'è bisogno di attingere al tuo repertorio di galanterie maschili per far colpo su di me. Lo sai che non sono mai stata permeabile al tuo fascino", continuò. "È solo una cena che hai preteso per sdebitarti, senza che ce ne fosse motivo".
Si limitò a guardarla senza mostrare di essere stato negativamente colpito dalle sue parole sferzanti.
"Non si tratta di galanteria", continuò pacato, ignorando le sue accuse. "Mi fa piacere poter godere della tua compagnia in modo esclusivo, tenendo conto che non ci vediamo da moltissimo tempo".
E io non ti ho detto che me ne sarei andata. Percepiva benissimo quel non detto che aleggiava tra loro.

Mentre si sforzava di cercare una frase d'effetto che lo zittisse per l'ennesima volta – quella cena si stava rivelando un'estenuante corsa a ostacoli -, Castle le diede il colpo di grazia, che le fece perdere quel poco di compostezza faticosamente raggiunta.
"Ho immaginato a lungo come sarebbe stato riaverti vicina. Non mi sembra ancora vero", aggiunse sommessamente, più come se fosse una riluttante confessione che faceva a se stesso, che una frase a effetto rubata a uno dei suoi copioni da latin lover. Questo continuo cambio di registro le stava facendo girare la testa.
"A me sembra tutto verissimo, invece, e fastidioso per come ricordavo", lo rimbeccò. "Ordiniamo? Prima concluderemo questa cena e prima saremo liberi da ulteriori vincoli di frequentazione".
"Scommetto che sei felice di potermi maltrattare come hai sempre fatto, per via della tua natura autoritaria". Che cosa doveva fare per cancellargli dal volto quel sorriso che si ostinava a rivolgerle? Usare dell'acido muriatico?
"Non ti sto maltrattando. Sto solo sottolineando l'ovvio".
"Lo vedi? Non puoi farne a meno".

Castle scoppiò a ridere e fu solo per questo motivo che, all'ultimo, decise di tenere a freno i suoi istinti omicidi. Come aveva fatto a sopportarlo per tutto quel tempo, al distretto? Perché glielo aveva imposto il sindaco, ecco perché. Si ripromise di non reagire alle provocazioni che parevano divertirlo un mondo e godersi le prelibatezze culinarie in arrivo, una ricompensa più che meritata per dover sopportare una compagnia tanto molesta.
Castle approfittò della pausa per versarle del vino, appena giunto al loro tavolo.
"Non hai mai pensato che forse non ero io a essere autoritaria, ma tu non essere all'altezza, Castle?", mormorò bevendo un sorso generoso, rivolgendogli un piccolo sorriso malizioso e, nelle intenzioni, trionfante. A quel punto era certa di averlo seppellito vivo. E lei non sarebbe andata a salvarlo.
Castle spalancò gli occhi. "Kathrine Beckett, stai flirtando con me!", rispose scandalizzato.
Represse un ululato di genuina frustrazione, portandosi le mani alle tempie.
"Ti piacerebbe!", gli abbaiò contro, inorridita dalla sua insolenza.
"È ovvio che mi piacerebbe! O stai ancora sottolineando l'ovvio?"
Fece un profondo respiro e contò fino a che le venne voglia di strattonare la tovaglia e gettare le stoviglie a terra. Il gioco era bello quando durava poco, eccetera. E lei si era già stufata di giocare.
"Castle, se è così che intendi comportarti durante la tua, mi auguro, molto breve permanenza, ti rimetto sull'aereo a forza, pagando qualcuno perché lo dirotti".
Si sporse verso di lei. "Solo se mi fai compagnia".
Ne aveva abbastanza. Fece per alzarsi, quando lui la fermò afferrandole il polso. A quel punto gli avrebbe elencato i suoi diritti e avrebbe personalmente provveduto ad arrestarlo.
"Ti chiedo scusa, ho esagerato. Ti stavo solo prendendo in giro perché mi sono mancate le nostre consuete frecciate. Ti prego, rimani. Prometto che mi comporterò bene".
Aveva molto più di un dubbio a tale proposito, ma lentamente tornò a sedersi.

"Solo perché ho una fame da lupo e la cucina qui è ottima. Non appena la cena sarà terminata me ne andrò", concesse rigida.
"Fino alla fine della cena, affare fatto". Il suo sguardo la accarezzò in un modo che trovò intollerabilmente piacevole. Si impose di tornare ad avere un contegno adeguato. "Posso ordinare l'itero menu? Così rimarremo tutta la notte".
Scoppiò a ridere, suo malgrado, forse solo per un miscuglio di stanchezza, ansia accumulata e perché era innegabile che Castle avesse sempre avuto il dono di uscirsene con qualche bizzarria capace di migliorarle l'umore, anche se non l'avrebbe mai ammesso. Forse, adesso che si erano chiariti, avrebbero potuto godersi quella benedetta cena che poteva prolungarsi all'infinito. Avrebbe corso il rischio. E poi basta. Sarebbe tornata nei placidi binari della sua vita meticolosamente ricostruita intorno alle macerie.

   
 
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