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Autore: Ksyl    18/11/2019    6 recensioni
Alcuni mesi dopo la 2x24
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Richard Castle
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Seconda stagione
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Castle
Rimase perplesso a guardarla fare una brusca manovra per immettersi nella strada principale e, in sostanza, fuggire da lui. Per quanto gli spiacesse, doveva chiamare le cose con il loro nome, pensò con amarezza. Era stata, la sua, una reazione che si sarebbe aspettato quando fosse venuta a conoscenza della sua improvvisa apparizione e non ore dopo il loro incontro – da lei agevolato -, le amenità scambiate e la promessa di un appuntamento lasciata svolazzare leggiadra tra loro. La saracinesca era stata calata di punto in bianco, senza preavviso. Ed era finito tutto. C'era di che lambiccarsi il cervello.

Nemmeno un osservatore esterno, del tutto ignaro delle complesse dinamiche in atto, avrebbe potuto negare che si fosse trattato di un commiato piuttosto frettoloso, senza un motivo apparente. Fece scorrere nella sua mente il nastro degli scambi verbali intercorsi, per capire in quale modo l'avesse turbata, o fatta arrabbiare, più di quanto non fosse quando lo aveva minacciato di ritorsioni per il suo improvvido arrivo. Che cosa aveva fatto scattare il punto di innesco, facendola chiudere a riccio? Misteri irrisolvibili di una Beckett fortunatamente ritrovata e sfortunatamente indecifrabile per i suoi rudimentali strumenti di lettura.

Mestamente, si arrese al fatto di non essere nelle migliori condizioni di spirito per riflettere sulla questione con la dovuta perizia. Le sue innegabili e innate – su questo ci sarebbe stato da dibattere, ma per amore di discussione decise di darsene il credito - doti da detective erano un po' appannate per via dell'ottundimento sensoriale calato su di lui, nonostante si fosse sforzato di opporvi resistenza.

Avrebbe studiato la situazione una volta insediatosi nella suite che gli appariva come un miraggio, a quel punto, e che avrebbe avuto a disposizione solo dopo aver sbrigato le noiose pratiche di routine che lo attendevano alla reception dell'hotel situato alle sue spalle, dove si avviò strascicando i piedi. Filò tutto liscio, con suo enorme sollievo. Gli sembrava di essere in viaggio da giorni. E di essere tornato in territorio familiare dopo anni di agonia.
Non era del tutto felice all'idea di trascorrere la serata da solo, ammise con se stesso dopo essersi finalmente fatto una doccia ed essersi accomodato di fronte all'ampia vetrata con un bicchiere di vino in mano, sforzandosi di ammirare il panorama cittadino, senza realmente vederlo.

Naturalmente era già miracoloso che Beckett avesse accettato il suo invito per il giorno successivo, tenendo conto delle variabili in essere, decisamente tutte contro di lui, ma c'era stato un momento in cui aveva percepito le sue difese abbassarsi e si era cullato nell'illusione che quella sera sarebbero stati insieme a oltranza.
Non doveva lasciar spazio alla delusione, si rimproverò. Doveva essere grato per quello che aveva ottenuto. Si era ripromesso di non starle troppo addosso e non farla sentire assediata nel suo stesso quartiere, e continuava a credere che fosse la soluzione migliore, ma gli pesava saperla tanto vicina, senza poter godere della sua compagnia a suo piacimento, come accadeva un tempo al distretto.

Quando aveva finalmente deciso di partire, non si era posto troppe domande su quello che sarebbe successo una volta superato lo scoglio del primo incontro, dal cui esito sarebbero dipesi i loro futuri rapporti. Ora che era avvenuto, e a rendere il tutto ancora più paradossale, non aveva peraltro ancora compreso se fosse stato disastroso o incoraggiante. Era stato in parte convinto – o si era voluto convincere - che gli sarebbe bastato trascorrere qualche minuto prezioso con lei, per appagare il desiderio di vederla, riempire il vuoto della mancanza, sempre più aggressivo.
Aveva preso un abbaglio. Forse non era un grande conoscitore della natura umana, di sicuro non di se stesso. Vederla non aveva fatto altro che rendere più ardente il bisogno di stare con lei, viverla pienamente; una sete che, temeva, fosse inestinguibile.

Apparentemente non c'era niente in lei che non andasse, anche se riconosceva di aver notato qualche dettaglio che gli appariva diverso, quasi falsato, un piccolo scollamento nella precisione del disegno generale, o almeno in quello che lui aveva avuto in mente.
Doveva però considerare che il sesto senso a cui si era sempre affidato per comprendere la sua formidabile personalità – non aveva mai conosciuto nessuno come lei – poteva essersi affievolito a causa della loro mancata frequentazione. Era ancora in grado di setacciare in modo certosino le complesse espressioni dei suoi stati d'animo? Sperava di sì. L'aveva mai saputo fare, del resto? Forse doveva rivedere al ribasso le capacità di cui si credeva dotato.

Per il momento doveva farsi bastare la prospettiva del loro unico appuntamento futuro – si trattava solo di un giorno, in fondo - insieme alla magra consolazione di dormire sotto lo stesso cielo, poco distanti. Sempre che si fosse presentata, cosa di cui non era più sicuro, visto il modo in cui lo aveva piantato in asso.
Era divorato dalla curiosità di conoscere i luoghi che le avevano fatto da casa, le atmosfere che aveva respirato, i colori che l'avevano nutrita. Non aveva nessuna idea del motivo per cui avesse scelto di stabilirsi proprio lì, non sapeva se fosse sempre stata la sua destinazione, o una tappa successiva, indotta da circostanze che forse non gli sarebbero mai state svelate. E l'idea di bighellonare nel suo quartiere l'attraeva molto di più che doversi inventare un itinerario turistico credibile che non crollasse di fronte alle domande che gli avrebbe sicuramente rivolto, per coglierlo in fallo.

Le previsioni di una giornata particolarmente calda, l'indomani, peggioravano la sua riluttanza a trascorrere troppo tempo dentro musei già visti e rivisti. In qualche modo avrebbe dovuto però impiegare tutte quelle ore, che gli sembrarono straordinariamente lunghe, se paragonate ai mesi in cui era stato costretto a fare a meno di lei. In fondo gli era andata molto meglio del previsto. Aveva qualcosa da aspettare trepidante, un'altra occasione da giocarsi al meglio.

Tranne per il fatto che lei non aveva negato l'esistenza di un possibile fidanzato, realizzò quando la consapevolezza dell'omissione lo punse come uno spillo. Tanti spilli che gli stracciarono le carni. Oggettivamente la presenza di un eventuale terzo incomodo – che era sempre l'ipotetico altro, mai lui – non avrebbe cambiato niente. Non aveva certo avuto in mente di sedurla appena sceso dall'aereo, aveva intenzioni molto più nobili. Nel caso, sarebbe stato felice per lei. Però non lo sarebbe stato per se stesso, sfortunatamente. La voleva tutta per sé, almeno per i momenti che gli avrebbe concesso di trascorrere in sua compagnia. Avrebbe dovuto sistemare l'incomodo una volta per tutte.
Stava farneticando. Se avesse continuato di quel passo avrebbe finito con il pianificare l'omicidio di una persona che nemmeno era sicuro esistesse.

Un discreto bussare alla porta servì a farlo tornare alla realtà. Doveva essere la cena che aveva ordinato. Si sarebbe distratto e con un livello accettabile di zuccheri nel sangue anche la sua mente sarebbe tornata limpida. Non vedeva l'ora che passassero quelle maledette ventiquattro ore. Le avrebbe contate una per una.

...

Beckett
Guidò frenetica tra le strade deserte – una novità apprezzabile che meritava di essere registrata negli annali e la prima volta che le capitava da quando si era trasferita. Non avrebbe sopportato di rimanere imbottigliata nel traffico, anche se la distanza tra il suo appartamento e l'hotel, dove Castle aveva casualmente scelto di alloggiare – il solo rammentarlo la contrariò -, era minima, raggiungibile con una breve passeggiata, a seconda dell'allenamento e della forma fisica che, per quanto aveva potuto constatare, era sicuramente delle migliori. Qualcuno dietro di lei suonò il clacson. Doveva calmarsi, se voleva tornare a casa sana e salva.

Ebbe un brivido nel ricordare l'attimo esatto in cui aveva visto stagliarsi la sua imponente figura lungo il corridoio degli arrivi, senza nessuna idea che lei fosse lì ad attenderlo.
Era l'unico motivo per cui aveva deciso di farsi viva all'aeroporto, ovvero prenderlo in contropiede. Doveva ammettere, non senza una certa soddisfazione, di esserci riuscita in pieno. Si complimentò con se stessa, sorridendosi nello specchietto.
Non avrebbe mai dimenticato lo sguardo attonito con cui l'aveva fissata, convinto che si trattasse di un ologramma, quasi gli fosse impossibile credere a qualsiasi altra ipotesi. Aveva osservato, sempre più divertita, la cocciutaggine con cui Castle aveva continuato a giustificare la sua presenza, prendendola per un'apparizione o un caso di somiglianza clamorosa, mentre il temporale si abbatteva urlante sulle loro teste. Lui, ovviamente, non se ne era nemmeno accorto.

Lei invece ne aveva colto i primi segnali quando era già in strada. Aveva osservato contrariata il cielo farsi sempre più plumbeo, nervosa all'idea che il maltempo avrebbe potuto rallentare la sua corsa, rischiando di non farla arrivare in tempo. Il cuore aveva preso a batterle furiosamente, in modo inversamente proporzionale alla lentezza con cui procedeva verso la sua destinazione, insieme a una fila di altre automobili incolonnate. Non aveva ancora smesso di battere forte.

Da quando era stata messa al corrente del suo presunto arrivo in incognito – chissà quanto era stato orgoglioso del suo piano, che le aveva accuratamente tenuto nascosto, come se lei non lo conoscesse troppo bene – aveva vissuto in preda a una vorticante girandola di emozioni contrastanti che non sapeva nemmeno da che parte si iniziassero a domare.
Come prima reazione si era sentita oltraggiata dalla sua protervia. Come osava credere di potersi presentare alla sua porta senza annunciarsi? Credeva sul serio che avrebbe apprezzato un colpo di testa del genere? Con che arroganza presumeva che le andasse bene? Lei poteva avere una vita che non necessitava in alcun modo della sua paternalistica presenza, per quel che ne sapeva.

Era stata genuinamente convinta che le migliaia di chilometri esistenti tra loro fossero una distanza di sicurezza sufficiente a permetterle di godersi le loro spensierate telefonate senza preoccuparsi di nient'altro. Ma, naturalmente, lui a tutto questo non aveva pensato. Ci sarebbe mai stato un momento della sua vita che non avrebbe visto Castle irrompervi allegramente a portare scompiglio? Si era molto più che arrabbiata. Gli aveva lanciato colorite invettive camminando avanti e indietro nel suo appartamento troppo piccolo per contenere la sua ira.

Aveva quindi optato per fare il primo passo perché la miglior difesa rimaneva sempre l'attacco, così le era stato insegnato. Non riusciva nemmeno a immaginare di andarsene in giro scrutando ogni angolo delle strade che solitamente frequentava nel timore che le comparisse davanti, seminascosto dal tronco di qualche albero, credendosi invisibile e geniale.
Non voleva vivere barricata in casa – non più di quanto facesse normalmente - e, in un impeto di generosità, non aveva voluto che lui si mettesse in ridicolo. Meglio quindi affrontare di petto la situazione, tergiversare non era nelle sue corde.
Aveva avuto ogni intenzione di fargli capire, con le buone o con le cattive, a seconda di quanto si sarebbe intestardito a fare a modo suo, che la soluzione migliore per tutti sarebbe stata quella di tornarsene a casa seduta stante, non prima di indirizzargli una severa ramanzina su quanto fosse stato inappropriato il suo comportamento.

Nel preciso momento in cui l'aveva visto era cambiato tutto. Era cambiata lei e scoprirlo l'aveva sconvolta. Non aveva potuto fare a meno di provare un doloroso fremito di nostalgia, nel rendersi conto di quanto le era mancato. Era naturale, era stata abituata a frequentarlo quasi quotidianamente contro la sua volontà, a un certo punto si era abituata alla sua compagnia, giusto? Inoltre, doveva ammettere che le sue uscite bizzarre – lui le definiva creative – l'avevano aiutata in più di un'occasione a dipanare situazioni ingarbugliate nelle indagini condotte insieme. Che fosse di bell'aspetto, più di quanto la sua memoria le concedesse abitualmente di ricordare, aveva contribuito alla temporanea perdita di ragionevolezza, di cui si assumeva l'intera colpa.

Si era quasi sentita molto prossima all'euforia, una condizione di spirito che raramente aveva sperimentato, di sicuro non nell'ultimo periodo. Forse dipendeva da quello, la solitudine l'aveva resa vulnerabile nei confronti di un volto familiare. Castle era sempre il solito e questo aveva contribuito a generare una sensazione di conforto vagamente inquietante. Aveva cercato di mantenere fede al proposito di esprimere il suo dissenso nei confronti di una decisione scellerata e immotivata che lui la costringeva a subire e ci aveva provato, forse in modo più duro di quanto avesse preventivato, se ne era accorta dalla reazione di lui. Ma la pretesa di mostrarsi indignata si era rivelata per quella che era, soltanto apparenza. Castle l'aveva invitata a cena e lei aveva sentito qualcosa dentro di sé gridare di , quando all'esterno aveva detto di no e cercato di tergiversare, senza troppa convinzione.
Aveva bisogno di ridere, di divertirsi, di passare qualche ora priva del solito logorante fardello e Castle gliela stava offrendo. Su un piatto d'argento.
Era certa che rivederlo, frequentarlo, lasciare che le si avvicinasse troppo, non fosse la soluzione giusta. Ma aveva accettato ancora prima di rendersi conto di tutte le potenziali conseguenze che si sarebbero irradiate catastroficamente a partire da quell'innocuo consenso.

Era ormai giunta a casa, persa nelle sue elucubrazioni al punto da non ricordare quali gesti avesse compiuto per arrivarci, quali strade avesse percorso. Perché diamine Castle doveva farle quell'effetto? Era una donna adulta, capacissima di tenerlo a bada, lui e chiunque altro.

Salì le scale di corsa, dandosi occhiate nervose alle spalle – un'abitudine dannosa che non riusciva a scrollarsi di dosso, perché accresceva la sensazione di allerta che poi si riversava nei suoi incubi - appoggiò le chiavi e l'impermeabile che aveva previdentemente portato con sé e come prima cosa andò a spalancare la porta che dava sul piccolo terrazzino, consueto rifugio della sua anima afflitta, testimone alla sua prima telefonata impacciata alla volta di Manhattan.

La pioggia abbondante aveva acuito gli odori penetranti che normalmente salivano dalla strada – non una delle migliori in cui avesse vissuto. Osservò le pozzanghere che costellavano il selciato irregolare. Qualcuno stava rumorosamente facendo ritorno a casa, da un locale in lontananza proveniva il rumore di sedie trascinate sul marciapiedi, una saracinesca venne abbassata di colpo. Si ripromise che non lo avrebbe fatto mai salire da lei, per evitare di dover rispondere ai muti interrogativi che la vista del suo infimo appartamento avrebbe provocato in chiunque, figurarsi in un uomo appositamente giunto per vederla, che si sarebbe senz'altro spinto a curiosare nel suo quartiere.

Non ci sarebbe voluta chissà qualche forza d'animo per declinare quel goffo invito che le aveva rivolto. No, grazie, addio. Tre parole che avrebbero posto fine a qualsiasi strampalata idea lui si fosse fatto. E invece. Invece l'idea le piaceva eccome. Doveva essere stata l'atmosfera romantica della città – anche se a lei non era mai sembrata tale - a indebolirla a tal punto.

Si rese conto solo molto tempo tempo che aveva promesso di mandargli l'indirizzo del ristorante che avrebbe scelto per l'indomani. Niente di elegante, impegnativo, o troppo appariscente. Sicuramente lui in quel momento si stava rilassando nella sua suite dotata di ogni lusso, messa a disposizione da una illimitata carta di credito, ma lei non faceva quel tipo di vita e glielo avrebbe fatto capire in fretta. Non che avrebbe disdegnato la prospettiva di starsene a mollo di una vasca idromassaggio – da sola – o che avrebbe rifiutato altre comodità di cui al momento non disponeva, ma non intendeva tradire il proprio stile di vita, solo per fargli una buona impressione.

Afferrò il telefono e, per la prima volta da quando avevano ripreso a sentirsi, gli inviò un messaggio. A quel punto il suo numero sarebbe stato visibile e lui l'avrebbe registrato. Aveva dell'incredibile, in effetti, che non glielo avesse mai chiesto, lo aveva attribuito a una delicatezza d'animo che mai si sarebbe aspettata da lui. Castle era pieno di contraddizioni del genere, per questo la sua vicinanza tendeva a confonderla. Riusciva a farle credere di rispettare le distanze che gli imponeva, fino a quando non le distruggeva a suon di picconate, come aveva dimostrato presentandosi da lei, riportando indietro abitudini, parole, atmosfere che non sapeva se fosse in grado di reggere.

Il testo del messaggio era neutro, solo le indicazioni per arrivare al locale e un saluto generico. Lasciò a lui l'incombenza di prenotare il tavolo, una concessione al suo ego maschile. Deglutì a vuoto, sentendo di nuovo il cuore in gola al pensiero di incontrarlo a così breve distanza temporale. Cercò, senza riuscirci, di soffocare quel nodo di emozioni incongrue e inopportune, che non aveva mai sospettato se ne stessero celate negli anfratti del suo inconscio, pronte a erompere alla prima occasione, solo rivedendolo.

Grazie a chi ha atteso la continuazione della storia, a chi è passato a controllare e grazie a chi oggi mi è stata ad ascoltare dall'una mentre pontificavo e non ha ancora smesso, you know who you are. Non mi sento di garantire che non ci saranno altre interruzioni, capirò benissimo se si dimezzeranno le visualizzazioni, o se vorrete aspettare la fine. Buona serata a tutti, Silvia

   
 
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