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Autore: moira78    22/11/2019    3 recensioni
Questa storia è il sequel di "Dove volano i miei desideri".
Le coppie sono formate ormai, gli anni passano e le cose cambiano per tutti, nel bene e nel male. La nuova generazione di artisti marziali di Nerima si è appena affacciata al mondo e già dovrà affrontare nuove sfide.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Le ombre del destino.'
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CAP. 19: RIVELAZIONE


Ranma capì che era successo qualcosa quando vide Soun, Genma e il maestro Happosai farsi largo nel gruppo di bambini che formavano un capannello intorno a qualcosa. Anzi, a qualcuno. Precisamente ad Akane, ne fu certo prima ancora di vederla, pallida e svenuta.

"Saotome-san, la sensei...", cominciò uno dei piccoli allievi, ma lui lo scostò leggermente e prese sua moglie tra le braccia.

"Akane, Akane mi senti?". La scosse gentilmente, dandole dei leggeri schiaffetti sulla guancia e maledicendo il tempismo inopportuno di Kodachi.

Come aveva predetto sua moglie, la Rosa Nera si era presentata con i suoi odiosi petali al seguito, dandogli un patetico addio lacrimevole di cui ricordava, forse, metà dei concetti sconclusionati.

La sua priorità, ora, era far rinvenire Akane, guardarla negli occhi e scoprire cosa diavolo gli nascondesse. Finalmente, si riebbe e sbatté le palpebre: "R-Ranma?", mormorò per poi guardarsi intorno.

"Bambina mia, non morireeeeeeee!", strepitò Soun facendo tappare le orecchie a tutti. Fortunatamente, suo padre lo tirò un po' indietro spiegandogli che sua figlia non stava morendo, ma che bisognava lasciarla respirare. I piccoli furono più obbedienti e si ritirarono in un angolo della palestra.

"Bambini, per oggi penso che possiate andare. Vi avvertiremo noi quando...", cominciò Ranma, ma fu interrotto da un gesto di Akane, che lo pregò di aspettare.

"Devo dirvi una cosa e devono sentirla anche loro. Datemi solo un minuto per riprendermi, va bene?", spiegò mettendosi seduta con le ginocchia al petto.

Ranma si accigliò: "È così grave?", bisbigliò assicurandosi che solo lei lo sentisse.

Lo sapeva, aveva intuito che fosse malata, ma ora che finalmente poteva sapere ebbe paura. E non capiva perché volesse parlarne davanti a quel pubblico così vasto.

Akane lo fissò per un istante, poi distolse lo sguardo. Il cuore gli si fermò quando aggiunse: "Lo so, avrei dovuto dirtelo ieri sera, ma non ho potuto".

"Ebbene, Akanuccia, vuoi farci morire di preoccupazione o cosa?!", s'intromise il vecchio Happosai.

"Bambina miaaaaaaa!", ricominciò Soun tendendole le braccia e preparandosi a soffocarla in un abbraccio dei suoi.

"Amico mio, così la fai stare di nuovo male, lasciale un po' d'aria. Falla parlare, eh?", lo ammonì gentilmente suo padre, placcandolo poco prima che la stritolasse.

Anche lui si guardò attorno e, a parte i bambini che si erano educatamente ritirati poco lontano, erano tutti lì vicino a lei. Qualche secondo dopo, comparve persino Nabiki, seguita dalla sua ormai prominente pancia. Stava sgranocchiando un biscotto e guardò verso di loro, sorpresa: "Che succede? Akane sta male?", chiese con la sua solita aria falsamente noncurante.

Ranma sospirò all'unisono con sua moglie e, nello sguardo che si lanciarono, c'erano le parole: "Non saremo mai veramente soli".

Come eco a questo pensiero, Akane disse: "Mi sarebbe piaciuto dirlo prima a te, quando eravamo da soli. Ma ho mancato la mia occasione e questo è il nostro karma. Perciò ascoltatemi tutti: da oggi in poi non potrò più allenare nessuno per un bel po' di tempo. Aspetto un bambino".

Ranma smise di respirare e, apparentemente, tutto si fermò intorno a loro. Udì distintamente il rumore del morso che Nabiki diede al biscotto e il silenzio che seguì: immaginò che non avesse il coraggio di masticare, perché non sentì altro.

Akane ebbe appena il tempo di sorridergli leggermente, con le gote appena arrossate, in quell'espressione che, quando erano fidanzati, gli faceva pensare spesso a quanto fosse carina. E a quanto poco coraggio avesse per non dirglielo. E che oggi gli faceva ringraziare gli dei di essere riuscito a sposarla. Le orecchie gli ronzarono e non ebbe le forze di fare nulla, mentre due paia di piedi di medie dimensioni e il corpo di un nanerottolo gli saltavano sopra, lo scavalcavano e si precipitavano verso di lei.

Sbatté la faccia a terra e avvertì la rabbia montargli dentro: quel momento doveva essere riservato a loro due soli, come quando le aveva chiesto di sposarlo e avevano trovato pace solo in cima a una scala. Stava per diventare padre... oh, kami, padre! E avevano avuto il coraggio di scavalcarlo, pestarlo e lasciarlo indietro. Avrebbe voluto essere arrabbiato con Akane, per il momento pessimo che aveva scelto, per non averglielo detto la sera prima. Ma la verità era che aveva un nodo in gola e voleva solo abbracciarla, lontano da tutto e da tutti, vivendo quelle emozioni in pace, piangendo con lei, se avesse voluto, senza occhi indiscreti.

Si tirò su, risoluto, e incontrò gli occhi di sua cognata, con una mano sul ventre. Mentre gli sorrideva, incoraggiante, facendogli l'occhiolino e un breve gesto verso Akane, Ranma immaginò a come potesse apparirgli sua moglie nel bel mezzo di una gravidanza. Fu quel pensiero a farlo muovere. La raggiunse, quasi la strappò alle braccia di suo padre e al chiacchiericcio degli altri due e la strinse a sé. Poi corse fuori con lei, saltando sui tetti e allontanandosi per la distanza necessaria a rimanere da soli.

Era certo che Nabiki avrebbe impedito agli altri di raggiungerli, per una volta.

***

Kodachi raggiunse suo padre sulla pista che ospitava il loro jet privato. Sarebbe stato un viaggio molto lungo ma lei, la Rosa Nera, aveva deciso di viaggiare leggera. Non capiva come mai quegli smidollati di suo fratello e di Sasuke continuassero a sbuffare e a lamentarsi come se le sue valigie pesassero chissà quanto.

"Oh, my darling! Finalmente sei arrivata!" Si lasciò cullare nell'abbraccio paterno per poi guardare per l'ultima volta quella città dove aveva vissuto per tanto tempo, e dove il suo cuore aveva cominciato a battere.

Ranma Saotome era un capitolo chiuso, lo capiva perfettamente, anche se accettarlo era stato lungo e doloroso. Nonostante il suo impegno costante e il suo amore incondizionato, Akane Tendo era riuscita a irretirlo e a sposarlo. Molte volte aveva pensato di mandare all'aria quel vincolo assurdo, ma era stata fermata fin dai primi tentativi, poi si era detta che non valeva la pena dannarsi tanto l'anima per un uomo che aveva fatto la sua scelta. Odiava ammetterlo, ma Ranma era stato così chiaro che il suo orgoglio ne era rimasto profondamente ferito e aveva tentato con tutte le forze di odiarlo, pur fallendo miseramente.

Nonostante ciò, il suo amor proprio l'aveva avuta vinta e Kodachi aveva preferito dedicarsi alla ginnastica artistica, grazie alla quale aveva avuto soddisfazioni ben prevedibili, viste le sue eccellenti doti. Sperava che questo avrebbe attirato l'attenzione di quell'uomo che ormai sembrava perduto, invece aveva saputo da suo fratello che si era persino trasferito in un'altra casa con la sua sciatta moglie. Quando aveva incontrato Akane Tendo in mezzo alla strada in preda a uno svenimento, il suo primo pensiero era stato quello di approfittarne per toglierla di mezzo.

Ma Kodachi era diventata un'osservatrice acuta, in quegli anni, e aveva imparato anche a riflettere. Con un rapido ragionamento aveva compreso che mettersi nei guai il giorno prima della partenza per un viaggio che l'avrebbe resa finalmente celebre nel mondo intero non era affatto conveniente. E se anche fosse rimasta a Nerima e avesse avuto Ranma per sé cosa avrebbe ottenuto? L'uomo che amava, certo, ma anche una vita piatta e senza sbocchi. Grazie a suo padre e a quell'aereo, invece, avrebbe raggiunto la fama e sarebbe stata apprezzata ovunque. Pensandoci bene, forse valeva la pena rinunciare a Ranma con una prospettiva simile, senza contare che, a breve, avrebbe avuto ai suoi piedi qualsiasi uomo ricco e famoso desiderasse.

Ma aveva voluto dare l'addio a quell'amore di gioventù, così dolce e così amaro, sperando di portarne sempre un dolce ricordo e che lui portasse con sé per sempre quell'ultimo bacio che aveva voluto imprimergli sulle labbra e nella memoria. Perché Ranma Saotome doveva sapere cosa aveva perso e doveva rimpiangerla.

Guardò suo fratello, che le stava facendo mille raccomandazioni e rifletté sulla possibilità di confessargli che Akane Tendo era incinta, poi pensò che già aveva la sua gatta da pelare con la storia della gravidanza di quell'approfittatrice di Nabiki e tacque. D'altronde, non era difficile capirlo, visto che se ne andava in giro in preda alle nausee e agli svenimenti, tanto che se l'era dovuta accollare fino a casa del dottor Tofu. A ben pensarci non sapeva perché, oltre a non ucciderla, l'avesse aiutata, ma in un certo senso voleva lasciare un bel ricordo di sé al suo adorato Ranma, anche se ora avrebbe avuto ben altro a cui pensare.

Non capiva come una donna potesse desiderare di rovinare il proprio corpo con una gravidanza, sottoponendosi anche a sofferenze indicibili e accollandosi l'onere di occuparsi di un moccioso urlante. Una parte di lei capiva il diniego di Nabiki Tendo e, prima che potesse impedirselo, fece a Tatewaki, che le aveva chiesto per l'ennesima volta se fosse sicura di voler andare così lontano con il loro padre, la domanda che aveva sempre evitato: "E tu, sei sicuro di quello che stai facendo?".

Lui la guardò con un sorriso sornione: "Se permetti, questa è la mia vita. Ad ognuno la sua".

Kodachi proruppe in una risata genuina, domandandosi se spargere i suoi petali neri mentre salutava suo fratello e un lacrimevole quanto patetico Sasuke, ma decise che, gli ultimi petali che fossero caduti sulla città di Tokyo, sarebbero stati quelli che aveva lasciato a casa del suo primo amore.

***

Akane sperò che quella fuga romantica non sarebbe finita con uno dei suoi attacchi di nausea. Ranma era stato molto precipitoso e se in passato volare sui tetti in braccio a lui le aveva regalato ebbrezza ed emozione, ora sperava che non si sarebbe messa a vomitare all'improvviso.

"Ranma, fermati, per favore", lo implorò avvertendo già un sapore amaro in bocca.

Si fermarono nei pressi del parco giochi, deserto a quell'ora del mattino, e lei si svincolò dalle braccia di suo marito per riprendere fiato e capire cosa sarebbe accaduto. Ebbe un paio di conati ma, fortunatamente, il suo stomaco vuoto non si rivoltò. Sussultò quando sentì la sua mano carezzevole sui capelli.

"Perdonami, Akane, però...".

Scosse la testa con vigore, impedendogli di continuare: "Sei tu che devi scusarmi. Avrei dovuto parlarti ieri sera, quando eravamo da soli e non l'ho fatto. E queste sono le conseguenze". Un altro conato la interruppe e lui fu lesto a sostenerla.

Akane tentò di ricomporsi, maledicendo l'esigua quantità di succhi gastrici che aveva deciso di porre fine al pathos del momento. Le sfuggì una risata soffocata: "Non sono un bello spettacolo, vero?".

"Invece sei la cosa più bella che io possa desiderare di vedere in questo momento".

Seppur commossa dalle parole di Ranma, Akane si voltò sorpresa, non prima di aver recuperato un fazzoletto dalla tasca per pulirsi la bocca e riacquistare un minimo di decenza: "Cosa c'è di bello in una donna che vomita?", domandò intuendo già la risposta, ma volendola ascoltare da lui.

"Il motivo per cui questo accade", fu la disarmante risposta di suo marito.

Quando aveva saputo dal dottor Tofu che i risultati dell'analisi del sangue erano positivi e indicavano una gravidanza, Akane si era sentita spiazzata. Si vergognava anche solo a pensarlo, ma l'aveva sfiorata il pensiero che fosse in trappola. Quella sensazione le aveva stretto una morsa intorno a stomaco e cuore, ma poi aveva riconosciuto, chiaro e semplice, il senso di colpa e aveva capito: nonostante non fosse il suo pensiero principale, la sua natura di donna aveva temuto che ci fosse in lei qualcosa che non andasse e sperava di fugare presto ogni dubbio.

Ma non era solo questo. Per tanto tempo la sua famiglia l'aveva pressata, trattandola come un forno difettoso che non si decideva a sfornare un dolce e la sua prima reazione era stata quella di rifiutare l'idea di una gravidanza per il semplice gusto di non darla vinta a loro. Suonava complicato, macchinoso e forse persino perverso, ma tali erano stati i danni che aveva subito con quelle pressioni continue.

Ci aveva messo un giorno intero a capire e a metabolizzare tutto questo, riuscendo finalmente a sentirsi felice di essere sul punto di diventare madre e persino ad apprezzare le nausee che la tormentavano. Ora doveva solo spiegarlo a Ranma.

Ranma, che la guardava con gli occhi lucidi. Ranma, che le sorrideva come se non si aspettasse spiegazioni.

"Io... non ero pronta a una notizia così importante. Mio padre e Happosai... non hanno fatto altro che starci alle calcagna per mesi e io... avevo bisogno di tempo per...". Avrebbe voluto che le parole formassero delle frasi di senso compiuto, che esprimessero appieno i sentimenti meravigliosi che provava, ma forse non ce n'era neanche bisogno.

Ranma le asciugò una lacrima e lei ne asciugò una a lui. Ricordava di averlo visto piangere solo quando era morta sua madre, e fu lieta che almeno ora avesse un motivo felice per farlo. Cominciarono a ridere e nello stesso tempo piangevano, il che era assurdo come un arcobaleno durante la pioggia, ma Akane sentì anche che era profondamente giusto.

Si baciarono, si abbracciarono e, per una volta, nonostante non fossero molto lontani da casa, nessuno li disturbò.

***

Ukyo tirò su la saracinesca del locale e lo guardò per qualche istante, come se cercasse di riconoscerlo. Aveva deciso che sarebbe andata avanti, nonostante tutto, e che si sarebbe dedicata anima e corpo proprio a quello che l'aveva tenuta lontana da casa per tanto tempo e le aveva fatto perdere Ryoga.

Forse, un giorno, lui sarebbe tornato e lei lo avrebbe scorto da lontano, con il suo zaino e la solita bandana gialla e nera. Oppure non sarebbe mai accaduto. In ogni caso, Ukyo non avrebbe mollato, anche se ci fossero stati dei giorni in cui avrebbe preferito strapparsi il cuore dal petto e morire.

"Va tutto bene, signorina Ukyo?", disse una vocina alle sue spalle.

Si voltò verso uno dei suoi amici più cari, certa che sarebbe stato bello lavorare di nuovo con lui. Ma stavolta non l'avrebbe sfruttato, né umiliato in alcun modo: "Chiamami Ukyo e smettila con tutte queste formalità. Entro domani perfezioneremo la tua collaborazione con un contratto vero e proprio e avrai le tue ferie e i tuoi giorni di riposo, va bene?".

"Ma, signorina Ukyo, io non ho bisogno...".

"Non ho sentito", disse sorridendogli e mettendosi una mano a coppa dietro l'orecchio, in attesa della risposta giusta.

Lui, impeccabile e persino ordinato nei suoi vestiti femminili, sorrise a sua volta: "Sì, Ukyo. Grazie".

"Bene, ora mettiamoci al lavoro!", concluse, battendo le mani e andando dietro al suo bancone.

***

Nabiki si sentiva immersa in una bolla da cui poteva osservare ciò che accadeva all'esterno, ma rimanere comunque invisibile agli occhi degli altri.

Ranma e Akane erano tornati e suo padre, Genma e Happosai si erano gettati su di loro come un'unica entità, seguiti timidamente dal gruppo di allievi di Akane che si volevano congratulare con la loro sensei. Udiva le loro parole e i loro auguri, le loro risate e la loro gioia e ricordò quando aveva annunciato la propria gravidanza.

Sguardi freddi, rabbia, litigi. Tatewaki che tornava da lei per chiederle di sposarlo dopo il primo rifiuto. La sensazione di portare un fardello insopportabile.

Nessuno le aveva sorriso, tutti avevano considerato quella gravidanza scomoda e inopportuna, e lei era in cima alla lista.

Ma era normale, Akane era sposata e cercava un erede da tempo. La lontananza dalle pressioni dei tre uomini le aveva fatto bene, evidentemente.

Lei non era sposata. Quando avrebbe voluto farlo, quell'idiota del suo fidanzato l'aveva rifiutata con la scusa dei sentimenti nobili che dovrebbero unire due persone in un vincolo tanto sacro e altre sciocchezze simili. Poi era tornato con il capo cosparso di cenere e lei si era fatta scudo con il suo orgoglio. Quindi la loro unione era passata in secondo piano e tutti i pensieri di Kuno si erano concentrati su quel bambino non ancora nato.

Nabiki Tendo era diventata un involucro, suo malgrado, che avrebbe sfornato un marmocchio da dare in adozione di lì a pochi mesi.

Quella mattina aveva preparato una valigia, in gran segreto, ed era pronta per fuggire lontano con il suo ventre in costante crescita. Giusto per essere sicura di non dover rinunciare all'unica cosa di cui le importasse nella vita. Giusto per premunirsi, in caso Kasumi si sbagliasse.

Ma ora le mancava il coraggio.

Lei, che era stata sempre indipendente e che non aveva bisogno di altro se non di guadagnare soldi. Lei, che rifiutava ogni forma di amore e si era sempre occupata del lato pratico della vita.

Ora aveva bisogno di quell'appoggio familiare che la rassicurasse che tutto sarebbe andato bene.

Rifletté vagamente sulla possibilità di andare a vivere da Kasumi, ma l'appartamento sopra alla clinica non poteva ospitare altre persone e lei sarebbe stata di troppo.

Doveva farsi coraggio e approfittare di quel momento per defilarsi discretamente.

Non aveva fatto i suoi auguri alla sorella, né a suo cognato e non avrebbe salutato suo padre. Pazienza, magari avrebbe scritto assicurandosi di occultare la provenienza delle sue lettere.

Salì in camera sua per l'ultima volta, per recuperare la valigia, sperando di continuare a non essere notata.

***

Ad Akane girava la testa: tutto era così bello e nuovo, che non le importava più di essere al centro dell'attenzione. Suo padre aveva chiamato tutti, persino Kuno Tatewaki, e ora erano tutti a tavola, serviti da Kasumi che si era offerta di cucinare come ai vecchi tempi. I gemellini non facevano altro che farle domande sul cuginetto in arrivo e lei inventava storie su come sarebbe stato e come avrebbe giocato con loro.

"Qualcuno va a chiamare Nabiki in camera sua?", domandò la sorella maggiore portando un grosso vassoio.

Akane si guardò attorno, sgomenta: come aveva fatto a non accorgersi della mancanza di Nabiki? Era stata così presa dal chiacchiericcio e dalle congratulazioni che non se n'era neanche resa conto: "Vado io", disse alzandosi in piedi.

Ranma la costrinse a risedersi: "Tu non vai da nessuna parte. Vado io".

Alzò gli occhi al soffitto: "Ranma, per favore, non cominciare a trattarmi come se fossi malata, va bene? Ho mangiato e riacquistato le forze, non mi gira la testa e non ho la nausea, quindi sono perfettamente in grado di salire una rampa di scale per andare a chiamare mia sorella".

"Però...", tentò lui, ma lo zittì dolcemente.
"Mi riguarderò, stai tranquillo, ma se pensi che passerò nove mesi seduta ti sbagli di grosso, Ranma Saotome, quindi abituati all'idea, va bene?". Aveva usato un tono fermo ma leggero e si compiacque di ricevere un sorriso arrendevole da suo marito.

Guardò la sua famiglia riunita a tavola dalla cima delle scale e, mentre si avvicinava alla porta della stanza di Nabiki, Akane pensò che le cose sarebbero andate sempre bene, da allora in poi.
   
 
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