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Autore: ___Page    22/11/2019    1 recensioni
La Phoenix-Benz c’era stata sin dall’inizio della loro storia e li aveva accompagnati, direttamente da un’altra epoca, nelle tappe più importanti del loro amore e delle loro vite.
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*Questa fanfiction partecipa all'iniziativa Yuri & Yaoi's 3 Days organizzata dal forum FairyPiece - Fanfiction & Images*
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Izou, Marco, Portuguese D. Ace
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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VINTAGE BENZ
Prompt: Fare l'amore in macchina
 


Walk through the jungle that used to be my town
Everything's different, you've turned it upside down
 
 
Izou era sempre stato affascinato dalle statue di cera.
L’aspetto vero, brutto o bello che fosse, di un essere umano reale o che poteva esserlo stato, catturato in un istante di vita vera e immortalato per sempre nell’immobilità di un gesto, la naturalezza dell’atto, la perfezione del dettaglio che solo un materiale così malleabile e al tempo stesso capace di resistere nel tempo con solidità poteva rendere possibile.
Era, agli occhi di Izou, un’immortalità rubata, un trampolino di lancio che molleggiava su una flessione del corpo o una ruga sul viso, per spedire l’osservatore verso mondi paralleli, storie immaginate, vite visibili solo a chi si concedeva un istante per straniarsi e creare.
Izou aveva una predilezione per le statue di cera, sì. E per questo, anche se sarebbe stato decisamente più appropriato affermare che ci era rimasto di sale, se non di merda, preferiva di gran lunga paragonarsi in quel momento a una statua di cera. Pallida, immobile, immortalata di certo non nel momento migliore, con gli occhi a mandorla e delineati da una sottile riga di eyeliner, magistralmente sfumato, fissi sulla vettura.
Sperava almeno di non avere la bocca aperta. C’era sempre la possibilità che qualcuno si soffermasse a guardarlo, fermo come un allocco in mezzo a quell’officina trovata per necessità e colpo di fortuna. O forse no.
Insomma l’officina gli serviva ma gran bello scherzo gli aveva giocato il fato a metterla proprio sulla sua strada. E neanche poteva dubitare che fosse proprio lei, non di fronte all’inconfondibile targa che tante battute era costata a Marco, tutte accolte con un sorriso enigmatico di cui Izou aveva imparato a leggere ogni sfumatura e cambiamento. 
 
MR 151 CHN.
 
«Come mi hai chiamato?»
«Con il tuo nome, Marco-chan, è scritto pure sulla tua macchina! Certo girare con il codice fiscale sulla targa… ma pensa a quanto sei fortunato, a me le persone eccentriche piacciono!»
 
Izou fece scorrere lo sguardo sulla splendente carrozzeria blu acciaio, riportata al suo antico splendore da mani esperte, le stesse che avevano fatto ripartire la sua piccola, preziosa Qilin elettrica, che lo aveva lasciato a piedi senza preavviso. E lui che l’aveva anche battezzata con un nome carino e adorabile come “Koala”. Macchina ingrata.  
Così era finito in quell’officina e mentre gironzolava tra latte e copertoni, in attesa, si era imbattuto in lei, nella sua sagoma allungata, squadrata sul cofano e arrotondata sul baule, nel tettuccio decapottabile, negli interni un tempo ben più lisi di come si presentavano ora e nei finestrini tirati così a lucido da potercisi specchiare. Anche se Izou non vedeva il proprio riflesso, nel vetro attraverso cui un tempo, per molto tempo, aveva osservato il mondo dall’altro lato, un mondo più vivido e colorato di quello che vedeva ora, il mondo che si vedeva scorrere davanti, sul finestrino che si prestava da schermo, negandogli la cortesia di dover fronteggiare solo la sua immagine basita.
Ricordi di un tempo ormai fuggito, ricordi che avrebbe volentieri lasciato arginati in uno scomparto del suo cervello, ricordi che mai avrebbe dimenticato. E mai avrebbe voluto dimenticare.
Anche se vederseli sbattere in faccia così, a tradimento, in un’officina di cui neanche conosceva l’esistenza fino a mezz’ora prima, in una zona di Raftel dove mai si recava era… era…
«Suuuuuuper!»
No, assolutamente no.
«Fratello eccoti!»
Di certo uno scossone gli serviva, era innegabile, ma avrebbe preferito tenersi tutti e due i polmoni nel torace e i capelli raccolti in un disordine calcolato e voluto e non provocato dalla poderosa pacca che l’imponente meccanico dalla zazzera azzurra gli aveva appena assestato tra le scapole.
«La tua piccola perla è a posto, amico, aveva solo un…»
«Non ci capisco niente di macchine» lo fermò Izou con un’occhiata non proprio amichevole al gigante, per aver appena attentato al suo equilibrio, alla sua capacità di deambulare e, ultimo ma non meno importante, al suo stile. «Basta che funzioni» aggiunse poi, più cordiale, come a lasciar intendere che si fidava delle parole del meccanico. Per quanto non fosse così semplice fidarsi di un tizio che girava a novembre con addosso dei variopinti boxer a mo di pantaloni, sculettando fino a quasi rasentare il twerk.
Ma a Izou, appunto, le persone eccentriche piacevano, a meno che ovviamente suddette persone eccentriche non insistessero su dettagli che avrebbe solo voluto ignorare. Come la gigantesca macchina anni 50 che luccicava nel retro del garage.  
«Davvero? Da come fissavi la mia macchina non lo avrei detto, ti facevo un suuuuuper-intenditore» considerò Franky, aggirandolo per raggiungere l’automobile, appoggiandosi poi al tettuccio con un avambraccio, posa svaccata, espressione soddisfatta, caviglie incrociate. «È un gioiellino vero? Io non sono da macchine vintage, mi piacciono moderne e piene di gadget, ma quando ho visto questa Phoenix-Benz mi sono innamorato. Ho dovuto comprarla era troppo suuuuuper!»
«Già, lo immagino» Izou distolse lo sguardo, con la scusa di frugare nella propria tracolla. «Franky, è Franky giusto?, cosa ti devo? Scusami ma ho un appuntamento di lavoro. Posso pagarti sia con carta che con assegno, come preferisci»
«Oh per quello è meglio se parli con Usopp, fratello, le finanze le faccio gestire a lui da quando si è lamentato che sperpero un po’ troppo» scosse il capo con fare complice Franky. «Solo perché mi piacciono i materiali di buona qualità»
«Franky ti sento! E non è questione di qualità, le ultime pastiglie che hai comprato costavano un patrimonio, hai praticamente commesso un furto dentro la tua stessa officina e tutto perché avevano sopra quel logo che ti piace tanto! Sono pastiglie, chi le vede?!» una voce nervosa e un filo nasale li raggiunse dall’altro lato del grande locale.
«Immagino che questo sia Usopp» considerò Izou, l’espressione atona, indicando con il pollice oltre un treno di ruote.
«Bingo, fratello! Ecco tieni, è stato un piacere lavorare sulla tua amata lattina»
«Grazie» accompagnò le parole con un cenno del capo, il moro, riprendendosi le chiavi.
«Peccato che devi scappare, ti avrei fatto fare un giro sulla mia piccola, altrimenti»
Izou arricciò appena il naso, raccontandosi che era l’odore del grasso che gli pungeva le narici, abbozzando un mezzo sorriso. «Sarebbe stato bello. Sarà per un’altra volta, Franky. Grazie ancora» piegò il braccio in un gesto elegante, già lanciato per raggiungere Usopp, pagare e uscire.
Non sapeva neppure di quanto era in ritardo, non sapeva quanto era rimasto a fissare la Phoenix-Benz, immobile come una statua di cera.
E se qualcuno si fosse concesso un momento per studiare la sua espressione e il suo linguaggio del corpo, chissà che storia avrebbe letto negli occhi di Izou.
      

§
 
Oh baby, I'm jealous, I'm jealous, I'm jealous of us
I'm jealous of everything that I know we could be, but never really seems enough
 
 
Era stato Ace a farli conoscere.
Nel senso che Ace era stato il loro minimo comun denominatore, non nel senso che nel moro ci fosse mai stata alcuna velleità di farli incontrare per qualche supposta affinità elettiva.
Compagno di liceo di Izou, collega di Marco, Ace non festeggiava mai il proprio compleanno  e così glielo avevano organizzato gli amici. Una festa a sorpresa in sovrapposizione al party di capodanno a mezzanotte scoccata, ecco dove Marco e Izou si erano incontrati per la prima volta, con un Ace ubriaco e malconcio sulle spalle del primo e un Sabo abbastanza storto da non poter guidare addossato al secondo.
 
«…ma pensa a quanto sei fortunato, a me le persone eccentriche piacciono!»
Ace scelse proprio quel momento per ritornare alla realtà, alzando gli occhi vacui sull’amico.
«Tu sei centripeto» affermò tra i fumi dell’alcool, il dito teso e l’equilibrio precario.
«Cos’è che sono io?»
«Centripeto» riaffermò convinto Ace.
«Fratello vuoi dire…» Sabo contrasse la faccia contro la spalla di Izou, in uno smorfia concentratissima prima di esclamare con fin troppa euforia e sguardo perso un: «Concentrico!»
«Circonciso!» si illuminò anche Ace, dopo un lungo attimo di riflessione e accigliamento, strappando a Izou un sonoro sospiro.
«Siete così imbarazzanti che viene voglia di sotterrarsi al posto vostro» annunciò Izou con uno schiocco di lingua che non riuscì a celare l’apprezzamento per il primo sorriso storto che Marco gli avesse mai rivolto prima di tornare alle questioni pratiche e constatare che:
«Dovrò trascinarli fino al loro appartamento. Izou se vuoi tornare alla festa chiedo a Satch, per convincerlo mi basta offrirgli una birra tanto»
«Uh? Nah Marco-chan, temo di avere il tuo stesso dovere morale verso questi due»
«Amico, che macchina wow! Devi sposarmela quando mi presto!»
«Se mai troverai una donna così disperata, fratello»
«Me lo dici tutte le volte Sabo»
«Tutte le volte? Ma ci conosciamo da prima di stasera?»
 
«Ciao Raggio di Sole» si sedette con un movimento elegante, inalando il profumo di cioccolata fusa che la tazza di fronte all’amico emanava.
«Ehi! Gli ordini sono appena arrivati, tempismo perfetto!»
«Scusa il ritardo, a proposito» scosse appena il capo Izou, avvicinandosi la tazza di tè alle bacche di goji. «Fortuna che ho trovato un’officina in zona»
«Com’era questa coppia?»
«Lei maniaca del controllo, lui disinteressato e la location a dir poco squallida, non capisco perché mi assumono se poi vogliono decidere tutto loro o non gli importa decidere niente. Il mio lavoro è organizzare matrimoni, mica rendere decenti delle discutibili festicciole senza stile ne sobrietà alcuna»
«Ehi, ehi!» Ace sgranò gli occhi, osservandolo riavviarsi due ciocche di capelli dietro l’orecchio, dopo essersi passato stancamente la mano sul viso. «Woh amico, calmati! Tutto questo era eccessivo persino per te, sei sicuro di stare bene?» indagò non senza una punta di preoccupazione l’artificiere. Che insomma, maneggiava materiale prossimo all’esplosione per mestiere, era vero, ma Izou era come un fratello, vederlo così scosso non gli piaceva per niente.
«Sto bene» confermò Izou, sorbendo un po’ di tè e gustandolo qualche istante prima di aggiungere: «Odio solo la gente che si sposa»
«Beh…» Ace sfoderò un maxisorriso, poggiandosi allo schienale della sedia, un gomito sollevato, l’altro posato al tavolo. «La gente che si sposa, ti paga lo stipendio. Credevo ti piacesse il tuo lavoro» ammiccò con quel suo modo di ammiccare di quando sperava in una risposta positiva.
Izou lo fissò sospettoso da sopra il bordo della propria tazza. Lo conosceva troppo bene per non sapere che aveva qualcosa di strano. «Io amo il mio lavoro. Odio la gente che si sposa, non i matrimoni» chiarì con cipiglio accigliato.
«Uhm, okay, quindi…» Ace riportò entrambe le braccia sul variopinto tavolino. «…contro i matrimoni non hai nulla, giusto?»   
«Ace, sei strano. Si può sapere cos… Oh mio dio!» spalancò gli occhi, sporgendosi poi verso l’amico. «Ti sposi?!»
«Che? No, Izou, sei fuori strada, credimi» Ace sollevò le mani palmo avanti con un sorriso e Izou lo scrutò un lungo istante, alla ricerca di segni di menzogna, gioia suprema, euforia mal repressa, sintomi corporei di un’imminente autocombustione, nessuno dei quali presenti all’appello però.
«E quindi chi…» ricominciò, tornando a poggiarsi allo schienale, prima di venire folgorato da un altro pensiero, stavolta ben più sensato. «Non dirmi che è tuo fratello» esalò con lo stomaco di colpo accartocciato.
Sarebbe stata una gran bella badilata di ironia da parte dell’Universo, fargli ritrovare la Phoenix-Benz e fargli apprendere che Sabo si era deciso al grande passo, tutto nella stessa giornata. Perché non si scampava, la Phoenix era da sempre la macchina prescelta per il matrimonio di Sabo, non c’era altra vettura, sia lui che il biondo amico si erano sempre immaginati lei e per di più, tra colore e vivacità, l’immagine di Ishley che scendeva da quella specifica Phoenix-Benz, quella di Marco, la MR 151 CHN, era semplicemente la perfezione. Almeno quanto l’immagine di Marco alla guida,  bellissimo e impeccabile nel completo blu scuro.
«Nooope» la voce di Ace che negava prima di trangugiare un enorme sorso di cioccolata dissolse le immagini che scorrevano di fronte all’occhio della mente di Izou, che intanto aveva già valutato tema, allestimento e mise en place più appropriati, obbligandolo a concentrarsi nuovamente su di lui, mentre riappoggiava la tazza a cui, solo allora Izou ci fece caso, stava ben aggrappato e non per scaldarsi le mani. Ace prese un profondo respiro, valutando se buttare già un altro po’ di nettare Maya per farsi coraggio ma non fece in tempo.
«Ace, perché la fai tanto difficile? Sputa il rospo e basta!»
«Perché a quanto pare oggi non era certo il giorno migliore per dirtelo!» lamentò la sua sfiga e il suo innato pessimo tempismo, Ace, che se lo aveva voluto incontrare, quella volta, non era per una semplice chiacchierata. «Ah ma chi voglio prendere in giro, non ci sarebbe mai stato un buon momento. Izou» puntò gli occhi in quelli dell’amico, determinato. Era come un cerotto. Meglio uno strappo netto, tanto un modo per indorare la pillola non esisteva. «È Marco. Marco si sposa»
Izou era una persona complessa. Trovava affascinanti le statue di cera, odiava la gente che si sposa ma amava organizzare matrimoni, non si mostrava modesto eppure era insicuro e fragile, in cuor suo non si reputava un genio ma sapeva di non essere completamente scemo.
E allora perché il sintagma semplice appena pronunciato da Ace gli appariva di così difficile comprensione? Izou si ripeté ancora e ancora quelle tre parole nella testa, le immaginò scritte, le pronunciò a fior di labbra mentre il viso di Ace spariva e riappariva al ritmo del suo interdetto sbattere di palpebre, ma niente, il messaggio si ostinava a non passare, non si concretizzava in nulla, nessuna emozione, nessuna reazione.
«Siamo andati a bere una birra, io, lui e Satch, l’altra sera dopo il lavoro» riprese dopo quasi due minuti Ace, sperando davvero di avergli lasciato abbastanza tempo, se non per metabolizzare, almeno per razionalizzare la notizia.
Si rendeva conto di aver sganciato una bomba, lui che per lavoro le disinnescava, ma era stato necessario. Non poteva permettere che Izou lo scoprisse per vie traverse.
«Ha ottenuto la promozione sai? E così ha deciso di passare al livello successivo. Ci ha chiesto… ci ha chiesto di fargli da testimoni»
Izou tamburellò sul tavolo, ciondolando inconsapevolmente il capo al ritmo della canzone che passava in sottofondo dalle casse della sala da tè, guardandosi in giro senza vedere nulla. «Loro… uhm…» prese tempo un istante, studiando il contenuto della propria tazza. «…per caso vogliono chiedermi un aiuto per… sai, l’organizzazione e tutto? È per questo che me lo stai…» indagò, lanciando a Ace un’occhiata di sottecchi.
«Oh. No. No, non credo proprio, amico, e se mi avessero chiesto di chiederti… Non mi sarei mai prestato» annuì solenne, leale a entrambi fino alla morte, non ne avrebbe mai dubitato Izou. «Ma ho pensato che fosse meglio lo sapessi da me piuttosto che scoprirlo per caso»
Izou continuò a fissarlo qualche istante prima di riuscire a dare al proprio cervello tutti i corretti input per sorridere, alzarsi e nel mentre rispondere: «Infatti! Hai pensato giusto e anzi, grazie» allargò appena le mani, indossando poi rapido il cappotto di panno e frugando nelle tasche. «Ora purtroppo devo scappare ma lasciami offrire»          
«Izou, non è necess…»
«Ace. Davvero. Ci tengo» gli assicurò, lasciando scivolare sul tavolo una banconota, con la delicatezza di una piuma. «Ci sentiamo più tardi. Ti scrivo, okay?» si avviò infilando le mani in tasca, consapevole che l’amico sarebbe rimasto preoccupato per il resto di della giornata. Ma non poteva farci niente e Ace non pretendeva che ci facesse niente. Tutt’al più che una bella dormita, almeno per Ace, avrebbe dissipato ogni rammarico.
Per quanto riguardava se stesso, buttarsi nel lavoro sembrava uno splendido intrattenimento.
 

***
 
And we know that love is
Overrated
Overrated in this goddamn world
 
 
La Phoenix-Benz c’era stata sin dall’inizio della loro storia.
Izou non era mai stato particolarmente appassionato di auto. Anzi si poteva affermare che non ci capiva un accidente. Non distingueva i modelli, non capiva la differenza tra d’epoca e vintage, né perché alcune macchine fossero universalmente riconosciute come “costose” e altre no. A lui sembrava che per tutte ci andassero un bel po’ di soldi ma supponeva fosse come non capire la differenza tra un eyeliner di alta qualità e uno acquistato al supermercato sotto casa, ragion per cui non si era dato troppa pena.
Alla Phoenix però si era finito per affezionare.
Marco l’aveva ereditata da suo nonno, una carcassa con quattro ruote che poteva anche aver fatto un figurone un tempo ma al momento del passaggio di chiavi era sembrata buona solo per un museo e neanche al posto d’onore. Marco gli aveva mostrato le foto. Ma c’erano troppi bei ricordi legati a quell’automobile, sia del biondo che del suo imponente, sentimentale padre e, pur non essendo più appassionato di quanto non fosse Izou, Marco gli aveva voluto dare una seconda occasione e una nuova vita.
E così la Phoenix-Benz c’era stata sin dall’inizio della loro storia, da prima in verità, e li aveva accompagnati, direttamente da un’altra epoca, nelle tappe più importanti del loro amore e delle loro vite.     
Gli aveva accompagnati in vacanza, nel viaggio a Marijoa per la laurea di Sabo, gli aveva accompagnati nelle semplici serate tra amici, nei soliti posti, dove grazie al lungo cofano azzurro scintillante, si facevano sempre riconoscere.
Ma Izou si era affezionato alla Phoenix-Benz. Su quella macchina lui e Marco si erano confidati più segreti di quanti ne avessero mai confessati neanche a loro stessi, avevano guardato le stelle, si erano baciati a ogni semaforo rosso, avevano fatto l’amore la prima volta.
Su quella macchina, con gli occhi persi oltre il parabrezza, nei lunghi viaggi fianco a fianco, Izou aveva immaginato una vita che si disegnava sull’asfalto di fronte a loro, una vita condivisa con Marco, che anche Marco voleva condividere con lui, se lo erano detto proprio durante uno di quei viaggi, sperando di cuore che quello insieme non sarebbe finito mai.
Poi, un giorno, la Phoenix-Benz aveva iniziato a rallentare. Aveva smesso di carburare, di tenere i giri, di portarli ovunque.
Avrebbe avuto bisogno di un nuovo intervento completo e, dopo lunga e sofferta riflessione, entrambi avevano concluso che forse non ne valeva la pena né, soprattutto, la spesa.
Senza rendersene conto, non era solo nella macchina che avevano smesso di credere, spendere, investire.
Izou si era ritrovato a pensarlo quasi in concomitanza con la vendita.
Marco aveva trovato il coraggio di dirlo, poco dopo aver incassato l’assegno.
 

***
 
This love's delicious
Like home-cooked dishes
I'm tasting mischievously
 
 
Era stato precisamente quattro mesi, sedici giorni e otto ore dopo che Izou aveva conosciuto Pell. Lo aveva conosciuto a un matrimonio, quello della sorella Bibi, uno di quei servizi che Izou ricordava con affetto e piacere, con soddisfazione. Le foto di quella cerimonia erano tra quelle che più orgogliosamente mostrava ai suoi nuovi clienti, un allestimento sobrio e al tempo stesso originale, una sposa che gli aveva permesso di sbizzarrirsi senza per questo sconfinare nel kitsch. D’altra parte, sapeva il fatto proprio Izou e applicava al suo lavoro la sua filosofia di vita.
Era la cura del dettaglio a fare la differenza, con attenzione a che il risultato finale apparisse sempre, nel complesso, sobrio ed elegante, una semplicità che scaturiva dal giusto equilibrio di elementi eclettici e perfettamente amalgamati.
Come in una danza.
Come l’amore.
Izou avrebbe voluto chiedersi come e quando aveva smesso di porre attenzione ai dettagli nella sua storia con Marco. Perché era certo che fosse stato quel momento, il momento in cui la semplicità aveva smesso di essere un perfetto amalgama di eccesso e quotidianità e si era trasformata in piatta monotonia, quello in cui tutto era finito.
Sarebbe bastato starci più attenti, metterci più cura.
Sarebbe bastato così poco.
Izou avrebbe voluto chiederselo ma, per fortuna, intravedeva già i suoi clienti, due teste di due sfumature di rosa un filo diverse, attraverso il vetro della pasticceria Whole Cake Island. Il profumo di cacao, frutta, pan di spagna e glassature varie riuscì a smuovergli lo stomaco compresso in un groviglio nel suo addome e rendere forse più credibile il cordiale sorriso rivolto alla giovane coppia.
Con un po’ di sano egoismo, necessario alla sopravvivenza, Izou avrebbe tanto voluto che Coby e Rebecca fossero come la coppia della mattina, per non rischiare di provare invidia. Ma Coby e Rebecca erano una di quelle coppie a cui augurare tutto il bene del mondo era quasi moralmente imperativo, uno di quei matrimoni per cui il desiderio di Izou di profonderci il massimo del proprio impegno non scaturiva da semplice professionalità.  
Gli facevano odiare meno la gente che si sposa, gli ricordavano che c’era ancora a chi, nell’accasarsi, non importava un fico secco di fare colpo sugli invitati ma solo di rendere speciale un giorno tanto importante, l’uno per l’altro. Gli facevano amare un po’ di più il suo lavoro ma, in quel particolare momento, gli ricordavano anche quello che avrebbe potuto avere e ormai sarebbe stato di qualcun altro.
«Ehilà!» salutò raggiungendoli al tavolino dove stavano già degustando i dolci sapientemente porzionati da Pudding, per evitare che lingua e stomaco si stancassero troppo presto. «Come sta andando?» spostò gli occhi da sposa a sposo, stringendo appena le spalle di entrambi prima di accomodarsi alla sedia libera.
«È… beh è veramente difficile, Izou» ammise Coby con una mezza risata, indicando gli scintillanti quadrotti grondanti di melassa e cioccolato nei loro piatti. «Credo proprio che non ci dimenticheremo mai questa esperienza, comunque» si girò verso Rebecca, cercando inconsciamente la sua mano con la propria e trovandola senza fatica.
«Di solito questa è l’unica parte in cui lo sposo partecipa attivamente, anche se nel tuo caso non si può proprio applicare, sei stato di supporto in tutte le decisioni finora»
«Beh non è difficile con Becky, ha le idee chiare ed è bello prendere decisioni con lei. Anche se temo che questa volta dovrà decidere da sola perché io non so proprio che pesci pigliare»
Izou riuscì a sorridere nonostante lo spasmo all’addome, difficile da mettere a tacere se Coby si ostinava a guardare Rebecca così innamorato e lei si ostinava a sorridergli come fosse il suo sole. Gli ricordavano due persone, che una volta erano state una coppia, che si guardavano e sorridevano alla stessa maniera.
«Ovviamente, Izou-san, se hai consigli e suggerimenti anche per la torta, non vediamo l’ora di sentirli» Rebecca gli concesse uno sprazzo di quel sorriso così prezioso, voltandosi verso di lui. «E ovviamente se vuoi assaggiare qualcosa…»
«Mh?!» mormorò Izou distratto, occhiando le fette di dolce che di solito gli facevano venire un’oscena acquolina e ora invece sembravano attentare al benessere del suo apparato gastrico. «Oh Becky no, ti ringrazio ma oggi non ho proprio margine per calorie extra. Il mio compagno torna da un viaggio di lavoro e per festeggiare ci concediamo una cenetta speciale. Comunque!» batté le mani il wedding planner. «Possiamo sicuramente scremare qualche dolce ma chiederei, se siete d’accordo, anche il parere di Pur-chan appena si libera. Oltre a essere una pasticcera fuoriclasse ha ottimo gusto, collaboro con lei da anni anche per questo. Ad ogni modo, mentre la aspettiamo, visto lo stile che avete scelto io direi…» si lanciò in una dettagliata e per lui estremamente motivante spiegazione, ritrovando almeno un barlume del suo innato entusiasmo.
Aveva avuto ragione, buttarsi nel lavoro era proprio ciò di cui aveva bisogno.
 

 §
 
We could walk away
And just like others would
Or we live our life
Like we know we should
 
 
La Phoenix-Benz c’era stata sin dall’inizio della loro storia. Izou non era mai stato particolarmente appassionato di auto ma alla Phoenix-Benz si era finito per affezionare. Ne riconosceva il gorgogliare del motore quando Marco arrivava a prenderlo ed era ancora dietro l’angolo, prima, e quando Marco arrivava a casa dopo di lui, senza nemmeno bisogno di sbirciare dalla finestra, poi.
Ma lo faceva lo stesso, sbirciava dalla finestra la scintillante carrozzeria azzurra, la capotte che teneva male l’aria in inverno e Marco, il suo Marco, che scendeva stanco ma felice di essere finalmente a casa, da lui.
E ogni volta, ogni singola volta, Izou non riusciva a contenere un fremito che lo pervadeva da capo a piedi, condensandosi al basso ventre e rimbombando forte nel cuore.
La brezza che filtrava, le magliette scomparse, la pelle appiccicata ai sedili di cuoio lisi. Il cuore di Marco che aumentava il ritmo a ogni bacio e contatto. Il suo che rischiava di esplodere.
La prima volta che avevano fatto l’amore.
Izou non riusciva a non pensarci ogni volta che sentiva il rombo della Phoenix-Benz. Sembrava una follia, si conoscevano da così poco ma Izou quella notte lo aveva capito senza deroghe, che era amore e nella forma più intensa e reale in cui mai lo avesse provato.
E ne voleva ancora, di più e sempre. I sorrisi di Marco, i baci di Marco, i battiti di Marco.
Izou voleva Marco, corpo, mente, cuore, anima. Voleva Marco, amava Marco, voleva amarlo per il resto dei suoi giorni. Marco e Marco soltanto.
Con lui ogni sera era speciale e degna di essere festeggiata, anche senza che nessuno dei due fosse andato in trasferta da qualche parte per qualche motivo. 
Quando se n’era dimenticato? Quando aveva smesso di sentire il fremito?
Eppure era sempre rimasto lì, intoccato. Il ricordo di quella notte, il fremito e il suo amore.
E allora perché? Perché Izou fissava una Ford Eagle panna con due strisce viola parcheggiata fuori dal civico dove, in teoria, sarebbe dovuto rincasare? Perché ad aspettarlo dentro non c’era una testa bionda e spettinata ma una castana senza mai una ciocca fuori posto?
Cosa ci faceva lì, a quell’indirizzo?
Cosa ci faceva lì, senza Marco?
Cosa ci faceva ancora lì? Non aveva già perso abbastanza tempo? 
«Izou?»
Izou sobbalzò scottato e lasciò cadere il cartone variopinto del Whole Cake Island, indietreggiando verso il marciapiede quando Pell gli andò incontro lungo il vialetto di quella che, teoricamente, era casa loro, un calice con due dita di vino in mano, ancora gli abiti con cui aveva viaggiato addosso.
Doveva essere arrivato da poco e averlo sentito parcheggiare ed essersi allarmato nel non sentirlo entrare ma Pell non capiva.
Izou non poteva andare da lui. Izou non voleva andare da lui, non era da lui che voleva correre. Che doveva correre. Per rivederlo, dirglielo, sentire il fremito foss’anche per l’ultima volta.  
«Izou…»
«Pell, mi dispiace io…» continuò a indietreggiare fino al ciglio della strada, pronto a lanciarsi verso la propria macchina. «…io non posso… io… perdonami» 
«Izou attento!!!»
Troppo.
Aveva indietreggiato troppo e prima di poter muovere un solo altro passo, il rombare di un motore fin troppo noto gli rimbombò nelle orecchie, la luce di due fanali lo travolse e Izou fece appena in tempo a riconoscere la Phoenix-Benz MR 151 CHN lanciata verso di lui prima di venire falciato dall’auto in corsa.
 
 
§
 
T-shirt off, breeze comin’ in
Leather seat catchin’ on the skin…
 
 
Spalancò gli occhi nel buio, i polmoni in fiamme e lo stomaco annegato nella bile, come sempre quando soccombeva al sonno contro la propria volontà. Spostò lo sguardo al cellulare stretto nella sua mano, che si illuminò a mostrargli che erano le due del mattino, proiettando la luce fioca sul libro aperto accanto a lui.
Si era addormentato aspettandolo, aveva cercato di attendere il suo rientro dopo la chiamata d’emergenza ma alla fine aveva ceduto, complice la lunga giornata a organizzare gli ultimi dettagli del matrimonio di Rebecca e Coby.
Meno male che aveva un braccio destro come Koala su cui contare. Senza di lei certi giorni era convinto che non sarebbe sopravvissuto.
Il suo respiro affannato si mischiò al rumore della chiave che girava nella toppa dall’ingresso, metallico ma ben calibrato per non svegliarlo. E in effetti non era stato quello a svegliarlo e nemmeno la porta che si apriva con la stessa delicatezza con cui stava venendo richiusa. A svegliarlo, anche se a riemergere da quell’incubo allucinante ci aveva messo abbastanza da dargli il tempo di rincasare, era stato l’inconfondibile rombare della Phoenix-Benz.
Si ributtò indietro sul materasso, la mano a stringersi la fronte, e liberò un respiro appena mugugnato mentre si tamponava il viso con il palmo. Santo Roger, ma cosa…
«Izou?»
Tre passi esatti e una sagoma alta e slanciata entrò nel campo visivo di Izou, distinguibile grazie alla luce dell’ingresso che lo avvolgeva da dietro, lasciando in ombra il suo bel viso che a Izou non serviva vedere per descrivere in ogni minimo solco, lieve ruga, sporgenza e curva. Lo conosceva a memoria.
«Izou» ripeté con un tono totalmente diverso, appena sussurrato, dolcissimo, segno che si era accorto che era effettivamente sveglio, coprendo in altri tre passi la distanza che lo separava dal letto, per sedersi sul materasso accanto a lui, la mano già tesa al suo volto.
Izou imitò il gesto fino ad aggrapparsi alla sua maglietta, sotto la felpa aperta. «Marco»
«Sono io. Sono a casa» confermò Marco con un sorriso, accarezzando la pelle pallida del compagno, ricoperta da una sottile patina di sudore. «Che succede?»
«N-niente, la coperta è troppo pesante» esalò un respiro più calmo, mentre si alzava con il busto, senza allentare la presa su Marco di un solo newton, trovando subito il suo braccio a sostenerlo e avvolgerlo per la vita. «Com’è andata?» indagò, gli occhi sempre più abituati alla penombra che cominciavano a distinguerlo, impegnati a riempirsi di lui quanto più potevano, fino a traboccare.
«Allarme bomba rientrato» Marco mosse la mano fino ad afferrargli il mento tra due dita e ridisegnò il bordo del suo labbro inferiore con il pollice. «Ho rischiato seriamente di restare a piedi, la batteria si è scaricata di nuovo, per fortuna Ace aveva i cavi dietro» sospirò stanco e lo cercò con gli occhi, acquamarina incastonata nell’ossidiana. «Devo decidermi»
Lo stomaco di Izou sussultò violento, la bile rischio di impregnargli lingua e palato se solo il moro non avesse avuto la prontezza di ricacciarla giù. «Deciderti a fare cosa?» indagò, in allerta.
«Lo sai no? Venderla a qualche collezionista o appassionato» si strinse nelle spalle Marco, parlando pratico e senza sentimentalismi. In fondo, per quanto gli dispiacesse, c’erano cose più importanti di una macchina in cui investire. «C’è quel tipo, il fratello di quella tua cliente che si è sposata l’anno scorso. Pell, giusto? Se non ricordo male, era parecchio interessato»
«Ma non puoi!»
Marco sbatté le palpebre un paio di volte mentre si accigliava. «Come?»
«Non puoi, non… possiamo vendere la Phoenix! Dobbiamo farla riparare!» parlò con gli occhi accesi di determinazione ma anche qualcos’altro, qualcosa che per un attimo a Marco sembrò paura e, di riflesso, aumentò la presa sulla sua vita.  
«Ma Rakuyou ha detto che non…»
«Pur mi ha parlato di una certa Franky House, a Water Seven» lo fermò e Marco si accigliò ancora di più.
«Pur?»
«Sì! Uno dei due tizi che la gestisce sta con uno dei fratelli del suo fidanzato. Comunque! Pare che questi riparino di tutto, pure i carrarmati della Guerra dei Vertici. Possiamo andare a farci fare un preventivo, che ne dici eh?! Marco-chan?»
«Izou sei sicuro?» si vide costretto a domandare Marco dopo qualche secondo, sedendosi meglio di fianco alle gambe del compagno. Nessuno dei due aveva ancora lasciato andare l’altro. «Avevamo concordato che aveva più senso investire in un’auto nuova» gli ricordò.
«Sì ma… è la Phoenix!» si sciolse in un sorriso che sapeva di ricordi, Izou. «C’è sempre stata, ci ha accompagnato in tutti i viaggi importanti. Ma poi, scusa, come glielo dici a Sabo? Lui ci conta per il suo matrimonio e anche io, fa pendant con Ishley, senza contare la targa con il tuo nome…»
«Non è il mio nome»
«… e poi è dove abbiamo fatto l’amore per la prima volta»
Il cuore di Marco perse un battito, come sempre quando ripensava a quella notte, come sempre di fronte all’espressione trasognata del suo Izou. Inalò a fondo, avvicinandosi di più a lui.
«Se tu sei convinto…»
«Lo sono» rispose senza esitare, Izou. «E non è solo una macchina, è di famiglia e le vogliamo bene e se gettiamo la spugna con lei, cosa succederà quando ci sarà da lottare per cose più importanti? Io non voglio perdere niente, Marco, né te né i nostri ricordi e nemmmmmmnn…» si ritrovò a mugugnare contro le labbra di Marco e portò una mano al suo collo, lasciando l’altra aggrappata alla sua maglietta, almeno finché la maglietta non scomparve.
La brezza che filtrava dagli spifferi, anche la sua maglietta scomparsa, la pelle che aderiva a quella calda e liscia di Marco, i cuori che si cercavano.
Izou non riusciva a capire. Per quanto i sogni fossero la cloaca della psiche, non concepiva di aver sognato una dimensione in cui aveva smesso di lottare per una cosa così. Non esisteva al mondo che Izou potesse rinunciare a Marco, che potesse lasciarlo a qualcun altro, che potesse immaginarsi senza di lui sopra di sé e tra le sue mani, che lo scaldava e si lasciava slacciare i jeans e lo teneva tra le braccia, al sicuro da tutto, anche dagli incubi.
«Ehi Izou?»
«D-dimmi» gemette mentre reclinava la testa all’indietro, nel palmo di Marco pronto ad accoglierlo, per lasciargli più spazio di manovra sulla propria gola.
«Lo sai che non ti lascerò mai andare, vero?» Marco si sollevò appena a guardarlo e il cuore di Izou si allargò fino svuotargli i polmoni.
Quello non era un sogno, era meglio di un sogno.
Era la realtà.
Izou si sforzò di ignorare il pulsare capriccioso del proprio corpo per l’improvviso cessare delle attenzioni che stava ricevendo, perché perdersi negli occhi di Marco che gli leggevano l’anima non è che gli facesse esattamente ribrezzo, anzi. Riportò una mano al suo viso, lasciandola scivolare lungo tutto il suo torace nel tragitto.
«Ti conviene mantenere la parola» spostò la mano sulla nuca, tirandoselo più vicino. Aveva troppo bisogno del suo odore e del suo calore, di sentire il suo respiro sulla pelle. Aveva troppo bisogno di lui. Aveva sempre bisogno di lui. Voleva avere bisogno di lui. «Ti ricordo che quando ci siamo conosciuti la disposizione planetaria era particolarmente a favore per i nostri segni zodiacali i-insomma…» scivolò appena sul materasso, i bacini a contatto e la voce roca, persa. «…non saresti mai più così compatibile con nessun altro orma-aaaaah-i… mmmmn… v-voglio dire è matematica astrologica e... io… i-io…»
«Izou?»
Marco si concesse un momento per godersi l’espressione di Izou, rapita solo per lui, solo da lui e sorrise, con quel sorriso sghembo che era solo per Izou, solo di Izou, sin dalla primissima volta che glielo aveva regalato, quando si erano conosciuti alla festa a sorpresa di Ace, dove tutto aveva avuto inizio.
La partenza di un viaggio insieme, fianco a fianco, a cui nessuno dei due avrebbe rinunciato, nemmeno di fronte a una strada sconnessa o a un ponte crollato, nemmeno con il rischio di venire lasciato a piedi da una batteria un po’ arrugginita.
«Sì?» la voce di Izou fremette, piena di aspettativa e attesa, il cuore impazzito.
Perché lo sapeva, Izou, Marco stava per pronunciare le tre parole più belle del mondo. 
«Adesso stai zitto»
E lui non avrebbe mai potuto desiderare di meglio.
 
 
So kiss me in the backseat of my vintage Benz
Oh, who gives a shit about tomorrow?
When it comes, we can worry then
Oh, who gives a shit about tomorrow?
 
So kiss me under the light of a thousand stars
Oh, who gives a shit about tomorrow?
When you know how lucky we are
Oh, tomorrow worry 'bout tomorrow
 
        
 




Angolo dell'autrice: 
Eccomi qua con spero di no ma temo la mia unica storia per questa bellissima iniziativa a cui sono già comunque contenta di aver partecipato! *cuoricini di zucchero per tutti* 
Ora è bene dare a Cesare quel che è di Cesare, dove "Cesare" è da leggersi "Mika" e "Lo staff del FairyPiece". 
Senza le canzoni di quest'uomo, questa storia non mi sarebbe mai neanche venuta in mente e mi è quindi sembrato giusto citarle tutte così come mi sembra giusto elencarvi di seguito i titoli, in ordine come le trovate nella fanfiction. 

-Talk about you  
-Dear Jealousy 
-Overrated 
-Three Steps 
-Feels like love 
-Tomorrow 

Se volete sentirvele, cioè per me sono tipo la vita. 
Detto questo è ora giunto il momento di ringraziare quelle sante anime del FairyPiece che non ci fanno mai mancare ispirazione e iniziative, quindi un grazie tutto speciale a Zomi e Soly e alle loro brillanti idee! Vi lovvo, girls! 
Grazie davvero a voi e a chi ha voluto leggere questo piccolo prodotto della mia mente disagiata. 

Un bacio grande! 
Page. 

 

 
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