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Autore: anagogia    23/11/2019    0 recensioni
[Fred Vargas (serie del commissario Adamsberg)]
[Fred Vargas (serie del commissario Adamsberg)]Il capitano Danglard, divorato dal senso di colpa ed incapace di perdonarsi, si trova a rivestire un ruolo che non credeva sarebbe mai stato chiamato a ricoprire.
AU Tempi Glaciali
Genere: Angst | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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 Il capitano Danglard riemerse dal sonno con estrema fatica. Il vino bianco della sera precedente avviluppava la sua mente in un vortice nebbioso e traballante, al centro del quale facevano bella mostra di sé tutte le angosce che al momento lo attanagliavano: l’Islanda, Robespierre, la retta universitaria dei suoi figli che sarebbe scaduta a fine mese, l’assassino evanescente ed implacabile che sembrava sfuggire sempre più lontano nonostante gli sforzi suoi e del resto della squadra, l’assenza del commissario, impermeabile alla frustrazione dell’intera Anticrimine di fronte ai vicoli ciechi nei quali l’indagine si era incagliata. Angosce terebranti, pensieri fissi sui quali il capitano tornava come in un infernale girone dantesco per evitare di concentrarsi su quello che era in quella fase della sua vita l’unico vero motore del suo essere ed agire, del suo tormento, del suo dolore: il proprio tradimento ai danni del commissario. 
Assente il commissario lo era di certo: letteralmente durante il suo inutile viaggio in Islanda, ma anche metaforicamente, presenza vacua ed incostante di fronte alle indagini del resto della squadra che lavorava senza sosta. Non che apparentemente ci fosse qualcosa di differente dall’ordinario: Adamsberg non era mai stato, in effetti, completamente presente, e probabilmente questo valeva per ogni aspetto della sua vita. Nella tempesta, il commissario non era un argano implacabile in grado di trainare la nave in salvo, non era una scialuppa capace di trarre a bordo i naufraghi; piuttosto, per i membri dell’Anticrimine era come un faro in fondo al porto, esperto nell’arte di illuminare la via, di direzionare le navi allo sbando ad un ormeggio sicuro, di condurre le indagini più intricate e nebulose a completa seppur lenta dipanazione. Come ci riuscisse per Danglard era ancora un mistero: la sua completa assenza di rigore logico, la sua incapacità di formulare pensieri sequenziali e coerenti avrebbero dovuto farne il peggiore dei poliziotti di provincia, eppure, inspiegabilmente, il commissario vantava un tasso di successo in ambito penale ad oggi ineguagliato nell’intero paese.  Questa sua abilità di vedere dove gli altri brancolavano nel buio, mai esplicitata eppure chiaramente percepita, aveva generato nei suoi collaboratori una fiducia incrollabile e devota che lo rendeva, indiscutibilmente ed incoerentemente con i contorni indefiniti del personaggio, leader. Nessuno aveva mai messo in discussione il suo ruolo, nessuno aveva mai osato soverchiarlo, e la verità era che nessuno lo aveva mai desiderato.  
La sera precedente aveva visto il capitano ondeggiare tra bruciante senso di colpa, doloroso pentimento e malevolo orgoglio per il proprio operato. “Qualcuno dovrà pur mantenere la rotta” si ripeteva “tenere i piedi a terra laddove il commissario vagheggia tra i ghiacci”; era suo preciso dovere riportarlo alla retta via e, quando questo fosse impossibile, impedire che trascinasse con sé nel fallimento l’intera indagine. Eppure, mentre rassicurato si convinceva di aver svolto egregiamente il proprio dovere, il volto del commissario emergeva dal profondo della sua coscienza e lo puntava con sguardo insolitamente penetrante, senza rabbia, piuttosto sorpreso ed addolorato allo scoprire di avere un pugnale puntato alla schiena da parte di quello che riteneva il più fedele dei suoi collaboratori. Danglard si chiedeva se il commissario l’avesse mai considerato più di questo, se avesse mai fatto breccia nei sentimenti di quell’uomo capace di inaudite, improvvise manifestazioni di affetto ma anche della più tenace indifferenza; passava dal domandarsi se lo ritenesse un amico al chiedersi se, a fallimento compiuto, si sarebbe dimesso per lasciare a lui la direzione dell’Anticrimine. Il capitano era stato sballottato per ore da questi pensieri a polarità opposta, e nemmeno generose quantità di vino bianco avevano avuto la capacità di attutire i colpi; per questo riemergere dal sonno allo squillo del telefono si rivelò un’impresa ardua, lenta e laboriosa. 
“Dove diavolo è, Danglard? Questo è un enorme casino, un fottuto, enorme casino, e lei dov’è? Dov’è la sua squadra? Come vi è venuto in mente di non informarmi dei vostri sospetti, a lei ed a quell’idiota del suo capo?”
Danlgard trasalì; le espressioni scurrili lo mettevano a disagio. In un attimo, tuttavia, si ritrovò completamente sveglio e rimarchevolmente lucido. Di cosa stava parlando il commissario regionale Brezillon? E perché chiamava proprio lui, quando le chiamate di elevato profilo come quelle erano di solito riservate al commissario?
“Non la seguo, signore”
“Come avete anche solo pensato di non informarmi che sospettavate di Charles Rolben? Un magistrato di quel calibro sospettato di omicidi seriali ed io non ne sono informato! Ho già ricevuto chiamate da tre diversi ministri!”
Una sottile paura iniziò a farsi strada nella coscienza del capitano. 
“Non ero informato che sospettassimo di un magistrato. Non sono certo nemmeno di capire a cosa lei si riferisca, signore. Stiamo parlando del killer della Società Robespierre?”
La domanda di Danglard fu accolta da un lungo, disagevole silenzio.
“Come, non sa nulla? Adamsberg non le aveva detto che sarebbe partito per il Creux per disegnare a Victor Masfaurè il volto di Charles Rolben al fine di identificarlo come l’assassino dell’Islanda?”
“Non ero informato” rispose il capitano, più tranquillo e con un certo sussiego “Sto dedicando ogni sforzo all’indagine in corso” terminò, in fondo all’animo colpevolmente certo che le parole “a differenza del commissario che perde il suo tempo vagheggiando tra i ghiacci” sarebbero state udite seppur mai pronunciate.
“Chi potrebbe esserne informato, all’interno della squadra?”
“Stiamo tutti indagando sulla Società Robespierre senza respiro. Nessuno è stato distaccato per occuparsi del caso islandese”
Il commissario regionale Brezillon imprecò ancora.
“Lei non ha capito la gravità della situazione, Danglard. Il magistrato Charles Rolben è stato arrestato da due gendarmi di un comune sperduto, armato di mitragliatrice ed accusato di 4 tentati omicidi; Victor Masfaurè asserisce che è responsabile di due omicidi avvenuti in Islanda dieci anni fa e di tutti gli omicidi ascrivibili al killer della Società Robespierre. Le alte sfere governative mi stanno alle costole ed io non ho uno straccio di fascicolo investigativo, non ho materiale probatorio, non ho la minima idea di come Adamsberg sia arrivato a Rolben! Se quello che asserisce non è vero ci metteranno in croce!”
Danglard senti il cuore fermarglisi in petto ed i pensieri andare in cortocircuito. Il killer dell’Islanda e il loro killer erano la stessa persona? Adamsberg aveva ragione, dunque! Ed aveva trovato l’assassino. Travolto da una valanga di interrogativi e sentimenti contrastanti, non seppe formulare un solo pensiero logico.
“Perché lo chiede a me, signore? Perché non al commissario?”
Di nuovo, un lungo silenzio accolse la sua domanda.
“Lei non sa davvero nulla di quanto accaduto stanotte, Danglard?”
“Cosa è successo stanotte?”
“Charles Rolben ha tentato di uccidere Adamsberg e i fratelli Masfaurè, oltre ad aver sparato ad una donna lungo il tragitto. Il commissario ha difeso Amedèè ed è riuscito a ferire Rolben, ma è stato a sua volta colpito da due proiettili. E’ stato trasportato in elisoccorso a Parigi perché l’ospedale locale non aveva le competenze necessarie. So che è arrivato vivo al Saint Louis e che ora si trova in sala operatoria, ma secondo i soccorritori con i quali ho parlato la situazione è estremamente critica.”
Per la prima volta nella sua vita il capitano Adrien Danglard si trovò incapace di formulare un singolo pensiero.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
 
 
 
 
  
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