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Autore: hikaru83    23/11/2019    5 recensioni
La storia di Sherlock e John, il modo in cui si sono incontrati, tutto ciò che hanno vissuto, la conosciamo bene. Molti di noi avranno rivisto la serie abbastanza volte da citare le frasi senza che le altre persone riescano a capire, ma neanche ci importa, noi sappiamo (e se il nostro interlocutore abbassa la media di intelligenza dell'intero quartiere non è nemmeno colpa sua). E molti di noi hanno avuto problemi con il modo con cui l'hanno conclusa (per ora). E allora che fare? Allora ho deciso che la storia provo a scriverla come vorrei fosse andata, magari grazie a qualcuno che ha sempre osservato ma non abbiamo mai visto. Qualcuno che come noi era sempre con loro, ma al contrario nostro ha potuto cambiare le carte in tavola.
Rivivremo la storia, e basterà cambiare una cosa, per cambiare un sacco di cose.
Genere: Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi pareva troppo strano essere riuscita a ricordare di aggiornare in queste ultime settimane... e va beh, sta volta vi è toccato aspettare un pochetto di più, ma ci sono!
Siamo al penultimo capitolo, ci credete?

Buona lettura.





Dalla tua parte




12 gennaio 2015
Ospedale militare


 
 
«Io sto bene, quante volte ve lo devo dire? Non prendo quasi più antidolorifici, non mi servono. E se mi tenete chiuso qua dentro ancora, potrei seriamente mettere in pratica l’omicidio,» sbraita John, ormai chiaramente esasperato dall’immobilità forzata.

«Voi uomini siete così esagerati! Anche il mio povero marito. Più il medico gli diceva una cosa, più lui doveva fare il contrario,» sospira Mrs. Hudson, persa nei ricordi di Mr. Hudson e della loro travagliata vita insieme.

«Peccato che io sono un dottore, non uno spacciatore! So cosa sto facendo,» continua a perpetrare la sua causa John.

«Oh, anche lui ne era convinto, glielo assicuro, e sappiamo entrambi che fine ha fatto. Se non fosse stato per Sherlock, poteva andare peggio. Potevano liberarlo! Si rende conto? Cosa sarebbe stato di me se non l’avessero giustiziato?»

«Come fa a chiamarlo “povero marito” e poco dopo essere felice del fatto che l’abbiano giustiziato?» domanda l’uomo, con le sopracciglia aggrottate e l’espressione confusa.

«Beh, come marito non era male. In fondo con me è sempre stato buono e mi riempiva di regali. Solo che, come uomo... Diciamo che era davvero un pessimo elemento.»

«Per quale motivo è rimasta qui, signora Hudson?» chiede esasperato John, ormai consapevole di non poter vincere quella battaglia.

«Volevano essere sicuri che non tentasse la fuga.» Gli scocca un’occhiataccia. «Di nuovo!»

«Non avevo tentato la fuga! Stavo solo facendo una passeggiata,» si difende il dottore, tirando su col naso con fare altezzoso.

«Sappiamo bene tutti e due che non è così; e lo sa anche Sherlock! Per poco stava per prendere a pugni il medico quando ha trovato la stanza vuota.»

«Dove volete che scappi? Non ho idea di dove sia Mary e non voglio mettere in pericolo la missione.»

Hariett era rimasta fuori dalla stanza, ascoltando tutta la conversazione senza essere vista. Si muoveva sempre con circospezione, quando si trattava di John.

Fingeva di non vedere le occhiate del fratello quando passavano del tempo insieme.

Sapeva che per lui accettare tutto quello che gli aveva raccontato era difficile. Aveva dovuto riguardare indietro, rendendosi conto di quanto poco sapesse della persona con cui era cresciuto. L’aveva giudicata inaffidabile quando lei rischiava la vita per il Paese e per lui stesso.

Lei era un killer. Questo sembrava riuscire, in qualche modo, ad sopportarlo. Ma che quel killer fosse sua sorella? Questo non era sicura che se sarebbe mai riuscito ad accettarlo fino in fondo.

John in quei giorni, poi, era intrattabile. Sembrava un animale in gabbia. Sempre lì pronto a sfondare il recinto e a scappare lontano.

«Ragazzina, ti decidi a entrare o devo darti una spinta?» La voce di Mycroft alle sue spalle la fa sussultare leggermente.

«Non vedo cosa dovrei fare là dentro,» dice, cercando di mantenere un tono neutro.

«Non sono un esperto in materia, me ne rendo conto, ma stargli vicino in questo momento non è una cosa che una sorella farebbe per il fratello?»

«Non so se a lui farebbe piacere,» ammette.

“Perché dovrebbe volerlo?” continuava a ripetere la solita vocina insopportabile nella sua testa.

«Sei una delle persone più coraggiose che io conosca; eppure, se non ti conoscessi bene, direi che ora stia morendo di paura.»

«Prendermi in giro non renderà la cosa più facile,» protesta.

«Non ti sto prendendo in giro. Voglio solo ricordarti chi sei

«Sono assolutamente conscia di chi sono: una spia, un’assassina, una bugiarda.»

«Come sospettavo non riesci davvero a capire...» sospira Mycroft. «Sei una dei soldati meglio addestrati del governo. Sei un’eroina e sei sua sorella. Non appena hai potuto gli hai raccontato tutta la verità, quindi sei anche onesta.» La fissa dritta negli occhi. «Quella donna non l’ha mai fatto, anche se a un certo punto ha avuto la possibilità di essere sincera.» La osserva come un insegnate che tenta di far entrare nella testa cocciuta del suo studente un argomento che ritiene chiaro e semplice e che invece, evidentemente, sembra non esserlo per il suo alunno. «Credevo che ne avessimo già parlato e che tu avessi capito. Non sei come nessuno di loro, ragazzina. Dovresti essere orgogliosa di ciò che sei,» continua lui. Poi aggiunge con tono solenne: «Io lo sono.»

«Vista con i tuoi occhi, sembra quasi che io sia una brava persona,» sospira lei, in un mix di sconforto e incredule risatine.

«Perché lo sei,» afferma lui, deciso.

Lei solleva gli occhi al cielo. Come può davvero credere che lei sia una brava persona? Eppure lui, meglio di chiunque altro, sa bene quello che ha fatto e quello che è capace di fare.

«Lei ha chiamato. I punti oramai le si sono rimarginati e vuole informazioni,» cambia abilmente argomento, informandolo al contempo dei nuovi sviluppi.

«Sono passati una decina di giorni... Per quanto sia consapevole della tua bravura, non può davvero credere che tu sia riuscita ad entrare tra i miei uomini tanto in fretta.»

«No, ma spera che Anthea possa dirmi qualcosa,» ipotizza. Poi aggiunge incredula: «Davvero non riesco a credere che sia convinta che sia solo una semplice assistente.»

«Immagino che per lei io sia una specie di passacarte.»

«No. Sa che hai talento, specialmente nel manipolare fatti e persone. E sa che sei intelligente. Del resto, ha avuto a che fare con te, almeno per un po’. Solo che non ha capito quanto tu lo sia.» Mycroft le fa un sorriso prima di aprire la porta spingendola all’interno. A lei sta per sfuggire un insulto, ma riesce a trattenersi. Dietro di loro si è appena aggiunto anche Sherlock.

«Grandi notizie, dottore! Oggi verrà a casa,» esordisce Mycroft.

«Torno a Baker Street?»

Hariett non può non notare il sorriso genuino di Sherlock a quella affermazione.

«Ovviamente no. Sarà mio gradito ospite,» risponde Mycroft con un sorriso esagerato sulle labbra, «Oramai casa mia è diventata più affollata di King Cross,» borbotta poi, alzando gli occhi al cielo con fare infastidito.

«Su, che non ti sei mai divertito tanto! Le litigate di Mrs. Hudson e Oscar sulle ricette sono epiche,» ride lei.

«Quell’uomo è così testardo e all’antica! In cucina bisogna sperimentare!» si inalbera subito l’anziana donna.

«Davvero, John, ti divertirai!» continua Hariett.

«Non ne dubito...» borbotta questi.

«Non c’è bisogno che le ricordi che non deve sforzarsi troppo. La ferita sta guarendo e non le creerà problemi, ma sono passati ancora troppi pochi giorni e sinceramente non ho molta voglia di riportarla qui,» lo redarguisce subito il maggiore degli Holmes, mettendo le cose in chiaro sin dall’inizio come ama tanto fare.

«E io non tengo a tornarci,» lo rassicura John.

«Bene, allora non c’è molto da fare, a questo punto. Ragazzina, conviene che ora cominci a farti vedere. Tu e Anthea, secondo la nostra amica in comune, state diventando amiche del cuore, quindi sarebbe il caso che facciate qualcosa insieme. Non sappiamo se ti sta controllando; certamente nessuno ci segue ogni volta che veniamo qui né lo fanno a casa mia, ma Londra è grande, e se ti sta controllando almeno un po’ potrebbe insospettirsi.»

«Ci stavo giusto pensando. Hai qualche idea su cosa potremmo fare?»

«Ti sembra che io perda il mio tempo in modi simili? Che vuoi che ne sappia? Andate a teatro!» suggerisce. Poi aggrotta la fronte. «Si va ancora a teatro, no?»

«Va bene,» cede lei. «E teatro sia! Ma prima shopping e cena. Sono certa che Anthea apprezzerà.» Con un sorriso si volta verso la porta, poi si ferma e si sposta il suo sguardo verso Mycroft, mostrando quello che sembra una carta di credito nera. «E grazie per offrirci la serata, Myc.»

Lui, istintivamente, corre a tastarsi il petto prima di infilare la mano nella tasca interna della giacca e prende il portafoglio di pelle, notando subito l’assenza della sua carta di credito. «Come diavolo hai fatto?» chiede sbalordito.

«Non posso dirtelo. Dovrei ucciderti, altrimenti,» lo saluta con una battuta a effetto, prima di uscire  di scena tirando un sospiro di sollievo. Ha bisogno di tempo per abituarsi alle occhiate di John, come lui ne ha bisogno per capire interamente che la sua sorellina – quella che portava in spalle da piccola, quella che credeva aver perso per colpa dell’alcool – è quello che è. Far combaciare il Killer con Hariett non deve essere cosa semplice.

Prende il cellulare e compone il numero di Anthea.

«Ehi, vi state divertendo senza di me?» risponde la donna dopo pochi squilli.

«In realtà, ti divertirai tu, questa sera.»

«Uhhh, e cosa mi hai preparato?»

«Non mi avevi detto che avevi visto un paio di scarpe e una borsetta che costavano un capitale?»

«Sì, e continuano a costare un capitale,» le risponde con voce rassegnata.

«Non per Mycroft. Nulla è troppo caro per il nostro caro Myc.» Sorride mentre glielo rivela, immaginando il repentino cambio di umore dell’amica.

«Mi stai prendendo in giro?» domanda infatti questa, sbalordita.

«Sto per passare a prenderti,» sogghigna lei.

«Ma il capo lo sa?» indaga l’altra.

«È un’idea sua,» spiega, anche se nel farlo omette che la carta di credito gliel’ha rubata. Non è necessario che Anthea lo sappia, dopotutto.

«Lo shopping compulsivo con la sua carta è una sua idea?»

«A quello si è adattato,» risponde vaga con un sorrisetto.

«Adoro il tuo modo di ragionare,» si complimenta Anthea.

«Ne ero sicura,» dice, prima di attaccare.

Quando è abbastanza lontana dall’ospedale dove John è ricoverato, anche se ancora per poco, manda un messaggio a Moran. È importante tenerla informata per farle mantenere la calma ed evitare che faccia di testa sua. “Oggi esco con la mia nuova migliore amica.”

Non deve aspettare molto prima di ricevere la risposta: “Oh, finalmente le cose si stanno muovendo. Cerca di scoprire dove diamine è il dottore e dove si sono nascosti tutti. So che saprai essere convincente.”

“Questa sera credo di essere in grado di rispondere ad almeno qualche domanda.” Scrive. Spera che questa piccola rassicurazione serva a tenerla buona il tempo necessario per riuscire a incastrarla.
 
Quando raggiunge Anthea, si sorprende nel vederla indossare un allegro cappotto rosso e degli stivaletti scamosciati dello stesso colore.

Appena Anthea la vede, le riserva un bel sorriso per salutarla, sventolando al contempo la mano coperta da un guanto bianco di lana soffice.

Mentre si avvicina la fissa, al contempo affascinata e sorpresa.

Il suo sbigottimento deve essere evidente, perché non appena le è di fronte, l’assistente del capo le domanda: «Cosa c’è, mia cara? Sembra che tu abbia visto un fantasma.»

«Non ti ho mai visto... così.» Hariett ancora fatica a trovare le parole giuste.

«Non sono al lavoro, quindi posso usare qualche capo diverso. Non mi sta bene?» chiede, sbattendo le ciglia come una cerbiatta.

«No, no, figurati!» risponde subito. Non le sembra il caso di offendere una killer. Inoltre, è davvero molto bella. «Solo che non me l’aspettavo.»

«Vorrei poter dire lo stesso di te.» La squadra con aria critica. «Ma fammi capire: quando ti presentavi a un appuntamento andavi vestita così?»

Hariett si osserva da capo a piedi. Indossa scarpe da ginnastica, un jeans scolorito e sotto la giacca a vento sportiva e di due taglie più grande, un maglione chiaro. «Non sono mai stata molto brava in queste cose,» ammette. «E poi questo non è un appuntamento,» aggiunge subito. Anthea è una bella donna, e non può affermare di non averlo mai notato. Ma sono colleghe, e soprattutto stanno lavorando, anche se sono pronte a svuotare la carta di credito di Mycroft. Non comprometterebbe mai la missione per qualcosa di frivolo, anche se la trova molto attraente.

Nonostante siano anni che non riceve più un bacio. Che si è tolta persino la possibilità di passare almeno qualche ora in piacevole compagnia.

«Oddio, sei uguale a tuo fratello!»

La sta forse prendendo in giro? «Ma di cosa stai parlando?»

«Ascolta: va bene essere sempre pronta a ogni evenienza. Va bene che tecnicamente stiamo lavorando, ma non deve sembrare così. Dobbiamo essere due amiche che vanno a fare shopping insieme. E io non posso permettere che tu rimanga così scialba. Vedrai, quando avrò finito con te nemmeno ti riconoscerai allo specchio!» Detto questo, la prende sottobraccio e la trascina, senza ammettere repliche, per la città.
 

Quando, a notte fonda supera, i cancelli della proprietà di Mycroft, si sente esausta. Non ha mai avuto rapporti di amicizia simili.

Prima di arruolarsi – quando era veramente una ragazzina – non aveva avuto molte amicizie. Non era mai stata una di quelle ragazze popolari e piene di persone che le ronzano intorno.

Non era certo come John.

In realtà, viveva della luce riflessa del fratello. Tutte le persone a scuola volevano esserle amiche perché era la sorella di John. La sorellina adorata da John.

Lei lo sapeva bene.

Un po’ era colpa sua e del suo carattere, non poteva negarlo, ma era bastato che John partisse per Londra e improvvisamente lei era diventata tappezzeria.

Poi c’era stata Clara, ma lei non era come Anthea. Con Clara era tutto tranquillo. Odiava stare in mezzo al casino della città e adorava passare le serate a casa. Tutte coccole e baci. Beh, almeno all’inizio, prima dei litigi.

Anthea invece è un uragano. Ama stare al centro dell’attenzione. Adora che uomini e donne la mangino con gli occhi. Probabilmente derivato dal fatto che, a servizio di Mycroft, deve apparire sempre quanto più invisibile possibile.

O, semplicemente, ama brillare. E brilla, questo non si può negare.

Il problema è che vuole far brillare anche lei, e Hariett non si sente a suo agio in quella posizione.

Indossare vestiti costosi e provocanti, truccarsi, avere gli occhi della gente addosso... Sono tutte cose che ha fatto, sotto copertura ha impersonato tutti i ruoli che servivano per poter svolgere al meglio la missione; anche se molto più spesso di quello che facevano vedere i film e i romanzi sulle spie, il segreto per questo lavoro è essere terribilmente anonima e noiosa. Forse, è anche per questo che quando è semplicemente Hariett, indossa vestiti comodi. Forse perché non esiste nemmeno più “Hariett” e impersona una spia sempre. O forse farlo le permette di non correre rischi, di non essere vista. In mezzo a tanti colleghi uomini, la aiuta anche a essere presa sul serio.

“O forse hai solo paura di mostrarti per quello che sei, anche se c’è da domandarsi se tu sai ancora ciò che sei.” Scuote la testa, come a cacciare quel pensiero molesto che sembrava avvicinarsi un po’ troppo alle sue paure più profonde.

Quando chiude il pesante portone di legno dell’ingresso dietro di lei, si appoggia contro la superficie intagliata. Chiude gli occhi ascoltando i rumori della casa. Gli scricchiolii, il silenzio.

È cosciente che è impossibile, ma è convinta di sentire l’odore di John. Il suo profumo. Ma sicuramente il fratello sta dormendo in qualche stanza al piano di sopra. Si trova a chiedersi quale stanza gli ha riservato Mycroft.

«Harry?» La voce di John la fa sobbalzare. È proprio lui, in piedi davanti a lei, con indosso uno dei suoi terribili maglioni. Solo suo fratello può avere il coraggio di andarci in giro e stare anche bene.

«John, dovresti essere a letto a quest’ora. Il dottore ha detto...»

Lui la interrompe: «Harry, io sono un dottore. Ti assicuro che non mi sono sforzato, ma dovevo essere sicuro che tornassi a casa sana e salva.»

Lei sgrana gli occhi. Era pronta a tutto. Alle recriminazioni, alla rabbia, alle accuse. Ma che lui si preoccupasse per lei? No, non se lo aspettava. Non lo merita. Lei non merita nulla di buono.

«Ehi? Harry, che cos’hai? Perché diamine stai piangendo, ora? Che ho fatto?» domanda John, allarmato.

Lei vorrebbe rispondere, ma non ci riesce. Sente la forza di volontà sbriciolarsi.

John non capisce, ma fa quello che ha sempre fatto quando Hariett da piccola scoppiava a piangere e lui non capiva cosa stava succedendo: la stringe a sé. Sente il braccio destro di John che la attira vicino al suo corpo.

Cercando di non gravare sul braccio immobilizzato, si stringe a lui. «Mi dispiace, John... Non volevo mentirti, solo che non sapevo più come...» La voce le si rompe.

«Shhhh, non importa, Harry. Non è facile per me accettare quello che sei diventata, né quello che mi hai nascosto. Ma sei mia sorella, la mia piccola sorellina pasticciona. Nulla cambierà questa cosa. Te lo avevo promesso, ricordi? Quando mi hai confessato a dodici anni che ti piacevano le ragazze ed eri terrorizzata di essere sbagliata. Ti ho abbracciata e ti ho detto che non dovevi più permetterti di credere una cosa del genere, che per me eri sempre e solo Harry e che ti avrei protetto da chiunque fosse stato tanto stupido da giudicarti per quello. Anche da mamma e papà se fosse stato necessario. Eravamo noi due contro il mondo.» La stringe appena un po’ di più. «Solo, basta con le bugie. Se c’è qualcosa del tuo lavoro che non puoi condividere, dimmi semplicemente che non puoi. Non mi intrometterò. Ma non tenermi più fuori dalla tua vita. Siamo una famiglia, noi due, e ora c’è anche Rosie. Ha bisogno di una zia.»

«Inoltre, Mycroft e Sherlock, hanno bisogno di imparare come ci si comporta tra fratelli. Dobbiamo dare il buon esempio,» cerca di sorridere lei, tirando su col naso.

«Tu dici che ci sono speranze? Perché sai, da questo punto di vista non sono molto svegli,» sospira John.

«Dobbiamo insistere. Potrebbero sorprenderci.»

«Oh, Sherlock lo fa continuamente.»

Scoppiano a ridere cercando di non fare troppo rumore, ma le risate nel silenzio della casa risuonano come colpi di gong.

«Sono felice di vedere che stai bene. Ero preoccupato a sapere che stavi facendo da bersaglio per Mary,» dice lui, non appena le risa si spengono.

«Non devi. Oggi non ho rischiato nulla. L’unica che poteva uccidermi era Anthea,» geme. «Mi ha fatto entrare in tutti i negozi del centro. Sono esausta.»

«Allora è meglio andare a dormire.»

«Sì, è meglio.»

Si sorridono, per la prima volta da anni sinceramente, e poi si danno la buonanotte. Arrivati nel corridoio che porta alle stanze da letto, si separano, entrambi col cuore più leggero.
 

Hariett lascia a terra i sacchetti di carta pieni dei vestiti scelti da Anthea per lei e i suoi vecchi abiti che non le ha permesso di continuare a indossare in sua presenza, poi si trascina fino a raggiungere il letto, buttandosi senza forze sul materasso alto e scalciando via le nuove e costose scarpe con il tacco. Sa di non essere sola nella stanza, ma non se ne preoccupa.

«Con quello che mi sono costate quelle scarpe, fossi in te le tratterei meglio.»

«Oh, Myc...» sospira lei. «Queste, rispetto a quelle che voleva farmi prendere Anthea, sono quasi regalate!»

«Quella donna ha gusti molto costosi,» borbotta l’uomo, contrariato.

«Non lasciarmi più da sola con lei. È pazza,» si lamenta.

Ancora sdraiata senza forze sul letto, lo sente alzarsi dalla poltroncina sistemata lì accanto e avvicinarsi ridacchiando. Gli allunga la carta di credito senza nemmeno aprire gli occhi. Lui la prende appoggiandola sul comodino.

«Mi pare che lei si sia divertita più di te.»

«Almeno una delle due lo ha fatto.»

«Ti sembra che siete state seguite?»

«No, sicuramente non fino a qui. In centro c’era troppa gente per essere sicura. Comunque, il suo cellulare non è mai stato troppo vicino. Vi sono arrivati tutti i dati?»

«Sì, e continuano ad arrivare. Quel tuo virus ci sta dando parecchie informazioni. Abbiamo già trovato altre cellule dormienti. Mercenari della peggiore specie. Grazie a te, la Nazione è molto più sicura. L’intero mondo lo è.»

«Lascia perdere, non ho fatto nulla di che. Non ero certo spinta da tutte queste lodevoli intenzioni. Volevo solo vederla cadere con la certezza che non avesse più alcun appiglio a cui attaccarsi. Vederla scivolare con la certezza che sia la sua fine.» Quello che Moran ha fatto a suo fratello è una cosa che non le perdonerà mai. La vendetta non è certo una cosa di cui andare fieri, ma a lei non importa minimamente. Ha fatto cose ben peggiori, nella sua vita.

«L’hai sentita?» Mycroft non insiste. Sa che riuscire a farle capire quanto sia differente da Moran sarà una sfida molto difficile e sicuramente lunga, e non ha alcuna intenzione di mollare. Riuscirà a farglielo entrare in quella testa dura, prima o poi. Lui ha un’immensa pazienza, suo fratello in quello lo ha ben allenato. Solo che sa che ora non è il momento più adatto per farlo.

«Devo ancora dirle com’è andata questa sera,» risponde lei, sempre più esausta. Vorrebbe solo dormire, ma i cattivi non dormono mai...

«Credi che i tempi siano maturi?»

«Credo che non riuscirò a tenerla buona per molto,» ammette a malincuore.

«Molto bene. Scrivile che domani avrai notizie sicure su dove potrebbero essere il dottore e Sherlock nei prossimi giorni. Domattina parleremo con tutti e sceglieremo il piano da seguire. Dobbiamo scrivere la parola fine a questa storia.»

«Va bene, Myc.» Sbadiglia e si stropiccia gli occhi.

«Sembra sia andata bene con il dottore,» cambia argomento lui, ricordandole ancora una volta che ha occhi e orecchie ovunque.

«Sembra di sì,» risponde lei, cercando di sopportare la luce dello schermo del cellulare e non riuscendoci. Gli occhi le lacrimano. Sente che il cellulare le viene sfilato dalle mani.

«Ci penso io.»

«Non rovinarmi la copertura.»

«Basta che aggiungo baci e cuori al messaggio, no?» la prende in giro.

«Fallo e giuro che Anthea avrà accesso ai tuoi conti privati tutte le volte che vuole.»

«Questa è cattiva!» si indigna lui.

«Sì, lo è,» ridacchia, mentre lo sente digitare al cellulare.

«Fatto. Ora dormi,» le raccomanda.

Lei riesce ad annuire senza aprire nemmeno gli occhi. A un certo punto le sembra che qualcuno le stia rimboccando le coperte e accarezzando la fronte, ma dev’essere solo un sogno.

«Buona notte, ragazzina,» sente, piano come un sussurro.

«Notte, Myc,» biascica in risposta. O, forse, anche quello è solo un sogno.




Continua...



Note: stiamo davvero arrivando alla fine, fatico a crederci. So già che mi mancheranno, ma c'è ancora un capitolo. Grazie a tutte per il continuo affetto che date.
A venerdì prossimo...forse XD
  
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