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Autore: Wild Honey    25/11/2019    2 recensioni
Il racconto segue Ofelia in una mattinata come tante, dopo il suo recente ritorno su Anima, e la vede riflettere sul suo rapporto con Thorn. Si colloca poco dopo la fine de "Gli scomparsi di Chiardiluna", quindi abbondantemente prima dell'inizio de "La memoria di Babel". Con questo racconto partecipo all'evento "A Fanart's Promise" su instagram, per il dodicesimo tema "Vita ordinaria".
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Bene, aveva accontentato Hector e si era alzata dal letto; non solo, si era seduta a tavola come tutto il resto della famiglia. Brava, Ofelia, così tutti sono felici e rassicurati.
«Ci rincuorerebbe tanto vederti anche mangiare» disse la madre quasi piccata, come se il suo rifiuto del cibo fosse un affronto personale.
«Una fetta di pane mi è più che sufficiente» rispose Ofelia di malavoglia. Durante la giornata ingranava il ritmo e consumava dei pasti decenti, ma a colazione proprio non ce la faceva. Era il momento in cui apriva gli occhi e realizzava che non era più al Polo, e non aveva più accanto nessuna delle persone che aveva imparato ad amare nell’ultimo periodo…
La madre le posò una mano sulla spalla e avvicinò la bocca al suo orecchio, parlando a bassa voce: «Tesoro mio, Ofelia, questa tua mancanza di appetito tutte le mattine… la tua aria sciupata… sei sempre la mia bambina e mi devi dire tutto»
Ofelia era perplessa: «Non capisco cosa volete che vi dica, madre»
Ma la madre aveva già perso quel poco di tatto e pazienza: «Oh Ofelia, sono anch’io una donna, e sono stata anche io una giovane sposina! Insomma, sei incinta?»
Ad Ofelia andò di traverso il boccone di pane che stava masticando, e iniziò a tossire rumorosamente. In un attimo si trovò gli occhi di tutta la famiglia puntati addosso.
Quando poté di nuovo parlare, si rivolse fermamente alla madre: «No, non lo sono, e non c’è proprio modo che io lo sia. Vi prego, non domandate mai più e non fatevi più venire strane idee» E con queste parole si alzò e lasciò risoluta la cucina.
Quando chiuse la porta della camera dietro le sue spalle, diede anche un giro di chiave: un’abitudine presa al Polo per motivi di sicurezza, che si rivelava utile ad Anima per motivi di riservatezza.
Si lasciò uscire un profondo respiro e si buttò sul letto. Quel letto l’aveva lasciata che era quasi una donna, calma nella sua routine di animista. Ora, a meno di un mese dal suo ritorno su Anima, era una donna tormentata, che non credeva più che quello fosse il suo posto nel mondo.
Le pressioni e l’invadenza dei suoi famigliari non la aiutavano certo a riambientarsi. Incinta? Sua madre si era fatta un’idea fin troppo romantica e fantasiosa della sua prima (ed unica) notte col suo sposo. È vero che la sua famiglia non ne conosceva nessun dettaglio, né di quelli legati alle condizioni in cui veniva tenuto Thorn, né della visita che avevano ricevuto in cella. Le salivano le lacrime agli occhi ed aveva un nodo in gola… Incinta… Lei e Thorn si erano a malapena scambiati un unico bacio da che si conoscevano, e mai dopo che si erano sposati… Non riusciva ad immaginare una notte meno romantica di quella del loro matrimonio. C’era un dettaglio di quella notte, poi, che le faceva davvero male, un male che le scavava un vuoto dentro. Nell’ultima occasione in cui era stata insieme a Thorn, si era comportata da codarda. Lui le aveva detto che la amava; lei non aveva avuto il coraggio e la presenza di spirito di fare lo stesso, anche se era quello che provava in cuor suo. E ripensare a quella notte la faceva anche arrabbiare, perché ancora una volta Thorn aveva deciso per tutti e due, dileguandosi senza attendere che lei sistemasse per il meglio tutta la situazione.
Si tolse il suo guanto da lettrice, il sinistro, e fissò l’anello che portava al penultimo dito. La fede. Se l’era fatta fabbricare appena tornata su Anima, in modo da esserne la prima proprietaria e non dover leggere nessun altro quando la indossava. Era un oggettino dorato e sottile. La rimirò, e la toccò. Dalle sue passate letture al museo di famiglia, aveva appreso che molte persone nel “vecchio mondo” indossavano un anello chiamato “fede” dal momento in cui si sposavano. Era un simbolo. Dopo sposata, ad Ofelia era venuta voglia di indossarne una: un piccolo oggetto, nascosto intimamente sotto ai guanti da lettrice che indossava sempre, che le ricordasse che si era sposata. Un oggetto che fosse la prova tangibile che si era sposata con Thorn. Più passavano i giorni, infatti, più il matrimonio e tutto ciò che era accaduto quella notte le sembravano un ricordo sfocato, o peggio un prodotto della sua immaginazione. Su Anima la vita era così calma, che a stento Ofelia riusciva a credere di aver davvero preso parte a tutti gli accadimenti del Polo. E lei sola sapeva cosa essi significassero. Per lei la vita al Polo era stata il primo grande passo verso l’emancipazione, l’affrancamento da una famiglia affettuosa ma ingombrante, la presa di coscienza del potere delle proprie scelte personali. Restare al fianco di Thorn, e sposarlo in quella prigione, l’aveva paradossalmente fatta sentire più libera. Poco importava che l'anellino fosse impregnato di tutte quelle sensazioni e dei suoi pensieri, e continuasse a farglieli rivivere nella lettura. Forse era proprio per immergersi totalmente in essi che continuava ad indossarlo.
Era curioso che quell’anello si chiamasse proprio fede, perché al momento la fede era l’unica certezza del suo imminente futuro. Doveva sperare che Thorn fosse riuscito a salvarsi, a nascondersi, a fuggire, a venire a capo dei tanti interrogativi che li avevano assaliti dopo l’incontro con Dio. Doveva aspettare che il controllo serrato delle Decane allentasse la sua presa su di lei, per poter raggiungere Thorn, e allora la sua fiducia in lui sarebbe stata ripagata. Diede un ultimo, malinconico sguardo all’anellino e si rimise il guanto sulla mano. Per il momento doveva solo avere fede.
  
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