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Autore: Cossiopea    26/11/2019    2 recensioni
Il passato è un concetto strano.
Ciò che è stato non sarà. Ogni singolo istante di vita, ogni minimo respiro un secondo dopo è già dimenticato, lasciato scorrere verso quella landa della nostra memoria da cui possiamo ripescare i ricordi...
Il passato.
Sono rare le volte in cui qualcuno non rimpiange ciò che è stato, quasi uniche le volte in cui qualcuno è felice della sua vita.
Io non dovevo morire. Non posso.
Hanno provato a rinchiudermi dal mio passato, hanno tentato di farmi dimenticare... hanno sbattuto il mostro in gabbia, un mostro che ogni giorno si lancia contro le sbarre ringhiando e reclamando la sua libertà.
Non posso morire, non posso fuggire...
Sono un tassello dell'equilibrio cosmico, la potenza di una stella rinchiusa in un frammento di universo...
Genere: Fantasy, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Paul guidava in silenzio, un silenzio pieno di pensieri frammentati ed emozioni burrascose; di frasi non dette, di preoccupazione... di paura.

Io gli stavo accanto e avvertivo, come fossero miei, tutti i timori che gli attraversavano la mente. Aveva voglia di urlarmi contro, lo sapevo. Mi temeva ma al tempo stesso considerava ingiusto lasciarmi andare così dopo che avevo ucciso un'insegnante.

“Sono felice che tu sia riuscita a liberarti, finalmente” recitò la voce di Cos, nella mia mente, in ricordo di quando, durante la notte, era entrato nella mia stanza d'ospedale, gli occhi di ghiaccio che scintillavano “E, stai tranquilla, ho pensato io a tutti quei piccoli umani spaventati che hanno assistito alla scena”

“Cosa gli hai fatto?” avevo chiesto mentre un brivido mi attraversava la schiena.

Aveva sbuffato.

“Sei caduta in basso, Jill” aveva detto, il suo viso pallido illuminato dalla luna, che brillava tenue fuori dalla finestra, donandogli l'aspetto di un fantasma “Un tempo non ti sarebbe importato di quelle creaturine urlanti”

“Non farmi la predica, Cos” avevo ringhiato “Cosa gli hai fatto?”

“Gli ho cancellato la memoria, niente di troppo spietato” aveva risposto lui, annoiato “Avevo pensato di ucciderli tutti ma sapevo che questo ti avrebbe irritato”

“Da quando ti preoccupi di quello che penso?”

“Mi sono sempre preoccupato della tua opinione” aveva ribattuto lui “E anche se adesso sei accecata dall'umanità, conosco bene quanto sarebbe sgradevole farti arrabbiare”

“Strano” avevo commentato “Non mi era sembrato ti importasse molto di me quando sei entrato in camera mia senza un invito”

Cos aveva sbuffato.

“Non farmi la predica, Jill” aveva detto prima di svanire in una nuvola di fumo nero.

Una remota parte della mia anima era grata a mio figlio per quanto aveva fatto, per aver impedito che quei ragazzi ricordassero di come la loro compagna aveva sgozzato la professoressa di Geografia...

La sola cosa che sarebbe emersa nelle loro mente ripensando a quel momento sarebbe stato una nuvola grigia e immateriale avvolta intorno a quei ricordi, prima del panico di quando avevano visto la donna stesa tra i banchi e imbrattata di sangue e una loro compagna svenuta lì accanto con il viso bagnato dello stesso rosso.

Stranamente mio figlio non aveva ancora fatto una parola per come avevo trattato sua sorella.

Avevo percepito Hiyv sibilare nella notte, in un angolo della stanza, e lo scintillio dei suoi occhi mi era giunto dalle tenebre. Ma non le avevo dato peso.

Era ferita.

Ero stata io a graffiarla con i miei artigli e a scacciare la sua mente; era stato il Demone a imprimerle il segno rosso che adesso aveva sulla guancia... e se c'era una cosa che Hiyv non poteva sopportare era essere battuta da qualcuno che riteneva a lei inferiore, anche se si fosse trattato della propria madre.

Non mi aveva più dato fastidio da quel momento ed ero sicura che finché non avesse avuto la certezza di potermi battere, non avrebbe più interferito con la mia vita mortale... Era suo fratello a preoccuparmi.

-Cosa è successo là dentro?

Le parole di Paul mi giunsero nonostante la musica che avevo nelle orecchie. Trattenni la tentazione di voltarmi verso di lui e mi irrigidii all'istante.

L'uomo mi lanciò un'occhiata fugace per poi tornare alla guida.

Per un istante credetti che non mi avrebbe più interrogata e l'unico suono nella macchina continuò a essere il silenzio, accompagnato dalla musica che mi invadeva le orecchie attraverso le cuffie.

Con un po' di fortuna Paul avrebbe creduto che io non l'avessi sentito e avrebbe rinunciato a parlarmi.

-Allora?- riprese dopo almeno trenta secondi di immobilità. Questa volta, approfittando del semaforo rosso, si voltò verso di me e il suo sguardo, insieme alle sue emozioni, mi investirono.

Deglutii.

-No- dissi mantenendo lo sguardo abbassato, sperando che quell'unica parola potesse mettere fine alla discussione.

-No cosa, Jill?- esclamò lui, con una foga che mi sorprese -No cosa? Hai ucciso una persona, per la miseria! Un'altra persona...

Un brivido mi attraversò la schiena dopo che il viso di Zack mi fu passato per un istante davanti al viso.

Rimasi in silenzio, questa volta, intimandomi di concentrarmi solo sulla musica.

-E a quanto pare nessuno ricorda cosa sia successo in quella maledetta aula- batté le mani sul volante, mentre iniziava a tremare, poi si rivolse nuovamente a me -Per anni ti abbiamo lasciata a te stessa sperando che questo potesse in qualche modo farti guarire...- si morse un labbro -Ma con te non funziona mai niente.

Una chitarra elettrica vibrò nella mia testa.

-Guarire- ripetei, a voce talmente bassa che io stessa faticai a udirmi. Emisi una risata amara -Come se isolare una bambina per otto anni possa farla guarire- mi voltai di scatto verso di lui e un bagliore scarlatto mi attraversò gli occhi -Come se voi poteste guarire dalla paura che ora nutrite per quella creaturina che adesso non ha più nessuno se non la propria rabbia!

Il viso di Paul si fece freddo e distante.

-Non abbiamo chiesto noi un mostro come figlia.

Le lacrime mi salirono agli occhi. Abbassai lo sguardo, le zanne che spingevano e le dita che fremevano.

-Cosa succederà adesso?- domandai, abbassando il tono e tentando di recuperare la mia umanità.

-Starai agli arresti domiciliari per un anno- rispose l'uomo, senza staccarmi gli occhi di dosso.

Sussultai a quelle parole e mi voltai lentamente verso di lui.

-Ma ho solo quindici anni!

-I giudici hanno deciso così e tua madre ed io non volevamo intrometterci nelle loro decisioni.

Il mio corpo ebbe uno spasmo.

-No- sibilai stringendo i pugni e piantando gli artigli nella carne -Voi non siete i miei genitori.

Quelle parole non parvero però colpirlo, al contrario di come credevo.

-Comunque è verde- annunciai dopo qualche secondo in cui i suoi occhi non si staccavano da me e qualche clacson dietro di noi aveva iniziato a suonare.

Non rispose e rimise in moto la vettura.

-Non dovrò più andare a scuola?- domandai poi, lanciandogli un'occhiata fugace.

-No- fece lui -È troppo pericoloso.

   
 
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