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Autore: meiousetsuna    29/11/2019    5 recensioni
Questa storia partecipa al contest "Il mio Babbo Natale segreto", indetto da Claire roxy sul forum di EFP
Il contest consiste nello scrivere una storia per un ricevente che non conosce l’identità del mittente… spero possa piacere!
Dal testo: Chissà cosa avrebbero detto le suore se l’avessero sentito esprimersi così… di sicuro l’avrebbero messo in punizione, unendo al danno anche la beffa. Questo perché non era ipotizzabile altra reazione, anche se voci indiscrete raccontavano che le adepte di quel particolare ordine ― le Sorelle Pettegole e Maldicenti dell’Ambigua Chiesa di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato ― agissero sempre in modo imprevedibile. Quando i suoi genitori l’avevano iscritto nell’elitario collegio il piccolo Aziraphale si era chiesto se venerassero Voldemort, ma una sola occhiataccia di sua madre, una donna che non ammetteva nessuno sgarro, neppure il più insignificante, gli aveva paralizzato la lingua
[Generi: Child!fiction, school fiction, commedia, romantico
Avvertimenti: All human!AU, bromance
Coppia: Aziraphale/Crowley; Aziraphale!centric]
vostra, Setsuna
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Carestia, Crowley, Guerra, Inquinamento
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia partecipa al contest "Il mio Babbo Natale segreto", indetto da Claire roxy sul forum di EFP
Rating: giallo
Generi: Child!fiction, school fiction, commedia, romantico
Avvertimenti: All human!AU, bromance
Coppia: Aziraphale/Crowley; Aziraphale!centric

sugar

Ecco, erano alle solite. Non che si aspettasse qualcosa di molto differente, però era l’ultimo giorno prima delle vacanze natalizie, e tutti potevano dimostrarsi un po’ più buoni, no? Persino Anthony, il peggiore bullo della classe, avrebbe potuto provare un briciolo di empatia. Che gusto c’era a prendersela con i più deboli, specie con un bambino mite come lui? E dire che era stato attentissimo, usando la scusa di andare alla toilette per sgattaiolare in corridoio prima che suonasse la campanella della ricreazione, correndo per raggiungere l’armadietto e aprirlo senza fare rumore alcuno. Pareva che anche i muri avessero orecchie in quella dannata scuola!
Chissà cosa avrebbero detto le suore se l’avessero sentito esprimersi così… di sicuro l’avrebbero messo in punizione, unendo al danno anche la beffa. Questo perché non era ipotizzabile altra reazione, anche se voci indiscrete raccontavano che le adepte di quel particolare ordine ― le Sorelle Pettegole e Maldicenti dell’Ambigua Chiesa di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato ― agissero sempre in modo imprevedibile. Quando i suoi genitori l’avevano iscritto nell’elitario collegio il piccolo Aziraphale si era chiesto se venerassero Voldemort, ma una sola occhiataccia di sua madre, una donna che non ammetteva nessuno sgarro, neppure il più insignificante, gli aveva paralizzato la lingua. Ora era lì, indifeso, che stringeva con mani tremanti il suo prezioso bottino, poco disposto a lottare per proteggerlo anche se l’avessero messo alle strette.
“Tanti contro uno non vale, siete dei vigliacchetti!”
I quattro lacchè del capobanda erano veramente infernali, specie quando circondavano una vittima in cortile, accerchiandola a cavallo delle loro biciclette. “Loro” era un concetto un po’ esteso e probabilmente assai generoso, perché la prima idea di chiunque nell’istituto era che fossero rubate; però Aziraphale era convinto che non si potesse giudicare qualcuno senza dargli una seconda possibilità, malgrado le apparenze fossero più che sfavorevoli.
“La merenda”. Lui si avvicinò per primo, quel ragazzino di colore dall’apparenza così elegante, la voce calma e lo sguardo indecifrabile. Gli sottrasse il cestino con la stampa tartan che Aziraphale amava tanto, senza neppure degnare di uno sguardo i succulenti tramezzini, i muffin straripanti di mirtilli o le pizzette di pasta sfoglia. Prelevato il contenuto, con molta semplicità lo gettò in un water, per poi apostrofarlo con il solito epiteto.
Grassone”.
Non era la verità! Il bambino aveva appena un accenno di pancetta, e un dolcissimo viso a cuore dove, come per magia, i sorrisi facevano apparire delle deliziose fossette. I riccioli biondo platino e gli occhioni sognanti gli erano valsi ben altri insulti che quello.
Femminuccia”. E dire che la femmina sarebbe stata lei, Carm, una dodicenne molto appariscente grazie alla lunga treccia rosso fiamma e uno smalto e rossetto coordinati che non erano adatti alla sua età. Quando si era presentata in classe così, invece di sospenderla l’insegnante le aveva strizzato l’occhiolino. Roba da non credere. Era la più violenta, seguiva un corso di arti marziali e non c’era niente che la entusiasmasse come far litigare i compagni accusando l’uno di aver fatto un dispetto all’altro quando era lei la colpevole. Li guardava azzuffarsi leccandosi le labbra come una gatta che pregusta di gettarsi su un topo già sfinito. Ci aveva provato ad aizzarlo a reagire, ma il biondino non ne voleva proprio sapere, anche se una mezza rispostaccia se la sarebbe davvero meritata… era lì, incerto, ma questo gli fece abbassare la guardia. Il terzo componente della banda era arrivato di soppiatto alle sue spalle, annusandogli il collo con quel fare ributtante che lo contraddistingueva. All’inizio era stato difficile capire che fosse maschio; era bassino, fragile e pallidissimo e i delicati tratti orientali e la divisa troppo grande che gli cadeva addosso come uno straccio non aiutavano di certo.
“Che schifo, sai di sapone. Devo fare qualcosa”. Detto fatto, l’inquietante compagno gli rovesciò addosso il cesto della spazzatura, che per fortuna conteneva quasi solo cartacce, per poi spargerne il contenuto nel corridoio ammirando la sua opera con aria soddisfatta. Quando Aziraphale la prima volta aveva obbiettato con un soffio di voce che era da maleducati imbrattare un posto di tutti, il macilento ragazzino gli aveva risposto: “appunto”, come per spiegare l’ovvio a un’idiota.
Per ultimo, seguendo un copione prestabilito, ― quasi la sua apparizione dovesse segnare il naufragio di ogni speranza ― si fece avanti un tipo alto, con un viso scheletrico che manteneva sempre coperto dal cappuccio della felpa nera che indossava sopra la divisa scolastica malgrado fosse assolutamente vietato. Parlava poco, ma era lapidario.
“È la tua fine”. La minaccia aveva qualcosa di credibile, per quanto Aziraphale sapesse bene di non essere in pericolo di morte lì a scuola, non erano degli assassini in erba; eppure una sensazione di freddo gli corse lungo la colonna vertebrale. Cosa potevano fargli? Rubargli la merenda, la piccola somma che portava sempre con sé in caso avesse bisogno di qualche confort ― era abituato a trattarsi bene, se pioveva non gli andava di trasformarsi in un pulcino inzuppato alla fermata dell’autobus, aveva il permesso di prendere il taxi ― strappargli i quaderni?
“Dacci anche i libri”. Era stata la rossa a parlare, sogghignando con quel fare crudele che la caratterizzava.
“No, per favore!” Aziraphale poteva sopportare tutto: le prese in giro, la sottrazione delle sue prelibatezze, gli spaventi, ma se c’era una cosa sacra e intoccabile per lui erano i libri. Quelli scolastici non erano preziosi come la collezione che aveva iniziato a sei anni e che costituiva il suo orgoglio, però li amava comunque e lo dimostrava rilegandoli con attenzione con una bella carta celeste con l’immancabile decoro scozzese color crema.
“Oh, sì, e li bruceremo in cortile uno per uno, sarà molto divertente”. La povera vittima del sopruso ebbe un soprassalto. Non l’avrebbe permesso! Non poteva maltrattare una signorina, quindi si girò d’istinto verso l’incappucciato assestandogli un bel calcio su una caviglia.
“Ho detto no!” Chi gli aveva dato tanto coraggio? E soprattutto, quanto l’avrebbe pagata cara? Li vide avvicinarsi fino a sentirne il fiato sul collo, raggomitolandosi contro la parete, quando una voce maliziosa e accattivante insieme si alzò al di sopra delle altre.
“Ragazzi, quante volte vi ho detto di non iniziare senza di me? Devo spiegarvelo meglio?”
L’ultima parola era un vero e proprio ruggito che fece tremare i suoi scagnozzi come foglie mentre gli facevano spazio come al loro Re, e dava i brividi anche al piccolo Aziraphale, ma di tutt’altro genere. Perché Anthony Crowley era il più cattivo della scuola, era un anno indietro a causa di un brutto incidente ― si mormorava di una caduta ― era alto e scattante, ribelle e sfacciato, interessato solo a comandare e mantenere la sua brutta fama. Perché Anthony Crowley aveva folti capelli color del rame e occhi ambrati lucenti che copriva sempre con gli occhiali da sole neri anche al chiuso, portava la camicia dell’uniforme slacciata, la cravatta allentata a metà del petto, aveva una carnagione baciata dal sole e osava l’impensabile. Sulla tempia destra esibiva il tatuaggio di un serpente, lì, in una scuola cattolicissima! Perché Anthony Crowley era il grande, proibito e impossibile amore di Aziraphale, e il suo tormentatore numero uno. Quando lo vide avvicinarsi con la sua andatura molle e così sicuro di sé, le gambe gli diventarono un budino e il cuore prese a battere all’impazzata. Le dita calde di Crowley si intrecciarono nei suoi ricci biondi, girandoli con palese divertimento.
“Che angioletto… sai di essere nel ventunesimo secolo, vero? Il mondo va avanti, anche se tu non te ne accorgi. Non vuoi accontentare i miei amici, da bravo bambino?”
Aziraphale voleva soltanto piangere, o smaterializzarsi convenientemente per mettere fine a quella scena vergognosa, ma purtroppo nella realtà non esistono poteri magici. In verità quello che avrebbe desiderato di più sarebbe stato un bacio di quelle labbra tentatrici sulle sue rosee e morbide… praticamente il paradiso.
Aprì la bocca per rispondere qualcosa ma non ne uscì nessun suono; quello che fece fu stringere il testo di letteratura inglese con tutte le sue forze, facendo notare in modo involontario che era il volume a cui teneva di più.
“Ti do una scelta, bambolina. Molli questo libro, o finisci con la testa nel water a fare uno sciampo ai tuoi bei capelli”.
Il ragazzino che adorava sporcare in giro, Chalky, era in visibilio. Raramente il suo sguardo aveva un aspetto così vivo.
“Posso tirare io lo sciacquone, Crowley? Gli facciamo ingoiare i batteri e gli stafilococchi, vero?”
“Vomiterà tutto quello che ha mangiato da stamattina. Molto bene, resterà senza nutrienti”. Il destino di Raven, il raffinato amante delle diete estreme, era di lavorare nell’alta moda; probabilmente, avrebbe riscosso un gran successo.
Nel frattempo Carm si fece scrocchiare le dita con un rumore sinistro.
“La testa sotto la tengo io”.
“Va bene”. Non si sarebbe sentita volare una mosca, malgrado quello sciroccato della II°B che le portava continuamente a scuola in un barattolo e ogni tanto le liberava in giro perché amava il loro ronzio.
“Ci vengo da solo in bagno, ma poi mi lasciate andare con i miei libri”. Il viso di Aziraphale era rosso di umiliazione, ma le espressioni strabiliate dei cinque persecutori erano impagabili, non tutte allo stesso modo. Malgrado le lenti scure impedissero di guardarlo negli occhi, in qualche modo il biondo era sicuro che Anthony si stesse vergognando. Non capiva da dove provenisse quell’ingenua convinzione, lo sentiva in fondo al cuore. Doveva essersi sbagliato però, perché la mossa successiva fu davvero crudele.
“Allora ti dispiace di più di questo… dai qua!” Detto fatto le dita avide di Crowley strapparono il testo da quelle paffute di Aziraphale; non contento il ladro usò la mano libera per poggiarsi al muro, intrappolando il più piccolo col suo corpo. “Non pensare di dirlo al preside, te ne faremmo pentire. Via ragazzi, prima che qualcuno ci veda!” I cinque complici corsero via ridendo e lanciandosi il testo al volo per gioco, lasciando Aziraphale terrorizzato e in procinto di piangere. Dal preside Pulsifer non ci sarebbe andato, visto che lo chiamava “mammoletta”! In realtà era un brav’uomo, ma pieno di fissazioni e idee tutte sue su come crescere i giovani con disciplina e buoni vecchi valori. Da una parte avrebbe punito la gang, ma dall’altra l’avrebbe disprezzato, e il punto non era quello, no. Il problema che stava devastando il derubato era tutt’altro. Cosa sarebbe successo se avessero aperto il libro e sbirciato sotto la rilegatura? Proprio lì, nell’angolo sinistro della terza di copertina, dove aveva disegnato due cuoricini incrociati, uno celeste e uno rosso, ambedue con una A al centro? Avrebbe dovuto cambiare scuola, magari città, sua madre l’avrebbe presa malissimo, lei era una vera fissata con l’eterosessualità. La campanella della ricreazione suonò all’improvviso, costringendolo a fuggire in cortile per non farsi trovare in quello stato. Ormai l’inverno faceva sentire la sua carezza fredda, ma nelle mattine di cielo terso si stava ancora bene sulla panchina sotto la vecchia quercia; inoltre quell’angolino era riparato rispetto all’ingresso dell’edificio, così Aziraphale si trovò libero di sfogarsi in un pianto dirotto, quando all’improvviso qualcosa di pesante atterrò sulle sue ginocchia.
“Riprenditelo, non so che farci. E prima che ti venga un attacco di qualcosa, l’ho visto solo io”.
Crowley l’aveva raggiunto sul vecchio sedile di legno, accomodandosi con le gambe aperte, le braccia sullo schienale e la testa all’indietro. Dopo qualche attimo di silenzio, si girò verso Aziraphale, stringendo le labbra in un’espressione strana, quasi boccheggiando.
“Per me non è un problema, non c’è una cosa giusta in assoluto, non voglio affogarti mica nell’acqua santa! E a proposito non sei stato furbo, ti avrebbero ridotto male, per quello ti ho preso quel libro”.
Grazie”. Era appena un bisbiglio tra i singhiozzi che si stavano placando, ma almeno udibile.
“Non hai negato niente e sono stato molto vago, quindi quella A sono io?” Diabolico, ecco cos’era!
Scusa”. Stava anche facendo la figura dello scemo, ma una parola alla volta era il massimo che potesse esprimere.
“Oh, bè… va bene, smetti di piangere, forza, e toglimi una curiosità. Com’è che un angelo come te, insomma…” Il temuto Crowley era in difficoltà, ma questo dettaglio non contava niente per il biondo, che capiva solo di trovarsi nel bel mezzo di una specie di miracolo. Il suo amato non lo stava disprezzando, o prendendo a calci o chissà che, anzi! Gli parlava, ed era così vicino…
“Io… io credo…” Aziraphale inghiottì a fatica “che sia una questione di cattive compagnie. E che sotto sotto tu sia una persona speciale”. Quella era la cosa più coraggiosa che avesse detto in tutta la sua giovane vita, perché non esagerare un pochino? Forse lo spirito del Natale lo stava aiutando, era il tipo di cose nelle quali credeva.
“Mi dispiace non avere un dolcetto da offrirti per ringraziarti, li hanno buttati tutti…”
Crowley era rimasto il silenzio, agitandosi sulla panchina in un modo quasi buffo, ma che ad Aziraphale sembrava solo meraviglioso mentre lo guardava cercare una posizione comoda, sistemarsi la giacca ancora più aperta malgrado la temperatura, per poi finire col braccio sinistro intorno alle sue spalle.
“Qualcosa da darmi ce l’hai, credo. Insomma, se ti va”.
Un attimo dopo le loro labbra si stavano sfiorando, e giusto cielo se era bello! E sarebbe stato solo l’inizio, pensarono contemporaneamente senza dirlo ad alta voce. In fondo, davanti avevano un’eternità.

Note:
Morte non ha uno pseudonimo, ma gli altri Cavalieri sì: (https://goodomens.fandom.com/wiki/Category:Characters)
Fame: Raven Sable
Guerra: Carmine Zuigiber (Carmine per una ragazza poteva confondere chi legge ma non conosce il fandom, come succederà in questo contest, quindi l’ho abbreviato tipo “per gli amici Carm”, spero che vada bene ^^
Inquinamento: Chalky
Il titolo è ovviamente la filastrocca: What little girls are made of?/sugar and spice, and all that’s nice
Azi non è una bambina, ma è fatto di zucchero e cannella (come recita la versione italiana) lo stesso! Può non intenerire?

 

  
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