Salve ragazzi! Qualche
nota prima di continuare la lettura del capitolo. Intanto, grazie a tutti
quelli che stanno continuando a leggermi. Grazie a chi lascia recensioni e chi
semplicemente visualizza, mi fa molto piacere avere pareri e più ne ho più sono
motivata a continuare la storia. Grazie ancora! In secondo luogo, vi consiglio
di ascoltare (magari proprio mentre state leggendo) le canzoni citate in questo
capitolo, per darvi un’idea di quale sia l’atmosfera in cui sono immersi i
personaggi.
Ci vediamo molto
presto con il prossimo capitolo!
Deirbhile
***
-
Ma che significa che non verrai in
spiaggia?
Flavio si sporse
attraverso il tavolo del Black Devil, facendo
quasi rovesciare la birra scura che aveva ordinato. Ivan, dall’altra parte,
alzava le mani con fare pacifico.
-
Hey,
calma amico, ho solo suggerito di spostare la data, questo fine settimana non
ci sono.
-
E sentiamo, cos’è che avresti da fare da
non poter rimandare per lo storico fine settimana con i tuoi storici
amici? – domandò sarcastico, ingollando un sorso di birra e pulendosi la bocca
col dorso della mano.
Lì accanto, Carmen
parlottava con Sabrina e Michela e Andrea sembravano assorti in uno dei loro
melensi momenti di coppia.
-
Ho… un impegno in famiglia- mormorò infine
Ivan, palesemente non convinto della scusa che gli era uscita.
-
Ma si può sapere cosa prende a tutti, eh?
Sono settimane che programmiamo questa gita, quest’anno possiamo anche dormire
in spiaggia, e voi ve ne state lì come pesci lessi senza dire una parola!
Chiara, dammi una mano tu!
Chiara fu riportata alla
realtà da un colpo sotto al tavolo. Carmen le fece segno che Flavio stava
parlando proprio con lei e che doveva rispondere. Si schiarì la gola, cercando
di non sembrare imbambolata. La verità è che non aveva seguito nemmeno una
parola di quello di cui stavano discutendo i suoi amici.
-
Cosa posso fare per te? - gli chiese
infine, con un sorrisetto accondiscendente. Flavio alzò le mani al cielo.
-
Dammi una mano a convincere questa massa
di zombie a venire con noi in spiaggia! - esclamò allo stremo.
Chiara lo guardò con le
sopracciglia alzate, in un’espressione lievemente colpevole.
-
È che… anche io sono impegnata questo fine
settimana.
-
AH! Tradimento!
Basta, io me ne vado!
A quel punto intervenne
Carmen che, dando le spalle a Sabrina, si rivolse direttamente all’amico.
-
Vieni, tesoro, andiamoci a prendere
un’altra birretta, che dici? Così calmiamo questo tuo animo tempestoso.
-
Ma… la spiaggia!
-
Ci andremo, tranquillo, possiamo
semplicemente rinviare al weekend dopo le pagelle. Così sì che avremo qualcosa
da festeggiare.
-
Siete incredibili! Gli amici prima di
tutto e poi abbandonate le tradizioni! Spero solo che non ci sia di mezzo
qualche donna…
Ma ormai Carmen lo aveva
trascinato di peso al bancone e nessuno si accorse della risata che Chiara e
Ivan stavano cercando di trattenere.
Nel frattempo, invece,
Sabrina continuava a fissare di sottecchi Chiara, cercando di capire se fosse
il caso o meno di dirle quello che aveva visto. Era passata esattamente una
settimana, e la rabbia le era sbollita, senza contare che il giorno dopo
sarebbe finalmente uscita con Riccardo e questo la metteva in uno stato d’animo
decisamente positivo. Forse doveva solo fare la mossa più matura, parlare con
Chiara senza metterle pressione, e comportarsi da buona amica. Ma l’argomento
era ormai stato dimenticato e a nulla erano valsi i suoi tentativi di
riportarvi l’attenzione di Carmen ed Ivan. Chiara, neanche a dirlo, anche
quella sera era su un altro pianeta. Che la stesse evitando? Questo pensiero la
innervosì di nuovo.
-
Chiara, hey, ti
va di uscire a fumare?
Chiara alzò le spalle.
Non era una grande fan della nuova abitudine di Sabrina, ma si era ormai
dimenticata della serata nella Mini- era evidentemente presa da altri pensieri,
molto più impellenti- e nella generale distrazione non le venne in mente che
forse l’amica cercava di stare sole per chiacchierare un po’. Uscirono nella
serata quasi estiva, mite, con un venticello dolce e fruttato. Sabrina tirò
fuori il suo accendino fluorescente e si accese un drum.
-
Sai che domani vado al cinema con
Riccardo? Volevo avvisarti, sai, per sapere se per te va bene.
Chiara la guardò con un
po’ di sorpresa. Aveva capito già da qualche tempo che Sabrina provasse
qualcosa per lui, per cui le sembrava più che logico che dopo la sua uscita di
scena avesse tentato di giocarsi le sue carte. Ciò nonostante, era ancora amareggiata
per aver perso i rapporti con Riccardo e la ferita rimaneva aperta. Si sentì
triste al pensiero che Sabrina ora per lui contasse di più di lei, Chiara, semplicemente
per il fatto che da Sabrina non era (e non sarebbe) stato rifiutato, ma in cuor
suo capiva che era più che normale, e quanto più velocemente lui fosse riuscito
a superarla, maggiori erano le speranze di ricucire la loro amicizia. Senza contare che anche lei ormai covava un po’
di risentimento e non era di certo molto flessibile in alcuni ragionamenti: buono
ed innocente com’era, aveva comunque preferito mentirle facendole credere di voler
solo la sua amicizia e- una volta non ottenuto più di questo- si era dileguato
nel silenzio generale. Perché non aveva combattuto almeno un po’ per salvare il
loro bel rapporto? Da quanto tempo covava i suoi sentimenti? Chiara
aveva smesso di pensarci da un po’, ma gli occhi felici di Sabrina le avevano
fatto tornare tutto a galla per qualche minuto.
-
Mah, figurati. Anzi mi fa molto piacere…a
te lui piace, non è vero?
Sabrina cercò di non
sorridere mentre aspirava un tiro, ma annuì. Quello che in realtà si stava
chiedendo, dietro la sua coltre di tabacco Virginia, era come fosse possibile che
le cose fra Chiara e Riccardo fossero finite così male. Più ci pensava e più
capiva che l’ipotesi di una sua relazione con Della Corte non solo fosse più
che plausibile, ma anzi fosse l’unica spiegazione per la piega improvvisamente
inaspettata che aveva preso la faccenda. D’altronde, non c’erano già forse
stati i segnali? Più indietro andava e più le pareva che non ci fosse alcun
dubbio. Allora perché Chiara, maledizione, non la degnava di una sola parola?
-
Alla fine, sono felice che voi due non vi
siate messi insieme. A proposito di questo, ecco…- stava per chiederle qualcosa
riguardo alla sua vita sentimentale (nella speranza di preparare un terreno
propizio alla confessione), quando a Chiara squillò il cellulare e con un gesto
frettoloso si allontanò di qualche metro, lasciandola lì da sola, senza molte
cerimonie, a finire la sigaretta.
-
Come non detto- sospirò, e se ne tornò dentro,
funerea.
**
-
Ciao, come sta andando la serata? È
tutto okay per domani, vero?
-
Sì, i miei dovrebbero partire nel
pomeriggio. Puoi venire da me verso le sei. Poi ordiniamo da mangiare.
-
Messicano?
-
Sì, e stavolta prometto di non
addormentarmi.
-
Lo spero…
**
-
Chiara! Scendi, noi stiamo per andare!
La voce di Matteo risuonò
per le scale arrivando fino alla camera di Chiara, che nel frattempo stava
cercando di sistemare il caos lasciato in giro in quegli ultimi giorni. La scuola
era praticamente finita con le ultime interrogazioni, e si era lasciata un po’
andare, per cui non voleva che Roberta vedesse tutto quel disordine. E poi,
sistemare era sempre stato un modo per calmare i nervi e lei ne aveva
decisamente bisogno. Aveva messo in sottofondo Bruno Mars, e in quel momento
suonava Locked out of Heaven. Era
giusto persa a pensare a come quella canzone le ricordasse (vagamente, era pur
sempre ubriaca) il suo primo bacio con Roberta, quando fu interrotta dagli
schiamazzi dei suoi genitori. Margaret stava controllando ossessivamente tutte
le porte per verificare che si chiudessero e l’allarme funzionasse
correttamente, mentre suo marito aveva trascinato i bagagli in cucina ed era
pateticamente seduto sul divano con una faccia sconsolata.
Chiara, entrando in
salotto, rise della sua espressione.
-
Sembra che tu stia andando al patibolo,
papà.
Margaret le si avvicinò,
poggiandole un braccio sulle spalle, e aggiungendo: - Ormai le vacanze gli
fanno questo effetto, love. Ma non temere, ci divertiremo!
Avrebbero passato quei
due giorni in montagna, sull’Appennino, immersi nella natura e con poca linea
telefonica. Sua madre l’aveva avvisata della difficoltà nelle comunicazioni,
dicendole di non preoccuparsi se non avrebbero risposto al primo squillo. Di
nuovo, Chiara pensò che l’idea di chiamarli non le avrebbe sfiorato nemmeno
l’anticamera del cervello. Cosa sarebbe successo, invece, non osava
immaginarlo, ma in ogni caso aveva fatto pace con l’idea che sarebbe potuto
succedere di tutto come niente. Aveva cercato di concentrarsi, pensarci
seriamente… stava davvero per perdere la sua verginità? E cos’era, in realtà,
questa fantomatica verginità? Per quanto fosse ignorante in materia, non
pensava fosse chissà che cosa. Per come la vedeva lei, sarebbe potuto succedere
anche fra cinque anni. A lei non importava di perdere proprio niente, se non di
guadagnare tempo insieme a Roberta che, lo sapeva, era la persona con cui
avrebbe voluto condividere quel momento.
La verità- pensò dopo
aver salutato affettuosamente i suoi genitori- era che lei non aveva mai
davvero pensato al sesso. Prima di conoscere Roberta, non sapeva neanche che
certe sensazioni potessero essere provate in una maniera così intensa. Certo,
era un’adolescente, e l’idea del sesso si era in qualche modo fatta spazio nel
suo piccolo universo almeno dai tredici, quattordici anni. Ma era qualcosa di
lontano, qualcosa che riguardava gli altri, attorniato da un misto di terrore e
fascinazione che forse tutti, in quei primi momenti di consapevolezza, sentiamo.
Fra le sue amiche, in ogni caso, nessuna era mai arrivata a quel punto: c’era
stata Carmen e il suo primo fidanzato, di cui lei si era prontamente scocciata
dopo un mese- e Sabrina e le sue innumerevoli cotte. Con Riccardo non ne
parlava mai, anche se sapeva che probabilmente era l’unico ad aver già vissuto
quell’esperienza, data la sua lunga storia con quella sciroccata di Monica.
Insomma, gira e rigira di questo non se n’era mai parlato se non in sussurri
divertiti e a proposito di altre persone. Chiara non si sentiva mai
completamente a proprio agio, ed era grata quando l’argomento veniva
accantonato per uno più pacifico, ma quello che rimaneva era una sorta di curiosità
sotterranea e astratta, come a dire: chissà cosa succederà a me.
Sedendosi sul divano,
fissando la porta d’ingresso e l’orologio ad intermittenza, continuò a
rimuginare. Che cosa significa davvero condividere una cosa del genere con una
persona? Io sono pronta? Farò qualcosa di sbagliato, sarò ridicola?
Ma di nuovo, pensò di essere così fortunata ad avere Roberta. Lei non avrebbe
mai riso, né l’avrebbe mai giudicata. E, soprattutto, se lei non si fosse
rivelata pronta- alla fine- l’avrebbe tranquillizzata e tutto sarebbe finito
lì. Roberta la capiva, ci era passata. Pensò a quanto dovesse essere stato
doloroso per lei essere sul punto di vivere quell’esperienza con Massimo, o con
chissà quanti altri ragazzi prima, persone che non le suscitavano nulla, ma che
da lei volevano solo accondiscendenza, senza un minimo di empatia.
Non era così ingenua da
pensare che la verginità si dovesse per forza perdere con qualcuno di
sentimentalmente importante. O meglio, di fisso. Era plausibile per lei volere
Roberta in quel senso anche se non fosse stata la sua ragazza. Quello che non
capiva però era perché le persone- ragazze e ragazzi- si affrettassero tanto in
quella corsa a chi arrivasse prima, accontentandosi così di vivere situazioni
senza il minimo di interesse o consapevolezza.
Aggiungendo il fatto che
Chiara non aveva mai nemmeno sperimentato da sola che cosa significasse il
piacere- tranne fugaci sogni notturni o episodi così sporadici quanto imbarazzanti
per lei da ricordare- si trovava in una situazione incredibilmente nuova. Era
come se di colpo le si fosse rivelato di fronte un burrone profondissimo e ne
fosse senza remore attratta, senza neanche sapere che cosa avrebbe trovato alla
fine. Certo doveva ammettere (anche se difficilmente lo avrebbe fatto) che, da
quando aveva capito di preferire le ragazze (Roberta) al resto, un paio di
tasselli le si erano aggiustati e aveva capito molte cose. In più, di notte,
aveva più volte sognato con una nitidezza imbarazzante che cosa le sarebbe
piaciuto succedesse con lei. Ma a parte questo, rimaneva ermeticamente chiusa
persino a se stessa e aveva tanta paura- e voglia- di scoppiare senza preavviso.
Mentre rimuginava su
questi e altri pensieri qualcuno suonò al campanello e, attraverso il vetro
traslucido della porta, scorse la sagoma di Roberta.
**
-
Che ne dici di Monster&Co.?
Roberta alzò la testa
dalla spalliera del divano, su cui si era buttata ciondoloni dopo aver finito
di mangiare i suoi tacos- sembrava stesse fissando il
soffitto assorta, preoccupata o semplicemente rilassata, questo Chiara non
riusciva a dirlo- e si girò verso il televisore in fondo alla stanza.
Chiara, in piedi fra una
marea di vecchi dvd, cercava di capire che cosa farne del resto della serata.
Un film era la cosa migliore. Si sentiva stanca, ma di una stanchezza più
simile al torpore, alla calma placida e calorosa che assale durante le giornate
di vacanza. Fuori si era alzato un bel venticello fresco, avevano deciso di
lasciare le porte aperte per far entrare un po’ d’aria. Roberta, coi capelli
legati in una crocchia e il viso bianco, senza trucco, le sembrava più bella
del solito.
Si perse per un po’ a
pensare alle sue labbra rosa, alle ginocchia scoperte dai pantaloncini, ai suoi
polsi sottili, e presa com’era dal decidere che film mettere su (l’avrebbero
poi visto? Questo non voleva chiederselo, era già abbastanza in panico), non si
accorse che Roberta si era avvicinata a lei. Urlò quando la sentì abbracciarla
da dietro e poggiarle la testa sulla spalla.
-
Dio, mi hai spaventata!
Roberta, per tutta
risposta, si mise a massaggiarle le spalle, trascinandola a sedersi sul
tappeto.
-
Sei molto tesa, c’è qualcosa che non va?
Il suo tono era
innocente, come se davvero non sapesse che cosa stesse passando per la testa di
Chiara, a cosa fosse dovuta quell’elettricità che era anche più percepibile del
solito. Chiara iniziò a pensare che fosse tutto nella sua testa, che forse
Roberta non stava pensando alla stessa cosa. Insomma, avere sedici anni e mezzo
e la casa libera non doveva significare per forza qualcosa. O no?
Oddio, finirò per
impazzire, sono già completamente impazzita. Chiara ragiona, su!
-
Hey,
Chiara, parlo con te.
Si vide sventolare una
mano davanti agli occhi e solo a quel punto tirò un profondo sospiro, girandosi
per poter guardare Roberta negli occhi. Erano blu, rilassati, sorridenti.
-
Scusa, è che pensavo che dopo quello di
cui avevamo parlato l’altro giorno, insomma…
-
Ti ha messo pressione?
-
Cosa!? Oddio, no…
Roberta alzò un
sopracciglio, trattenendosi per non ridere alla goffaggine della sua ragazza.
-
Ti ha messo decisamente pressione.
-
Ma se ho iniziato io l’argomento!
Si sentì trascinare a
sedere sul divano, poi che Roberta le prendeva le mani fra le sue e si adagiava
mollemente allo schienale, cercando di mantenere un contatto visivo. Nessuna
traccia del nervosismo che Chiara sapeva di star trasmettendo in quel momento. Perché?
-
Lo so, e hai fatto bene, ma questo non
significa che non possa farti paura. Mi capisci?
La rossa alzò le spalle,
colta un po’ in contropiede. Roberta aveva ragione, odiava quando era così
matura. Si sentiva una bambina capricciosa, ma allo stesso tempo le era
profondamente grata. Tutto, tutto le faceva pensare che Roberta fosse la
persona giusta al momento giusto. Non aveva ormai più alcun dubbio.
-
Sì, dio, sei così ragionevole.
-
E questo è un male?
Risero tutt’e due, poi
Chiara si accoccolò più vicina a Roberta e chiuse gli occhi.
-
Quant’è bello poter stare così insieme,
tranquille, senza la paura che qualcuno ci stia guardando.
Si guardarono e si
strinsero più vicine. Chiara sentì la pelle del braccio arrossarsi a contatto
con quello di Roberta, e il suo petto alzarsi e abbassarsi sotto la camicetta
rosa che indossava. Tutto scorreva lento, e i battiti del suo cuore risuonavano
sempre di più come rintocchi violenti, decisi, di un calore indescrivibile.
Rimasero così una decina di minuti, senza parlare, poi Roberta si alzò per
andare a frugare dietro ai cavi del televisore.
-
Ma che fai? - rise Chiara, un po’
intontita.
Si sarebbe potuta addormentare in quel
momento, stesa addosso a Roberta, sentendo il suo cuore che le batteva. Era una
delle cose più belle che avesse mai vissuto. Ma si ricordò della sua promessa
(ridicola) di non addormentarsi: la sola idea che quella notte sarebbero state
insieme, nello stesso letto, bastava a tenerla più che sveglia.
-
Sto cercando il cavo giallo, quello per collegare
il cellulare, così metto un po’ di musica. Ti va?
Una delle ultime
ossessioni di Roberta era proprio quella di fare playlist di canzoni preferite,
ne mandava una a Chiara quasi ogni settimana, ed era innegabile che aveste un
gusto musicale decisamente originale e per niente scontato. Aveva fatto
scoprire a Chiara molta musica nuova, dal folk inglese al vecchio rock n’ roll, ma soprattutto sembrava avere una predilezione
speciale per tutto ciò che creasse una bella atmosfera. Diceva che la aiutava a
dipingere, che ad ogni suono associava un colore- e che in base a quello, e al
suo umore, decideva di che cosa avesse bisogno quel determinato giorno. Quando
ebbero sistemato tutto, a Chiara venne un’altra idea.
-
Vieni, usciamo in giardino. La musica si
sente anche da lì, e il filo è abbastanza lungo.
Roberta la prese per mano
e si stesero sull’erbetta appena tagliata dell’aiuola di fronte al salotto. La
prima canzone, una cover di Electic Feel degli MGMT di Henry Green, sembrò così perfetta
fin dalle prime note che entrambe ne rimasero incantate. Le luci delle case dei
dirimpettai, la frescura notturna, il tocco della terra e dei fili d’erba sotto
le mani, tutto converse in un’unica sensazione di morbidezza, calma e intimità
che sia Chiara sia Roberta non osarono aprire bocca per paura di rovinare
qualcosa.
Rimasero stese, l’una di
fronte all’altra, finché Chiara- avvicinandosi, non dopo aver sussurrato un
timido Posso? – non lasciò un bacio lievissimo e fugace sulle labbra
dischiuse di Roberta. La musica era lenta, soffice, e lei sembrò modulare il
suo tocco su quelle note, mentre Roberta le passava una mano dietro la nuca e approfondiva
il contatto.
C’era una cosa curiosa
che Chiara non avrebbe mai voluto ammettere. Quando Roberta la baciava così
(senza paura che qualcuno le stesse guardando, senza paura di doversi fermare-
cosa che era successa forse due o tre volte in tutto, incluso il loro primo
bacio) lei sentiva qualcosa di ancora più forte che le farfalle nello stomaco.
Sentiva come una sensazione di calore che si espandeva fino a farle girare così
tanto lo stomaco che finiva per sentirsi come su una montagna russa. Il suo
primo impulso era sempre quello di scendere, di staccarsi per tornare
all’equilibro (una volta aveva avuto paura di sentirsi così perché aveva
mangiato qualcosa di strano, ma no… era quel piacere così sottile eppure
violento che a stento lo distingueva da un dolcissimo dolore), ma questa volta
non voleva.
-
Ascolta, voglio raccontarti una cosa
divertente.
Roberta, aprendo gli
occhi, le sembrò essere arrossita. Aveva gli occhi liquidi, Chiara non riusciva
a spiegarsi che cos’è che fosse cambiato ma non c’era più traccia né di calma
né di timore. Solo una pervasiva sensazione di non volersi più fermare. Quando
aprì bocca sembrò stesse facendo uno sforzo per dire qualcosa di coerente, la
voce roca e bassa.
-
Che cosa?
-
Quanto mi baci così a volte penso di star
per vomitare… no aspetta, non pensare male.
Roberta rise, Chiara poggiò
la fronte contro la sua.
-
Ho lo stomaco così sotto sopra che mi
sento su una macchina a trecento chilometri all’ora. Non riesco a controllarlo,
è come una vertigine.
-
È una cosa molto originale essere nauseate
dalla propria ragazza!
-
Smettila, come se a te non capitasse.
Di nuovo, si fecero più
vicine. La musica continuava, con toni mellow
e psichedelici, in un’atmosfera onirica.
-
A me succede questa cosa, mi sento il
sangue alle dita e tutto fluisce dentro di me. A volte penso di scoppiare- si
indicò le dita, - come se tutto si concentrasse qui e mi facesse sentire nello
spazio.
-
Ci pensi che tutto questo è a causa degli
ormoni che abbiamo studiato con Abbatelli…
-
Chiara!
-
Cosa?
-
Stai blaterando. Vieni qui.
Chiara non ebbe il tempo
di chiudere gli occhi che già Roberta era tornata a baciarla, questa volta, sembrava,
con nessuna intenzione di lasciarla parlare di nuovo, men che meno di chimica,
nausea o professori vecchi e scorbutici. Suonava A shitty
love song di Jye e
Chiara si sentì così emozionata che era sicura avrebbe pianto, se non avesse
sentito le braccia di Roberta così calorosamente attorcigliate dietro la sua
schiena, e le loro gambe intrecciate, a sfregarsi.
**
Benedetta, uscendo al
casello autostradale, gettò un’occhiata all’orologio digitale della sua Fiesta.
Si chiese se Chiara stesse già dormendo, loro che non si vedevano ormai da
quando l’aveva accompagnata a quella festa di diciotto anni. Si chiamavano
spesso, certo, ma aveva paura che la sua sorellina stesse attraversando un
periodo strano e non ne volesse parlare per telefono. L’ultima volta che
l’aveva vista c’era qualcosa che la turbava, e per quanto sua madre pensasse
fosse a causa di una storia con Riccardo, a lei non l’aveva mai contata giusta.
Riccardo era un ragazzo tanto carino, ma col tempo si era resa conto- senza
farne ovviamente parola, visto che sua sorella sembrava essere così riservata-
che a Chiara il suo amico non piacesse sul serio. La conferma era arrivata
direttamente da Chiara che, probabilmente al culmine della disperazione, aveva
deciso di confidarsi con lei in quella notte insonne di qualche mese prima. Da
quel momento in poi, nessuna parola. Durante le loro chiamate, l’argomento non
era stato più toccato e Benedetta aveva semplicemente presunto che tutto fosse
finito. Chiara era una ragazza così ermetica, così chiusa su certe cose-
soprattutto quando si parlava di affetti o di dolori- che Benedetta si trovava
a volte in seria difficoltà su come affrontarla. Come sorella maggiore, sentiva
forte il peso di esserle in qualche modo d’aiuto, di guidarla magari in esperienze
che lei aveva già fatto. Ma Chiara era un paradigma diverso e non l’avrebbe mai
forzata a parlare o a confidarsi, come avrebbe insistito con un’amica, perché
sapeva che questo avrebbe potuto produrre un effetto contrario.
Provò a chiamarla al
cellulare, per non spaventarla- sapeva quanto Chiara fosse fifona, aveva paura
del buio e di stare troppo a lungo sola in casa- ma alla terza chiamata a vuoto
decise che non c’era altro modo che farle una sorpresa in piena regola. Dopo
tutto, Chiara stava sicuramente leggendo o chiacchierando con Carmen e Sabrina,
erano solo le undici- magari avevano fatto un po’ di caos cucinando uno dei
loro esperimenti, ma sapeva che di sicuro non avrebbe interrotto nessun festino
stile telefilm americano.
-
Bentornata, Ben- si disse, quando arrivò a
svoltare nel vialetto di casa.
**
-
Aspetta, aspetta…
-
Cosa? Sto sbagliando qualcosa?
-
No… è perfetto, è che… ho sentito
il rumore… di una macchina.
-
Sei sicura? Io non ho sentito niente.
-
Chiara! Oddio… smettila! Qualcuno sta entrando… dal cancello…
-
Merda!
Hai ragione.
Roberta fece appena in
tempo a tirarsi su e a sistemarsi i vestiti, mentre Chiara cercava di rimettersi
le scarpe e darsi un’aria di serietà e contegno (cosa impossibile, visti i suoi
capelli rossi scarmigliati, segni sospetti alla base del collo e macchie d’erba
sui pantaloncini), quando la testa bionda di Benedetta attraversò il vialetto
buio accanto a loro.
-
Chiara, ci sei? Sei dentro? Sono io, Ben,
tranquilla… nessun ladro!
Roberta sospirò,
passandosi una mano sul viso.
-
Sarebbero stati meglio i ladri, almeno
avremmo potuto finire di nascosto…
Chiara non poté far a
meno di ridacchiare e, cercando di baciarla un’ultima volta- fra le risate di
tutt’e due- rispose: - Sì, Ben! Sono qui, c’è Roberta con me!
In sottofondo ancora
andava Teen sex degli infinite bisous.