-
Oddio non la troveremo mai, potremmo
andare più veloce!?
Chiara, aggrappata a
Carmen, pericolosamente traballante seduta com’era sul porta pacchi della sua
bicicletta rosa brillantinata, la incitò ad
accelerare il passo, tamburellando a ritmo le dita sulle sue spalle. Carmen
grugnì, fermandosi per riprendere l’equilibrio, gettando un’occhiata in basso
per verificare se non si fosse macchiata i jeans nuovi.
-
Ma lo vedi che non riesco neanche a stare
in equilibrio? Oh Signore, mi sono macchiata! – urlò non appena se ne
accorse, con quel suo tono alto e drammatico che fece girare gli occhi a
Chiara.
Aveva bisogno di arrivare
al parco il prima possibile, e da casa di Carmen distava circa una mezz’ora a
piedi, così avevano pensato bene di andare in bici, tutt’e due. Chiara era un
po’ nervosa di affrontare Roberta, aveva paura che se la fosse presa visto il
suo rifiuto secco di raggiungerla e passare il pomeriggio insieme,
ma soprattutto era nervosa per tutto quello che aveva raccontato a Carmen poco
prima. Avrebbe dovuto parlare con lei, come si erano accordate (Carmen, uscendo
di casa- letteralmente trascinandola- le aveva fatto promettere solennemente di
spiegare a Roberta cos’è che la turbasse, per smetterla una volta per tutte con
quei teatrini imbarazzanti), e questo di certo non la aiutava.
Era una giornata mite,
c’era un bel sole di tarda primavera, e il paese era placido, si respirava
un’aria rilassata, quasi tutti stavano uscendo dagli uffici e i bar erano pieni
di persone che bevevano bibite fresche accomodate ai tavolini esterni. Chiara
si sentì euforica e terrorizzata e avrebbe voluto urlare, ma si limitò a
piantare le unghie nelle spalle di Carmen, guadagnandosi una sua scrollata di
spalle e un grugnito di dolore.
-
Senti forse è meglio che te la lascio e vai sola, che ne dici? - le disse ad un certo punto, svoltando non
senza difficoltà in una stradina, - Così posso evitare di finire piena di fango
e scorticata… se questa è la tua delicatezza, non oso immaginare quella povera
della tua fidanzata…-
-
NO! Ti prego, accompagnami almeno fino ai
cancelli, ti prego, ti prego, ti prego! Mi sento come se stessi per
esplodere e non mi fido di me stessa- sibilò di rimando Chiara, vedendo che
mancava ancora qualche minuto e sarebbero arrivate al primo spiazzo del parco.
Carmen si voltò per un
momento a guardarla, sorridendole di sottecchi.
-
Sei proprio carina da quando sei
innamorata, è un peccato non poterti prendere in giro con gli altri!
Chiara le diede un
colpetto al braccio, aggiungendo: - Per essere un’amica sei proprio stronza!
Ma ti adoro, sei la migliore… ora svolta a sinistra e ci siamo quasi!
C’era un motivetto
musicale che le ronzava in testa da quella mattina, una canzone allegra,
estiva, pop, e ripeteva lo stesso giro di note per tranquillizzarsi, pensando
che era meraviglioso essere così nervosa per qualcuno, piuttosto che per un compito
di matematica. Che sarebbe arrivata a minuti e si sarebbe gettata fra le
braccia di Roberta e si sarebbe aperta con lei, le avrebbe parlato, e tutto
sarebbe andato bene. Che euforia e che spavento!
-
Eccoci, signorina. Fra me e Ivan non so
chi dei due sia più prossimo a diventare il tuo autista personale… lascia una
recensione alla fine della corsa e vedremo.
-
Che scema… grazie, Carmen, per tutto. Se
mai le cose dovessero andare bene, ricordatelo, è praticamente quasi tutto
merito tuo!
Carmen si buttò indietro
i capelli, alzando le spalle come una vecchia diva cinematografica.
-
Fiera di essere l’artefice della prima
volta della mia più cara amica al mondo.
-
CARMEN!
Le fece un ultimo
occhiolino e proseguì per tornare al centro del paese. Chiara si voltò, ancora
rossa in viso, e decise di respirare un momento prima di avviarsi verso il
chiosco, dove era abbastanza sicura Roberta stesse disegnando o leggendo (ormai
libera dalle interrogazioni, aveva finalmente iniziato il libro che le aveva
regalato per il suo compleanno).
***
Roberta, invece, non era
al chiosco, ma seduta poco distante sotto un albero col suo blocco da disegno,
con lo sguardo fisso fra le pagine. Per tutti i cinque minuti in cui Chiara
rimase, da lontano, ad osservarla, non aveva mai alzato la testa: aveva tutta
l’aria di chi è così assorto nel proprio lavoro da non aver bisogno di rendersi
conto di ciò che lo circonda. Quello era il suo piccolo mondo e a Chiara sembrò
così bello poterla guardare che quasi si ricredette sull’idea di andare lì a
parlarle.
Ma poi- probabilmente per
verificare di star riproducendo fedelmente il suo modello, un grosso albero in
fiore qualche metro accanto a Chiara- Roberta alzò la testa, trovandosi di
fronte proprio Chiara, che sentendosi i suoi occhi azzurri addosso non poté far
a meno di sentirsi in colpa per averla distratta, ma allo stesso tempo felice,
così felice che la stesse guardando.
-Hey,
che ci fai qui?-
La voce di Roberta suonò
limpida e squillante alle sue orecchie, stava sorridendo e sembrava felice che
invece dell’albero di pesche ci fosse lei. Erano a qualche metro di distanza,
ma Chiara riusciva a scorgere l’espressione dei suoi occhi, e il modo in cui
stava cercando di non sorridere troppo, così presa alla sprovvista, contraendo
i muscoli ai lati della bocca, rendendo le due fossette delle guance più
visibili. Cercò di schiarirsi la voce e di risponderle, ma non riusciva a
capire dove fosse finita. La gola pulsava come se il cuore ci si stesse
aggrappando, cercando di uscirle di bocca. Le dita le formicolavano, quella
sensazione del fluire del sangue avanti e indietro sotto la pelle, un caos
pulsante, troppo intenso per non lasciarla ogni volta trafelata. Così rimase in
silenzio e le si avvicinò.
-
Ciao…
Si sedette accanto a lei,
sorridendole timidamente. Roberta le fece spazio, spostando i fogli e le
matite.
-
Passavo di qui con Carmen, e ho pensato di
cercarti. Ti ho trovata qualche minuto fa, ma non volevo disturbarti.
Roberta piegò la testa
verso di lei, guardandola ridendo.
-
Ma non mi disturbi, ero solo qui a
disegnare un po’. Pensavo foste in giro per il pomeriggio fra amiche.
Chiara notò che attorno a
loro c’era solo gente venuta a fare jogging, e che a tratti era deserto. La
luce era ancora forte, erano le sei e mezza, e si abbandonò completamente sulle
gambe della sua ragazza.
-
In realtà volevo vederti.
Con la guancia poggiata
sul tessuto dei suoi jeans chiari, guardava assorta lontano, mentre Roberta le
passava una mano fra i capelli. Chiuse gli occhi, sospirò piano. Era tutto così
calmo, fluiva lento eppure veloce, aveva voglia di aggrapparsi a Roberta per
fare in modo che non scivolasse via.
-
C’è qualcosa che non va?
Chiara si voltò,
guardandola direttamente in viso per rassicurarla. Le sorrise, senza perdere la
sua iniziale timidezza, godendosi quelle carezze morbide sulla fronte, le
guance, le labbra, la punta del naso.
-
No, ma volevo stare con te, da sole.
Roberta si chinò- non
prima di aver appurato che nei dintorni non ci fosse nessuno- e le lasciò un
bacio veloce sulle labbra.
-
Ti va di ascoltare un po’ di musica?
-
Sì, ma prima volevo dirti una cosa.
Chiara si beccò un altro
sguardo interrogativo. Non voleva farla preoccupare, per cui sospirando pensò
bene di iniziare col soliloquio che aveva ripassato tante volte in quei giorni,
ma tutto ciò che uscì dalla sua bocca furono poche parole.
-
Sono proprio innamorata di te.
Roberta per tutta
risposta la baciò di nuovo, e Chiara si sentì spaccare in due dall’emozione che
aveva dentro, lo stomaco sotto sopra a cui non aveva ancora fatto l’abitudine,
le guance ardenti, le dita incapaci di metabolizzare tutti quegli impulsi
nervosi e indecise se aggrapparsi ai suoi capelli o cingerle delicatamente il collo.
Fu un bacio molto lento, ma profondo. Chiara si ricordò che era di questo di
cui voleva parlarle, questa forza di cui si sentiva in balia ogni volta che la
baciava, che le diceva “abbandonati, abbandonati”, come una ninnananna, un
incantesimo sempre più profondo, che la lasciava intorpidita, elettrica, fuori
da se stessa.
-
Anche io sono innamorata di te- sorrise
Roberta, e lasciò andare indietro la testa, poggiandosi al tronco dell’albero,
come cercando un sostegno.
Chiara le prese una mano,
per attirare la sua attenzione. Poi le chiese: - La senti anche tu questa cosa?
-
Cosa?
-
Questa forza che mi attrae a te e mi fa
impazzire, come se mi partisse dallo stomaco- se lo indicò, come a volersi
sviscerare- a volte fa quasi male da quanto è intenso, non riesco a
controllarlo.
-
Vuoi sapere se ti desidero?
A Chiara mancò un
battito, tutto attorno a lei aveva perso definitivamente consistenza. Fluiva e
correva e allo stesso tempo la lasciava pietrificata e immobile. Si sentiva
scoppiare ma allo stesso tempo stretta in catene invisibili. Senza sapere come,
un sì tremolante fece in tempo ad uscire dalla sua bocca prima che la
chiudesse, mordendosi le labbra, in uno spasmo di nervosismo.
Roberta, vista da dove la
osservava Chiara, dal basso verso l’alto, sembrava troneggiare su di lei,
invadendola con una sensazione di completa e incredibile impotenza. Chiara si
sorprese al desiderare non solo che fosse lei a prendere in mano la situazione,
ma che addirittura le chiudesse la bocca costringendola a stare zitta e a
smetterla con tutte quelle sue chiacchiere, quel suo nervosismo, perché non
c’era bisogno, stava accadendo esattamente quello che doveva accadere e non
c’era via d’uscita se non lasciarvisi completamente andare.
-
Io ti desidero- rispose infine, fissandola
negli occhi, spostando una mano dalla sua guancia al collo.
-
Perfetto, perché ti desidero anche io e in
questi giorni mi stavo torturando nel tentativo di capire se fossi l’unica.
Roberta rise, e il modo
in cui rise sembrò- alle orecchie di Chiara- l’eco del modo ilare con cui aveva
riso Carmen qualche ora prima. Era stata davvero lei quella assurda, a farsi
tutti questi problemi?
-
Come potresti essere l’unica?
Chiara alzò le spalle.
-
Ti ricordi quando ci siamo conosciute? A
Vienna, quella sera che mi parlasti di Massimo e di come ti eri sentita male
perché lui voleva, insomma…
-
Sì, mi ricordo. Ma questo che c’entra?- Roberta rise di nuovo.
-
Non lo so, pensavo che avresti pensato lo
stesso di me… che ti avrei messo pressione, ti giuro, non ne ho la più pallida
idea. Io non ho mai provato una cosa del genere, non so neanche come si
gestisce, cosa devo fare… non so assolutamente nulla.
Roberta con la mano le
fece gesto di spostarsi più in là, in modo da potersi stendere anche lei
sull’erba. Ora erano l’una di fronte all’altra, e si guardavano senza quasi
sbattere le palpebre.
-
Io non ho idea di che cosa si debba fare,
ma lo voglio- disse, dopo un po’ di silenzio – con te. Tu lo vuoi?-
Chiara mosse la testa,
assentendo.
-
Quando mi baci o mi tocchi non c’è niente
che voglia di più che tu non ti stacchi. Capisci cosa intendo? Con Massimo, con
chiunque altro era un’agonia anche solo pensarci. Ma come puoi solo pensare di
essere simile a loro? Io ti adoro, sei meravigliosa e quello che mi fai provare
io cerco di esprimerlo ma a volte non ci riesco. Mi fai sentire al sicuro e
sempre protetta, mi sento come dentro una piccola tenda nel mezzo del bosco.
-
È un’immagine carina.
-
Già, forse un giorno dovremmo andare in
campeggio insieme.
-
Sì, ma solo se mi proteggi dagli insetti!
-
Affare fatto.
***
-Sabri,
tu sei sicura di aver visto bene?
Sabrina guardò Riccardo
dall’altro lato del tavolino del bar. Sorseggiò per un po’ la sua coca-cola,
poi tornò a guardarlo. Pensò che fosse molto carino, nella sua maglietta bianca
e pantaloncini da allenamento, con i capelli biondi un po’ sparati e gli occhi
castani confusi, e che di sicuro ora aveva più possibilità con lui che non
Chiara. Chiara, la sua compagna di scherzi, ormai così misteriosa per lei, come
se vivesse anni luce dal suo pianeta. Perché, se ci aveva visto bene, Chiara
non le aveva parlato? Era sinceramente arrabbiata con lei, ma non si seppe
spiegare il perché. D’altronde, capiva che fosse una faccenda delicata e che
magari non se la fosse sentita di dirglielo. Ma la convinzione che Carmen e
Ivan sapessero (se ne era accorta quando era uscita con
Ivan e lui aveva accuratamente evitato di portare avanti l’argomento) le diede
molta amarezza, come se lei fosse sempre l’ultima ruota del carro, e non solo
Chiara non si fidasse di lei, ma nemmeno ne avesse un’opinione tale dal
giudicarla meritevole di un tale segreto. Che poi in ballo ci fosse la sua
omosessualità o meno, a Sabrina non poteva importare di meno. Per come la
vedeva lei, non c’era neanche da discuterne. Certo, forse si sarebbe potuto
parlare di come si fosse scelta proprio Della Corte- colei che le aveva vessate
per anni, non solo Chiara, ma anche lei stessa, Sabrina dai capelli colorati e
i voti sempre più bassi, lei e le sue insicurezze sempre prese di mira, lei che
non era niente di che a confronto con i suoi amici-, ma per il resto, beh, che
facesse pure quello che le pareva. Quello che però non le andava a genio era il
fatto che, ancora una volta, lei fosse giudicata a priori di poca importanza.
-
Ti dico di sì, pensavo fosse te che stesse
baciando, ma tu non hai i capelli neri, Ricky, e decisamente non ti metti la
matita e il mascara.
Riccardo, d’altronde, era
abbastanza sotto shock. Chiara, il suo
amore impossibile… insomma, era lesbica? No, non voleva crederci. Sabrina, ne
era sicuro, se lo stava inventando per farlo desistere dal riprovarci con lei.
Non era impossibile, dopo tutto. Era convinto che avesse una cotta segreta per
lui.
-
Okay ma quindi che succede, stanno
insieme? Magari erano ubriache e, non so, volevano esercitarsi. Voi ragazze lo
fate, vero?- chiese ormai senza alcuna speranza,
suonando ridicolo perfino a se stesso.
-
No Ricky, noi ragazze non lo facciamo. O
almeno, non nel modo in cui lo stavano facendo loro…
-
Oh
mio dio. Sono sconvolto.
-
Già, non dirlo a me. Io sono solo la
stupida che fa ridere tutti, ma nessuno si degna mai di darmi una spiegazione.
Riccardo aveva ancora la
testa fra le mani e lo sguardo vacuo perso a fissare il marmo del tavolino,
quando Sabrina aggiunse, con finta nonchalance:
-
Allora, ti va di andare al cinema sabato
sera?
**
-
Darling! Ma
dove sei stata tutto il giorno? Ho chiamato la madre di Carmen e mi ha detto
che siete uscite. Si può sapere perché non rispondi mai ai messaggi?
Chiara entrò in cucina
come un fulmine, aprendo il frigo e cercando dell’acqua. Il sole stava
tramontando, e si sentiva così piena di energia che dubitava avrebbe avuto la
pazienza di sedersi a tavola a mangiare la cena. Margaret triturava il
prezzemolo e di tanto in tanto lo aggiungeva ad un filetto di trota che bolliva
in padella.
-
Eravamo al parco, abbiamo perso la
concezione del tempo.
-
Siete incredibili, neanche il tempo di
finire la scuola che già siete in giro a bighellonare a tutte le ore.
Chiara le si avvicinò per
darle un abbraccio.
-
Ma ce lo siamo meritate, vero? Abbiamo
lavorato sodo quest’anno.
Margaret sospirò, sapeva
che sua figlia aveva ragione.
-
Sì, ma questo non impedisce a voi
signorine di rispondere alle chiamate!
-
Non devi sempre preoccuparti per me! Ho
quasi diciassette anni mamma!
-
Già, una vera donna vissuta… ne riparliamo
dopo questo weekend che passerai sola a casa, piccola, voglio vedere come te la
cavi senza chiamarmi nemmeno una volta! Te l’ho detto, vero, che io e tuo padre
abbiamo anticipato la nostra piccola vacanza? È incredibile quell’uomo, non
riesce a trovare un momento libero neanche d’estate! Bisogna approfittare del
periodo poco impegnato. Ma tranquilla… saremo di ritorno per lunedì, in tempo
per vedere la tua pagella di quest’anno.
-
Vedrai che non vi deluderò, sono una
figlia modello, io!
Chiara cercò di non farsi
notare mentre sorrideva sorniona. Oh, aveva già piani per quel fine settimana.
E di sicuro non avrebbe sentito alcun bisogno di chiamare sua madre.