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Autore: Naco    29/11/2019    1 recensioni
Quando la sua professoressa di tesi propone a Lucia - seria e coscienziosa laureanda in Lettere - di dare ripetizioni di francese al proprio figlio, la ragazza capisce subito che, accettando, rischia di cacciarsi in un mare di guai: Giulio Molinari è il classico figlio di papà che pensa solo alle ragazze e assolutamente disinteressato a costruirsi un futuro Insomma, il tipo di persona che lei detesta.
Ma è davvero così impossibile che due persone così diverse possano avvicinarsi? In una girandola di battibecchi, scontri e incomprensioni, tra parenti ficcanaso e fedeli amici, tesi da preparare e lezioni di francese da seguire, Lucia e Giulio si renderanno presto conto che non sempre l’altro è poi così diverso da noi e che, forse, la nostra anima nasconde un ritratto molto più bello di quello che noi preferiamo mostrare agli altri.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
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VI


Quando la professoressa Gallo mi convocò nel suo studio erano ormai trascorse più di due settimane dacché avevo iniziato a dare ripetizioni a suo figlio.
Durante quel periodo avevo rimuginato parecchio su quello che era accaduto a casa sua, molto più di quanto mi piacesse ammettere. Eppure, quando il lunedì successivo tornai da loro, Giulio si comportò come se non fosse successo niente e neanche nei giorni successivi fece mai cenno al quadretto, né con un’allusione né nominandolo. Non fece una piega neanche quando suo padre, che fece la sua comparsa per informarsi su come stesse procedendo, decise che, per adesso, sarebbero stati sufficienti due incontri settimanali, il martedì e il giovedì, per venire incontro ai miei impegni universitari.
Dovevo ammettere che questo mi aveva rincuorata non poco: la scadenza per consegnare la tesi in segreteria si avvicinava in modo inesorabile e io trascorrevo tutto il mio tempo a controllare citazioni e a correggere capitoli. Sia Claudia che Andrea mancavano da qualche giorno: la prima aveva deciso che preferiva restare a studiare a casa, mentre Andrea mi aveva scritto che non stava molto bene. Senza di loro la sala studio era vuota, pensai guardandomi intorno, ma decisi che avrei reso produttive quelle ore di solitudine.
Per questo, quando Antonio venne a bussarmi sulla spalla per dirmi che la professoressa mi cercava, sussultai.
«Oh, scusa. Non volevo spaventarti» disse, ma mi vedeva che la scena l’aveva divertito, perché non era riuscito a nascondere un sorriso. Da una parte, ne fui contenta: Antonio era sempre così serio che a volte pensavo che non ridesse mai.
Non mi accomodavo nella stanza della mia docente da quel famoso martedì in cui erano iniziati tutti i miei problemi, ma la situazione, stavolta, era molto diversa: non solo c’erano anche le altre colleghe e Antonio, ma quando varcai la soglia avvertì subito un’atmosfera molto più rilassata e questo tranquillizzò anche me.
Appena mi vide, la professoressa mi sorrise: «Buongiorno, Lucia. La vedo molto più serena oggi.»
Sorrisi di rimando: anche lei stava pensando alla nostra conversazione, dunque.
«Ho saputo che sta svolgendo un lavoro ineccepibile con Giulio, e di questo non saprò mai come ringraziarla.»
«Siamo solo agli inizi, non ho fatto molto,» cercai di schermirmi. In realtà non avevo alcun merito, ma non potevo certo dirglielo: per quanto quella situazione mi disturbasse moltissimo, c’erano delle dinamiche troppo delicate in quella famiglia e non volevo farne parte. Con questo non voglio dire che non impiegassimo le nostre ore studiando: avevo preso un impegno e, costi quel che costi, l’avrei portato a termine; solo che colmare qualche lacuna grammaticale era molto diverso dal dover insegnare una lingua dalle basi.
«Non parlo dal punto di vista accademico.»
«Allora non capisco,» ammisi.
«Mi riferisco all’atmosfera in casa. Da quando lei ha iniziato a seguire Giulio, mio marito è molto più calmo e questo si ripercuote in modo positivo anche su di me: Giulio ha accettato la nostra scelta e riusciamo persino a parlarci senza che la conversazione degeneri in una lite. Margherita ne è così felice che spera tanto che conosca anche altre lingue da insegnargli.» Ridemmo insieme.
«Tuttavia non credo che la mia presenza faccia così piacere a suo figlio,» ammisi.
«Lei crede? Eppure Margherita mi ha detto che non ha mai neanche tentato di saltare una lezione.»
Avrei voluto farle notare che la presenza costante e quasi asfissiante di suo padre era stata un ottimo incentivo affinché suo figlio non provasse a sottrarsi al proprio dovere, ma non me la sentii di strapparle via quella convinzione. Del resto, era vero, Molinari in quei giorni si era comportato come un allievo modello. Eppure, qualcosa mi diceva che non si era arreso. Sebbene, infatti, nei nostri ultimi incontri avesse sotterrato l’ascia di guerra e avesse assunto un atteggiamento quasi cortese verso di me, ero sicura che dentro di sé stesse covando qualcosa. Era l’istinto a suggerirmelo: presto o tardi me l’avrebbe fatto pagare, ma non avevo idea del come. E in quel periodo, ero troppo occupata per pensarci.
«Tuttavia, l’ho fatta venire qui non solo per parlare di mio figlio, ma per un altro motivo.»
All’improvviso l’atmosfera nella stanza divenne più seria e io mi feci più attenta.
«Lei conosce la professoressa Carlotta Galanti, vero?»
«Certo.» Annuii pronta: la professoressa Galanti era uno dei nomi più autorevoli nel campo della letteratura latina. In particolare si era specializzata nello studio delle tragedie di Seneca e in quel momento stava insegnando a Parigi.
«Bene. Qualche giorno fa, ci siamo sentite a proposito di un ciclo di conferenze cui prenderemo parte entrambe e le ho parlato della sua tesi di laurea. È rimasta molto colpita dalle sue opinioni e le piacerebbe leggere il suo elaborato.»
Inghiottii a vuoto: Carlotta Galanti che si interessava al mio lavoro? Era impossibile!
«Certo, le ho spiegato che il lavoro è ancora in fieri, ma era così curiosa che mi ha fatto promettere di inviarle anche solo un breve riassunto. Allora, cosa ne pensa?»
Ero troppo sconvolta per articolare un pensiero coerente. Se me l’avesse detto qualcun altro avrei pensato a uno stupido scherzo, ma la professoressa Gallo non era quel tipo di persona. «Ma è sicura?» fu tutto quello che riuscii dire.
Nella stanza tutti scoppiarono a ridere e io mi diedi della stupida.
«Lei è troppo modesta, signorina» commentò la professoressa Anselmi con un sorriso bonario.
«Scusatemi, è che io…» avevo le guance in fiamme e la testa mi girava.
«So bene che questa notizia arriva inaspettata e, soprattutto, in un momento in cui è molto impegnata, ma io le consiglio di battere il ferro finché è caldo. D’altronde, Antonio mi ha confermato che, a parte qualche dettaglio da rivedere, il suo lavoro è ormai completo.» Il ragazzo assentì, anche se io non ne ero per niente convinta. «Io direi che potrebbe preparare un breve abstract della sua tesi e, se Carlotta si mostrerà davvero interessata, in seguito potrebbe inviarle una copia del lavoro completo.»
Acconsentii, ancora troppo scossa per aggiungere altro. La professoressa aveva ragione: il fatto che la professoressa Galanti si fosse interessata al mio lavoro era un’occasione che andava presa al volo. Di sicuro, era una donna impegnatissima, che avrebbe dimenticato in fretta quella conversazione avuta in un imprecisato giorno di maggio con una collega di Bari, perciò mi conveniva tenere desta la sua attenzione. Del resto, tentare non costava nulla: se le mie teorie non le fossero piaciute, avrebbe bollato il mio studio come l’idea di una laureanda incline alla fantasia, per quanto le prove che portavo fossero piuttosto solide.
«Ce la fa a preparare una bozza per domani pomeriggio? Potremmo vederci a casa mia per rifinirla e inviargliela subito.»
Certo che ce l’avrei fatta. Nel pomeriggio avevo lezione con suo figlio, ma ero certa che non avrebbe avuto problemi nello spostarla.
Mi ritrovai all’esterno dell’ufficio senza ricordare neanche come ci fossi arrivata, la mente che già prendeva appunti su cosa avrei potuto scrivere.
«Sono molto contento per te, Lucia» Non mi ero neanche resa conto che Antonio fosse accanto a me finché non aveva parlato.
«Per la verità sono preoccupata: non credo di essere all’altezza. Sono solo una studentessa» ammisi.
Antonio scoppiò a ridere: «È normale, ‘sta tranquilla. Anche io agli inizi del mio dottorato ero un po' nervoso all'idea di aver a che fare con docenti di una tale fama, ma dopo ci si rende conto che sono delle persone come noi.»
Annuii, più per educazione che per altro. Non che non credessi alle sue parole, ma vivere certe esperienze sulla propria pelle è ben diverso dal sentirsele raccontare.
«Piuttosto, vorrei parlarti di una cosa,» all’improvviso abbassò il tono della voce e si chinò verso di me «hai notizie di Andrea?»
«Andrea? Mi ha detto che non sta bene. Perché?»
«Ah, ok. Non mi ha ancora consegnato l’ultimo capitolo corretto e volevo capirne il motivo.»
«Vedrai che appena si riprende te lo manda.»
Antonio non parve molto convinto e avrei tanto voluto domandargli se fosse successo qualcosa, ma qualcuno lo chiamò e lui si allontanò in fretta.
Non ebbi neanche bisogno di telefonare a Molinari per dirgli del cambiamento di programma per il pomeriggio perché, appena tornai nel corridoio principale della biblioteca, lo trovai seduto a uno dei tavoli riservati agli studenti in compagnia della ragazza dai capelli rossi che avevo visto con lui qualche settimana prima; in realtà sembravano più interessati a scambiarsi effusioni che a dedicarsi allo studio, ma feci finta di nulla e mi schiarii la gola per attirare la loro attenzione. Mi dispiacque notare che quella mattina la signora Enza non era al suo solito posto, perché dubitavo che avrebbe permesso che sotto il suo sguardo vigile si tenesse un simile comportamento, che si trattasse o meno del figlio della Gallo.
«Ehilà, prof! Hai bisogno di qualcosa? O vuoi unirti al nostro gruppo di studio?»
La tizia fece una risatina e io la incenerì con lo sguardo.
«Volevo dirti che oggi pomeriggio mi è sorto un impegno improvviso. Ti spiace se spostiamo il nostro appuntamento?» Fu con una certa soddisfazione che vidi la ragazza fare una faccia strana alla parola “appuntamento”.
«Pas de problème.» replicò pronto e, senza attendere neanche che me ne andassi, tornò al suo “gruppo di studio”.
Lanciai uno sguardo ai libri sul tavolo: tra manuali di letteratura greca e fotocopie di versi da tradurre, spiccava anche un libro di archeologia greco-romana. Qualunque materia quella ragazza stesse studiando, dubitavo che avrebbe superato tanto facilmente l’esame, visto l’impegno che stava mettendo nella preparazione.


Trascorsi quella giornata e la mattina successiva a casa, a scrivere e a riscrivere in modo ossessivo la bozza del mio abstract: ogni volta che mi sembrava di aver colto il punto focale della mia dissertazione, ecco che un nuovo dubbio si insinuava nella mia mente, perciò cancellavo tutto e riscrivevo daccapo. Era la prima volta che mi dedicavo a un’attività del genere e, pur avendo letto moltissimi riassunti accademici, non ero per niente convinta di aver fatto un buon lavoro.
Alla fine decisi che la professoressa Gallo era l’unica persona che avrebbe potuto sciogliere i miei dubbi, così misi da parte tutte le bozze che avevo creato e mi recai a casa sua. Guardai l’orologio: erano quasi le 17.30 e lei mi aveva dato appuntamento per le 18.30 perciò, tenendo conto del traffico che avrei potuto trovare, sarei arrivata in perfetto orario.
Contro tutte le mie previsioni, sulla strada non trovai né ingorghi né rallentamenti, così alle 18:00 ero già lì. Sperando di non essere troppo in anticipo, citofonai e la signora Margherita venne ad aprirmi.
«Ciao Lucia. Cerchi Giulio?»
«Buongiorno, Margherita.» non mi ero ancora abituata a chiamarla per nome, ma lei aveva insistito con forza: “Se mi dai ancora della signora, mi offendo!” mi aveva apostrofato l’ultima volta e infine mi ero arresa; aveva sperato che passassi al tu, ma su quello ero stata irremovibile. «No, ho un appuntamento con la professoressa Gallo, ma temo di essere in anticipo.»
Un lampo di consapevolezza la illuminò. «Oh, certo, che sbadata! La signora me l’aveva accennato, ma me ne ero dimenticata. Entra, entra, cara» mi fece largo spostandosi «La signora non è ancora arrivata, ma sarà qui a breve. Fa’ come se fossi a casa tua.»
«Chi è, Marita?» domandò una voce provenire dall’alto. Alzai lo sguardo e vidi Molinari affacciato alla rampa che conduceva al secondo piano.
«Oh, sei tu, prof» Non riuscivo a capire se fosse deluso o schifato. «Non mi pare dovessimo vederci oggi.»
«Sono qui perché ho del lavoro da fare con la professoressa. Sta’ tranquillo, non ho intenzione di distoglierti da qualsiasi attività stia occupando il tuo tempo. Anzi, a dire il vero pensavo non ci fossi.»
Alzò le spalle: «Ho delle cose da fare.»
«Non dargli retta, cara» s’intromise Margherita, sottovoce «Stamattina ho avuto un capogiro e non ha voluto lasciarmi sola.»
«Ma ora sta bene?» mi interessai preoccupata.
«Oh, certo, cara, non agitarti: è colpa di questi sbalzi climatici.» Dopodiché si rivolse a Giulio che, nel frattempo, stava per ritornare di sopra. «Giulio, perché non fai compagnia a Lucia in attesa che torni tua madre?»
Sbuffò, visibilmente infastidito da quella storia e, per una volta, ero d’accordo con lui.
«Ma no, Margherita, non si preoccupi. Posso aspettarla qui o darle una mano» annusai l’aria «Sento un ottimo profumo. Cosa sta preparando di buono? Parmigiana?»
«Uh, l’hai notato? Brava ragazza! No, no, cara, non ti preoccupare, ormai è quasi tutto pronto. Voi giovani dovete stare tra di voi, non perdere tempo con me. Su, su!» e, così dicendo, sequestrò la borsa con il computer che avevo con me e mi spinse verso le scale; Molinari sospirò, ma aspettò comunque che lo raggiungessi.
«Allora, qual è questa importantissima attività che ti ha impedito di uscire?» indagai una volta arrivata in cima alle scale.
«Stavo guardando un porno. In francese, évidemment
«Ottima scelta: il modo migliore per affinare le proprie capacità di ascolto. E il vocabolario.» Mi parve di cogliere una mezza risata, ma fu lesto a nasconderla. Lo seguii in quella che doveva essere la sua camera: sulla scrivania il portatile era aperto e sullo schermo troneggiava l’immagine di Aidan Turner. «Desperate romantics» riconobbi subito la scena della serie in questione. «Rossetti non è quel che si definisce un verginello, ma definirlo porno mi pare un po’ eccessivo.»
Giulio inarcò le sopracciglia sorpreso. «Non pensavo lo conoscessi.»
«So che può sembrarti assurdo, ma anche io ho degli hobby.»
«Quindi ti piacciono le serie TV?» Per una volta, il suo interesse sembrava genuino.
«Direi di sì. Soprattutto quelle a sfondo storico.»
«Non avevo dubbi.»
Stavolta fui io ad alzare le spalle: «Cosa vuoi, sono una persona banale. Ti piace l’arte?» domandai e, all’improvviso, mi sovvenne il manuale di archeologia greco-romana che avevo visto il giorno prima sul tavolo della biblioteca. Dunque era lui che lo stava leggendo.
«Abbastanza.»
«Allora dovresti vedere The impressionists se non l’hai già fatto: racconta la storia degli impressionisti dal punto di vista di Claude Monet.»
Non seppi mai se conoscesse quella serie, perché Margherita lo chiamò e lui la raggiunse in fretta.
Rimasta sola, mi guardai intorno incuriosita: non avevo mai pensato a come potesse essere la stanza di Giulio Molinari, anche se ero stata in quella casa ormai tante volte. Qualunque idea potessi essermi fatta, sarebbe stata comunque errata. La camera, infatti, era tappezzata di libri, soprattutto di arte: greca, latina, egizia, moderna, medievale, contemporanea, guide di musei e monografie sugli artisti. Per lo più si trattava di opere concernenti la pittura, ma intravidi anche alcuni volumi di architettura. Ne rimasi colpita: neanche la biblioteca di storia dell’arte dell’università era così ben fornita.
La mia attenzione cadde su un blocco da disegno, posto accanto al computer. Nonostante fossi ben conscia che non dovessi farlo, la curiosità ebbe la meglio e lo aprii; c’erano schizzi di vario genere, da scorci del lungomare a nature morte; la maggior parte dei disegni, però, raffigurava una ragazza sui vent'anni. Era davvero bellissima e non potei fare a meno di chiedermi chi potesse essere.
«Proprio non sai farti gli affari tuoi, eh prof
Non l’avevo sentito entrare, perciò mi voltai di scatto, spaventata, e l’album cadde per terra con un tonfo leggero. Molinari mi fissava furioso, gli occhi che mandavano lampi. Come quel giorno.
Avrei dovuto scusarmi per la mia invadenza, «Sono bellissimi» fu l’unica cosa che, invece, riuscii a dire.
«Sono solo sciocchezze» recuperò il blocco da terra e lo lanciò sul letto, indifferente.
«Non è vero!» Sapevo che avrei dovuto tacere, ma non ce la feci. «Perché non hai frequentato l’Accademia delle Belle Arti? Secondo me sei...»
«Disegnare non ti dà da mangiare» commentò acido.
«Ma che dia...?» mi bloccai e, in quel momento, realizzai. Non era lui a pensarla così, ma i suoi genitori o, per lo meno, suo padre. Era lui, quindi, che l’aveva costretto a seguire i suoi stessi passi e a non coltivare i propri sogni? Era quello il motivo per cui i loro rapporti erano così tesi? E sua madre? Era d’accordo con il marito? Questo spiegava perché facesse di tutto per boicottare le loro decisioni.
Dal basso si sentì il rumore di una porta che veniva chiusa e un vocio indistinto.
«Credo che mia madre sia tornata.» Commentò gelido.
Per un attimo, non mi mossi. Avrei voluto scusarmi e al contempo porgli mille domande, ma ero sicura che non mi avrebbe mai risposto; del resto, chi ero io per fargliele? Così non dissi nulla, ma annuii e scesi al piano terra.


Lavorammo per ore, completamente assorbite da quello che stavamo facendo. Quando infine inviammo il documento corretto alla professoressa Galanti, ci rendemmo conto che il sole era ormai tramontato.
«Mi dispiace averle fatto fare così tardi, Lucia. Perché non si ferma a cena con noi? Dopo la faccio riaccompagnare a casa da Giulio.»
Apprezzai l’invito della professoressa, ma dopo quello che era accaduto poche ore prima, non mi andava di rivedere ancora suo figlio.
«Non si preoccupi, ho la mia macchina. Mi ci vorrà pochissimo per tornare a casa.»
«Ma resta almeno per la cena, vero? Margherita ne sarebbe così contenta!»
“Non credo che suo figlio lo sarebbe altrettanto”, avrei voluto replicare. «Io... non voglio disturbare, davvero,» mi schermii, ma la donna si era già alzata e si era affacciata alla porta «Margherita, puoi aggiungere un posto a tavola, per favore? Lucia resta a cena con noi.»
Visto che non avevo potuto rifiutare, sperai che almeno suo figlio avesse deciso che Margherita si fosse ripresa del tutto e che fosse uscito; invece, non solo era rimasto a casa, ma me lo ritrovai come vicino a tavola.
Non mi sentivo così a disagio da… non riuscivo neanche a ricordare quando, benché di occasioni imbarazzanti, nel mio paese, ne avessi vissute parecchie.
«Suo marito non si unisce a noi?» m’informai, più per allentare la tensione che per reale interesse. Da quando avevamo iniziato a mangiare, regnava una strana atmosfera: la professoressa Gallo all’inizio aveva tentato di coinvolgere suo figlio in una conversazione, ma lui aveva risposto a monosillabi, chino sul suo piatto, deciso a ignorare sia me che sua madre, perciò aveva presto rinunciato. Solo Margherita continuava a volteggiare per la stanza, ignorando quel silenzio fra i commensali, felice di avere un’ospite che apprezzasse la sua cucina.
«No, lui è andato a Milano per un convegno. Starà via un paio di giorni.»
Oh, adesso sì che si spiegavano molte cose.
«A proposito, oggi mi ha telefonato Giuseppe. Mio fratello» aggiunse a mio beneficio.
Per un attimo, mi era parso di cogliere un movimento alla mia sinistra; tuttavia, quando mi voltai, Molinari era ancora intento a studiare il proprio tovagliolo.
«Oh. Come sta?» s’interessò invece Margherita con una voce di un’ottava più alta: doveva averlo molto a cuore, per aver avuto una simile reazione.
«Bene. Mi ha detto che lui e Sophie verranno in Italia per qualche settimana e mi hanno chiesto se possiamo ospitarli.»
«Sono secoli che non li vedo. Come stanno? E le piccole?»
La signora rise. «Margherita, ormai Christine e Annette sono diventate grandi: ricordati che Annette ha la stessa età di Giulio e Christine è sposata.»
«Cosa vuole, signora, per me resteranno sempre delle bambine. E anche Giulio» e gli scompigliò con tenerezza i capelli.
Il diretto interessato non gradì molto il gesto, perché si scostò: «Marita, per favore!»
La sua reazione mi sorprese, perché con Margherita non si era mai mostrato sgarbato. Forse gli dava fastidio che lo trattasse come un bambino davanti a me? Tuttavia, Margherita non se la prese, ma si allontanò ridacchiando.
«Sono gli zii che vivono in Francia?» domandai incuriosita.
La professoressa Gallo non ebbe neanche il tempo di rispondermi, perché Giulio scostò con violenza la sedia e «Certo che sei proprio una ficcanaso, tu!» mi urlò uscendo fuori dalla stanza e sbattendo la porta.
«Ma che…! Giulio! Lucia, mi dispiace per il suo comportamento…»
Le due donne continuarono a scusarsi, ma io le ascoltai a mala pena, mille domande che affollavano la mia mente. Perché si era comportato così? Cosa avevo detto di sbagliato? D’accordo, ce l’aveva con me per la storia del blocco da disegni, ma la sua reazione mi sembrava troppo esagerata e, soprattutto, tardiva. Non voleva che facessi domande sulla sua famiglia? Certo, mi aveva dimostrato che non gradiva che curiosassi nella sua vita privata, ma quello che avevo chiesto non mi era parsa questa gran cosa.
Continuai a pormi queste domande anche dopo aver accompagnato Margherita a casa ed essere tornata nel mio appartamento. Nonostante ciò, non riuscii a trovare una risposta a nessuna di esse.
   
 
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