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Autore: lady lina 77    29/11/2019    2 recensioni
Poldark, Season 5 Episodio 8: Cosa sarebbe successo se nell'episodio finale le cose fossero andate diversamente e Demelza si fosse imbarcata davvero coi suoi figli per la Jamaica, lasciando Ross al suo presunto tradimento con Tess? Cosa la attende ai Caraibi? Cosa le succederà? Che donna potrebbe diventare in quelle terre selvagge popolate da pirati? E i suoi figli?
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Demelza Carne, Nuovo personaggio, Ross Poldark
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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In quelle due sacche da viaggio misere, nemmeno troppo pesanti ma dal valore immenso, c'era tutta la sua vita. C'era quel poco che a Demelza sarebbe servito nel nuovo mondo in cui stava per giungere e quel poco della sua vecchia esistenza da cui non avrebbe mai potuto separarsi: il suo pettine, i semi di alcune piante del suo giardino di Nampara, qualche vestito suo e dei bambini, quel poco di denaro che aveva accettato da Dwight e null'altro. Il resto era rimasto in quella che era stata la sua casa, la casa che l'aveva vista crescere, diventare donna e poi moglie e madre. Aveva lasciato lì tante cose, nella fretta di andarsene. Ed ora aveva il cuore spezzato per i tanti affetti, amici e conoscenti che non avrebbe più rivisto e per un amore grandissimo e ancora vivo che però non era più corrisposto... E avvertiva il peso nel cuore di non aver salvato il suo uomo da se stesso, facendola sentire una fallita. Ross si stava scavando la fossa da solo e lei, sua moglie, non poteva farci nulla, non poteva salvare chi non vuole essere salvato...

Nel porto, sotto una pioggia battente, si guardò attorno e ritrovò un pò di forza in se stessa. C'erano Garrick, Prudie e i suoi due bambini accanto a lei, un altro era in arrivo e ci sarebbe stata tanta vita ancora da vivere, per provare ad essere felici di nuovo. Quindi non doveva piangere come aveva fatto ancora la notte appena passata, non doveva guardarsi indietro ma solo avanti, con fiducia. E per il resto...

"Scrivimi!" - la implorò Dwight, stringendola forte a se.

"Lo farò".

Il medico, guardandola negli occhi con una serietà eccessiva anche per una persona seria come lui, annuì. "Scrivimi quando arrivi, scrivimi quando avrai trovato un buon medico – e non un ciarlatano – che seguirà te e i bambini, scrivimi per farmi sapere della gravidanza, scrivimi per farmi sapere del parto, scrivimi sempre, appena puoi! Ci vorranno mesi perché le tue lettere mi arrivino, ma arriveranno e saranno per me e Caroline un grande conforto".

"Fallo sul serio, ti prego" – aggiunse la bionda ereditiera. "O Dwight impazzirà di preoccupazione e io dovrò sopportarlo per tutta la mia ancora lunga vita".

Dwight si sforzò di sorridere. "Per amore di Caroline, quindi fallo! E mi raccomando, salutaci Kitty e Cecily e appoggiati a loro tanto per iniziare".

"Lo farò, state tranquilli".

Demelza deglutì, i marinai stavano iniziando a issare gli ormeggi della nave e doveva imbarcarsi. Attorno a loro altre persone, altri viaggiatori in cerca di una nuova vita, stavano imbarcandosi e per mesi sarebbero stati i loro compagni di viaggio e una sorta di famiglia. "Lo farò!" - ripeté - "E voi farete lo stesso, appena vi farò sapere il mio indirizzo. Voglio sapere tutto, delle malattie che curerai, dei miracoli che farai, dei miei fratelli, dei vostri futuri bambini...".

A quelle parole Caroline e Dwight arrossirono, guardandosi negli occhi. Era ancora così difficile per loro, anche solo sperarci e pensare di essere di nuovo genitori... "Lo faremo".

Dwight si avvicinò a Jeremy e Clowance, accarezzando le loro guance. "Bambini, vi affido la mamma. Abbiate cura di lei e del vostro nuovo fratellino".

"Lo faremo".

"E tu Prudie fa lo stesso" – aggiunse Caroline, rivolta alla serva.

Prudie annuì, con fare fiero. "Assolutamente sta tutto in una botte di ferro".

"Botte di ruhm" – la corresse Jeremy. "Da quando ha saputo che in Jamaica producono il ruhm più buono del mondo, Prudie è la più contenta di tutti di partire".

Caroline rise. "Il ruhm? Bevanda amata da malfattori e pirati, dicono...".

Demelza cercò di apparire serena e di stare allo scherzo, aveva bisogno di alleggerire la tensione nel suo cuore e quel discorso in parte ci stava riuscendo. "Quando la vedrò al comando di una nave con una bandana nera in testa e un pappagallo sulla spalla... vi scriverò per farvi sapere anche questo".

"Pfuuuf..." - borbottò Prudie scocciata, prendendo i bambini per mano.

Garrick abbaiò quando il comandante urlò di salire sulla nave. Gli occhi di Demelza tornarono lucidi, aveva atteso con terrore quell'attimo e per un momento ebbe paura. Lo stava facendo davvero, stava lasciando tutto e tutti... Stava lasciando Ross, suo marito, il padre dei suoi figli, l'uomo più indomito, a volte irrefrenabile ma sempre guidato dal suo gran cuore e da tanta passione, al suo destino. E sarebbe stato un destino oscuro senza nessuno che gli ricordasse quanto nobile fosse il suo animo e quanto si fosse smarrito. Tess non era in grado di farlo, non lo sarebbe mai stata! Tremò ed ebbe paura per lui, se lo avessero scoperto a complottare coi francesi, terribile sarebbe stata la punizione. E lei non sarebbe stata lì a supportarlo, come sempre... "Dwight" – sussurrò, abbraciandolo di nuovo.

"E' ora, Demelza" – disse l'uomo, fra i suoi capelli rossi, tremando quanto lei.

La donna alzò il viso su di lui. "Ross..." - sussurrò piano, per non farsi sentire dai bambini – "Dagli un occhio, se puoi... se vuoi...".

"E' un adulto" – le ricordò Caroline.

Demelza fece un sorriso triste. "Un adulto che si è smarrito. E un buon amico non dovrebbe farglielo notare, se ne ha l'occasione?".

Dwight le accarezzò i capelli. "Ma io non credo di essere più un suo buon amico. Però ti giuro che vedrò di fare qualcosa, se me ne capiterà l'occasione" – concluse, più per tranquillizzarla che per sincera convinzione.

Demelza non disse nulla ma capì quanto fosse grande ciò che gli aveva chiesto e che non poteva forzare Dwight ad andare contro la sua coscienza giusta e ponderata. "E' stato bello conoscervi" – disse, a chiusura del discorso, sapendo già che gli sarebbero mancati tantissimo e che non avrebbe più trovato persone come loro, nel suo cammino.

"Anche per noi" – rispose Dwight, baciandole la mano. "Riguardati e soprattutto, cerca di essere di nuovo felice coi tuoi bambini. E' un mondo nuovo la Jamaica, tutto da costruire, e c'è bisogno, laggiù, di gente come te".

"Lo farò".

Prudie e i bambini si avvicinarono per salutare e poi con Garrick, salirono sulla nave. Demelza diede un ultimo sguardo ai suoi amici, al porto, alla sua amata terra che forse non avrebbe rivisto mai più. "Addio..." - sussurrò, forse rivolta al cielo, forse ai suoi amici, forse a quelle coste sferzate dal vento o forse a un uomo ancora amato, ancora così pericolosamente vicino ad essere la sua ragione di vita... Era tutto finito, laggiù. Ed era tutto ancora così indefinito, nel suo futuro. Senza di lui, senza la sua voce calda, senza il suo abbraccio di sera, senza la sua risata allegra e gentile, senza i suoi baci, senza di lui... Cosa sarebbe stata, lei, senza Ross Poldark? Il suo Ross...

Ma non era più suo, le suggerì una vocina nella sua mente...

"Mamma, sbrigati!" - urlò Clowance, col suo cappellino bianco in testa.

"Arrivo". E dopo un ultimo sguardo, Demelza salì sulla scaletta e raggiunse il pontile della nave. Diede un ultimo sguardo ai suoi amici, alla sua terra, alla vecchia Demelza che non sarebbe più tornata ad essere. E poi, incapace di veder sparire pian piano tutto davanti ai suoi occhi, inghiottito dalla distanza e dal mare, scese nella cabina che Dwight aveva prenotato per tutti loro. La sua nuova stanza, il suo nido per i mesi a venire. Pensò alla sua Nampara, alla sua camera, al letto dove Ross l'aveva amata e dove erano nati i suoi figli. Tutto perduto, tutto andato in fumo... Ora forse era già diventata la camera di Tess, quella...

E davanti a quel pensiero orribile, smise di pensare. Si gettò sul letto e pianse, di nuovo. Poteva farlo, ci sarebbe voluto un pò prima che i bambini scendessero di sotto e ancora non aveva voglia di sentirsi forte. Non quel giorno, non nel momento in cui stava dicendo addio a una vita che tanto amava e a tante persone che erano frammenti luminosi del suo cuore. Ci sarebbe stato tempo per diventare una nuova Demelza, domani. Ma oggi no, oggi si doveva piangere la vecchia Demelza che moriva e che ancora non era resuscitata dalle sue ceneri.


...


Ci sarebbero volute settimane, forse qualche mese per arrivare in Jamaica e per Jeremy e Clowance era tutto molto noioso e difficile. Erano abituati a correre nella loro spiaggia, liberi, agli spazi aperti, alla vita di campagna ed ora chiusi in una nave, per quanto grande, si sentivano in prigione. Gli unici momenti 'divertenti', erano stati quando avevano assistito a qualche 'colorito' litigio fra i marinai e quando avevano incontrato mare mosso. Quando succedeva, salivano sul pontile e giocavano a farsi schizzare dagli spruzzi delle onde, scivolavano sulle assi del pavimento scivolose e finivano a poppa o a prua, a seconda della posizione in cui si trovavano.

Ma per il resto, era tutto molto difficile per loro: Prudie soffriva il mal di mare e stava stesa la maggior parte del tempo e se si alzava, era per vomitare, la loro mamma pareva spenta e persa in un mondo lontano e anche se si sforzava di essere presente, capivano quanto fosse affranta e fragile, il cibo era pessimo e gli altri passeggeri della nave se ne stavano per lo più rintanati nelle loro cabine.

Dopo dieci giorni di navigazione fecero tappa a Belfast per caricare altri passeggeri e i bambini, dopo aver implorato Demelza, riuscirono a sgattaiolare a terra con Garrick per girovagare un pò per il porto. Notarono un sacco di cose, il diverso odore dell'aria, tanta gente coi capelli rossi e soprattutto, un accento stranissimo che li faceva ridere. E ne avevano bisogno, di ridere... Cercavano di mostrarsi forti per la loro mamma ma avevano paura. E l'immagine del loro padre abbracciato a Tess, un padre che avevano amato e che non avrebbero più rivisto, tormentava il loro sonno. Erano troppo piccoli per sentirsi autonomi e senza bisogno di lui ma troppo grandi per ignorare ciò che avevano visto. Ed entrambi sapevano che ora dovevano imparare a crescere in fretta...

Girovagarono un pò ma troppo poco per i loro gusti. La nave li richiamò all'appello e loro corsero di nuovo a bordo, persuasi che per lunghi giorni non avrebbero toccato terra e quando fosse successo, sarebbe stata una terra sconosciuta e straniera di cui ignoravano tutto.

Quando lasciarono Belfast rimasero sul pontile a lungo, ad osservare il paesaggio che sfilava davanti ai loro occhi curiosi ed attenti. Attorno a loro i nuovi passeggeri andavano avanti ed indietro con pacchi e valigie e c'era un gran via vai di gente dai capelli rossi o al più, biondi.

"Parleranno strano anche in Jamaica?" - chiese Clowance, appoggiata al parapetto.

"Potrei scommetterci..." - rispose Jeremy.

"Chissà com'è! A parte il mare bello, che posto sarà?" - insistette la bambina.

"E' un posto selvaggio, pieno di gente selvaggia! Ma con una terra ricca che mio padre sa sfruttare per rendere quel posto migliore e noi più ricchi!".

I due fratelli si voltarono di scatto, presi alla sprovvista. Una voce infantile di bambina, sconosciuta, aveva risposto alla domanda posta da Clowance e tanta fu la loro sorpresa quando si trovarono davanti una ragazzina che poteva avere circa l'età di Jeremy, dalla chioma biondo-ramata, con gli occhi chiari e i capelli pieni di boccoli perfettamente pettinati. Non l'avevano mai vista prima e probabilmente si era imbarcata a Belfast. Aveva un elegante vestitino verde a fantasie scozzesi, un cappello in testa del medesimo colore e qualche minuscola lentiggine sul viso.

"E tu chi sei?" - chiese Jeremy, stranito.

La bambina gli si parò davanti, erano alti uguali. "Lilith Copper, futura contessa della Contea del Lincolnshire. Con chi ho il piacere di parlare?".

"Io sono Jeremy e lei è mia sorella Clowance Poldark. Non siamo futuri conti di niente. E lui è Garrick, il nostro cane".

La bambina sbuffò. "Lo vedo dai vostri vestiti che non siete conti! Nemmeno baronetti o duchi! Da dove venite?".

"Dalla Cornovaglia" – rispose Clowance, fiera della sua terra.

Ma la sua interlocutrice non parve molto colpita dalla cosa. "Cornovaglia? Siete contadini allora!".

"No, mio padre ha una miniera!" - rispose Clowance, a tono.

"Minatori?!" - esclamò Lilith, con sdegno.

Jeremy si irrigidì. Era arrabbiato con suo padre ma di certo non avrebbe permesso a una sconosciuta di parlare di lui con quel tono di disprezzo e supponenza. "Mio padre è un membro del Parlamento!".

"I minatori non possono stare in Parlamento!" - rispose lei, indispettita.

Clowance si imbronciò ma di lasciare la disputa con quella saputella, non aveva voglia. "Mio padre, sì!".

Lilith si diede un tono, guardandola con aria di sufficienza. "Beh, io sono una contessa, ho visitato tutta Europa con mio nonno, ho visto le corti di Svezia e dell'Assia. E pure quella degli zar!".

Jeremy la guardò storto. "Non è vero!".

"Sì che è vero!".

"Io non ti credo!".

Lilith incrociò le braccia, indispettita e arrabbiata. "D'accordo, era una bugia sugli zar. Ma il resto era vero! E sono una contessa!".

Clowance alzò gli occhi al cielo. "E che ci va a fare una contessa, in un posto selvaggio abitato da selvaggi? Non credo che i selvaggi sapranno farti un inchino, CONTESSA!".

"Impareranno, mio padre lo pretenderà! E sono costretta ad andare a vivere fra selvaggi, noi nobili abbiamo dei doveri verso i nostri inferiori, li dobbiamo educare e guidare". Punta sul vivo dall'impertinenza dei suoi due interlocutori, Lilith divenne rossa come un pomodoro. "Mia madre è morta quando ero piccola e ho vissuto a Belfast e a Londra con i miei nonni. Ora sono morti e mio padre vuole che lo raggiunga in Jamaica, dove si trova il centro dei suoi affari. Sono la sua unica erede, è giusto che conosca il suo lavoro".

Jeremy alzò le spalle. "Mi spiace per i tuoi nonni! Ma viaggi da sola?".

Lilith si voltò, guardando verso le scale che portavano alle cabine. "No, ci sono Tim e Tom, le mie due grasse e stupide guardie del corpo. Staranno male per il mal di mare qualche giorno e poi staranno meglio e a quel punto inizieranno a bere liquori e ristaranno male. Succede sempre così, ogni volta che viaggiamo".

"Quindi, di fatto, sei sola!" - le fece ossevare Clowance.

Lilith alzò le spalle. "No, non proprio. C'è pure la mia governate con me, Miss Thorpe. Lei non si ubriaca e parla poco e ora starà sistemando in cabina i miei bagagli".

Jeremy la guardò con supponenza, non la trovava per niente simpatica. "Che allegria...".

Lei sospirò forse d'accordo, prima di guardare Garrick. "Posso accarezzarlo?".

Clowance la guardò con aria di sfida. "No, è il cane di un minatore! Non è adatto a una CONTESSA!" - rispose, sibillina.

Lilith, arrossendo, rispose al suo sguardo fingendo indifferenza per quella frecciatina non troppo velata. "Beh, tanto non volevo così tanto accarezzarlo! Avrà le pulci!".

Jeremy le si avvicinò di qualche passo, sfiorandola sulla spalla. "Sì, una ti sta camminando già sopra il vestitino".

Lilith si guardò con orrore e prima di capire che la stava prendendo in giro, lanciò un urlo che fece voltare tutti i passeggeri sul ponte. Poi, furiosa, corse verso le scale. "Selvaggi!".

Jeremy e Clowance si guardarono in faccia, ridendo, poi il ragazzino la richiamò prima che sparisse. "Hei, contessa!".

Lei si voltò, stravolta. "Che vuoi, selvaggio?".

"La Jamaica è grande?".

"Molto grande!".

Jeremy rise ancora. "Bene, ottimo! Allora non correrò il rischio di incontrarti troppo spesso!".

Lilith strinse i pugni, furiosa. "Cambierò strada, se vi vedo, SELVAGGI!". E poi corse via, dalle sue guardie del corpo sempre ubriache e dalla sua governante quasi-muta.

Clowance si avvicinò a Jeremy, prendendogli la mano. "Speriamo sia davvero grande, la Jamaica! Non vorrei incontrarla ancora".

Jeremy, rimasto per un attimo imbambolato a guardare le scale, ci mise un attimo a capire cosa dicesse la sorella. "Cosa?".

Clowance sbuffò. "Selvaggio come dice lei! E imbambolato! Torniamo da mamma?".

Jeremy si riprese, annuendo. Già, dovevano tornare dalla mamma, a letto in cabina in compagnia di Prudie.

Si voltarono un'altra volta a dare un'ultima occhiata a Belfast e all'ultimo lembo d'Europa visibile ai loro occhi, poi corsero giù, prendendo la stessa direzione seguita poco prima dalla piccola Lilith.

Quando rientrarono, trovarono la loro mamma seduta sul letto, intenta a piegare i loro abiti. "Com'era Belfast?".

Jeremy si sedette accanto a lei, cercando di apparire contento e ottimista. "Piena di gente strana! Alcuni sono pure saliti su questa nave! Anche una bambina grande come me".

Demelza gli sorrise. "Oh, ottimo! Potrete avere un'amica, durante il viaggio".

Clowance la fissò, scettica. "Non credo... E' abbastanza antipatica. Vero Jeremy?".

Lui alzò le spalle, senza rispondere. "Molto strana... E' una contessa, ha detto".

Prudie borbottò qualcosa sotto voce e Demelza accarezzò i capelli dei figli. "Beh, se la incontrerete durante il viaggio, mi auguro che sarete gentili con lei".

Clowance si imbronciò prendendo a stringere la sua bambolina dai capelli rossi. "Spero di non vederla, allora".

E a quel punto Jeremy capì che doveva cambiare argomento. Con la manina sfiorò la pancia di sua madre, appena percettibile, e gli sorrise. "Come lo chiameremo?".

A quella domanda, Demelza si irrigidì come sempre succedeva ogni volta che il suo pensiero si posava sul bambino in arrivo. "Non lo so, non ci ho pensato". Era vero, non ci aveva mai riflettuto, ogni pensiero sulla sua gravidanza veniva zittito dalla sua mente appena si affacciava dentro di lei. Santo cielo, che donna orribile che era... Amava così tanto Jeremy e Clowance, aveva adorato Julia e invece questo bambino... Non provava nulla per lui, assolutamente nulla se non fastidio e una strana sensazione di essere in trappola. Era come se perdendo Ross e la fede nel suo matrimonio, avesse perso anche la capacità di amare. "Come vorreste chiamarlo?" - chiese senza emozioni nella voce, cercando però di mantenere un tono gentile.

Stesa sul materasso intenta a giocare con la sua bambola, Clowance la guardò di sbieco. "In tutti i modi eccetto LILITH".

Demelza rise a quell'affermazione fatta con tanta grinta. "D'accordo... E che nomi vorreste?".

Jeremy osservò Garrick che dormicchiava sul pavimento. "Oh, se è maschio forse potremmo chiamarlo...". Si bloccò, pensieroso. "Non so, non mi viene da immaginarlo maschio!".

"Credi che sarà una femmina?" - domandò Demelza.

Il bimbo annuì. "Isabella!".

"Rose!" - aggiunse Clowance.

Demelza guardò i due bambini, cercando gioia in quel loro piccolo momento di condivisione per il bambino... bambina... in arrivo. Poi trovò il giusto compromesso. "Isabella-Rose".

I fratellini si guardarono e si mostrarono entusiasti. "E Isabella-Rose sia!".

Stesa sul suo materasso, spiaggiata come una grossa balena, Prudie sbuffò. "Isabella-Rose... Quando ci scapperà di mano, con un nome tanto lungo con cui chiamarla, la riacciufferemo dall'altro capo del mondo".

Nessuno le diede retta, però. E da quel giorno si pensò alla bambina con quel nome, Isabella-Rose Poldark.


  
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