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Autore: WhiteLight Girl    30/11/2019    1 recensioni
Papillon è stato sconfitto e Gabriel Agreste è in prigione; Marinette non ricorda come sia successo, né riesce a smettere di preoccuparsi per la sparizione improvvisa di Adrien. Con Chat Noir che le si rivolta contro e cerca di ucciderla, Maestro Fu irreperibile e la scatola dei Miraculous dispersa, Ladybug si ritrova da sola a cercare di capire cosa sia successo dopo che, durante la battaglia finale contro il suo peggior nemico, ha perso i sensi.
Genere: Angst, Dark, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Gabriel Agreste, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Plagg, Tikki
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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IL GIORNO IN CUI PAPILLON FU SCONFITTO - 1


Ogni parola degli agenti rimbombò contro il suo cranio ripetutamente, cercò di ignorarle, nonostante quasi tutte le domande fossero dirette a lei. Tra una pulsazione e l’altra, mentre un giovane premeva una garza sulla ferita di Carapace, realizzò che le stavano chiedendo se volesse andare in ospedale.

Scosse il capo, era certa che per tornare in sé le sarebbe bastato un po’ di riposo, ma non poteva dire lo stesso per Carapace.

«Pensate a lui.» suggerì, indicando l’amico con un cenno.

«È solo un graffio.» ribatté il ragazzo. La garza era ormai intrisa di sangue, ma dalla sua espressione poteva vedere benissimo che stava trattenendo il dolore.

«Dovresti farti controllare da un medico.» lo rimbeccò Rena Rouge, ma lui scosse il capo.

«Non c’è tempo, dobbiamo parlare con Gabriel Agreste.» le rispose lui.

Ladybug era totalmente d’accordo, nonostante anche lei fosse preoccupata per il ragazzo. Prese tra le mani la borsa con il ghiaccio che una donna in divisa le porgeva e le lasciò quella già usata, poi la premette contro la nuca con uno sbuffo.

«Per quello c’è tempo.» disse loro il commissario.

Era un uomo robusto, alto, standogli accanto Ladybug si sentiva quasi oppressa. Abituata com’era ad avere l’idea geniale ed entrare in azione subito dopo, la consapevolezza di dover rendere conto a tutte quelle persone la spiazzava.

Alla fine riuscì a convincerli di stare bene, un’ambulanza li raggiunse e medicò Carapace sul posto e, neanche mezz’ora dopo, Gabriel Agreste entrò nella stanza accompagnato dal commissario e fu ancora una volta ammanettato al tavolo.

Una volta sedutosi, l’uomo li scrutò con attenzione uno alla volta e, solo dopo aver regalato a Ladybug uno sguardo di sufficienza, le disse: «Immagino che non abbia ancora trovato mio figlio.»

Accanto a lei, Rena Rouge ebbe un fremito, ma Ladybug non si lasciò distrarre. Lo sguardo dell’uomo la inchiodava sul posto, quasi pareva che mirasse a farla sentire in colpa per questo, come se la fuga di Adrien fosse stata colpa sua. Scacciò questo pensiero, ricordandosi che era stato lo stesso Gabriel Agreste a dare il via alla lunga serie di eventi che li aveva portati fino a quel punto.

Invece che cogliere la provocazione, Ladybug si sporse verso di lui. Accantonò la preoccupazione per l’amico spingendola in un angolo e, con uno sbuffo, ribatté di rimando: «Inizio a pensare che sia andato il più lontano possibile da lei, non lo biasimo. O forse è solo rimasto bloccato in casa, preda di quelle cose che pullulano lì. A proposito, cosa c’è in quella casa? Come ci è arrivata?» domandò.

Il signor Agreste impallidì e s’irrigidì sulla sedia, anche Carapace e Rena Rouge lo fissavano, ma loro rimasero in silenzio.

Ci vollero alcuni minuti perché l’uomo si ricomponesse, perché si decidesse a parlare. Ladybug lo vide lanciare un’occhiata agli amici, il naso arricciato e le sopracciglia corrugate, il volto sollevato come per innalzarsi rispetto a loro.

«Sono fantasmi.» rispose alla fine.

«Fantasmi?» gli domandò. Incrociò le braccia, inclinò il capo, tentò di fargli capire con un’occhiataccia che era il momento di parlare, che lei e gli altri aspettavano solo che lo facesse.

Invece lui domandò: «Davvero Chat Noir non ve lo ha detto?»

Quasi sorrise, nel chiederlo, ma tornò subito serio e si spinse gli occhiali su per il naso.

«Non ho parlato con Chat Noir!» sbottò Ladybug. Strinse i pugni, le sue stesse parole le rimbombarono in testa. «Quelle tue ombre... Quei tuoi fantasmi lo hanno preso, non so cosa gli abbiano fatto, ma da allora lui è sparito.»

«Da dove vengono?» domandò Rena Rouge.

Il signor Agreste chinò il capo. Esitò, prima di rispondere a quell’ultima domanda.


Il giorno in cui Papillon fu sconfitto:

Chat Noir sollevò il volto di Ladybug, tenendole il capo sul palmo per spingere il suo viso contro il proprio collo. Sentì il suo respiro leggero sulla propria pelle, nonostante la situazione, la sua vicinanza gli provocò un brivido. Alzò lo sguardo verso suo padre, ora non aveva più alcuna ragione di stare attento a ciò che faceva o diceva.

«Restituiscili!» ordinò. Poi osservò a denti stretti mentre l’uomo si rigirava gli orecchini tra le dita e li ammirava, sorridendo compiaciuto.

«Ho fatto in modo che non si facesse troppo male,» disse lui. «si riprenderà presto.»

«Non mi importa» replicò Chat Noir. «Non avevi alcun diritto! Cosa ti sei messo in testa?»

«Ti spiegherò tutto.» rispose lui, il tono calmo quasi a rimarcare quanto avesse tutto sotto controllo, quanto le cose stessero andando esattamente come lui voleva. «Devi solo darmi anche il tuo anello.»

Fece per avvicinarsi, ma Chat Noir scosse il capo e premette ulteriormente Marinette contro di sé. Non poteva credere che fosse davvero lei, si sentiva uno stupido per non averlo capito prima, ma non aveva spazio né tempo per quei pensieri, poiché ora era solo davanti a Papillon ed avrebbe dovuto combattere per sé stesso ed anche per Marinette.

Gli occhi di Papillon si posarono su di lui, tranquilli e quasi limpidi, pervasi da una pace in cui Chat Noir non riusciva a trovare conforto.

«Ora che siamo solo io e te possiamo parlarne, è una faccenda di famiglia.» spiegò l’uomo.

«Quale famiglia?» Chiese allora Chat Noir, il cuore che doleva nel petto e gli occhi che pizzicavano. Tutto quello che desiderava era fuggire e nascondersi da suo padre e dal mondo, ma aveva le gambe che tremavano, una Marinette svenuta stretta tra le braccia e una missione da portare a termine. «Noi non siamo più una famiglia, non dopo quello che hai fatto.»

«Adrien», sussurrò Gabriel. «Credimi se ti dico che avevo una buona ragione per fare quello che ho fatto.»

Adrien spostò per un solo momento lo sguardo su Tikki, avrebbe voluto che riaprisse gli occhi, che gli dicesse cosa fare, come convincere Papillon a tacere, come sopprimere quello sconforto che lo stava travolgendo togliendogli ogni speranza.

«Non c'è una sola ragione al mondo che potresti darmi, che potrebbe farmi pensare che non sei una persona orribile.» disse a Papillon, riversando tutta la sua rabbia in quelle parole, cercando di renderla la sua forza invece che permettergli di sopraffarlo.

«Lo sto facendo per tua madre.» gli spiegò l'uomo allora.

Chat Noir spalanco gli occhi, i capelli di Marinette gli sfioravano la guancia, il braccio di lei, realizzò solo in quel momento, sanguinava.

«Mamma è morta.» disse a suo padre.

«Ma i Miraculous la possono riportare in vita.» gli rispose lui.

E quelle parole, accompagnate dal sorriso che si aprì sul volto di lui, lo colpirono frantumando anche quello che restava del muro di rabbia e incredulità che stava cercando di costruire tutto attorno a sé. Sotto la maschera del Gatto Nero Adrien non sapeva più distinguere la speranza dalla tristezza e dalla pena che provava per suo padre. Per un momento non fu in grado di trovare la propria voce.

«I morti non possono tornare in vita, stai inseguendo un sogno impossibile.» disse poi, cercando di credere davvero che fosse la verità e che non lo fosse al tempo stesso.

«Ti assicuro di no.» gli disse suo padre.

Fece un altro passo verso di lui, soltanto uno, e Chat Noir si disse che non gli importava, che non gli avrebbe permesso di convincerlo di aver ragione neanche se si fosse comportato nel modo più affabile e paterno possibile. Suo padre non era mai stato affabile, l'aveva sempre trovato superfluo. Il solo fatto che in quel momento aveva provato ad esserlo, realizzò solo dopo, avrebbe dovuto essere un segnale di avvertimento.

«Lo saprei se i Miraculous avessero questo potere.» disse.

Papillon scosse il capo. «Pensi davvero che te l'avrebbero detto, se fosse stato così? I Miraculous non sono stati creati per essere usati da ragazzini che giocano a fare i supereroi, no. Lo scopo di Miraculous è molto più grande; loro regolano l'energia dell'universo, possono fare praticamente tutto. In questo caso l'unione del potere del Miraculous della Coccinella e di quello del Gatto Nero dona ad una persona talmente tanto poter da poter risvegliare i morti. Apre il portale verso l’Aldilà, per permettere all’anima di una persona di tornare da questa parte.»

«Non puoi pensare che non ci siano conseguenze.» disse Chat Noir.

Papillon sciolse la propria trasformazione e, per una volta, Chat Noir lo vide quasi umano, con i capelli ingrigiti dal tempo e due occhiaie profonde che fino a poco prima la maschera aveva coperto alla perfezione.

«Non voglio fare del male né a te né alla tua amica, Voglio solo che torniamo ad essere una famiglia, che Emily sia di nuovo con noi perché ammettilo, senza di lei non è lo stesso e questo lo sai anche tu.» spiegò Gabriel. «Qualunque prezzo ci sia da pagare, sono sicuro che tu sappia che ne vale la pena, per tua madre.» Si fermò, rimase in attesa, gli lascio il tempo di soppesare le sue parole e si chinò per raccogliere Tikki da terra.

Nel vederlo sollevarla tra i palmi aperti Chat Noir si sporse in avanti, pronto ad ordinargli di lasciar andare anche lei, ma lui non le fece del male, invece tese la mano verso di lui e gliela porse lasciando che la prendesse e la stringesse a sé assieme alla sua portatrice.

«Come vedi non voglio fare del male a nessuno, ma per poter parlare con te dovevo fare in modo che lei non ci sentisse.»

Adrien posò Tikki sul collo di Marinette, in modo che restando incastrata tra lui e la spalla di lei non rischiasse di scivolare giù, e rifletté sulle parole dell’uomo che aveva davanti, quasi faticando a riconoscerlo. Continuava a ripetersi che non era possibile riportare indietro i morti, che era e sarebbe stato sempre contro natura, che qualunque tipo di magia buona non avrebbe potuto sopportare che le leggi del mondo venissero sovvertite. Ma ripensò anche ai segreti, al fatto che non aveva mai potuto dire a Ladybug quale fosse la sua vera identità, a come lei non avesse mai dimostrato di voler conoscere la sua. A come spesso lei era conoscenza di molte più cose rispetto a lui, riguardo ai Miraculous.

«Perché non mi hanno detto che si poteva fare una cosa simile?» domandò, quasi a sé stesso, mentre il cuore gli si sgretolava quasi nel petto.

«Lei probabilmente non lo sa.» disse suo padre facendo un cenno verso Marinette. Ma fu una magra consolazione, per Adrien, che durò poco anche perché l’uomo proseguì. «Probabilmente invece il guardiano che custodiva tutti i Miraculous è troppo legato alle vecchie regole e non vuole infrangerle.»

Mentre tutti i dubbi venivano messi da parte da una nuova consapevolezza, Chat Noir prese fiato.

Rimase a fissarlo, Chat Noir non distolse lo sguardo dal suo e cercò di scorgere nei suoi occhi qualcosa che potesse ispirargli fiducia. Era sempre stato troppo ingenuo, Ladybug glielo aveva fatto notare quando si erano scontrati con Volpina, quindi non era certo di potersi fidare delle proprie scelte, ma sarebbe stato disposto a rischiare di credere ad una bugia, per sua madre?

Deglutì.

«Lo puoi fare davvero?» chiese ancora.

Suo padre annuì, allora lui chinò il capo per soffermarsi a guardare Marinette un’ultima volta. Quando si sarebbe svegliata non sarebbe stato più come prima. Scostò la mano per raggiungere l’anello e se lo sfilò dal dito, lo scintillio provocato dalla trasformazione si rifletté sulle guance della ragazza tra le sue braccia. Porse il Miraculous a suo padre, poi cercò lo sguardo di Plagg, appena comparso al suo fianco.

«Ragazzo, cosa stai facendo?» domandò il kwami.

Gli impedì di sfrecciare contro suo padre per provare a riprendere l’anello e lo strinse a sé, bloccandolo con una mano contro il petto.

«Lascialo fare.» supplicò. «È per mia madre.»

Plagg non protestò, non quanto si aspettava che avrebbe fatto, ma si limitò a guardarlo, lo sguardo cupo. «Ne sei sicuro? Sappi che non funzionerà. Non può funzionare.»

Adrien scosse il capo, vide nel volto di suo padre quella stessa speranza che di certo doveva essere riflessa nel suo.

«Funzionerà.» promise l’uomo.

Plagg scosse il capo, scivolò al fianco di Tikki e le sfiorò il muso. «Lei non ti perdonerà per questo.» disse. «Probabilmente nessuna delle due lo farà.»

«Non potrà avercela con me per aver voluto riportare indietro mia madre.» replicò Adrien.

«Per averci provato ed aver fallito.» rettificò Plagg. «Quello che state per aprire non è semplicemente un portale per il regno dei morti, ma quello per il regno in cui è intrappolato chi è morto a causa di un Miraculous. Non avete idea di dove state per infilarvi.»

Adrien non gli rispose, ora suo padre gli dava le spalle e anche da lì poteva percepire l’intensità dell’energia dei due Miraculous che stringeva tra le dita, una parte di lui era già stata sommersa dai dubbi, essi riuscirono in poco tempo a spazzare via tutta la speranza che l’aveva animato in quei pochi, lunghissimi secondi.

E fu la voce di Plagg a riscuoterlo con forza quando ordinò, rivolto verso suo padre: «Non osare indossare quegli orecchini.»

«Non lo farò.» rispose lui.

Invece premette insieme i due Miraculous, il suo Kwami gli era accanto, gli consegnò la propria spilla e lasciò che si allontanasse. Poi Nooroo li raggiunse a sua volta.

Allora rimasero in attesa, chini verso il pavimento, i volti sollevati e gli occhi sgranati, Adrien già immerso in un vortice di senso di colpa che neppure il calore di Marinette contro la sua pelle riusciva a placare.

Con i tre Miraculous posati sul palmo delle mani, Garbriel Agreste recitò una formula a mezza voce, i tre gioielli si fusero in uno diventando un anello luminescente che l’uomo infilò al dito. La formula, le cui parole Adrien non fu in grado di comprendere, proseguì come una litania per diversi minuti prima che accadesse effettivamente qualcosa. Dapprima parve solo un calo di energia, la luce nella stanza si fece scarsa, come se una nuvola avesse nascosto il sole, ma non c’era alcun sole da oscurare, all’esterno. Per un momento l’unica luce fu quella dell’anello al dito di suo padre ed Adrien strinse Marinette ed i tre Kwami a sé come se quell’oscurità potesse portarglieli via.

«Papà, non credo che stia funzionando.» disse. Era oscurità, buio, qualcosa che mai e poi mai avrebbe potuto essere associato a qualcosa di buono. Era un errore.

Gabriel scosse il capo. «Funzionerà.»

L’oscurità si mosse come se fosse viva, gli scivolò addosso ricoprendolo di un freddo pungente che lo spinse a premere ancora di più Marinette contro il proprio corpo.

«Papà! Richiudilo!» supplicò.

Qualcosa stava succedendo, ma non vedeva nessun portale, nessun cenno di sua madre. Adrien pensò in fretta, posò Marinette sul pavimento e la scavalcò, correndo verso suo padre; lui ancora recitava la formula, ebbe appena il tempo di accorgersi di lui e sgranare gli occhi, prima che Adrien gli afferrasse il polso e gli sfilasse l’anello dal dito.

L’oscurità divenne subito meno intensa, ma non svanì del tutto.

   
 
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