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Autore: theastwind    30/11/2019    0 recensioni
E' una storia d'amore e d'avventura tra Nami e... il Rosso.
Ambientata nel lasso temporale collocato prima che la ciurma entri nel Grande Blu.
Genere: Erotico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nami, Shanks il rosso
Note: Lime | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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026 – L’importanza del disegno

“Ma - che - schifo! – commentò Shanks quando Nami gli mostrò lo schizzo che rappresentava la Going Merry – E’ vero che ti avevo chiesto un disegno approssimativo della nave… ma potevi pure provare ad impegnarti!”

“Lo sapevo che l’avresti detto! Cominci ad essere prevedibile, capitano…” - rispose lei sottolineando il “capitano” e mettendogli l’agitazione nelle vene.  

“Non è che forse mi hai raccontato una balla e non sai disegnare? Un vero cartografo ha anche una buona mano!” – s’impuntò lui - Un bimbo di cinque anni, ubriaco, saprebbe fare meglio!”

“Questa è la Going Merry… se non ti piace, dillo al tuo amico Rufy! Così ti prende a pugni al posto mio…”

Lui si mise a ridere. 

“Va bene… Adesso descrivimi la tempesta e cerca di non farmi addormentare…” 

“Tu sei Shanks il Bastardo, non il Rosso…”

Avevano messo da parte la piccola discussione avuta nella mattinata: non era il caso di arrabbiarsi o litigare per una cosa tanto stupida e la voglia di stare insieme e sfottersi un po’ era più forte di qualsiasi dubbio.

E così sotto lo sguardo dolce e attento di lui, Nami raccontò la sua brutta avventura e descrisse la forza del vento, l’altezza delle onde e la furia della tempesta.

Mentre lei riviveva quegli orribili istanti, Shanks la guardava… la guardava… la guardava parlare ed emozionarsi, ripassando con la mente quegli avvenimenti: non gli bastava mai, non si saziava mai.

Provava un’ammirazione sconfinata per la sua straordinaria forza d’animo e per la precisione nel ricordare i particolari. 

Si sentiva il cuore sulle labbra, avrebbe dato anche l’altro braccio se fosse servito a farlo tornare indietro nel tempo per esserci in quei momenti in cui avrebbe dovuto essere protetta. 

“Quando trovo Rufy – pensava fra sé – gliele suono di santa ragione. Come ha potuto lasciarla cadere?”

Erano seduti vicini con le schiene appoggiate ad un albero un po’ distanti dal resto della ciurma che era nel pieno della siesta del pomeriggio caldissimo di mezza estate. Erano entrambi scalzi e sudati: lui non riusciva a smettere di guardarle le gambe che lei muoveva e si massaggiava, un po’ civettuola, per scongiurare i gonfiori estivi… tralasciando poi le goccioline di sudore sul collo che finivano inevitabilmente nel solco del seno…

“Smettila di guardarla… idiota!!” – si diceva senza riuscire ad addomesticare i suoi occhi, feriti da tanta bellezza.

Le cicale cantavano forte, ma loro non sentivano niente presi com’erano l’uno dall’altra. Parlavano piano per non svegliare gli altri e respiravano ancora meno per non mostrare l’agitazione di essere così vicini.

“Hai i piedi grandi…” – disse lei all’improvviso. Non riusciva più a trattenersi: doveva toccarlo almeno un poco altrimenti sarebbe morta.

Così, con la scusa di confrontarli, avvicinò la gamba a quella di lui e appoggiò il piede al suo, tremando come una foglia.

“Certo che sono grandi… - rispose lui, godendosi quel contatto – devono reggere un metro e ottanta di uomo… - poi aggiunse – i tuoi sono minuscoli perché sei tappa…”

“Peccato che non rispetti le proporzioni anche nel cervello… hai materia grigia appena sufficiente per una gallina di trenta centimetri… stupido Rosso!!” – sibilò infuriata e allontanò il piede.

E lui se la rideva alla grande: sfotterla era il suo hobby preferito… Se la prendeva sempre.

“Dai non fare così!...” – fece dire al piede che avvicinò al suo strofinandolo e bloccandole il fiato. 

Avrebbe continuato a toccarla per tutto il giorno, ma il piedino era troppo eccitante: non che le cose cambiassero di molto, comunque… lui era già eccitatissimo. Per scaricare l’elettricità che correva in quel contatto disse serio, distaccandosi:

“E mi raccomando… non prenderlo per un piedino!”

“E’ chiaro!” – tuonò lei con il cuore in gola, colta in flagrante nello stesso pensiero.

“No perché – continuò lui, preso dal gioco – ci faccio pure la mia porca figura coi ragazzi che non la prendono bene se pensano che il comandante del Vento dell’Est fa il piedino ad una mocciosa!”

“Dì piuttosto – s’incazzò lei – che ci fai la tua porca figura se sanno che ci hai provato a farmi il piedino e io ti ho presentato il mio bastone di fiducia!”

Shanks aveva le lacrime agli occhi per le risate e lei, nonostante cercasse di fare l’arrabbiata, lo guardava incantata e felice di riuscire a farlo ridere così tanto: quanto le piaceva quel suo carattere sempre allegro e quanto le piaceva vederlo ridere con lei… e anche di lei…

“Mi sento uno schifo! – concluse mesta – Più mi prende per il culo, più l’amo!”

 

Quando smise di ridere, cercò di ricomporsi e continuare il discorso che stavano facendo:

“Comunque, è stata una tempesta violenta, anche se non eccessiva…  penso che potremo restringere di qualche miglio l’area di ricerca…” – aggiunse, prendendo appunti e cercando di distrarre la mente dalla voglia di abbracciarla.

“Mhmm!” – riuscì ad aggiungere lei.

Il silenzio si fece pesante.

“A che pensi?” – le chiese con intimità e all’improvviso, facendole tremare le ossa e spiazzandole il cuore.

“A te, a cos’altro sennò?” – gli avrebbe volentieri gridato in faccia e invece gli confessò l’altra cosa a cui stava pensando:   

“Al mio campo di mandarini sulla Going Merry..”

“Hai un campo di mandarini sulla nave?”

“Sono solo tre piante che Rufy cerca sempre di ripulire… è un ricordo del mio villaggio, della mia gente, di mia sorella e di mia madre. Mi mancano tanto…” – sospirò.

“Perché non me ne parli un po’?” – la invitò lui con il più dolce dei sorrisi.

E lei, persa nei suoi occhi, gli parlò del campo di mandarini, di sua sorella Nojiko e di sua madre Bellmer, di Genzo e di tutta la sua gente e del suo villaggio: era come donargli un pezzo di se, ma omise del tutto le vicende di Arlong Park e l’intervento di Rufy.

“E così hai una sorella? – chiese lui interessato. – E’ più grande di te, vero?”

“S-sì… ma perché ti interessa?” – e la sua voce aveva un filo non troppo sottile di gelosia.

“Perché siete sorellastre e non vi somiglierete. Quindi, sicuramente, è molto carina al contrario di te che sei bruttissima, grassa e anche tappa!” 

“Invece tu… tu sei un modello! Un indossatore! Ma ti pagano a cottimo per essere bastardo? No, perché in questo caso puoi smettere di fare il pirata, vivi di rendita… - poi continuò risentita – E poi dici un sacco di cretinate perché io non sono brutta né grassa né tappa e se non ti piaccio, sono solo fatti tuoi…”  

“Hai ragione – concordò lui un po’ pentito – sono solo fatti miei…”

E pensò:   

“Sono solo fatti miei se ho perso la testa per una ragazzina…”

Shanks non si sentiva proprio bene. Avrebbe voluto finire di preparare i dati per la griglia, ma non ce la faceva: si sentiva debole e cominciava ad avere i brividi; in quell’afa impressionante lui aveva freddo e il forte pulsare alle tempie che si portava dal mattino si era riacutizzato. All’improvviso sospirò e appoggiò la testa all’albero.

“Che hai, Shanks?” –  chiese lei preoccupata.

“Solo il mal di testa che mi merito per la sbronza di ieri – sbuffò lui subito pentito di aver destato il ricordo della sera precedente – e poi questo caldo… Se non fossi così stanco, mi butterei in acqua…” 

Ma s’interruppe scosso da un brivido di freddo. Aveva le guance rosse e l’affanno. Lei si mise in ginocchio, si avvicinò e appoggiò la bocca sulla sua fronte sudata:

“Hai la febbre, Rosso!” – gli disse dolcemente, distaccandosi.

“E con la scusa mi baci…” – ridacchiò lui con l’affanno, gli occhi chiusi, rosso di febbre e di emozione per quel suo tocco dolce e delicato.

“Idiota… con il viso si sente meglio – ma lui peggiorava – che posso fare?” – gli chiese preoccupata.

E lui, oramai preda del delirio:

“Dammi un altro bacio…”

E lei gli prese delicatamente la testa fra le mani, avvicinò la bocca alla sua fronte e lo baciò a lungo: lui credette di sognare e anche in seguito giurò che fosse solo il delirio di un malato. 

Quando staccò le labbra ustionate da quella fronte bollente, Shanks aveva perso i sensi.

 

“Dorme ancora…” - si sentì rispondere Ben qualche ora dopo che Shanks era svenuto: nello sgomento del momento era la prima persona a cui Nami aveva pensato. 

Quando Ben sentì che il suo amico aveva perso i sensi, per poco non ebbe un collasso, ma non lo diede a vedere: Nami lo percepì dallo sguardo e avvertiva che la riteneva in qualche modo responsabile.  

Mentre lei preparava un letto all’ombra per il suo Rosso, Ben se lo caricava sulle spalle e in tutto questo affaccendarsi per la stessa persona non riuscirono a dirsi una parola. 

“Resta con lui finché non si sveglia.” – fu l’unica frase che il vice riuscì ad articolare.

E dopo sette ore lei era ancora lì e non se ne sarebbe andata.

Da parte sua Ben sapeva che lei c’entrava abbastanza con gli scompensi psico-fisici di Shanks e capiva anche che non ne aveva colpa. Solo, lo irritava il dubbio che quella ragazzina non potesse neanche immaginare cosa veramente provasse per lei il comandante del Vento dell’Est. 

“Shanks non è mai svenuto, nemmeno quando stava per morire dissanguato! - pensava irritato tra sé – e adesso una mocciosa di diciotto anni l’ha steso. L’ho sempre detto che il suo punto debole è il cuore…”  

Avevano viaggiato insieme per mezzo mondo e vissuto per vent’anni gomito a gomito, coprendosi e salvandosi la vita a vicenda innumerevoli volte: ora non sapeva come aiutarlo e questo lo innervosiva tantissimo.

 

Nami aveva passato quelle ore accanto al suo Rosso cercando di disegnare la griglia di ricerca e alla fine era soddisfatta del suo lavoro: quando si sarebbe svegliato, gliel’avrebbe fatta vedere sventolandogliela sotto il naso. In questo modo era riuscita ad allontanare anche l’immotivato senso di colpa che lo sguardo di Ben le aveva messo addosso.

In quelle ore aveva anche studiato il bellissimo volto di Shanks, i suoi incredibili capelli, la sua sensualissima bocca e ne aveva provato a fare un ritratto col carboncino: il risultato le piaceva, era esattamente come lui. Era riuscita a cogliere la sensazione di protezione e di tranquillità che lui le dava e ne era entusiasta.

Aveva provato anche a baciarlo nel sonno, ma nella tenda era un continuo via vai di pirati preoccupati per la salute del loro capitano: si doveva accontentare di guardarlo.

 

Arrivò l’ora della cena e Lucky passò a vedere come stava il suo amico e a portare qualcosa da mangiare per Nami. Poi, richiamato dai bagordi del resto del gruppo e incitato da lei che voleva restare sola con il suo Rosso, se ne tornò dai suoi amici cosciotti.

Ora, forse, poteva stare più tranquilla.

Si sedette sul letto e lo osservò a lungo rapita, naufragando nel volto dell’uomo più bello che avesse mai visto.

“Sei bellissimo, Shanks…” – gli sussurrò piano, temendo di svegliarlo, ubriaca di lui. Stava morendo dalla voglia di toccarlo e dalla paura che se si fosse svegliato all’improvviso, le cose tra loro sarebbero irrimediabilmente cambiate in peggio…

Era coperto da un lenzuolo: aveva avuto attacchi di freddo, di brividi per la febbre e l’avevano avvolto: ora che si era sfebbrato, si era divincolato ed era coperto fino alla cintola. Non aveva più il mantello…

“Chissà come l’ha perso? – si domandò, guardando il braccio assente e quel rigonfiamento che mancava nella camicia. – che fisico… - sospirò – ha un corpo meraviglioso! E guarda che mano… - disse, prendendo delicatamente quella rimasta, tenendola fra le sue – insieme dovevano formare una gran coppia…” - e le immaginò inevitabilmente sui suoi seni.

“Ma non succederà mai – pensò amareggiata – per lui sono una mocciosa… e magari anche troppo piatta…” - guardandosi il seno perplessa.

Lui fece un respiro irregolare e lei trasalì.

Dopo un po’ tornò padrona di se e guardò in preda alle fiamme quella dannata camicia sempre aperta che le prometteva cose meravigliose e irraggiungibili.

“Guarda che corpo… - pensava, mordendosi le labbra – anche quando dorme ha i muscoli in tensione… - poi considerò – e che addominali… Sembrano i gradini di una scalinata…”

“Qualcuno dovrebbe dirglielo che è maleducatamente bello… - diceva per distrarre la mente dal pensiero di infilare le mani sotto la camicia – e anche che lo stupro non è una prerogativa dei soli uomini…”

Siccome i suoi ormoni cominciavano ad avere la meglio e più volte le era venuto in mente di slacciargli i pantaloni e perlustrarne l’interno, si obbligò a fissare i suoi lucidissimi capelli rossi, scomposti e selvaggi che ne riflettevano pienamente il carattere: li sfiorò e, facendosi coraggio, vi infilò le dita pettinandoglieli all’indietro, scoprendo la fronte segnata da quelle tre cicatrici. 

“Senza cicatrici e barba avrebbe la faccia troppo delicata, quasi da bambino… – pensò innamoratissima – mi sa che è stato contento quando gliele hanno fatte: adesso è il ritratto della pirateria…” – concluse sorridendo.

“Mi sono innamorata di un pirata… - si disse sospirando – non l’avrei mai creduto: ma lui non è come Arlong – e rabbrividì a quel confronto improponibile – è dolcissimo…” – e i suoi pensieri finirono lì perché, nel sonno, lui dischiuse la bocca facendola impazzire.

Rimase immobile ad osservare quella sorgente di desiderio con una sete crescente fino a quando la sua mano si mosse da sola e sfiorò, in modo quasi impercettibile, le sue labbra: erano calde, morbide e un po’ screpolate dalla salsedine, dal sole e dal vento.

Tremava al pensiero che lui potesse svegliarsi o chiudere la bocca, ma non riusciva a fermarsi: iniziò a perlustrare delicatamente l’interno allargando di poco la fessura e immergendovi il dito e godendone il calore e l’umidità.

Non aveva mai baciato nessuno e mai nessuno le aveva fatto provare quel bisogno così impellente: l’immagine di lei che appoggiava la bocca sulla sua le mozzò il fiato. Si avvicinò lentamente, trattenendo il respiro con il cuore che si dimenava nel petto:  

“Se continua a battere così, si sveglia…”  

Aveva ancora il dito infilato nella sua bocca calda e morbida e si accorse di essere vicinissima perché avvertì sul volto il suo respiro caldo e regolare. E si sorprese a pensare:

“E’ il respiro della vita… della mia vita – poi gli sussurrò quasi sulla bocca e pazza di lui – ti amo Shanks, ti amo da morire…” 

All’improvviso la fulminò l’immagine di lui che le bloccava il dito coi denti, facendole fare la più grande figura di merda dei sette mari e ritrasse il dito:

“Shanks è capace di fare una cosa simile… - pensò agitata – e se dovesse continuare a parlarmi, mi prenderebbe in giro per sempre…”

 

“Cos’è successo?” – domandò piano il capitano per non svegliare Nami che si era addormentata con la testa appoggiata sul bordo del letto al vice quando lo vide apparire all’entrata della tenda. 

“Sei svenuto…” 

“Dev’essere stato il bagno di ieri notte… non mi ha fatto benissimo… E lei perché è qui e da quando?” - domandò in preda alla catalessi.

“Eri con lei e ti abbiamo messo a nanna…” – scherzò Ben senza sorridere.

“Dorme…” – sussurrò Shanks accarezzandole i capelli sparpagliati sulle lenzuola. Poi si alzò, la sollevò stringendola a se, la mise delicatamente sul letto e la coprì: non la baciò giusto perché c’era Ben che odiava le smancerie…

Uscirono fuori dalla tenda che c’era la luna calante.

“E’ la prima volta che ti vedo svenire…” – disse Ben.

“E’ la prima volta anche per me…” - lo informò Shanks.

“Credi che sia normale?”

“Non lo so… è la prima volta che sono innamorato….”

   
 
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