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Autore: elfin emrys    02/12/2019    4 recensioni
{post5x13, sorta di postApocalisse, Merthur, 121/121 + epilogo}
Dal capitolo 85:
Gli sarebbe piaciuto come l’aveva pensato secoli prima, quando era morto fra le braccia del suo amico, non ancora consapevole che sarebbe tornato, con Merlin, sempre, sempre con lui.
In fondo, non aveva mai desiderato null’altro.
Genere: Avventura, Fantasy, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Merlino, Nuovo personaggio, Principe Artù | Coppie: Gwen/Artù, Merlino/Artù
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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I Donald – Capitolo 19

 
Arthur adocchiò Donald mentre buttava giù un altro bicchiere di vino e metteva termine alla cena. Era stato strano vederlo riempirsi la coppa ancora e ancora, osservare le sue guance colorarsi di rosso e la sua voce farsi un po’ strascicata. Doveva essere un evento straordinario; persino Delilah, che pure doveva essergli stata accanto in numerose occasioni, pareva perplessa dall’atteggiamento del marito e aveva mandato Winfred a letto prima per impedirgli di vedere quella scena. Quando tutti si alzarono, Merlin sgusciò rapidamente in camera, borbottando ad Arthur delle scuse. Con quello che era accaduto, era difficile per il moro continuare a mangiare con la regina a tavola e il re comprendeva benissimo i suoi sentimenti: non voleva forzarlo in alcun modo e, inoltre, si sentiva ancora indispettito per gli ultimi avvenimenti, così lo lasciò andare. Anche Delilah si allontanò velocemente, aggiungendo che aveva del lavoro da terminare, dopo aver controllato che non ci fosse nient’altro di alcolico nella stanza; il marito le disse che l’avrebbe raggiunta a breve. Arthur, rimasto solo, osservò Donald quasi scivolare via e lo seguì fino al Giardino dell’ultimo piano. Lì, il sovrano si era avvicinato a un’enorme quercia e si era lasciato andare su una panchina, aveva messo la mano dentro alla giacca e aveva tirato fuori un fiaschetto. Il biondo, senza una ragione ben specifica, si fece avanti e si sedette accanto a lui.
Donald gli fece cenno con il contenitore e l’ospite rifiutò. L’altro re prese un bel sorso.
-Sta cambiando tutto…
Arthur non rispose.
-Siamo circondati, cazzo, circondati…
Un altro sorso.
-Non dire a Delilah che sto bevendo ancora. Non ne sarebbe contenta.
-Rimarrà un segreto.
Silenzio.
-Non è una cosa che faccio sp… spesso, sai? Intendo… bere. In realtà… Non credo di essermi mai ubriacato prima.
Arthur alzò un sopracciglio, ma non commentò. Sentì Donald ridacchiare.
-Credo di avere la sbr… sbronza chiacchierona.
Ghignò ancora, poi diede un altro sorso.
-Sai, quando si ha una moglie non è come… come quando si ha un…
Fece cenni con la mano.
-Non so bene cosa sia, comunque un compagno, ecco. Ma tu che ne sai…
Sorrise in maniera quasi tenera.
-Tutto molto Niall, comunque. Ahah, non mi sorprende gli piacciate.
Arthur fece uscire rumorosamente l’aria dal naso e alzò gli occhi da terra, senza guardare nulla in particolare di fronte a sé.
-Ho avuto una moglie.
Donald smise di bere, la sua mano rimase bloccata a metà nel percorso verso le proprie labbra.
-Davvero?
Il biondo annuì.
-Beh… Questo non me l’asp… aspettavo.
Il re si portò la fiaschetta alla bocca e tirò un bel sorso, poi schioccò le labbra.
-E lei com’era?
-Lei…
Arthur gonfiò i polmoni e quasi trattenne il respiro. Tenne la voce ferma, ma non poté fare a meno di far trasparire un velo di malinconica nostalgia nel suo tono.
-Lei era gentile. Ed era forte. Quando sorrideva le brillavano gli occhi e le sue guance si alzavano e arrossivano un poco. Ogni volta che tornavo da… da un qualunque viaggio, bastava rivedere lei per sentirsi a casa e sentirsi sollevati.
Una figura, rimasta nascosta, tirò su un respiro doloroso e si allontanò, tornando nella propria stanza. Nessuno dei due sovrani si accorse di nulla. Donald annuì lentamente e rimase in silenzio un secondo.
-Quante volte?
-Quante volte cosa?
-Ma quante volte te ne sei innamorato!
Arthur drizzò il capo, non comprendendo bene il senso della domanda.
-Mah… Una?
-Una?!
Donald lo guardò con aria scandalizzata. Il biondo ritentò, pensando a quando, dopo averla cacciata, erano tornati insieme.
-Due?
-E in quanto tempo?
-In quanto…?
-Quanto siete stati insieme prima e dopo sposati?
- Ehm… Otto anni?
Donald alzò la voce.
-Otto anni?! No no no, troppo poco!
-…Come, prego?
-Due volte sole in otto anni, no no no, tu…!
Gli puntò il dito vicino al naso.
-Tu non l’amavi abbastanza, amico mio!
-Ma come vi permettete?
Arthur fece per alzarsi, ma l’altro sovrano lo fermò.
-Offenditi pure, ma l’amore…
Sospirò e sorseggiò di nuovo il liquido della fiaschetta.
-L’amore è un’altra cosa.
-E scommetto che sarete voi a spiegarmelo ora.
-Non posso sp… spiegartelo io… Te lo devi spiegare da solo.
-Da solo?
Cominciò ad annuire e mormorare “Già già”, poi diede una pacca sulla spalla dell’altro, costringendolo a risedersi.
-Quando ti s… ti sei innamorato di…
Cominciò a schioccare le dita.
-Coso, lì… Come cazzo si chiama lo spirito, ehm… Merletto! Ah, no, fai finta di non aver sentito, eh. Ehm… Merlin! Merlin, ecco. Scusa, ma… ho s… sentito per la prima-
Tirò su un singhiozzo e alzò un indice in segno di attesa, ma quando non ne arrivò un secondo ricominciò.
-Per la prima volta qualche… qualche giorno fa questo nome. Comunque, la domanda rimane.
-Beh…
Arthur inclinò il capo e ci pensò. Per quanto fosse divertente vedere Donald così sciolto e amichevole, l’interrogativo che era stato posto necessitava di una riflessione. La prima cosa che venne in mente al biondo fu quando aveva scorto Merlin sulla riva del lago, con le lacrime agli occhi, ad attenderlo, ma, probabilmente, era avvenuto dopo. Arthur rivide il volto pallido del mago, steso nel loro giaciglio, una mano sul ventre a coprirsi la ferita che Grant gli aveva inferto… Poi pensò alle frasi che si erano detti, al primo bacio che si erano scambiati, la sensazione delle mani dell’altro dietro al proprio collo, sul petto, dietro la schiena; i ricordi scivolarono fino alla memoria dell’acqua del lago contro la pelle nuda, del calore e della soddisfazione che aveva provato a notare le pupille grandi e scure di Merlin, il rossore sugli zigomi pronunciati mentre avvicinava le labbra alle sue, il suo “Tu… cosa faresti?” così caldo…
Arthur aprì le labbra per rispondere, ma quando lo fece si accorse che quella non era la risposta corretta. Forse avrebbe dovuto andare più lontano, scavare nel passato, nei momenti in cui… Cosa aveva fatto, precisamente? Quasi risentì il calore al petto di quando aveva rivisto Merlin dopo la battaglia di Camlann, mentre era ferito, prima che il servitore gli rivelasse il suo segreto più grande; percepì lo stomaco sciogliersi di nuovo e il cuore aprirsi di nuovo al “Non volevo mettervi in quella posizione.”. Fu come risentirlo daccapo, come se qualcosa venisse frantumato e ricomposto, e Arthur si chiese fin dove si sarebbe dovuto spingere per avere la risposta definitiva.
Forse era stato dopo una giornata faticosa, quando era tornato in camera per trovare Merlin che tentava di risistemarla velocemente prima del suo arrivo; forse una notte in una foresta, stretti intorno al fuoco, con la luce delle fiamme che gli sfioravano gli angoli del volto.
Ripensò alla prima volta in cui non lo aveva visto sorridere per giorni. Il mago gli aveva tenuto il muso perché gli aveva gettato l’acqua addosso –un gesto molto poco carino da parte sua, il re doveva ammetterlo- e Arthur non aveva potuto fare a meno di tentare di rimediare. L’espressione spenta del moro lo aveva fatto sentire vuoto, inadeguato, e, quindi, l’allora principe aveva tentato di parlargli. I discorsi diretti, tuttavia, non erano mai stati il suo forte e il biondo si era trovato ad afferrare l’altro per scompigliargli i capelli con forza. Merlin aveva riso –ed era stata una cosa così stupida e infantile!- e l’aveva guardato con un affetto mal celato e, all’epoca, ancora non totalmente accolto.
Arthur non si rese conto di star sorridendo a quei ricordi e Donald interruppe le sue riflessioni con un’espressione compiaciuta e stranamente tenera, quasi paterna, sebbene fosse lui quello più giovane dei due.
-Vedi? Intendevo questo…
Fece per bere ancora, ma si rese conto di aver finito la fiaschetta e fece un verso deluso, prima di rimettersela dentro la giacca.
-Sicuramente c’è un momento in cui una p… persona si innamora, ma il punto è che, se è amore vero, lo farà e rifarà. Io, per esempio, mi innamoro molto sp… spesso di mia moglie.
Si alzò in piedi, poi si girò a guardare Arthur e gli puntò un dito minacciosamente.
-Ma questo non glielo dire!
-Perché non dovrei?
I due uomini si allontanarono dalla quercia e tornarono verso l’interno del palazzo.
-Immagina di essere sp… sposato per dieci anni e di scoprire che tuo marito in realtà ha solo pensato di essere innamorato di te fino a quel momento! No no no, non va bene.
Donald si diresse automaticamente verso una piccola sala da ricevimento e, una volta, arrivato, cominciò a cercare in dei mobiletti, tirando fuori delle bottiglie e due bicchieri. Arthur gli fece cenno di rifiuto e lui rimise una delle due coppe a posto. Si versò del vino.
-Ogni volta è diverso, ogni volta è più forte… Un innam… inammor… innamorazione? Si dice così?
-Innamoramento.
-Ah, sì, giusto. Che stavo dicendo… Ah, ecco, un innamoramento si… ecco… va sopra l’altro, no? E ogni volta pensi “Cavolo, che razza di imbecille, pensavo che quello fosse amore e invece no!” e “Davvero c’è voluto tutto questo tempo per amare mia moglie?”.
Donald scosse piano la testa e bevve, poi fece un verso strano e schioccò le labbra. Arthur inclinò il capo.
-Cos’è?
L’altro re mise il bicchiere su un mobile.
-Non lo so, ma è buono.
Si attaccò alla bottiglia e diede un bel sorso, prima di lasciarsi andare a peso morto su una poltrona.
-Nessuno la voleva sposare, ma io… io sì… Per una donna come lei solo un re poteva essere abbastanza…
Aprì le braccia.
-Poi ho pensato che, ehi, ma il re sarei stato io!
Rise con aria compiaciuta, poi i suoi occhi, da teneri, si incupirono. Il suo sorriso dolce divenne una smorfia addolorata; il suo volto giovane e luminoso si scurì e, in quel momento, Arthur notò per la prima volta le occhiaie che l’uomo si stava portando dietro.
-Quando ho reso ben chiara la mia p… posizione nei suoi confronti, quel mucchio di imbecilli ha iniziato a uscirsene con certe cose…
Il biondo continuò a non rispondere. Il discorso di Donald cominciava a perdere i soggetti, le spiegazioni, era difficile seguirlo senza un piccolo sforzo di immaginazione e intuizione.
-Se la volevano loro dovevano pensarci prima, razza di pezzenti mentecatti.
Si finì pressoché tutta la bottiglia in una sola volta e quasi Arthur si spaventò nel vederglielo fare, a guardare i suoi occhi non concentrati, persi. L’uomo batté una mano sul tavolino accanto alla poltrona, irato.
-E anche quando non ci sono loro, ci stanno quei maledettissimi… Mmmmmh!
Donald lasciò la bottiglia sul tavolino, mettendosi il viso fra le mani e facendo degli strani versi di disperazione, e Arthur si allungò per togliergliela (stava cominciando davvero a essere imbarazzante come situazione), ma l’altro la riprese prima che potesse essergli levata.
-È così… facile essere ambiziosi quando si sta con lei, capisci? E quindi vuoi fare grandi cose e costruire…
Fece gesti con le mani e, nell’agitazione, un po’ di liquido uscì dal fiasco.
-E costruire cose, insomma, poi ci sono questi che devono per forza rompermi i coglioni in un modo, ma in un modo! Sì, lo so che la tua vita fa schifo, te l’avrei già migliorata se mi lasci-lascia-lasciassi fare! E invece nooo, distruggiamo il mercato due volte e attacchiamo quella…
Ricominciò a fare gesti.
-…Quella roba dei poteri a tutti manco fosse una peste! E certo! Perché questa città non ha già abbastanza problemi fra la crim… crimi… criminalità in aumento e tutto che sta cadendo a pezzi! Se tu…!
Indicò Arthur, che si schiarì la voce, tentando di rimanere impassibile.
-Se tu mi continui a distruggere le cose, io con che soldi faccio il nuovo viale, eh? Con che soldi ci metto le case per te e per quegli accattoni della famiglia tua? Cioè, lo sto facendo apposta perché state tutti appiccicati e ai piani bassi comincia a fare tutto davvero troppo schifo e tu invece di darmi una mano…!
Donald scosse la testa, borbottando un “No no no” contrariato. Finì la nuova bottiglia, poi ci guardò dentro con un occhio, per vedere se era davvero vuota. La concentrazione dovuta alla cura che stava mettendo in quel compito parve distrarlo e l’uomo tornò relativamente calmo.
-L’unica cosa positi… positiva è che mentre allargavamo le fogne e cercavamo dei modi per dare un sistema fatto bene anche a tutte le case che verranno costruite sul viale abbiamo trovato delle cosine carine, tipo una scatolina e degli oggettini…
Fece segno di qualcosa di rettangolare e poi di qualcosa di piccolo con le mani. Ridacchiò.
-Sono cose interessanti, le metterò al mu…
Singhiozzo.
-Museo. Almeno questa sta andando bene.
Rimase in silenzio e posò definitivamente la bottiglia vuota; provò ad alzarsi, ma ricadde nella poltrona, solo al secondo tentativo riuscì a rimettersi in piedi per tornare al mobiletto. Passò la mano sopra i vari alcolici con indecisione. Ce n’erano molti e, da quello che Arthur aveva visto, in generale quella tribù ne produceva in grandi quantità. Il biondo attese che Donald tornasse alla poltrona prima di fargli una domanda.
-Avete parlato di un viale…
Il re annuì e si versò qualcosa, poi cominciò a frugare nelle proprie tasche.
-Sì, ce lo dovrei avere… Ecco… Forse qui o… Ah, eccolo!
Tirò fuori un piccolo taccuino e lo aprì. Le pagine erano molto piccole, di un bianco un po’ sporco, ma Arthur si sorprese a notare che non c’era scritto sopra nulla, nessun commento, nessuna data, nessuna informazione. I fogli erano riempiti di disegni di vario genere, molto dettagliati. Il biondo riuscì a riconoscere alcuni dei soggetti, come alcune delle decorazioni del palazzo, la quercia enorme in giardino, Winfred che giocava o che leggeva qualcosa, che masticava la matita, Delilah che si pettinava, che, braccio teso, sembrava impartire ordini a qualcuno, che dormiva, che guardava fuori dalla finestra… In alcune occasioni il re arrossiva e borbottava qualcosa di imbarazzato, saltando piccoli gruppi di pagine: Arthur supponeva che il taccuino contenesse anche qualche schizzo più privato che lui, uno straniero, non aveva, in tutta onestà, né il diritto né il desiderio di vedere. Più avanzavano con le pagine, tuttavia, meno Donald aveva ritratto esseri umani; i fogli si facevano sempre più pieni di piccoli dettagli di oggetti inanimati, di scarabocchi veri e propri, di disegni non completati, finché non giunsero al disegno di un enorme viale circondato da edifici. Era disegnato su due facce ed era tanto preciso che, sforzandosi, si potevano distinguere anche alcune piante. Era un progetto ambizioso.
-Vedi? Lo voglio fare così. Gli… Ehm… I palazzi avranno un giardino sopra, come questa città, e al cen… centro del viale metterò una piazza con una fontana, forse, o una statua o… Non so, ma qualcosa di bello.
Girò pagina e mostrò una cartina.
Il viale sarebbe partito da Asgol Ewchradd e avrebbe congiunto la capitale alla strada per la Città Vecchia. Era un progetto coraggioso, imponente e, se fosse riuscito, sicuramente Donald sarebbe passato alla storia di quella tribù.
-La st… strada sarà last… lasti… lastricata come i pavimenti qui e, finalmente, gli abitanti potranno vivere meglio. Alcuni ora non escono mai da Asgol Ewchradd, nascono, vivono e muoiono dentro queste quattro mura schifose, ma con questo…
Indicò il disegno.
-Con questo potranno farlo tranquillamente. Inolte... Inoltre, servirà molta gente per costruire tutto e un sacco di persone avranno lavoro e ci sarà una marea di merce da scambiare.
Donald fece un largo sorriso.
-Delilah è molto contenta, è lei che mi ha aiutato a pensarlo. Inizieremo per il decimo compleanno di Winfred.
Si puntò un indice alla tempia e ci picchiettò sopra, poi si intristì.
-O almeno quella era l’idea… Con tutto quello che sta accadendo, non lo so più.
Arthur iniziò a sentire un certo panico quando vide i suoi occhi inumidirsi.
-E se non ce la faccio, forse Delilah si renderà conto che ha sposato un inetto e che lei non si merita un inetto e…
Entrambi i sovrani sobbalzarono a sentire la porta che veniva spalancata. La regina entrò nella stanza a grandi falcate e andò verso il marito, tentando di sollevarlo dalla poltrona.
-Ma ti pare il caso, David? In un momento come questo? Dai, alzati.
Donald si alzò e abbracciò la moglie.
-Non mi lasciare…
-Cosa? Chi ti ha detto che… Non ti voglio lasciare, David.
Delilah gettò un’occhiataccia ad Arthur, che le fece un cenno di diniego.
-Forse no, ma… ma quei bastardi faranno di… di tutto -tutto!- per rubarti.
La donna sbuffò.
-Nessuno mi vuole rubare. Ora vieni, ti stai mettendo in ridicolo.
-Ah! Ridicolo?!
Gli occhi di Donald si riempirono di tristezza e l’uomo si attaccò ancora di più alla moglie.
-È perché sono b-basso, vero?
Arthur alzò le sopracciglia e osservò attentamente i due coniugi. Non aveva mai notato che, mentre lei indossava sempre delle scarpe totalmente piatte, lui le portava un po’ più alte. Delilah alzò gli occhi verso l’alto.
-Per l’amor del cielo, ancora con questa storia? Non sei così basso, su! Ora vieni con me.
La donna trascinò via l’uomo, scusandosi con l’ospite dell’accaduto ed esortandolo ad andare a letto. Non si chiuse la porta dietro, ma, quando finalmente riuscì a far andare Donald, comunque la stanza parve troppo solitaria senza il chiacchiericcio e i cambi d’umore del re. Arthur rimase lì un minuto in più, annusando per curiosità i vari liquori e alcolici che erano stati tirati fuori, poi sospirò e si decise a tornare in camera, dove Merlin lo attendeva. Il pensiero del mago gli fece ricordare il discorso che Donald aveva fatto. Il biondo sentì l’espressione del proprio viso addolcirsi. Sì, in fondo… Perché no? Con in cuore la decisione di riconciliarsi con Merlin, Arthur affrettò il passo.
 
Merlin, col cuore a mille, il respiro irregolare, si chiuse la porta alle spalle e iniziò a camminare avanti e indietro per la stanza. Incrociò le braccia, quasi a nascondersi, e pensò a quello che aveva udito. Il mago aveva pensato di andare al Giardino per pensare prima di andare in camera, non si era aspettato di certo di trovarsi di fronte i due uomini. Non sapeva neanche perché non si era rivelato subito, appena aveva visto Donald e Arthur arrivare di fronte alla quercia. Qualcosa dentro di lui aveva voluto che attendesse, aveva voluto sentire cosa avrebbe detto il re a sapere che lui non era nelle vicinanze. E l’aria con cui egli aveva parlato di Gwen, la nostalgia, l’affetto con il quale l’aveva descritta… Era evidente, no? Certo, era sempre stato chiaro come una giornata di sole.
Merlin aveva invidiato Gwen, più di ogni altra persona, e questo aveva rovinato la loro amicizia in maniera indissolubile. Con rimpianto, delusione, vergogna, il mago non poteva negare l’evidenza: c’erano stati dei momenti, per quanto fugaci, in cui l’aveva, forse, addirittura odiata.
Del resto, come avrebbe potuto fare altrimenti? Aveva avuto Arthur quando lui l’aveva desiderato con tutta la forza che aveva in corpo; aveva avuto le sue attenzioni, le sue carezze, tutta la gentilezza di cui lui non faceva quasi mai esperienza… Eppure Merlin non se lo sarebbe meritato di più?
E poi? Dopo la morte di Arthur, cosa aveva fatto? Aveva avuto la fortuna di ignorare che per suo marito non era davvero finita e di essere mortale. Non aveva dovuto passare anni e anni e anni e anni e anni ad attenderlo, come prima non aveva dovuto nascondere la propria identità né i propri sacrifici. Alla fine, aveva o non aveva avuto addirittura la grazia di un nuovo amore? Perché per lei era finita, perché per lei tutto si era concluso.
Merlin sapeva che era ingiusto. Merlin sapeva che Gwen non si meritava quei pensieri odiosi, che la sua memoria venisse calunniata in quel modo. Il mago lo sapeva, eppure… eppure non lo sapeva. Nei momenti in cui la bile di quella rabbia, di quell’invidia, di quel rancore gli tornava su dallo stomaco fino alla gola, il moro pareva dimenticarsi per un attimo tutti i sentimenti positivi che aveva un tempo avuto verso di lei.
Lei aveva perso tutti, sua madre prima, poi suo padre, suo fratello, Lancelot –Ma Merlin non aveva dovuto assistere a ben più funerali?
Lei aveva dovuto lottare per tenere nascosti i suoi sentimenti abbastanza a lungo da poter essere, infine, riconosciuti –Ma quanto aveva dovuto soffrire e aspettare lui perché avvenisse lo stesso?
Poi gli tornava alla mente il suo sorriso quando si erano incontrati la prima volta e quello che, invece, gli aveva regalato quando si erano visti per l’ultima. Erano dolci, erano gentili e, più di tutto, erano grati. E Merlin sentiva un forte senso di colpa nel cuore, bruciante e orribile, e gli veniva da piangere e da chiedere perdono.
Gwen aveva sempre avuto innumerevoli qualità, era stata un’ottima regina, una eccellente moglie, una grande amica, era ovvio che non fosse facile dimenticarla. E proprio per quello Merlin si poneva, in quel momento, la domanda più cattiva e dolorosa che si fosse fatto fino a quel momento, una domanda che aveva iniziato a porsi giorni prima, durante la sua prima visita al Giardino, e che l’aveva allora fatto riscappare fra le braccia del biondo: non era strano?
Non era strano che Arthur avesse finalmente iniziato a volerlo dopo tutto quel tempo?
Non era strano che Arthur avesse iniziato ad amarlo solo dopo che non gli era rimasto più nessuno?
Quel pensiero gli pulsava nelle vene come se avesse voglia di uscire. Merlin si sentiva amareggiato da quelle riflessioni, confuso, offeso, umiliato ogni oltre paragone. Lui aveva voluto Arthur più di ogni altra cosa e non l’aveva avuto perché lui aveva deciso altrove.
Lui non era nient’altro che l’ultima scelta, quella di cui ci si accontentava, quella costretta.
E le scelte costrette non avevano alcun valore.
Merlin camminava talmente tanto velocemente avanti e indietro per la stanza da doversi girare per cambiare direzione ogni due secondi.
Una parte di sé non voleva accettare quella spiegazione, ma, al tempo stesso, non poteva negare che desse un senso a tutto. La storia, così, era molto semplice. Arthur si risvegliava e tornava nel mondo dei vivi, scoprendo che tutti i suoi amici e sua moglie erano morti. L’unica persona rimasta era Merlin, il quale, subito prima che l’altro morisse la prima volta, gli aveva rivelato che era un mago. Per il re doveva essere stato molto traumatico, anche perché era convinto di conoscere l’altro come se stesso, era convinto di averlo in pugno. La crisi dovuta alla separazione dai suoi cari e quella di potere causata dalla scoperta della magia di Merlin fecero in modo che Arthur, magari anche inconsciamente, si avvicinasse all’altro in maniera romantica. In realtà, però, era tutta apparenza; era per quello che il biondo aveva tanto limitato il loro rapporto fisico, perché in verità non gli serviva per sentirsi meglio, era per quello che gli aveva regalato la giacca, perché l’altro portasse un simbolo della sua appartenenza, ed era per quello che gli aveva tenuto nascosto la natura effettiva del patto con Donald, che lo aveva fermato dall’aiutare lo stregone al mercato, che lo aveva lasciato solo durante e dopo l’avvelenamento ed era sempre per quel motivo che si era arrabbiato quando Merlin non gli aveva risposto e non aveva dormito con lui: perché l’unica cosa che gli interessava era avere il controllo su una situazione che gli stava sfuggendo di mano e, probabilmente, non c’era nulla di più.
Il mago si lasciò andare sul letto, mettendosi nervosamente le mani fra i capelli.
No, no, non poteva essere, l’Arthur che lui conosceva non avrebbe mai, mai potuto fare una cosa del genere.
L’Arthur che lui conosceva –disse una voce nella sua testa- forse neanche esisteva, era una sua fantasia creata nei secoli per aiutarlo a superare l’attesa.
Ma tutti quegli sguardi, quei momenti fra loro nel passato che potevano presagire una loro relazione futura…?
Non sono mai esistiti, ripeté la voce, mai.
Merlin si asciugò gli occhi con le maniche e ricominciò a muoversi per la stanza, prendendo cose e posandole, non sapendo cosa farci, non sapendo minimamente come comportarsi, sentendo il bisogno di fare qualcosa senza, tuttavia, avere idea di cosa precisamente.
Si bloccò solo quando la porta della camera si aprì, rivelando la figura di Arthur, il quale entrò e gli sorrise dolcemente. L’ira di Merlin ebbe un attimo di cedimento al notare quell’espressione, ma di nuovo un pensiero brusco e odioso si fece strada dentro la sua testa.
E certo che sorride, lui! –diceva- Ha ricordato l’amore della sua vita fino a qualche secondo fa, sorride per quello, non per te. In fondo, cosa sei tu, se non qualcosa di utile? Qualcosa da avere?
-Merlin, io…
-Ti diverte?
L’espressione serena di Arthur ebbe un fremito di perplessità.
-Cosa?
-Non capisco cosa tu stia facendo, se prendi in giro gli altri o te stesso.
Le spalle del biondo si tesero.
-Non so di cosa tu stia parlando, Merlin.
-Te stesso, allora, e di conseguenza anche me. La situazione peggiore.
Arthur tentò di ricordare se avesse fatto qualcosa di male, ma, a parte il nervosismo dovuto al comportamento dell’altro, non riusciva a tirare fuori un momento specifico che poteva causare quelle parole astiose.
-A cosa ti stai riferendo?
Merlin allargò le braccia, con aria amareggiata.
-Secondo voi, sire?
-Non ne ho sinceramente la più pallida idea.
-Come sempre.
Arthur accusò il colpo e strinse i pugni lungo i fianchi.
-Spiegati immediatamente. Ora.
Il mago prese un respiro profondo, distolse lo sguardo per un attimo, prima di riguardare l’altro negli occhi.
-Siete rimasto deluso quando avete capito che ero rimasto solo io?
-Hai già avuto da tempo la risposta.
-E voi ridatemela.
Il re rimase in silenzio, prima di rispondere, e per farlo dovette quasi trattenere il fiato.
-No.
Merlin strinse di più le labbra, come se stesse tentando un sorriso amaro che, tuttavia, non riusciva ad apparire.
-Ci avete dovuto pensare.
-No.
-Sì, invece.
-Ero addolorato, non deluso.
-Addolorato per chi?
Gli occhi di Arthur si strinsero, prima di ingrandirsi in un’espressione di incredulità. Il re guardò verso l’alto, quasi sbuffando un verso di frustrazione, un “Non ci posso credere” borbottato, poi guardo l’altro.
-Ero in lutto, Merlin.
-Io vi ho atteso così a lungo e voi avreste preferito un’altra persona.
-Questo non è vero.
-Io vi ho pianto più di ogni altro e voi avete sempre preferito un’altra persona.
-Smettila di dirmi del voi.
-Io sono stato in lutto per tutto questo tempo e voi avreste voluto farmi continuare.
Arthur aprì le labbra, indignato, in una piega esasperata.
-Esatto, tu sei stato in lutto per tutto questo tempo eppure sapevi che mi avresti rivisto, sapevi che sarei tornato da te. È forse assurdo far piangere a me coloro che ho perso e che non riavrò mai più?
La luce nelle iridi di Merlin sembrava tremare; il mago aprì le spalle, come se fosse stato legato a un filo teso sopra la propria testa, e, quando parlò, la sua voce era ferma e graffiante.
-Non siete tornato da me, siete tornato dal popolo.
-Io ho perso tutti i miei amici, tutto quello che avevo costruito… Ho perso mia moglie ed è stato tutto in un solo giorno per me, non ho avuto neanche l’opportunità di sentire il loro addio, e mi devo sentire in colpa per questo?
Gli occhi di Merlin si assottigliarono e i suoi tratti divennero come di pietra, scolpiti e taglienti alla fredda luce della lampada.
-Non ti sei stupito quando hai deciso che dovevamo baciarci.
Arthur non fece in tempo a sospirare di sollievo perché l’altro aveva finalmente riiniziato a dargli il tu che si sentì gelare il sangue nelle vene. Si impose di non fare un passo indietro, sebbene ne avvertisse un disperato bisogno.
-Io non ho deciso niente. Noi ci siamo… baciati e basta.
-Non ti sei chiesto nulla, non ti sei posto alcuna domanda…
-Merlin, se tu avessi voluto rifiutarmi saresti stato libero di farlo… Lo sai, vero?
-Sì, ma tu come facevi a sapere che non l’avrei fatto?
Il re rimase interdetto.
-Come se non fosse stato evidente come anche a Camelot che eri…
Arthur mosse le mani, non sapendo bene come continuare la frase. Qualunque parola gli venisse in mente, quelle che aveva sentito nei racconti fra cavalieri, nei pettegolezzi di palazzo, sussurrate negli angoli più oscuri delle locande, non sembrava corretta da dire; avevano tutte un suono troppo cattivo, possedevano una vena particolare, come qualcosa di illecito e, allo stesso tempo, lampante come un fulmine nella notte, qualcosa che non si sceglie e nella quale si rimane semplicemente coinvolti, immischiati. Arthur stesso, sebbene ormai la relazione con Merlin fosse iniziata da un bel po’, non si sentiva addosso quella definizione.
Il mago attese un attimo, prima di incrociare le braccia e rivolgere all’altro uno sguardo offeso.
-Che ero cosa, precisamente?
Il biondo tentò di ricordarsi il nome che aveva sentito da Evan tempo prima, ma non ne avevano più parlato e, nella sua testa, resisteva ormai solo la memoria di come si era sentito. Inquieto, si impuntò.
-Hai capito quello che intendo.
-E quindi hai semplicemente pensato che ti avrei detto di sì per quale motivo? Per disperazione? Oppure…?
Merlin non terminò la frase –la possibilità che la sua devozione fosse stata denigrata in quel modo lo devastava- e, in realtà, Arthur non gli lasciò neanche il tempo di finirla.
-Ho pensato che tu mi… Insomma, che…
Neanche riusciva a dire “Che tu mi amassi”. Le guance del biondo avevano assunto una sfumatura infuocata e il re quasi pestò il piede a terra, rendendosi conto di quanto doveva sembrare ridicolo e impacciato, quando avrebbe dovuto essere sicuro, risoluto nello scacciare quegli stupidi dubbi dalla testa del suo compagno.
-Te lo dico io cosa hai pensato.
Merlin fece un passo avanti, i pugni stretti, la magia che si muoveva come lava incandescente nel suo corpo, non capiva se con lo scopo di attizzare ancora di più la sua ira, la sua delusione, o per spegnerla.
Arthur provò a interromperlo, ma lui continuò ugualmente a parlare, al costo di alzare la voce.
-Hai pensato che eri solo e che eri rimasto con una situazione che non eri in grado di governare, ma fortunatamente avevi me, no? Avevi l’uomo che ti aveva aspettato centinaia e centinaia di anni e che sarebbe stato più che felice di assecondare ogni tuo desiderio.
-No. Questa è una menzogna.
-Quindi non ti sei posto domande, perché tu non te le poni mai e lasci che le cose semplicemente “vadano” con me, no? Hai sempre fatto così, del resto, mi hai dato per scontato.
-Io avevo solo fiducia in te.
-Quindi mi hai detto quello che pensavi volessi sentirmi dire. Del resto, ero ferito e provato, avrei sicuramente creduto a tutto.
-Ma senti le idiozie che stai dicendo?
-E ora hai anche il coraggio di insultarmi. Facile, quando ti viene rivelata la verità.
Il “No” di Arthur arrivò potente e il mago si zittì, stupito dall’aggressività della reazione.
-No! Nulla di quello che stai dicendo è vero, niente. Come hai potuto anche solo pensarlo? Mi parli come se ti avessi trattato come un animale, come un oggetto, ma non è così e anche tu eri d’accordo fino a stamattina. Se mi accusi di non essere stato… all’altezza della situazione con te, me ne rincresce e posso ammettere che avrei dovuto essere meno istintivo, avrei dovuto attendere più a lungo prima di rivelarti le… le cose che provavo, ma ciò non toglie nulla alla loro veridicità. Il Merlin che conoscevo non avrebbe mai, mai…
Il re non terminò e si passò una mano sulla bocca e sul mento; lo sbigottimento di sentirla tremante lo fece rimanere in silenzio un secondo di più, ma il mago non parlò.
-Mi… Mi muovi delle accuse pesanti. E io non sono qui per essere insultato da qualcuno che avrebbe dovuto essere, se non il mio compagno, almeno il mio amico. Da oggi dormirai da solo.
Arthur uscì dalla stanza e si allontanò, cercando di modulare la cadenza dei propri passi, ma non appena varcò la porta del corridoio, iniziò ad andare veloce, sempre più veloce. Uscì dalla reggia, ignorò la guardia notturna e l’ascensore, prese le scale e cominciò a correre. Arthur continuava a scendere e scendere e scendere. Passò il sesto piano, il quinto, il quarto, il terzo totalmente vuoto, il secondo, arrivò al mercato, dove ancora c’era vita e una stanza era ancora accesa. Una signorina col seno nudo aspettava fuori e un ragazzino decisamente troppo giovane per quel mestiere le faceva compagnia. Arthur li ignorò e si diresse alle scale per andare ai piani sotterranei, notò appena un piccolo gruppo di persone che si cambiava in segreto oggetti e soldi; arrivò al primo piano sotterraneo, dove, fuori dalle abitazioni, c’era ancora gente che lavorava, producendo e accatastando cose che avrebbe venduto il giorno dopo; il secondo piano sotterraneo gli era sconosciuto eppure neanche notò che, contro ogni regola del buon senso, non c’era nessuno a controllarlo. Entrò nel magazzino, che prendeva tutta quell’area e quella immediatamente sottostante e, quando ne uscì, si ritrovò di fronte a delle porte che conducevano a diverse zone non accessibili ai non addetti. Non ci fece caso, preso com’era dall’ira, e si diresse in avanti, fin quando avrebbe potuto. Venne bloccato dal braccio e della voce di un uomo.
-Mio signore!
Si girò. Il volto amichevole e sconvolto che si trovò davanti lo fece parzialmente tornare in sé.
-Jacob…
Lo Jura sbatté le palpebre e lo guardò con aria triste, poi lo vide chinarsi per vedere oltre di lui.
-Dove stavate andando?
-Io…
Arthur si voltò a guardare la porta dove si era automaticamente diretto e, questa volta, si annotò mentalmente che non c’era nessuno di fronte; eppure era certo che avrebbero dovuto esserci dei soldati a pattugliare l’area. Il biondo scosse la testa e si rigirò verso Jacob.
-Cosa ci fai qui?
Il ragazzo parve sorpreso.
-Vi ho visto per caso dalla finestra della mia stanza al primo piano sotterraneo e sono uscito per chiamarvi, ma non mi avete risposto. Ho pensato fosse qualcosa di strano, quindi vi ho seguito.
Arthur si accorse di avere il respiro affannato e si toccò il petto, come per sentirsi il cuore. Jacob alzò un sopracciglio.
-Vi sentite bene? Mi sembrate molto provato.
-Ho passato una brutta serata.
Il re non spiegò oltre e si toccò le tasche. Non si era cambiato per la cena, aveva ancora gli abiti con i quali era andato in giro e perciò… Eccola. Estrasse la mappa che lui… che lui e Merlin avevano comprato dall’uomo del banco informazioni all’inizio di quel viaggio e la aprì.
-Piano -3…
Arthur cercò attentamente la propria posizione e, quando la trovò, fissò le stanze che doveva avere di fronte. Erano tutte su quel piano, tranne una: la porta verso cui si stava dirigendo senza rifletterci. Quella era l’unica a portare al livello inferiore.
Il re cercò il quarto piano interrato, senza trovarlo. Jacob inclinò il capo.
-Cosa desiderate sapere?
-Cosa c’è qui sotto?
-Sotto cosa? Questo è l’ultimo piano.
-No no, mi ricordo che mi avevano detto… Mi avevano detto…
Arthur si massaggiò le tempie e lo Jura gli si avvicinò riverentemente.
-Sotto sono rimaste solo le fogne, mio signore…
I due si girarono a guardare la porta e il re fece per avvicinarsi quando un uomo ne uscì e li fissò con aria perplessa.
-Che ci fanno due cittadini qui?
-Non c’era nessuno agli ingressi e…
-Dove sono i soldati?
L’uomo era vestito con una divisa verdognola e aveva una fascia al braccio; in mano teneva una cartellina con dei fogli e, al taschino, aveva una penna; ai piedi portava dei grossi stivali sporchi e bagnati. Lo sconosciuto iniziò a muovere le mani, scacciando i due intrusi.
-Via, qui non è posto per voi. Andate via prima che chiami i soldati!
Arthur e Jacob rassicurarono velocemente l’uomo che se ne sarebbero andati e volarono via, risalendo le scale fino alla fine dei magazzini. Passarono il soldato che, al ritorno, era presente, il quale li bloccò per controllare che non avessero rubato nulla. Quando li considerò puliti, li lasciò andare, e i due si allontanarono, ora con più calma.
Quando ormai erano al primo piano interrato, il re, finalmente, interruppe il silenzio.
-Non avevo mai visto nessuno con l’uniforme verde.
Lo Jura alzò le spalle.
-Quel colore può indicare tutto e niente.
-Perché dici questo? Finora i Donald mi erano parsi straordinariamente precisi.
-Non così tanto, mio signore. I rossi sono tutti i soldati, a prescindere dalla loro posizione; i blu tutti i tecnici, anche questa volta il loro compito non conta, possono occuparsi dell’elettricità, come dell’idraulica, come di qualsiasi altra cosa all’interno di questa città; i bianchi sono i medici e gli infermieri, si riconoscono fra quelli di ruolo e gli studenti solo dal colore del simbolo della tribù, quello che hanno tutti vicino al cuore; i viola sono tutti coloro che si occupano della tesoreria di palazzo, dei magazzini, e tutti questi compiti collegati all’economia…
-Non ho mai visto nemmeno qualcuno in viola…
-Invece i verdi indicano… Tutti gli altri.
-Tutti gli altri?
-I bibliotecari di palazzo, quando escono dal loro luogo di lavoro per dei compiti connessi, devono essere vestiti di verde; i giardinieri pagati dal sovrano devono essere vestiti di verde… Insomma, tutti coloro che svolgono un compito per la città, ma che non sono soldati o tecnici o medici o economisti o come si chiamano quelli. Si riconoscono solo dalla fascia che hanno intorno al braccio, che li distingue.
-E l’uomo che abbiamo visto?
Jacob si grattò un mento.
-Difficile dirlo. Non c’era molta luce e si muoveva molto.
Ridacchiò.
-Però credo fosse uno di quelli che si occupa delle piante… O forse degli animali, non sono sicuro.
Arthur annuì e meditò quella risposta. Sarebbe stato interessante parlarne con Donald, alla mattina, per capire perché ci fosse qualcuno, a quell’ora della notte, nelle fogne a, presumibilmente, lavorare e perché, invece, non ci fosse nessuno a fare da guardia.
Jacob si fermò di fronte a una porta.
-Io alloggio qui.
Il biondo annuì e tese la mano, lo Jura arrossì e gliela strinse, poi fece un inchino.
-Se mi permettete, siete sicuro di non voler essere accompagnato? Prima mi sembravate piuttosto turbato.
-So cavarmela benissimo da solo, Jacob.
-Non intendevo dire questo, mio signore.
Arthur gli rivolse un sorriso tirato.
-Buonanotte.
-Buonanotte, sire.
Il re si allontanò e, quando salì le scale, lo Jura, perplesso, rientrò a casa.
 
Note di Elfin
Eccomi qui, scusate tantissimo il ritardo. Sono dovuta stare tutta la giornata fuori casa e quando sono tornata ero veramente distrutta, soprattutto per correggere un capitolo come questo. Come potete immaginare, è stato difficile da scrivere, soprattutto la litigata Merthur. È stata davvero tosta e avrei preferito avere più tempo, sinceramente. Ci ho lavorato un bel po’ perché volevo desse una sensazione ben precisa, ma facendo questo non riesco più a capire quanta emozione si senta e quanto, invece, sia fredda. Spero di non averla fatta troppo impassibile.
Normalmente non vi imbocco cosa dovreste sentire, ma in questo caso sarò precisa perché voglio davvero sapere se almeno quello che volevo fare è parzialmente venuto. Ditemi qui in recensione o come commento se ce l’ho fatta, o anche su instagram. Ovviamente, ditemelo a maggior ragione se, invece, quello che dico non ha senso. Volevo fare in modo che Merlin sembrasse in preda a un loop distruttivo di pensieri dal quale non si riesce a liberare; volevo che le sue domande e il suo discorso ad Arthur seguissero una logica che in realtà non esiste, che sembrassero qualcosa che potrebbe forse avere un suo perché, ma che è evidentemente falso, frutto di una distorsione totale della realtà. Per Arthur, invece, volevo rendere un po’ l’idea non solo di incredulità, ma anche di perplessità e di indecisione. Infatti lui non sa se dire quello che sente o quello che Merlin potrebbe forse voler sentirsi dire; Arthur non vuole neanche iniziare la litigata, visto che era arrivato con un animo molto ben disposto e che i suoi piani erano ben più romantici, ma non riesce neanche a pensarci mentre viene calunniato in questo modo. All’inizio pensa perché non vuole litigare, ma quando capisce che la cosa avverrà ugualmente decide di essere totalmente onesto, a discapito dell’impatto delle proprie parole, che diventano meno convincenti. Allo stesso modo, Arthur, man mano che la discussione va avanti, capisce che Merlin in realtà non lo sta ascoltando minimamente e, se prima aveva tentato di trattenere la rabbia, alla fine invece scoppia in uno sfogo di rammarico.
Non so se l’ho spiegato bene, ma il concetto è che la discussione deve sembrare un po’ confusionaria e poco chiara in alcuni suoi passaggi, ahahahah. E così anche alcuni pezzi del discorso di Donald, come anche Arthur ha pensato.
In questo capitolo inoltre si vedono diversi accenni agli scorsi capitoli e alla serie. Mi sono dimenticata di segnarmeli, ma ne evidenzierò uno in particolare: quando Arthur dice di quando ha scompigliato i capelli a Merlin, parla della puntata di Freya. Come abbiamo detto più volte in passato, Merlin ancora non gli ha raccontato di quell'episodio, quindi il re è rimasto con la sua teoria iniziale. Perdonatemi se ho fatto qualche errore nelle citazioni agli epsiodi, purtroppo ho il dvd solo della prima e le altre non le ho potute rivedere perché, per motivi ignoti, lo streaming ha deciso di non funzionarmi.
Ringrazio tantissimo lilyy dreamlikeview, che hanno recensito lo scorso capitolo, e Merthuriana, una nuova entry. La sua recensione mi ha fatto davvero piacere ed è arrivata proprio a pennello <3 Grazie a tutte e tre per il sostegno *abbraccia*
Vi avviso che il prossimo capitolo sarà comunque di domenica, anche se potrebbe arrivare in un orario tardo.
Kiss

P.S. Se mi volete menare, fate bene.

   
 
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