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Autore: _Maeve_    03/12/2019    2 recensioni
Non mi ricordo più cos’ero prima di questo
Ci sono tante cose difficili da descrivere. Cose contraddittorie, bellissime e terribili insieme. Cose che ci mettono di fronte alle nostre manie, e ai nostri limiti; ai nostri compromessi, alla nostra resa. Un tentativo sincero.
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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prodigi
Prodigi




Luglio. La stanza è un ronzio sordo.
La luce allucinata è impiastricciata d’afa e nausea
e io non mi ricordo
come si respira.
Non mi ricordo più cos’ero prima di questo
(La mia identità imperiosa dalle pagine del journal
trapela come il brutto scherzo di un istrione senza platea)
Nell’esofago strozzato questo bizzarro, sorprendente mio corpo
concentra i suoi spasmi famelici; lui sì che è a posto,
che è nato per questo, e in mezzo al totale re-program
si prende, rigurgitante, la sua consumata vittoria
- mentre io regredisco a linfa da spremere, bozzolo moscio
o matrice, insignificante incubatrice;
e sai, nel delirio che è la sopravvivenza della mia specie
la mia mente si sfalda come un Dalì:
non sono più niente se non cifra collosa
sprovvista di poli, ibrida nymphe/nutrix,
ruzzolando sui pedali intrapresi,
era questo, questo ciò che volevi!
Le pareti color tiffany degli ospedali,
il getto stroboscopico dei neon nella degenza,
il vestito blu a pois era tra quelli che preferivo, sì,
ma un tempo; e mentre mi ci stringevo con la voglia di sparire,
m’affacciavo, mio malgrado, sulle soglie di un dolore
che nessuno insegna
- ma tu, certo, non conosci fretta
non sai cosa significhi rassicurare,
parole (suoni) senza senso rimbombano nel vuoto che ti è estraneo
e questo strano tam-tam cardiaco che per caso condividi
procede per sobbalzi, fino a che non ti sfastidi;
io non lo so ancora, cosa voglia dire generare la vita,
ma tu non hai bisogno di significati, e alla vita ti ci aggrappi,
come tutte le cose giuste, che devono succedere, e nascere.

(col senno di poi, ovvio che sei femmina)








Note
Non pensavo, francamente, che avrei scritto più niente - e per tante ragioni. Un'ossessione per l'ordine esagerata, il perduto senno compositivo, sentimenti che andavano un po' dove pareva loro senza incastrarsi bene, e ciò, era ovvio (non per me, apparentemente), non era colpa della Poesia, che in questo è inerme. Forse che è stato un anno poeticamente vuoto (anche se mai del tutto) perché vuota sono stata io, come raccontavo a qualcuno: vuota di pensieri coerenti da offrire, sprovvista della capacità di far poesia sull'incoerenza (più di così, s'intende). Fuor di metafora, andando a ritroso mi sono resa conto che il duemiladiciannove è stato un anno in cui non sapevo  bene dove andare; privo dell'identità definita, ancorché melodrammaticamente tragica, dei due precedenti, e nel contempo stracolmo di una voglia di andare oltre, di fare quell'ultimo passo che mi separava dall'infinito - e trovandomi dunque nel mezzo di questi opposti propositi di vuoto e pienezza, ero come un prigioniero con le gambe legate. Oh, non dico che adesso sia meglio. L'infinito è bello nei versi, ma ha un prezzo altissimo, e, spoiler, nessuna sensazione di risoluzione, solo momenti, direbbe Schopenhauer.
Ma noi non siamo come lui, in fondo (e come potremmo mai). Nella vita, alla fine, ci nutriamo di qualche felicità ed essa è vera, poco importano gli up e i down delle nostre sinapsi egocentriche. Io dovevo scrivere qualcosa sulla maternità. Poco importa che non fosse per nessuno, che della platea avessi solo l'illusione.  Ma una cosa tanto importante non poteva passare inosservata, sotto il vessillo del no comment, perché non era giusto. Quindi, (ri)ecco la poesia. Con tutti i miei/suoi limiti.  A prescindere dalla sua risonanza, in un'epoca in cui tutto sembra doverne avere, è necessità ineludibile. Rieccola quando forse lo schock di questi primi sette mesi (!) si è un po' dissolto, in attesa di fare posto, direbbe qualcuno, al grande botto finale. Si spera in una stagione prolifica, di vita e di poesia.  Non aggiungo altro; ringrazio chi avrà la pazienza di leggere questa mia, e mi/la comprenda un poco.

Nymphe/nutrix : la nymphe, la ninfa greca, aveva diverse valenze come raffigurazione di un preciso stadio della vita muliebre. E' la vergine, oppure la fanciulla appena sposata. La nutrix, la nutrice latina, invece è la madre. Fanciulla-sposa/madre, o meglio, l'ibrido inconsapevole (e un po' capriccioso) che sta in mezzo.




   
 
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