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Autore: Diana LaFenice    04/12/2019    0 recensioni
"A volte basta allontanarsi un po' per vedersi meglio".
La notte del naufragio della Fortuny, si persero le tracce di sei delle diciotto lance di salvataggio. Ufficialmente dispersi e poi dati per morti, in realtà i superstiti approdarono sulle spiagge di un vero e proprio paradiso terrestre.
Dieci anni dopo i figli dei naufraghi vivono in pace sotto la guida di Conrad, l'ultimo adulto rimasto. Tuttavia la pace è solo apparente. Tra gioie, problemi e dolori non mancano le lotte intestine e le domande. Per esempio, perché non si può andare nella Landa? Cosa c'è laggiù? Perché non ci si può andare? E se la salvezza fosse oltre quella zona nebbiosa e fitta? E cosa è davvero successo in dieci anni prima? Perché non si può lasciare l'isola?
Ripercorrendo i sentieri della memoria ed esplorando quei meandri tanto temuti, i figli dei naufraghi cercheranno di trovare il modo di abbandonare il Giardino dell'Eden in cui sono cresciuti.
Tra ricordi, fantasia, misticismo e spiritualità questo è Il Giardino di Dio.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Questa notte



Il libro dei nonnini era una grandissima enciclopedia cinquantasei per trentasei con almeno un migliaio di pagine. Rilegato con una copertina di cuoio, recava la scritta, in lettere dorate “Piante da tutto il mondo” con tanto di illustrazioni a china e a colori di piante. Dalle più comuni a quelle aromatiche e per usi medicinali. C’erano persino ricette e alcuni suggerimenti sulla coltivazione. Ne avevano applicati alcuni, ed erano riusciti a ottenere giusto i pomodori, ma crescevano nella zona più fresca dell’isola, cioè vicino alle cascate. E non era rassicurante vedere che, senza fertilizzante, fruttavano assai di meno e, con frutti assai più piccoli di quelli che ricordavano. Tuttavia erano pur sempre pomodori quindi andava bene.
Il libro questa volta era nella capanna di Will, solo che l’amico se ne era dimenticato. Fred non avrebbe mai smesso di sorprendersi per la sua distrazione. E dire che un tomo del genere era anche riconoscibile. Il ragazzo era molto distratto per natura. Spesso i ragazzi dell’isola si erano ritrovati a pensare che fosse vivo per un colpo di fortuna.
Sfogliò ripetutamente il libro alla ricerca di qualcosa che lo aiutasse. Da quel che aveva visto però non sapeva che cosa avessero i ragazzini. Rialzò gli occhi dal tomo un momento, per puntarli sul tetto di fronde verdi che frusciavano nel vento. Lui la chiamava “la voce dell’isola”. Quando era piccolo a volte gli pareva di sentire delle voci nel vento, crescendo aveva maturato l’idea che fosse l’isola stessa. Non era così strano a ben pensarci. C’era un motivo se gli uomini preistorici veneravano la natura e la consideravano viva.
Fred era stato battezzato e cresciuto con la religione cattolica, però, a forza di stare qui, si era reso conto che la Bibbia non diceva la verità. Lui non ci si ritrovava nei dettami della Bibbia. Per lui non era possibile che Dio avesse creato queste meraviglie soltanto per l’uomo. Se ne era accorto quando in passato, un gruppo di adolescenti superstiti della Fortuny distrusse una piccola area di giungla per puro diletto. Anche se erano passati anni era come se fosse rimasta traumatizzata, perché non si era ancora ripresa. «Tanto siamo qui!», «Sì, quest’isola è tutta nostra», «Siamo noi i padroni». Quel giorno di fronte a quello scempio, era scoppiato a piangere e, aveva capito che l’isola non era nata per loro.
Quella parte si era ripresa in quattro anni e, il Karma aveva provveduto alla loro incuria. Erano morti avvelenati per aver ingerito delle bacche. Le uniche morti di cui fu mai contento. Anche perché, quei ragazzi non dettero mai segni di pentimento, ma anzi, per molto tempo continuarono a domandarsi perché non trovavano questo o quel cibo in quella zona. Oppure chi fosse stato il coglione che l’avesse ridotta così. No, Dio aveva soltanto dato la vita agli uomini; niente di più. E se mai quello che era scritto nella Genesi fosse vero, allora non avevano imparato niente. 
Il ragazzo era giunto alla conclusione che, nella notte dei tempi, gli esseri umani avessero avuto le ali come gli angeli. Non sapeva ancora spiegarsi perché le avessero perse, ma era per questo si erano costruiti dei surrogati. Per far sì che con esse potesse costruire torri che si elevassero verso il cielo come montagne. E che solo nella morte ritrovassero quella libertà perduta. Che piangessero di gioia, addirittura. Ma forse erano solo le sciocche fantasie di un sedicenne cresciuto su un’isola deserta.
Ciò non toglieva che fosse ingiusto che dei bambini morissero. Avrebbe fatto qualsiasi cosa in suo potere per salvarli. «Ehi, Fred! Fred!» Lo chiamò la voce di Bogdan. Il ragazzo distolse lo sguardo dai suoi appunti.
Tanto era soprappensiero non si era neanche accorto che lo stavano chiamando. «Eh? Oh, ciao Bogdan».
Il ragazzo sbottò: «Oh, era ora, era la quarta volta che ti chiamavo». Fece poggiandosi le mani sui fianchi.
«Scusa, ero assorto».
«Ho notato, dai scendi che tra poco si comincia». Lo spronò rimarcando le sue parole con un cenno del braccio ma l’altro non capì. «Si comincia cosa?»
«La festa, dai su, scendi». L’amico ci mise un po’per ricordarsi che oggi era il suo compleanno.
Chiuse il libro di scatto e uno sbuffo d’aria gli smosse leggermente i capelli. «Ah, sì, scendo subito». Lo riavvolse nel panno che lo custodiva e lo rimise nella capanna. Poi scese le scale e si avviò insieme a lui vicino alle rocce e ai cespugli di fiori. Era uno dei posti più riparati che ci fosse in quella zona, l’ideale per tenere al caldo le persone. E poi il profumo di quelle piante era molto forte.
Mentre si avviavano, Fred notò la sua amica Kelani lanciare uno sguardo pieno di speranza. Lo stesso che aveva visto molte volte in faccia a Celeste quando aspettava di vedere Sam.
Il ragazzo sorrise divertito sotto ai baffi. 
Era già stato acceso un bel falò e alcuni dei ragazzi avevano già tirato fuori gli strumenti musicali. Un tamburo di legno ricavato da un piccolo tronco d’albero a fessura longitudinale, sonagli legati, flauti e flauti di pan, strumenti a raschiatori e l’arco musicale. La piccola eredità di Jennifer. La donna gli aveva insegnato anche questo, oltre che qualche canzone che amava, molte di Simon & Garfunkel e di Enya. Anche se quasi nessuno aveva un talento musicale vero e proprio. Al massimo alla fine avrebbero finito più per canticchiare qualcosa tutti insieme. Fred apprezzò moltissimo il pensiero.
Ma l’entusiasmo generale si smorzò quando i ragazzi si avvicinarono al falò e notarono la persona che era già accomodata sulle stuoie. Conrad. Fred lanciò uno sguardo a Kelani. Aveva tutta l’aria di una cui fosse stata comunicata un’inaspettata, brutta notizia. Il ragazzo le strinse la spalla come a dire: “Non preoccuparti, sarà per la prossima volta”. La giovane volse gli occhi scuri su di lui e gli lanciò un mesto, disincantato, piccolissimo sorriso. Coprì un momento la sua mano con la propria. Poi prese posto tra Will e Zaira.
«Ragazzi, avete portato gli strumenti!» Esclamò il festeggiato con un gran sorriso, nel tentativo di alleggerire la situazione.
«Sì». Confermò entusiasta Devon, un ragazzo delle Mangrovie. Aveva i capelli biondo paglia ed era per natura un po’ più pingue. Le guance piene lo facevano somigliare, in un certo senso, a un leone marino. «Come diceva Jennifer: non è una vera festa se non c’è un po’di musica!» Esclamò poi tutto entusiasta. L’atmosfera generale si raggelò immediatamente e tutti guardarono Conrad. L’uomo li guardò entrambi di traverso. Il problema non erano la musica e le capacità esecutive dei ragazzi. Anzi, qualche volta pure lui lo si sentiva suonare e cantare. Era proprio il nome di Jennifer a dargli fastidio. Probabilmente per lui suonava come un monito perenne, che lui era solo l’ultimo leader, mentre lei li aveva guidati per quasi sette anni, prima di morire.
Restò abbastanza sorpreso quando vide anche i bambini. Avvolti dentro i teli ma presenti. Tutti si erano messi in tiro quasi che fosse una ricorrenza nazionale. Ma in fondo ogni compleanno lo era. E andava celebrato perché era come se dicessero: “Siamo ancora qui, siamo ancora tutti insieme”. 
Le ragazze con i fiori tra i capelli pettinati diversamente e i ragazzi con qualche gioiello di semi e conchiglie in più, oltre che le camicie bianche. Sembrava che il tema della festa fosse il bianco. Non ci potevano fare niente, perché a forza di lavare quei vestiti, il colore era andato via. Restava solo una sottile patina del colore originario. Così sottile che si vedeva soltanto di giorno e risaltava come una sfumatura del tessuto.
«Appena farà troppo freddo li porteremo subito a letto. Per sicurezza gli abbiamo fatto bere qualcosa per lenire il mal di testa e abbassare un po’ la febbre». Spiegò Kelani.
«Bene».
Anche Conrad era presente.
Mangiarono pesce arrostito e anacardi con semi arrostiti e frutta tutti insieme. Poi si misero a chiacchierare, giocherellare e infine, si arrivò alla parte della serata che avevano atteso più o meno tutti, quella in cui avrebbero canticchiato qualcosa. A un certo punto si ritrovarono a parlare di vecchie canzoni che risalivano all’infanzia e, mentre Claire se ne stava in piedi vicino a un cespuglio fiorito, Conrad la seguì con lo sguardo.   
«Sì, com’era che faceva? You think you own whatever land you land on». Continuò ma presto smise perché steccò e poi scoppiò a ridere. Anche gli altri ragazzi risero divertiti e le fecero un applauso. «Poi non me la ricordo più». Si scusò continuando a ridere mentre i ragazzi applaudivano.
«È un peccato, era molto bella». Costatò Celeste. Proprio allora un’altra voce si librò leggiadra nell’aria fresca della sera. Era la prima volta che la sentivano, ed era delicata come un soffio di vento primaverile. La cantante aveva gli occhi chiusi e le parole sgorgavano dalla sua gola come acqua di fonte da una roccia.
Le braccia conserte per scaldarsi. Sciolse la presa e le mosse come a disegnare ciò di cui parlava. Il vento parve quasi rispondere al suo richiamo che una delicata brezza soffiò smuovendo le scintille del falò. Era come se stesse cantando un incantesimo perché le scintille, parvero seguire il movimento delle sue mani, prima di ascendere al cielo e scomparire. Mentre altre invece, si sparsero attorno a loro e, illuminando l’ambiente, parvero trasfigurarlo. Come se non fossero semplici scintille. Fu come essere trasportati in un mondo a parte. Come se fosse di nuovo giorno e fossero attorniati dai fiori di uno splendido giardino profumato e rigoglioso. Qualcuno si guardò anche intorno, stranito.
«Non sapevo che sapesse cantare». Bisbigliò Christopher all’orecchio di Frederick, che adesso seguiva quei movimenti, come se lei stesse effettivamente dipingendo o ricostruendo per loro quel paesaggio. 
La voce che proseguiva con una tale dolcezza che quando la voce sbocciò nel crescendo, Fred e molti altri sgranarono gli occhi. Il ragazzo si accorse che il vento attorno a loro sembrava essersi placato, come se volesse ascoltare. Altre presenze sembravano essere uscite dalla giungla, incuriosite. Nella penombra del fuoco gli parve di vedere, dietro Claire, Jennifer, Horace, i signori Stewart e Sally.
Quando Claire cantò l’ultima nota, le presenze e il mondo da lei creato scomparvero dissolvendosi in pulviscolo dorato. Fu come fluttuare di nuovo alla realtà, con il profumo dei fiori e della legna bruciata e il rumore delle onde del mare alle loro spalle. Fred batté le palpebre per abituarsi di nuovo alla penombra rischiarata dalle lingue di fuoco, mentre tutti tacevano. Furono i bambini a esprimere il loro cristallino giudizio, rompendo le ultime tracce dell’incanto: «Ma che cos’è?», «Era noiosa!»
I più grandi, che sapevano, che ricordavano questo pezzo della loro infanzia, di casa, invece li zittirono e li rimproverarono. In fin dei conti Claire aveva cantato anche per loro. Solo allora i bambini si scusarono con lei. La quale sorrise e disse che non faceva niente. Ma si vedeva che c’era rimasta male.
Fred controllò Conrad e per poco non scattò indietro da seduto: era livido mentre fissava Claire con astio. Il festeggiato si accigliò confuso. Perché la guardava così? Che gli aveva fatto?  Per un momento pensò al peggio, poi l’espressione dell’uomo si appianò e si girò verso i giovani:
«Bè, si è fatto tardi, è ora di mettere i ragazzi a letto. Ci pensate voi?» Chiese in tono calmo. Ecco la differenza fondamentale tra loro. Quasi nessuno di loro riusciva ancora a controllarsi così. Se chiunque altro fosse stato al suo posto l’avrebbe coperta di insulti e presa a calci. Ovviamente, se fossero stati al suo posto e se l’avessero odiata tanto.
«Sì, certo, venite piccoli». Intervenne Kelani e, dopo aver salutato tutti e augurato ancora un buon compleanno a Fred, riportò i bambini alle capanne. Gli altri ragazzi dettero una mano a spegnere il fuoco e sparecchiare. Tutti tranne Claire, che se ne era già silenziosamente svignata.
Al ragazzo non ci volle molto per individuarla. Si alzò e la seguì. La chiamò e la ragazza si fermò e si girò. Fred restò un momento senza parole prima di farle i complimenti per l’esecuzione e la memoria. La cantante si aprì in un sorriso, stringendo le mani l’una nell’altra: «Grazie, credevo di avere cantato male, non ha applaudito nessuno». Lui si scusò anche per questo e le spiegò quanto li avesse sbalorditi. Ma era ancora tanto emozionato che si ritrovò a farfugliare.
Come fece a capirlo non lo seppe neanche lui. Solo dopo si accorse di un particolare. «Hai qualcosa tra i capelli».
L’amica batté le palpebre e alzò una mano per portarsela alla testa: «Sì? Cosa?»
«Aspetta, scusami, eh». Avvicinò le dita alla sua chioma e quando le ritrasse, sul suo indice c’era una bella falena dalle ali colorate. La giovane rise con voce argentina: «Dev’essere stata attirata dal profumo dei fiori!» “Sì, dal profumo”, pensò lui. Poi si accorse che il suo sguardo si era di nuovo velato. Come se non lo vedesse più. Come se guardasse qualcosa che si era frapposto tra loro. L’aveva sempre fatto. Forse si era incantata un momento. Le agitò la mano davanti agli occhi e lei batté le palpebre e rinvenne: «Ti eri incantata?»
«Ah, scusami, sì, oddio che figura». Rise lei.    
«Ma no, dai lo so di essere bello, ma non pensavo fino a questi punti». Scherzò lui, ma lo fece con una faccia talmente idiota che fu impossibile non ridere insieme.

   
 
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