Anime & Manga > Haikyu!!
Ricorda la storia  |      
Autore: RaElle    06/12/2019    2 recensioni
Si era perso gli anni migliori della vita rinchiuso in quella struttura, ma anche quelli peggiori...
[Questa storia partecipa al contest "Hold my Angst (Flash contest - Edite ed inedite) - Seconda edizione" indetto da BessieB sul forum di Efp]
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Wakatoshi Ushijima
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Si era scordato di chiedere le bacchette.
Ushijima era appoggiato al muro adiacente al letto, le mani che grattavano con nervosismo la parete dietro di lui. Le unghie ormai sporche di vernice bianca gli mandavano piccole fitte di dolore, un leggero fastidio, ma non aveva trovato altro modo di distrazione. 
La stanza era piccola, di un desolante bianco, il letto dove aveva passato insonne la notte precedente era affossato e scomodo, non c'erano finestre e la porta preferiva non guardarla.
L'unica differenza sostanziale era il vassoio del pranzo appoggiato alla meno peggio sul materasso. C'era una rosetta, una ciotola di ramen e le tipiche posate occidentali. Si era scordato di chiedere le bacchette.
Ushijima si staccò dal muro, e coprì quei pochi passi che lo separavano dal suo pranzo. Non aveva fame, non aveva sonno, non aveva voglia di fare niente. 
Si lasciò ricadere stanco sul letto, prese la pagnotta e diede un morso generoso, masticando poi a fatica, come se i denti avessero perso vigore e forza tutto d'un colpo. Quando la finì, passò con lo sguardo alla ciotola di ramen. 
Chiuse gli occhi e cercò di ripensare all'ultima volta che aveva mangiato del ramen, ma quello vero. 
Tanto, troppo tempo. Più di vent'anni, di questo era certo. Ai tempi si trovava ancora in Giappone, ma non ricorda l'occasione; forse un appuntamento con degli amici, forse una cena veloce dopo aver staccato da lavoro come tirocinante. 
Forse era uscito con qualche ragazza.
Era a Tokyo, ed era sera. Tirava vento, questo se lo ricordava. Si era seduto, aveva ordinato la sua ciotola di ramen caldo e l'aveva gustato, ignaro che da lì a vent'anni si sarebbe trovato a ripensare a quella sera con amarezza e l'angoscia nel cuore. Il resto era solo fumo inconsistente che annebbiava la sua mente. 
Prese la prima cucchiata di ramen, ma in gola non scese null'altro che non fosse semplice brodo. Insapore, deludente, che nulla aveva a che fare con la sua amata terra natia.
Ushijima ripose la ciotola piena nel vassoio, desideroso di tenersi stretto almeno il sapore del buon cibo che aveva mangiato durante la prima fase della sua vita.
Sarebbe mai tornato nel Sol Levante? 
Quanto tempo ancora gli rimaneva? Forse, se la fortuna fosse stata dalla sua parte, sarebbe riuscito a rivedere ancora una volta il suo paese. 
D'istinto, Ushijima guardò verso la porta, attese qualche secondo ma quella rimase chiusa.
Sospirò senza rendersene conto, lieto di sapere che aveva ancora qualche minuto di libertà prima che i medici irrompessero lì. Ma poteva davvero chiamarla libertà?
Qual'era il significato di libertà?
Ushijima sta volta tornò a sognare ad occhi aperti.
Libertà era saltare. Guardò il muro candido davanti a sé e si sforzò di vederci delle braccia, delle mani che si alzavano per difendere un suo cannone. Schiacciare, colpire, affondare l'avversario. Sempre, senza mai perdersi d'animo. 
Quella sì che poteva considerarla libertà.
O forse la libertà di poter essere mancino in una famiglia così rigida come era stata quella formata da sua madre e dalla nonna... pace all'anima loro, riflettè. Suo padre si era battuto con loro affinché lo lasciassero vivere con quella particolarità. Una volta giunto negli Stati Uniti si era reso conto che era circondato da mancini, e lì accanto a loro era diventato un signor nessuno. Non era più il cannone sinistro, non era più l'avversario imbattibile da sfidare, non era il campione da spodestare.
Chissà poi dov'erano finite tutte le persone che avevano riempito la sua vita nel periodo della sua infanzia e adolescenza... se lo chiese col sorriso che pian piano nasceva sul volto segnato dalle rughe. Erano diventati famosi, erano riusciti a inseguire il sogno dello sport agonistico? O si erano ritirati in lavori più umili, o forse in mestieri ancora più ostici? Cos'erano diventati? Infermieri, chirurghi, avvocati? Giudici? O ancora, operai in aziende, tassisti, ristoratori? Avevano sofferto nel corso della loro vita, così come aveva sofferto lui? Si augurò di no. Non se lo meritavano, nessuno se lo meritava. Anche se non ricordava quasi più il volto di nessuno, si chiese se stessero bene. Erano vivi? 
Cos'erano diventati, che lui non sarebbe mai più stato? 
Ushijima Wakatoshi col tempo era passato dall'essere un onesto lavoratore a diventare sempre più un corpo spento, privo di voglia di lottare, instabile. Da muscoloso che era in gioventù, si era visto dapprima ingrassare sulla pancia e poi perdere peso a vista d'occhio, poi aveva perso tonicità, erano arrivate le rughe e i capelli erano piano virati al grigio. Era passato dall'essere un astro nascente con una carriera promettente davanti, fino a trasformarsi in un numero, in una targhetta, in una stanza in cui restava confinato, in una divisa che si perdeva a vista d'occhio tra le moltitudini di divise che lo circondavano ogni giorno. Viveva con l'angoscia di svegliarsi una mattina e sapere che non gli restava più da vivere, una corsa senza fine contro il tempo... 
Si era perso gli anni migliori della vita rinchiuso in quella struttura, ma anche quelli peggiori; la sua situazione gli aveva impedito di assistere ai funerali degli amati genitori, che a loro volta avevano potuto fare ben poco per aiutarlo concretamente, e gli era stata preclusa la possibilità di farsi una famiglia sua. Forse, se avesse avuto una compagna, o dei figli, quelli gli avrebbero fatto visite alleviandogli in parte il dolore che lo logorava. 
Ma era solo. 
In quella stanza era solo, e da solo sarebbe morto, probabilmente. 
Ushijima scacciò via dalla mente quei pensieri, mise per terra il vassoio col brodo ormai freddo, e si stese sul letto. Aveva passato anni temendo l'arrivo di quel giorno, ma si fece forza: era l'ultima fase, doveva farsi coraggio. Magari non sarebbe stata dolorosa... 

Il cuore tremò nel petto e gli occhi si spalancarono di colpo, quando la porta si aprì davanti a lui. Ushijima era riuscito ad addormentarsi qualche ora, ma era stato un sonno agitato da incubi senza fine. 
Davanti a lui, i medici e i funzionari della struttura. 
Si alzò dal letto, più morto che vivo, con gli abiti bianchi tipici dei pazienti ospedalieri e si avvicinò a loro. Era finita? Le sue ultime 24 ore erano già terminate? 
Con la bocca secca e l'agitazione che si era impossessata del suo corpo, si avvicinò agli uomini. Le orecchie si rifiutarono di ascoltare le parole che uscivano dalle labbra di quei tizi, ma quando il silenzio tornò a circondarlo, il battito accelerato del suo cuore non fece altro che venire amplificato all'interno del suo cranio. Non sentiva nient'altro. 
Poi si bloccò: come si respirava? 
Un gesto tanto naturale venne meno proprio nel momento del bisogno; Ushijima si era accorto di stare prendendo respiri profondi e sospiri senza fine, ma non era preparato a ciò che lo attendeva ora. 
Nella nuova stanza in cui era stato trasferito, bianca come la camera che aveva da poco lasciato, c'era un letto immacolato, con dei braccioli e delle cinghie, un'altra porta che doveva portare in qualche stanza adiacente, e una lunga finestra con le tende tirate. 
Si guardò attorno per studiare l'ambiente, nonostante l'agitazione che lo stava divorando vivo, poi si avviò. Erano tre passi, tre passi che fece con tutto quel poco di dignità che gli era rimasta in corpo. Non si sarebbe fatto pregare. 
Ushijima non guardò in faccia nessuno; si sedette prima sul lettino, poi si sdraiò, facendo finta che tutto stesse andando bene. 
Quando le luci accecanti del soffitto gli colpirono gli occhi, Ushijima si rese conto che quello era il primo intervento che faceva nella sua intera vita. Non si era mai sottoposto prima ad alcuna operazione, e non sapeva come funzionasse l'anestesia. Davvero era come addormentarsi? Si augurò di sì. 
Era da deboli sperare di non soffrire? 
Evitò di darsi una risposta. 
I funzionari e i medici lo attorniarono, legando ora le braccia ora le gambe al letto, accertandosi di averle strette il giusto. Non doveva muoversi, non doveva intralciare il loro lavoro. 
Qualcuno si mise alla sua destra, e iniziò a tastargli il braccio destro... ma le sue vene erano sempre state visibili, nel corso del suo mezzo secolo di vita non gli era mai balenato per la testa di drogarsi. Il dottore non ci mise che qualche secondo a trovarle e a inserire l'ago. 
Ushijima continuava a guardare il soffitto, solo che ora le luci avevano iniziato a danzare davanti ai suoi occhi: una piccola barriera di lacrime si era formata sotto le palpebre senza che potesse fare nulla per contrastarle. Fece per asciugarsi gli occhi con la mano sinistra, ma quella era già ben legata al bracciolo del letto. Tese il braccio e ritentò, ma le cinghie non si allentarono di un centimetro. 
L'ansia e l'agitazione fecero sì che quelle lacrime superassero la barriera delle palpebre e scendessero veloci lungo le guance: Ushijima si morse a sangue la lingua per l'umiliazione a cui si stava sottoponendo, ma non aveva più forza né lucidità per mostrarsi forte di fronte agli altri. 
Aveva passato gli ultimi 23 anni a mantenere il sangue freddo, ma stava giungendo al capolinea e non rimaneva neppure un briciolo di dignità a fargli tenere la testa alta. 
Quindi chiuse gli occhi, chiedendosi cosa stessero pensando di lui i giornalisti che lo stavano di sicuro guardando da oltre la finestra. C'erano anche i parenti di quella ragazza? Di sicuro, per niente al mondo si sarebbero persi la scena... 
"Hai qualche dichiarazione da fare?" 
Chi gli aveva fatto quella domanda? Ushijima aprì gli occhi, sentendoli di nuovo asciutti, e si guardò attorno. Erano tutti pronti ai propri posti, aspettavano solo lui. 
Non gli tremò la voce, non nel dire l'unica verità che conosceva, l'unica verità che aveva detto, ripetuto e anche urlato a squarciagola per metà della sua esistenza, senza mai essere ascoltato... "Sono innocente". 
E si zittì subito dopo. Che senso aveva parlare? Gli rimaneva solo la sua innocenza, null'altro avrebbe potuto scagionarlo o evitargli la condanna a cui stava andando incontro. Forse... Ushijima aveva adocchiato il telefono presente nella stanza. Una chiamata. Una sola chiamata dal governatore e forse si sarebbe evitato quell'esecuzione. Ushijima attese, ma nessun suono venne ad interrompere quella ingiustizia. Nessuno aveva mai creduto alle sue parole, eppure su quella scena del crimine erano riusciti a trovare solo lui. Lui, che la vittima l'aveva solo vista di sfuggita prima che venisse barbaramente torturata e uccis-
Poi, eccolo. 
Ushijima Wakatoshi vide il soffitto danzare più di prima davanti ai suoi occhi, quasi la stanza avesse iniziato a girargli attorno. Sembrava un televisore che perdeva il segnale e iniziava a svalvolare...
Poi inspirò, ma i polmoni gridarono la loro resa. 
Ushijima aprì bocca, convinto di poter parlare ma la lingua rimase piantata sul palato, quasi si fosse cementificata. 
Non... respiro?
Agitò la mano per attirare l'attenzione dei presenti, ma la mano si era già anestetizzata ed era tenuta stretta al letto da una cinghia di pelle che non perdonava nessun movimento... 
Non respiro!
Urlò, ma quelle parole non lasciarono mai le sue labbra. 
La visuale cambiò, non c'era più una stanza che girava, era diventato tutto grigio, sfocato, lontano... 
Non respiro!
Non resp-
Ushijima si sentì leggero, anche la mente e la sua coscienza lo stavano abbandonando. Non riusciva più a pensare. 
Non...

___________________________________________________________________

#Rip Ushijima! Per questa storia ho preso ispirazione da una mia esperienza con l'anestesia (il primo intervento/anestesia in vita mia, tra l'altro) avuta nel 2018. Doveva essere un intervento di routine (e se sono qua a parlarne vuol dire che è andato effettivamente bene xD) ma l'anestesia è stata... traumatizzante.

Stava andando tutto come doveva andare, ero sul lettino, le mani e le gambe legate in modo che non mi muovessi troppo durante l'operazione. Per me, che era la prima volta, sembrava tutto normale. Poi mi hanno messo la mascherina dell'ossigeno, e lì è iniziato il mio problema.
Il tutto sarà durato pochi secondi, ma tanto è bastato per farmi provare un terrore che mai avevo provato (e facciamo le corna per eventuali interventi futuri!)
Oh, 26 anni di vita a sentire gente che "ma vai tranquilla, è come addormentarsi, non te ne accorgi neanche!"
Non è stato proprio così.
Mi hanno messo la mascherina dell'ossigeno, e nell'atto di respirare, una cosa normalissima, mi sono sentita comprimere il petto.
Non riuscivo a respirare. Letteralmente, (pensavo) stavo soffocando perché non riuscivo più a inspirare aria.
Ho provato ad alzare la mano per attirare l'attenzione dei dottori, ma mi ero scordata che me le avevano legate col lettino. E con le mani fuori uso, con me che ormai ero nel panico più totale perché continuavo a cercare aria che non c'era (!!!) mi sono detta che dovevo parlare. Ho aperto la bocca, e l'orrenda sensazione della lingua attaccata al palato non la scorderò m a i. Non sono riuscita a muoverla, non sono riuscita a dire niente, e nel frattempo dentro di me urlavo che non riuscivo a respirare e che dovevano fare qualcosa. Ripeto, sarà durato pochi secondi, ma in quei pochi secondi ho avuto comunque il tempo di rendermi conto che non respiravo più autonomamente, ho provato a muovere le mani e poi a parlare senza riuscirci.
Poi mi sono addormentata, e ancora mi chiedo perché non mi sia venito un infarto dalla paura.
Quest'anno a febbraio ho avuto il medesimo intervento, solo che durante il colloquio con l'anestesista pre-operazione ho raccontato di quello che mi era accaduto la prima volta.
La poverina era sconvolta, e ci credo! Io di medicina non capisco assolutamente nulla, quindi mi ha spiegato in parole povere che a quanto pare c'era stato un errato calcolo dei tempi, e che avevano fatto partire l'anestetico prima che il mio corpo si fosse "addormentato".
L'anestesia era partita sul mio corpo quando io ero ancora cosciente, in teoria dovrebbe essere il contrario.
Seguendo il consiglio di questa anestesista, prima dell'ultimo intervento ho parlato con il medico di turno e gli ho detto di quanto mi era accaduto la prima volta. Fortunatamente, almeno questo intervento è andato bene, e l'anestesia pure. La stanza ha iniziato a girare e bom, ero già nel mondo dei sogni.
E niente, dopo quell'intervento ho pensato di sfruttare questa *brutta* esperienza ed integrarla con un argomento che mi ha sempre incuriosita, ovvero le condanne a morte.
L'ispirazione è caduta su Ushijima semplicemente perché è uno dei miei preferiti, non c'è un vero motivo.

   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Haikyu!! / Vai alla pagina dell'autore: RaElle