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Autore: Mary P_Stark    10/12/2019    2 recensioni
Cosa succederebbe se gli dèi dell'Olimpo e gli eroi greci camminassero tra noi? Quali potrebbero essere le conseguenze, per noi e per loro? Atena, dea della Guerra, delle Arti e dell'Intelletto, incuriosita dal mondo moderno, ha deciso di vivere tra noi per conoscere le nuove genti che popolano la Terra e che, un tempo, lei governava assieme al Padre Zeus e gli Olimpici. In questa raccolta, verranno raccontate le avventure di Atena, degli dèi olimpici e degli eroi del mito greco, con i loro pregi, i loro difetti e le loro piccole stravaganze. (Naturalmente, i miti sono rivisitati e corretti)
Genere: Commedia, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Eris – 1 –
 
 
 
Millenni fa, Monte Olimpo
 
 
Gli strepiti furiosi di un bimbo appena nato riempivano l’aria incontaminata e pura dell’Olimpo e, mentre Zeus si trovava molto lontano dal luogo in cui la moglie Era aveva appena dato alla luce la sua figlioletta, un giovane Ares borbottava: «Ma deve fare proprio tutto questo chiasso?»

Un’egualmente giovane Athena replicò sorniona: «E’ una neonata. Cosa dovrebbe fare?»

«Tu sei nata già grande… perché lei no?» brontolò contrariato Ares, faticando a comprendere la situazione.

Athena lo fissò piena di biasimo e, nello scuotere il capo di riccioli biondo-ramati, esalò esasperata: «Perché io sono stata plasmata nella mente di nostro padre, sciocco, e lui mi ha creata così. Tu e tua sorella, invece, siete nati dal ventre della divina Era, perciò siete nati piccoli.»

«Io non sono piccolo!» sbottò furioso Ares, incendiando il suo viso di giovane uomo e fissando burbero la sorellastra.

Athena lo guardò con aria di superiorità e replicò serafica: «Oh, sì, sei davvero un giovane enorme… infatti il tuo cervello è inversamente proporzionale ai tuoi muscoli.»

«E questo che diavolo vorrebbe dire?!» sbraitò a quel punto Ares, divenendo paonazzo in volto, gli occhi chiari che lanciavano strali di rabbia.

La giovane Athena rise con aria deliberatamente derisoria e Ares, ligio ai suoi precetti, le saltò addosso per dargliene quattro.

Ben conoscendo il carattere bellicoso del fratello, Athena si scostò di un poco per evitarlo, allungò un piedino abbracciato da eleganti calzari dorati e Ares, non potendo evitare lo sgambetto, volò lungo riverso sul corridoio marmoreo.

Lagnandosi per la gran testata sul pavimento che, quel volo, produsse con gran fragore ed eco per tutto il tempio, Ares fissò poi furioso la schiena di Athena, già diretta verso le stanze di Era e ben decisa a incontrare la nuova nata.

«Aspetta, maledetta! Devo essere io, il primo a vederla!» esclamò il giovane, balzando in piedi e imprecando tra i denti per il senso di stordimento dovuto alla caduta.

Gli sembrava di essere ubriaco… e non era neppure passato da Dioniso per una bevuta!

La sorellastra rise divertita da sopra una spalla e, nello scostare i tendaggi che la separavano dalle stanze della divina Era, mormorò melliflua: «Mi spiace, è tardi… hai perso. Di nuovo.»

Con un ringhio che fece tremare le pareti dell’intero tempio, Ares si lanciò alla carica per raggiungerla e quasi divelse le tende di seta, per recuperare il terreno perduto.

Nel farlo, però, si trovò addosso le occhiate di rimprovero delle ancelle della madre che, con ampi gesti delle mani e ‘ssst’ bisbigliati con veemenza, lo riportarono a più miti consigli.

Per bella posta, Athena gli fece la linguaccia da sopra una spalla, lei già al fianco del letto di Era e in contemplazione della neonata.

Ares si trattenne a stento dall’ingiuriarla a male parole – non aveva voglia di assaggiare le ire della madre – e, con passo pesante, raggiunse il talamo per osservare la sorellina appena nata.

Questa, ancora strepitante, sembrava non tener conto dei tentativi della madre di chetarla e anche Athena, dopo un inziale divertimento, si ritrovò a fissare spiacente e turbata il pianto disperato della piccola.

I suoi tentativi di carezzarle il capo corvino non sortirono alcun effetto e Ares, a disagio di fronte a tutte quelle lacrime, borbottò: «Come fa ad avere tutto quel fiato? E’ piccolissima.»

Cominciando a irritarsi, Era passò la bambina urlante a una delle ancelle e, nel sollevarsi da letto con aria stizzita, disse: «Fatela smettere. Mi fa dolere le orecchie. Io, nel frattempo, mi cambierò le vesti. Vi do questo tempo, per chetarla.»

Ciò detto, se ne andò dalla stanza per raggiungere i bagni termali del tempio, gli sguardi dubbiosi di Ares e Athena a seguirla nel suo allontanamento frettoloso dalla neonata.

«Ma non dovrebbe…» tentennò Ares, lanciando occhiate intermittenti alla bambina in braccio a una delle ancelle, e al punto in cui era scomparsa la madre.

Athena scrollò le spalle, si volse a guardare la piccola in lacrime e mormorò: «Non so davvero, Ares.»

«Tu che non sai qualcosa?» la rimbeccò il giovane dio.

La sorellastra, però, non raccolse il suo tentativo di litigare nuovamente e, nell’avvicinarsi alla piccola, domandò: «La divina Era ha già deciso come chiamarla?»

«No, Vostra Grazia… non ci ha detto nulla, in merito» mormorò spiacente l’ancella, intenta a cullare l’inconsolabile bambina.

Grattandosi una guancia con espressione perplessa, Athena scrutò il fratellastro e gli domandò: «Tu come la chiameresti?»

«Io? Lo chiedi a me? E che ne so?!» gracchiò sgomento il giovane, impallidendo di fronte alla sua domanda.

Athena gli lanciò un’occhiata derisoria e, tamburellandosi il dito indice sul mento, borbottò: «Cosa succede se, al tuo nome, sostituisci le vocali con quelle che seguono?»

«Eh? Lo sai che non amo gli indovinelli, Athena!» sibilò Ares, contrariato. «Parla facile!»

«Ma dai… questo è semplice. Dopo la Alfa di Ares cosa viene, se compiti le vocali?»

«La Epsilon» sbuffò il giovane, accigliato ma disponibile a seguirla nel suo ragionamento.

«E dopo la Epsilon che compare nella seconda parte del tuo nome, cosa c’è?» lo invitò a proseguire la sorellastra, incitandolo con un gesto della mano.

«La Iota. Oh… Invece di Ares, Eris, dici?» esalò sorpreso il giovane, prima di sorridere con goffa soddisfazione. «Eris. Sì, mi piace. E’ da femmina, no?»

«Sì, è da femmina» assentì la giovane, cercando di dare un buffetto sulla guancia alla bimba. «Che dici? Ti piace Eris, come nome, piccolina?»

La neonata parve apprezzare, perché il pianto scemò un poco ma, prima ancora di poter sorridere per la soddisfazione, la voce gelida di Era si levò fiera e, sotto gli occhi turbati di Athena, la dea tornò nelle sue stanze e scostò di malagrazia la giovane divinità della guerra.

Fissandola poi con aria di sfida, dichiarò: «Non sono affari tuoi, come si chiamerà. E ora vattene. Questo non è posto per te.»

La giovane dea sapeva bene di non essere molto apprezzata dalla consorte del padre, ma aveva sperato che la nascita di una figlia avrebbe ammorbidito un poco Era.

Così, però, sembrava non essere avvenuto e in silenzio – non volendo fomentare la sua ira – si ritirò dalle sue stanze, passando a fianco di un mogio Ares, che le lanciò un’occhiata spiacente.

Era sempre stato così, tra i due giovani dèi. Finché erano loro a fomentare la lite o i reciproci bisticci, potevano anche tirarsi per i capelli e prendersi a pugni per ore, ma nessuno dei due sopportava che fossero altri, a rabberciarli.

Anche Ares, come lei, sapeva però bene quando tacere.

Mentre Athena si allontanava dal gineceo del tempio, sentì comunque dire ad Ares: «Il nome l’ho scelto io, madre. Possiamo darglielo? Mi piace.»

«E sia» convenne Era, la voce stanca e nervosa. «Ma non permetterti mai più di giocare per i corridoi del mio tempio con Athena, o anche solo di farle rivedere la bambina. Lei non fa parte della famiglia.»

«Ma…» tentennò il giovane dio, restio a tenere lontana la sorella e amica.

«Niente ma, Ares» sentenziò rigida Era, trasmettendo in quelle poche parole tutto il suo livore.

Athena sospirò, lasciandosi quindi alle spalle il tempio di Era e la rabbia della dea. Quando infine si ritrovò a scrutare il cielo ammantato di stelle, si trasmutò nella casa di Nyx per terminare in modo migliore quella giornata divenuta così triste e cupa. Lì, era sempre stata ben accetta e le piaceva passare le giornate in compagnia dei figli della Notte.

Riapparendo nell’enorme veranda della casa della Notte, dove i molti figli di Nyx dimoravano, Athena salutò con un cenno Hypnos che, nel vederla, le sorrise e le indicò di avvicinarsi a lui.

Accoccolatasi accanto all’amico, intento a scrutare un piccolo planisfero illuminato da miriadi di luci colorate gli domandò curiosa: «Sono i mortali?»

«Sì. Sono i miei sudditi devoti» ammiccò divertito il dio del sonno, sfiorando il planisfero con dita delicate. «Hai la faccia abbattuta… Era ha dato il meglio di sé, vero?»

La giovane scrollò le spalle e lasciò cadere l’argomento, preferendo ammirare la volta del cielo da quella prospettiva insolita – la casa di Nyx sembrava racchiudere l’universo intero e, al tempo stesso, non conteneva nulla – e, appoggiando il capo alla spalla di Hypnos, mormorò: «Puoi mandarmi un sogno bello e tranquillo?»

«Per te, amica mia, quel che vuoi» ammiccò il dio, chiamando poi con un fischio il fratello Morpheus. «Una richiesta speciale per la signorina. Cosa potresti offrirle, di leggiadro, piacevole e bello?»

Morpheus carezzò spiacente il capo di Athena e lei, per tutta risposta, gli sorrise grata.

Tra loro era sempre corso un buonissimo rapporto, e Athena considerava Nyx alla stregua di una madre.

Il dio dei sogni scosse il capo nel sedersi a sua volta accanto alla dea e, fissandola con occhi colmi di mestizia, mormorò: «Non mi piace quando ti trattano così, Atty, e lo sai. Dovresti trasferirti in pianta stabile da noi e vivere come nostra sorella. Noi ti tratteremmo bene.»

«Mi adottereste senza chiedere a vostra madre?» domandò curiosa la dea, prima di assottigliare le palpebre e aggiungere: «Di preciso, come mi avrebbero trattata, scusa?»

Lui ammiccò spiacente, scrollando le spalle e indicando un’ombra sul fondo della sala, che si rivelò essere Hermes.

«Oh,… il solito spione. Perché non sei entrato anche tu a vedere la piccola, piuttosto?» borbottò Athena, sollevando il capo per scrutare il fratellastro, nascosto all’ombra dei pilastri di sostegno della veranda.

«E prendermi le scontate reprimende di Era perché sono un bastardo di suo marito? Ma anche no. Comunque… anche tu sei stata sciocca. Perché impicciarsi del nome della bimba? Lo sai che Era se la prende anche soltanto se respiri, quando ha la luna storta» ironizzò Hermes, uscendo dall’ombra per poi accucciarsi a sua volta accanto a Hypnos, ancora impegnato nel suo ruolo di dio del sonno.

«Sembrava tranquilla, ultimamente… forse perché sapeva che avrebbe partorito una bambina» scrollò le spalle Athena. «Quando invece è nata, e la piccola continuava a piangere, lei si è spazientita… finendo con il cacciarmi. Perciò, che colpa ho io, scusa?»

Hermes la fissò pieno di malizia e replicò: «Sei così ingenua, nonostante il tuo intelletto… non lo sai che Era fa sempre il bello e il cattivo tempo, senza dare spiegazioni in merito?»

«Devo ricordarti che sei più piccolo di me, e mi devi rispetto?» sottolineò Athena, accigliandosi.

Hermes rise per tutta risposta, e asserì: «Ah, chiedo venia, sorella, ma era talmente scontato, che lei ti avrebbe scacciata a male parole! Ma dai! Darle persino un nome!»

«E’ stato Ares a darglielo!» sbottò Athena.

«Su tuo consiglio. Diversamente, quel tontolone non sarebbe mai arrivato a congegnare un simile pensiero» precisò Hermes, facendo sorridere Hypnos e Morpheus.

«Non vi ci mettete anche voi due…» brontolò Athena, prima di sospirare afflitta e aggiungere: «Volevo solo dare una mano. Rendermi partecipe. E’ così difficile da capire?»

«Per Era? Eccome! Considera che suo marito è chissà dove, probabilmente con una donzella, e intento a cornificare per l’ennesima volta la moglie. Pensi le piaccia trovarsi in giro per casa i frutti dell’amore fedifrago di suo marito, anche se tu sei nata dalla sua testa, e tecnicamente non hai una madre con cui lui ha cornificato Era?» le fece notare Hermes, tornando serio.

Athena non poté replicare e Morpheus, nel darle una pacca sulla spalla, domandò: «Hai ancora bisogno di me?»

«Vedi se riesci a far fare bei sogni a quella bimba. Piangeva così disperatamente che, forse, ha bisogno di una tregua» dichiarò a quel punto la dea.

L’oneiroi assentì alla sua richiesta e si dileguò dalla casa della madre, prima di riapparire alcuni istanti più tardi, gli occhi dilatati per lo shock e l’aria di uno cui fosse stato posto innanzi l’orrore più terribile e immaginabile.

I giovani dèi lo fissarono pieni di sgomento e Athena, poggiando una mano sulla spalla dell’oneiroi, domandò turbata: «Cos’è successo? Perché hai quest’espressione?»

«Perché sei già qui? Era ti ha scacciato?» domandò al tempo stesso Hermes.

Morpheus dissentì turbato, si passò una mano sul volto pallido e, nell’osservare Hypnos, domandò al fratello: «Non dorme, vero?»

Hypnos, che era rimasto in religioso silenzio fino a quell’istante, ammise: «C’è una forza che mi tiene lontano da lei, come se non volesse il mio intervento… cose volesse la sua sofferenza.»

«In che senso?» esalarono sia Hermes che Athena.

«La sua mente è così rabbuiata, così caotica che non riesco a mettermi in contatto con lei per chetarla e farla dormire. E’ come se dentro la sua testa vi fosse qualcuno che urla continuamente, costringendola a piangere» spiegò loro Hypnos, allargando con le mani la visione di ciò che aveva innanzi.

Le stelle che avevano rappresentato le creature viventi sul planisfero, si andarono via via allontanando, lasciando al loro posto alcune luci più brillanti, rappresentate dalle creature immortali.

«Questa è Era, chiaramente disturbata dalle urla della bambina… vedete come il suo spettro mentale è rosso cupo? Una divinità quieta dovrebbe essere colorata di rosa pallido» aggiunse Hypnos, indicando alcuni punti ben chiari sul planisfero. «Le luci più fioche sono le ancelle della dea e più evidente di tutti, perché di un amaranto così cupo da sembrare nero, c’è la piccola.»

«Eris…» sussurrò spiacente Athena.

«Perché soffre tanto?» domandò Hermes, turbato da quella colorazione così torva.

Accigliandosi, Hypnos si fece pensieroso e, dopo alcuni attimi di silenzio, mormorò a mezza voce: «Moros, io ti convoco. Accetta il mio invito, ti prego, fratello.»

Quel nome ancestrale fece rabbrividire sia Athena che Hermes e, quando un’onda di nero potere primigenio si addensò nella casa, le due divinità si strinsero vicendevolmente la mano per darsi coraggio.

Personificazione del destino avverso e ineluttabile, Moros fece la sua apparizione in uno scintillio oscuro e, attorno ai giovani, l’aria parve quasi prendere fuoco.

Avvolto nel suo nero mantello, Moros si avvicinò al fratello minore, lanciò uno sguardo assente al resto dei presenti e, atono, domandò: «Perché chiedi il mio intervento, Hypnos? Sai che non è accorto chiedere che io parli.»

«E’ tua la colpa delle sofferenze dell’infante?» domandò senza mezze misure il dio del sonno, sfidando con lo sguardo l’alto e imponente fratello.

Moros era una creatura naturalmente taciturna, rinchiusa il più delle volte negli antri più oscuri dell’universo e chiamato a parlare solo per rendere noto il Fato delle persone. La sua voce stentorea e profonda incuteva timore financo alle divinità, timorose di ricevere da lui tristi notizie sul loro futuro.

Fedele alle Moire, era l’unico a poter parlare del filo della vita di mortali e immortali, e sempre per mezzo di contorti indovinelli. Comprenderne quindi i messaggi non era mai semplice, né si era mai certi di aver compreso adeguatamente il suo dire.

«Sai bene che io sono solo un messaggero, fratellino, perciò non addossarmi colpe che non ho» replicò il dio incappucciato, con tono sardonico. «Quanto alla creatura nominata Eris, posso dirti questo; la di lei sorte è legata a quella di coloro che l’hanno preceduta, e le sue sofferenze hanno preso vita da sofferenze precedenti, in un ciclo continuo e senza fine, che bilancia ciò che verrà.»

«Se mettessi i sottotitoli, sarebbe meglio. Non ci ho capito niente» osò dire Hermes, ritrovandosi addosso gli occhi imperscrutabili di Moros.

Azzittendosi subito, Hermes abbracciò tremante Athena che, dopo averlo frizzato con lo sguardo per la stupidaggine appena detta, fissò a sua volta Moros e domandò: «Non c’è altro che puoi dirci su di lei?»

«Ella soffrirà e farà soffrire in egual misura, poiché è questo che ci si aspetterà da lei» dichiarò la divinità, atona e impersonale.

«Perché dovremmo aspettarci questo, da una divinità?»

«Perché il bene e il male esistono da prima che la luce e il buio nascessero, e qualcuno deve prendere su di sé il fardello di una parte, così come dell’altra» asserì laconico il dio.

«Il bene… e il male?» ripeté Morpheus. «Lei… rappresenta il male?»

«Sei superficiale nel comprendere, fratellino. Non questo ho detto, né questo significano le mie parole. E prima di irritare Atropo, mi concederò. Sentirla urlare è peggio che spiegare le cose a voi, sperando che le comprendiate al volo.»

Prima di poter sentire gli insulti di tutti i presenti, Moros svanì e Hypnos, nell’allontanare il planisfero con un gesto stizzito, borbottò: «Non fosse che mi fa una paura folle, gli avrei già dato un calcio nel sedere. E’ un vero stronzo, quando ci si mette.»

«Se fa paura a te, che sei suo fratello, cosa dovrei dire io?» piagnucolò Hermes, ancora stretto ad Athena al pari di una patella con lo scoglio.

La sorellastra cercò inutilmente di allontanarlo da sé così, decidendo di lasciar perdere, si limitò a carezzare le spalle tremanti di Hermes e, esasperata, borbottò: «Di sicuro, non ci ha facilitato la vita, con quelle parole. Che diamine volevano dire?»

«E chi lo sa? Ha detto che non dobbiamo prenderle alla lettera, in sostanza, ma di più non saprei dire» ammise Morpheus, scrollando impotente le spalle. «Una cosa è certa. Se Eris continuerà a piangere a quel modo, Era potrebbe anche gettarla dall’Olimpo come fece con Efesto.»

Athena si accigliò, a quelle parole, e borbottò determinata: «Beh, la salverei prima, poco ma sicuro.»
 
***

Zeus sgattaiolò tra le mura del suo tempio, già pronto a fingere l’ennesimo impegno gravoso con qualche re miceneo, quando si ritrovò a rischiare l’infarto per la paura.

La figura di Era si trovava allungata sulla sua ottomana preferita, mentre una creaturina urlante se ne adagiata in una culla, nel bel mezzo del suo enorme letto, quasi a voler gridare il suo peccato a gran voce.

«Ah, ehm… la bimba è nata, quindi? Ma è normale che pianga così? Non l’hai ancora allattata, per caso?» tentennò Zeus, cercando di portare subito altrove ogni suo pensiero.

Era, però, non si fece minimamente ingannare, forte ormai di troppe bugie sopportate, di tanti silenzi ingiustificati, di una miriade di bastardi a ricordarle il fallimento del suo matrimonio.

Lei, nume tutelare della famiglia, non riusciva a tenere in piedi la propria. Era davvero un ben misero scherzo del destino.

Levandosi imperiosa dall’ottomana per raggiungerlo – dopotutto, l’orgoglio le rimaneva, e glielo avrebbe gettato in faccia come uno schiaffo – lo afferrò per la tunica ed esclamò: «Ho avuto un travaglio di dodici ore! Dodici! E tu te la stavi spassando con qualche donnaccia, a giudicare dall’odore che hai ancora addosso! Neppure in un giorno così importante, sei stato al mio fianco!»

«Era, cerca di capirmi… non sapevo che sarebbe nata oggi… sono del tutto incolpevole. E poi, non ero con delle donne, ma vicino a delle donne, per essere precisi, perché ero a colloquio con il re di Micene, e quindi…» gorgogliò Zeus, raffazzonando una scusa tra capo e collo e scostandosi dalla moglie di un passo per evitare le sue unghie affilate.

La dea non lo ascoltò affatto, però, e urlò ancora più forte le sue rimostranze, mentre un sempre più irritato Zeus si giustificava con nuovi e più vari argomenti.

In quel caos crescente, il pianto di Eris andò scemando fino a trasformarsi in un ghigno furbo e soddisfatto. Fu solo in quel momento che la mano di Hypnos poté sfiorarla, e Morpheus portarle i sogni per chetarne temporaneamente la furia.

Ciò che però videro i due fratelli non parlò di una bambina pacificata, ma di una piccola, giovane dea dalla furia inusitata e perversa, nata da un’altra furia inusitata e perversa.
 
 
 
 
 
 
Dall’alfabeto greco antico: Alfa, Epsilon, Iota, Omicron, Ipsilon (che equivale alla U)

N.d.A.: qui inizia il percorso di Eris e, ve lo dico fin da subito, non si esaurirà con questa storia, ma proseguirà anche nelle prossime. (sto cominciando ad avvicinarmi alla fine di questo strano viaggio, vi avverto ^_^)
La bambina ha avuto una nascita travagliata, e le parole di Moros sono foriere di tempesta, che colpirà Eris e che al tempo stesso le permetterà di colpire gli altri. 
Ma ciò è indice di male, o c'è altro, come ha lasciato intendere Moros?
  
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