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Autore: Naco    13/12/2019    0 recensioni
Quando la sua professoressa di tesi propone a Lucia - seria e coscienziosa laureanda in Lettere - di dare ripetizioni di francese al proprio figlio, la ragazza capisce subito che, accettando, rischia di cacciarsi in un mare di guai: Giulio Molinari è il classico figlio di papà che pensa solo alle ragazze e assolutamente disinteressato a costruirsi un futuro Insomma, il tipo di persona che lei detesta.
Ma è davvero così impossibile che due persone così diverse possano avvicinarsi? In una girandola di battibecchi, scontri e incomprensioni, tra parenti ficcanaso e fedeli amici, tesi da preparare e lezioni di francese da seguire, Lucia e Giulio si renderanno presto conto che non sempre l’altro è poi così diverso da noi e che, forse, la nostra anima nasconde un ritratto molto più bello di quello che noi preferiamo mostrare agli altri.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
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VIII


Quando il lunedì successivo parlai con la professoressa Gallo, lei mi fissò per qualche istante, indecisa. Potevo leggere distintamente sul suo volto cosa stesse pensando: da una parte si fidava delle mie parole, ma dall’altra era curiosa scoprire il motivo che mi spingeva a modificare i nostri accordi.
«C’è qualcosa che non va?» mi chiese infatti «Qualche problema con Giulio?»
Negai con forza. «No, professoressa, non si preoccupi. È solo che siamo agli sgoccioli e ho paura di non riuscire a consegnare un buon elaborato, tutto qui. Mi rendo conto che avevamo deciso in altro modo, perciò se questo cambiamento le crea problemi…»
«No, no, si figuri. Mi fido ciecamente di lei, Lucia. Margherita, però, ne sarà dispiaciuta.»
«Lo so. Dispiace moltissimo anche a me.»
La professoressa scosse la testa: «Ma no, non si preoccupi: l’importante è che si tranquillizzi così che possa lavorare nel miglior modo possibile.»
Perché? Perché quelle persone avevano così tanta fiducia in me? Sentii un macigno formarsi sul petto: stavo prendendo in giro la donna a cui dovevo tanto e dando un dolore a colei che mi aveva voluto bene sin da subito come una nipote. Tuttavia, Molinari aveva ragione: dovevamo uscire al più presto da quella situazione; avrei potuto andare a trovare Margherita più in là, guarda caso mentre il suo pargolo era fuori.
Uscii da quella stanza con il morale a terra e una gran voglia di tornare indietro e raccontarle tutto. Per fortuna vidi Antonio che camminava nella mia direzione e la mia attenzione fu tutta per lui.
«Andrea oggi mi ha mandato una mail con i capitoli corretti.» mi informò.
Annuii. Me l’aveva detto. Quando, la mattina successiva ci eravamo risvegliati ancora sul divano di casa mia, con le gambe anchilosate e un mal di testa bestiale – non era chiaro se per tutte le birre che ci eravamo bevuti o se perché avevamo fatto quasi le cinque pur di arrivare alla morte di Matthew - quel velo di tristezza che avevo avvertito fino alla sera prima era scomparso ed era tornato il solito Andrea.
«Entro lunedì mattina gli manderò l’email,» mi aveva promesso.
«Guarda che controllo!» lo avevo minacciato, ma ero sicura che l’avrebbe fatto.
Per qualche istante né io né Antonio parlammo: avevo come l’impressione che volesse aggiungere altro, ma qualcosa sembrava trattenerlo. Aspettai paziente. E infatti:
«Te l’ha detto, vero?»
«Sì.» Volevo mantenere un tono neutro, sebbene una parte di me avrebbe voluto prenderlo a schiaffi. «La ami almeno?»
Gli occhi neri di Antonio mi fissarono a disagio e io ebbi la certezza di averci visto giusto: quella relazione era solo una facciata e che non provava nulla per quella donna.
Anche se non parlai, la mia opinione dovette essere palese sul mio volto, perché «Pensi che sia uno stronzo, eh?» mi domandò in tono leggero, ma si capiva che pensava davvero di esserlo.
Mi guardai intorno un attimo: non volevo che i fatti del mio migliore amico diventassero di pubblico dominio, ma per fortuna era ancora presto e in quel momento nel corridoio non c’era nessuno.
«No.» ammisi. Se voleva la mia opinione, gliel’avrei data, che gli fosse piaciuta o meno. «Saresti stato uno stronzo se avessi continuato a prenderlo in giro, ma almeno sei stato chiaro fin da subito. Più che altro, io penso che tu sia un codardo.»
Scosse la testa: «Tu non puoi capire.»
Aveva ragione. Perché io, a differenza sua, avevo deciso di vivere la mia vita come desideravo, senza lasciarmi condizionare dall’opinione degli altri.
«No, infatti. So solo che, pur di non metterti contro la tua famiglia, hai deciso di rovinare la vita a tre persone.»
«Tre?» mi guardò sorpreso.
«Certo. Il primo è Andrea, naturalmente; la seconda è la tua ragazza: anche se non dovesse scoprire la verità, non avrebbe mai accanto un uomo che la ama con tutto il cuore, al massimo uno che le vuole bene, ma mai nello stesso modo in cui gliene vuole lei; inoltre, se più in là dovesse in qualche modo scoprirlo, soffrirebbe ancora di più per essere stata presa in giro per tutto questo tempo.»
Antonio serrò la mascella: «Non lo saprà mai.»
Stavolta lo guardai dura: «Non puoi esserne certo. Ci sono un sacco di persone che vogliono far finta di essere quello che non sono, ma poi, all’improvviso, dopo una vita di menzogne, esplodono, distruggendo in pochi minuti tutto quello che hanno costruito con fatica negli anni.»
Antonio non replicò, ma assimilò in silenzio le mie parole.
«E la terza persona chi sarebbe?» mi chiese infine.
«La terza persona sei tu, Antonio.» Il mio tono si fece più dolce «Pur di non andare contro le idee retrograde della tua famiglia, ti condanni a una vita di menzogne e ipocrisie. A pensarci bene, quello che mi fa più pena sei proprio tu.»
Per una frazione di secondo pensai a Molinari: se avevo visto giusto, la sua situazione non era molto diversa da quella di Antonio, anche se in ambiti molto diversi. Scacciai in un angolo quel pensiero: non era un problema mio.
Antonio non ribatté neanche stavolta e malgrado tutto sperai che le mie parole potessero servire a qualcosa.


Uno dei vantaggi dell’arrivo dell’estate è il fatto che con la fine delle lezioni e l’avvicinarsi degli appelli, l’università si svuota e vi restano solo i professori, gli irriducibili che, per vari motivi, preferiscono non studiare a casa e i ricercatori. Per queste ragioni, quindi, non fu difficile trovare un’aula dove io e Molinari potessimo fare lezione in pace.
Il primo giorno fu il più difficile: malgrado volessimo far finta di nulla, era palese che i nostri rapporti si fossero incrinati. Non che fossimo mai stati amici o che avessimo l’abitudine di parlare di qualcosa di diverso dalle regole della lingua francese, ma quel giorno anche formulare una frase semplice in quella lingua risultava difficile. Le parole che mi aveva rivolto erano marchiate a fuoco nella mia testa ed ero consapevole che, per quanto non volessi pensarci, non sarebbero andate via tanto presto.
Tuttavia, durante le lezioni successive la situazione migliorò, anche se in realtà non era successo nulla di particolare. Forse dipendeva dal fatto che, in quei giorni, avevo consegnato in segreteria la copia della tesi. Ormai, il più era fatto: mi restava solo da rivedere qualcosa, scrivere il discorso, creare una presentazione e aspettare fiduciosa che uscissero le date delle sedute. Inoltre, ora che una delle scadenze peggiori era passata, sia Andrea che Claudia erano ritornati in biblioteca e questo aveva giovato al mio umore. Non avevo avuto più occasione di parlare con Andrea del problema che tanto lo affliggeva, ma lo vedevo comunque più sereno e questo rincuorava anche me. Le giornate scorrevano tranquille e sembrava che tutto procedesse per il meglio.
«Oggi sembri di buonumore.» se ne uscì tutto a un tratto Molinari, in francese.
Quel giorno eravamo in sala studio: c’erano molti esami, quindi la maggior parte delle aule erano state occupate dai docenti e non avevamo trovato una sistemazione migliore. Ormai luglio era alle porte e il caldo era così opprimente da aver spinto molti studenti a preferire le mura domestiche piuttosto che avventurarsi fuori. Inoltre, a quell’ora c’era una riunione straordinaria di non ricordo quale comitato studentesco a proposito di chissà che altro problema di importanza vitale per gli studenti, perciò avremmo potuto parlare senza alcun problema.
Nella stanza, quindi, non c’era praticamente nessuno, solo noi e i miei amici; Claudia e Andrea, dalla loro postazione non molto distante dalla nostra, ogni tanto ci osservavano di sottecchi.
Lo guardai per un attimo incerta. Era la prima volta che mi diceva qualcosa che esulava il contesto accademico.
Stavo per ribattere che la giornata sarebbe stata anche migliore se non avessi dovuto aver a che fare con un certo ragazzo di mia conoscenza, ma qualcosa mi distrasse: in quel preciso momento, infatti, il cellulare iniziò a vibrare producendo un rumore sordo sul tavolo e sul display apparve il numero dell’abitazione di mia nonna.
Sentii il cuore balzarmi in gola: mia nonna mi telefonava molto di rado, ero sempre io a cercarla. Un po’ perché sbagliava sempre il numero – aveva rifiutato l’istallazione di un apparecchio moderno e utilizzava ancora uno fornitole dalla SIP anni e anni prima, quello con la rotella che ormai si trovava solo dai rigattieri, perciò ogni volta doveva riattaccare e ricominciare d’accapo – sia perché le avevo spiegato che ero sempre impegnata, quindi aspettava che la chiamassi io quando avevo un minuto libero. Perché, dunque, mi stava cercando? Era successo qualcosa?
«Scusa un attimo.» dissi soltanto e mi precipitai fuori per prendere la chiamata. «Pronto, nonna?»
«Lulù, cara! Ti disturbo?»
La sua voce era allegra come al solito e questo mi confortò un po’.
«No, nonna, tranquilla. Come mai mi hai chiamata? È successo qualcosa?»
Dall’altro capo del telefono sentii una risatina: «Certo che no, cara. Ti ricordi che giorno è domenica, vero?»
«Domenica?» ci pensai un attimo. E, con mio sommo orrore, realizzai.
«Oh
«Ero sicura che te ne saresti dimenticata: hai sempre da fare tu!»
«Già, hai ragione.» tagliai corto. Non è che me ne fossi proprio dimenticata, non sarebbe stato possibile neanche volendo, ma cercavo sempre di tenermi così impegnata da non pensarci e in quel periodo non era stato molto difficile.
«Allora, cosa vuoi che ti prepari di buono quest’anno?»
Ebbi un tuffo al cuore. Ogni anno, per il mio compleanno, tornavo a casa e mia nonna mi preparava quello che volevo. Avrei potuto pretendere anche l’impossibile, lei me l’avrebbe fatto trovare.
«Nonna, non sono più una bambina e non voglio che ti stanchi.» Cercai anche quella volta di sviare. Sapeva bene che, potendo, avrei sradicato quella data dal calendario ma, nonostante questo o forse proprio per questo, lei ci teneva tantissimo a celebrarla.
«Oh che sciocchezze! Tu sarai sempre la mia bambina!»
«Nonna…» mi resi conto che neanche quell’anno le avrei fatto cambiare idea.
D’un tratto la sentii parlottare con qualcuno. «Nonna? Nonna, ci sei?»
«Sì, cara, eccomi. È appena arrivato Emanuele. Lo sai che è stato assunto?»
«Assunto?»
A pensarci bene, non avevo idea di come fosse finita la storia del colloquio di mio cugino, ma ero stata troppo presa da altro per interessarmene; oltretutto, meno lo sentivo meglio era.
«Oh sì! Non dove stai tu, ma qui, in paese. L’ha assunto il signor Chiaia come magazziniere.»
«Oh, bene. Sono contenta per lui.» Ero sincera.
«Certo, il lavoro non è granché, ma in questo periodo bisogna ringraziare il Signore se… cosa? Non ho capito niente, Emanuele, parla più forte!»
Il timbro della voce di Emanuele si fece più alta, mo lo stesso non afferrai quello che aveva detto. Per qualche secondo mia nonna non parlò e per un attimo pensai che fosse caduta la linea.
«Nonna, ci sei?»
«Sì, sì… Oh, Lulù, perché non mi hai detto nulla? Sono così felice per te!»
Eh?
«Nonna, di che stai parlando?»
Mia nonna fece una risatina che non mi piacque per niente. «Emanuele mi ha appena chiesto di salutargli il tuo fidanzato!»
Boccheggiai. No no no no no no…
«Perché non mi hai detto niente, cara? Oh, adesso sì che posso morire serena!»
«Nonna, mi spiace, ma non ho nessun fidanzato!»
«Oh.» Sembrava delusa. «Quindi Emanuele mi ha fatto uno scherzo?»
«Certo che no! Ci ho parlato io stesso!» La replica di mio cugino stavolta mi giunse forte e chiara.
«È solo un amico!» mi affrettai a spiegare: dopotutto, Emanuele non le aveva mentito, anche se amico non era il termine che avrei usato per definire Molinari.
«Ah, adesso si dice così?» la voce le ritornò subito allegra. «Ho un’idea: perché non lo porti con te domenica? Anzi, se venite sabato potreste passare il fine settimana qui! Che ne dici?»
Che non se ne parlava nemmeno!
«Nonna…» cercai di calmarla, ma lei non mi ascoltava più.
«È deciso, allora! Cosa vuoi che ti prepari? Non conosco i suoi gusti, cosa potrebbe piacergli?»
Chiusi la chiamata con la testa che mi scoppiava e la rabbia che mi ribolliva nelle vene. Quel cretino. Quel dannatissimo cretino. Era passato più di un mese da quell’episodio, tant’è che pensavo che lo avesse dimenticato o che avesse compreso cosa fosse successo. E, invece, ecco che dopo tutto questo tempo lo rivangava.
«Quel dannatissimo imbecille!» urlai a nessuno in particolare, fregandomene di chiunque potesse trovarsi nelle vicinanze. Oh, ma me l’avrebbe pagata cara, questo era poco ma sicuro. Tuttavia, poiché in quel momento non potevo sfogare la mia ira sul diretto interessato, l’avrei dirottata sull’altra persona responsabile allo stesso modo di tutto quel casino.
Entrai in sala studio che ormai schiumavo di rabbia e mi diressi a passo di marcia verso il mio presunto fidanzato che, all'oscuro di tutto, continuava a fissare lo schermo del proprio cellulare.
«Spero che tu sia soddisfatto ora!» sbraitai quando gli fui davanti.
Molinari alzò la testa accigliato. «Cosa?»
Quell’espressione sorpresa, se possibile, mi irritò ancora di più.
«Ero certa che avere a che fare con te sarebbe stato un errore. Un maledettissimo errore!» gli urlai, fuori di me.
«Che diavolo stai blaterando?» Molinari mi fissava sbalordito, ignaro di quello che mi passava per la testa.
«Lu’, calmati.» Andrea mi raggiunse e mi pose una mano sulla spalla «Che è successo? Chi era?»
«Era mia nonna.»
«Ah.» Ci guardammo un attimo e fui certa che avesse capito tutto. «Giusto. È domenica, vero?»
«Già.»
«Che succede domenica?» volle sapere Claudia raggiungendoci.
«È il mio compleanno. Ogni anno per quella data torno a casa e mia nonna mi prepara i miei piatti preferiti,» le spiegai.
«Che cosa carina!»
«Già. Peccato che quest’anno mio cugino le abbia accennato di un mio possibile fidanzato» lanciai un’occhiata velenosa nella direzione di Molinari. «E mi abbia detto di portarlo con me, questo fine settimana.»
Per un attimo, nessuno di noi tre profferì parola.
«Ah. E non puoi dirle che c’è stato un errore?» si riprese subito Claudia.
«Ci ho provato, Cla’, ma mia nonna ormai è partita per la tangente e non mi ha dato retta.»
«Puoi presentarti da sola e spiegarle tutto di persona,» propose.
Scossi la testa. «Mia nonna è la classica donna del Sud che inizia a preparare almeno una settimana prima: conoscendola è già andata al mercato per comprare tutto quello che le serve! Non posso darle un dolore del genere.»
«Oh.»
La rabbia stava lasciando il posto allo sconforto. Poi, d’improvviso, un’idea si fece strada nella mia testa. «Andrea, perché non mi accompagni tu?»
Andrea fece un passo indietro e mise le mani avanti: «Lu’, lo sai che per te farei qualunque cosa, ma… guardami.» Indicò se stesso «Nessuno penserebbe mai che io possa essere il tuo fidanzato. Inoltre, ricordati che ci ho provato spudoratamente con tuo cugino! Al solo ricordo mi vorrei sotterrare!»
«Meglio, no? Lo conosci già, quindi non sarebbe chissà quale problema. Sta' tranquillo, Emanuele non è così sveglio da essersi accorto di una cosa del genere. Non dovrai interpretare il mio fidanzato: le spiegherei la situazione, ma al contempo non avrebbe cucinato per niente.»
Le argomentazioni che portavo a mio favore erano tutte molto solide e mi accorsi che Andrea stava vacillando: se avessi insistito un altro po’, ero certa che l’avrei convinto.
«Potrei accompagnarti io.»
Un pesante silenzio calò nella sala. Tre paia d’occhi si voltarono nello stesso istante verso Giulio Molinari.
«Come scusa?»
«Ho detto che potrei accompagnarti io» ripeté con calma, serissimo.
«Neanche per sogno!» strillai. Non avrei mai permesso che quel tipo entrasse in casa mia. Non quel giorno, almeno.
«Non mi pare che tu abbia molta scelta.»
Guardai Andrea e mi resi conto che non avrei mai ottenuto il suo aiuto, non adesso che c’era un’alternativa migliore.
Mi avvicinai a Molinari, gli occhi ridotti a due fessure. «A che gioco stai giocando? Perché dovresti fare una cosa del genere?»
Alzò le spalle. «Beh, visto che è stata anche colpa mia, ho pensato che sarebbe stato quanto meno cortese immolarmi per la causa.»
Lo fulminai. «E tu faresti una cosa del genere per mero altruismo, senza volere nulla in cambio?» non ci avrei mai creduto, neanche se me l’avesse giurato sulla testa di Margherita.
Sorrise sornione. «In realtà la tua reazione quasi da nevrotica è una ricompensa più che sufficiente, ma penso che potremmo metterci d’accordo sulla durata delle nostre prossime lezioni.»
«Non se ne parla. Troverò un’altra soluzione.»
«Potrei chiedere a Massimo» s’intromise Claudia «Ma non credo che accetterebbe…»
Non lo pensavo nemmeno io, ma apprezzai comunque il tentativo.
In quel momento il mio cellulare vibrò ancora una volta. Stavolta era mia madre.
«Mamma.» Questa volta non uscii neanche dalla stanza.
«Quando avevi intenzione di dirmi che hai un fidanzato e che sabato ce lo presenti?»
«Non ho un fidanzato!» urlai, isterica. Non è possibile, non erano passati neanche dieci minuti che la notizia si era già sparsa: entro domenica tutto il paese avrebbe saputo che non solo avevo un fidanzato, ma che ero anche sposata e magari incinta del terzo figlio.
«Me l’ha detto tua nonna.» replicò offesa.
«C’è stato un equivoco, la nonna mi ha fraintesa: non ho nessun fidanzato.»
«In ogni caso, ormai è fatta: fidanzato o meno, devi portarlo. Tua nonna è al settimo cielo. Non vorrai deluderla, spero.»
«Certo che no.» borbottai.
«Molto bene. Allora ci vediamo sabato.» tagliò corto chiudendo la chiamata.
Sospirai e, a malincuore, mi arresi. «Sia ben chiaro,» puntai il cellulare verso Molinari come se fosse un’arma. «lo faccio solo per mia nonna. Azzardati a dire o a fare qualche sciocchezza in sua presenza e me la pagherai cara. Molto cara
Alzò le mani. «Sarò un fidanzato perfetto!» promise.
Stavo per ribattere qualcosa di molto poco carino sul fatto che, con tutte le donne che gli giravano intorno, non ero sicura che conoscesse la differenza tra fidanzata e amichetta, quando «Permesso, si può?» domandò timidamente una voce.
«Massimo!» Gli occhi di Claudia si illuminarono quando lo videro entrare.
«Passavo da queste parti per una commissione e ho deciso di farti una sorpresa.» spiegò dandole un bacio sulla guancia. «Ho sentito qualcuno urlare, va tutto bene?»
Bofonchiammo un sì poco credibile, ma lui non sembrò molto interessato alla nostra risposta: infatti, dopo aver lanciato un'occhiata generale al nostro gruppo, si voltò verso Claudia e le sorrise con aria un po' imbarazzata.
«Ragazzi, non vi spiace se ve la porto via per un po’, vero?» ci chiese, toccandosi i capelli scuri con una mano.
«Ecco, magari potresti prendere esempio da lui su come ci si comporta con la propria fidanzata» commentai lanciando un’occhiata in tralice a Molinari. Ma, con mia grande sorpresa, non mi sentì neanche, lo sguardo puntato sul ragazzo della mia amica.



Note dell’autrice
Capitolo un po’ più breve dei precedenti ma, come potete ben immaginare, necessario agli sviluppi futuri della vicenda.
Ora, so che probabilmente queste note le leggo solo io che le scrivo ma, che volete farci, io amo raccontare aneddoti che non interessano a nessuno. XD
Nonostante la sua brevità, io amo moltissimo questo capitolo, perché quest’ultima scena (la telefonata della nonna, l‘isteria di Lucia, la supplica ad Andrea e la decisione di Giulio) è la prima che la mia mente malata ha visualizzato e, grazie alla quale, poi si è messa in moto. Mi piace perché ci sono praticamente tutti i personaggi (direttamente e indirettamente), è divertente e fa presagire che, dopo, ne accadranno di tutti i colori. La prima volta che l’ho vista, nella mia testa, ho immaginato l’espressione della protagonista alla proposta di Giulio (che, allora, era solo un’entità maschile senza personalità né volto) e ho iniziato a ridere da sola: è stato allora che ho capito che dovevo scrivere una storia che portasse a quella scena. Era un giorno d’estate ed è per questo motivo che ho deciso di ambientare questa storia in questa stagione.
E, niente, so che volevate saperlo. U_U
Ok, mi eclisso nuovamente e vi ricordo che commenti, critiche e pomodori maturi sono sempre ben accetti!
   
 
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