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Autore: Naco    20/12/2019    0 recensioni
Quando la sua professoressa di tesi propone a Lucia - seria e coscienziosa laureanda in Lettere - di dare ripetizioni di francese al proprio figlio, la ragazza capisce subito che, accettando, rischia di cacciarsi in un mare di guai: Giulio Molinari è il classico figlio di papà che pensa solo alle ragazze e assolutamente disinteressato a costruirsi un futuro Insomma, il tipo di persona che lei detesta.
Ma è davvero così impossibile che due persone così diverse possano avvicinarsi? In una girandola di battibecchi, scontri e incomprensioni, tra parenti ficcanaso e fedeli amici, tesi da preparare e lezioni di francese da seguire, Lucia e Giulio si renderanno presto conto che non sempre l’altro è poi così diverso da noi e che, forse, la nostra anima nasconde un ritratto molto più bello di quello che noi preferiamo mostrare agli altri.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
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IX


Molinari passò a prendermi intorno alle nove. Fino all’ultimo ero stata convinta che avrebbe trovato una scusa per annullare l’impegno assunto; e invece, alle nove in punto, mi scrisse che era sotto casa mia.
«Potevamo anche andare con la mia macchina» commentai salendo a bordo.
«Non permetterei mai che la mia fidanzata guidi, quando posso accompagnarla con la mia automobile.»
Lo guardai storto: «Stai dicendo che non ti fidi della mia guida? O temi che possa abbandonarti da qualche parte per dispetto?»
Ci pensò su: «Tutte e due le cose, suppongo.»
Stizzita, lo ignorai: la mia auto era un vecchio modello, con l’aria condizionata che ogni tanto non funzionava, quindi sarebbe stata una scelta poco felice in una giornata che si era preannunciata caldissima sin dalle prime ore della mattina; tuttavia, mi disturbava dipendere da un’altra persona.
Sebbene fossimo all’inizio dell’estate e molta gente si spostasse già verso le spiagge, di sabato mattina le strade per uscire dalla città erano ancora abbastanza libere rispetto ai giorni infrasettimanali, perciò in poco tempo ci immettemmo in tangenziale.
«Prima che me ne dimentichi, nel cassetto c’è una cosa per te» mi disse, una volta superate le varie uscite della città.
«Uh? Per me?» Ero sorpresa.
«Da parte di Marita» si affrettò ad aggiungere.
«Le hai detto dove stiamo andando?» saltai su, strillando. Ero più che certa che se i suoi fossero venuti a sapere del nostro viaggio, mi sarei ritrovata in una situazione ancora più grave di quella in cui già mi ero cacciata.
Lui mi lanciò un’occhiataccia. «No, sei pazza? Ho detto che sarei andato nel Salento con degli amici. Se i miei dovessero scoprirlo, penserebbero subito che stia cercando di circuirti e sarei nei casini fino al collo.»
Incrociai le braccia al petto: «Perché, non è proprio così?»
Lui rise, ma non rispose alla mia frecciatina. «In realtà, è da un po’ che mi ha detto di dartelo, ma non ne ho avuto l’occasione.»
«Eh, chissà come mai» borbottai. Lui ebbe la decenza di non replicare, ma si schiarì la gola. «Allora, non sei curiosa di scoprire cosa ti manda?»
Aprii lo scomparto e vi trovai una bustina: all’interno vi era un braccialetto di lapislazzuli.
«Ma è bellissimo! È il mio colore preferito! Chi gliel’ha detto?»
Alzò le spalle. «Ne ha confezionati alcuni per regalarli alle nipoti di mio zio e forse ha pensato che quel colore ti donasse.»
«Ringraziala appena torni a casa.» Me lo infilai subito al polso. Non amavo indossare monili, ma quel bracciale era proprio quel tipo di ornamento che piaceva a me: piccolo, semplice e discreto.
«Potresti farlo tu stessa. Le manchi molto.»
«Già, manca anche a me.»
Per un po’ non dicemmo nulla, ognuno perso nei propri pensieri. Per fortuna la corsia era sufficientemente libera e l’auto correva veloce sull’asfalto rovente. Calcolai che con quell’andatura in un paio d’ore saremmo arrivati; anche prima, se più in là non avessimo trovato qualche ingorgo. Provai un brivido lungo la schiena: sarebbe andato davvero tutto bene? Lanciai un’occhiata veloce a Molinari che continuava a guidare concentrato. Non ne ero sicura, ma non avevo altra scelta se non quella di fidarmi e sperare che mantenesse la parola data. La sola idea che penetrasse così tanto nella mia vita privata, che venisse a scoprire più di quanto avessi mai raccontato ai miei amici, mi faceva rivoltare lo stomaco. Tuttavia dovevo ammettere che quel giorno anche io, aprendo quell’album da disegni, avevo dato una sbirciata alla sua vita privata, quindi si poteva dire che adesso eravamo pari.
«Così il ragazzo della tua amica è il tizio che venne a prenderla l’altro giorno?» s’informò all’improvviso.
«Sì, Massimo. Lo conosci?» chiesi, ricordando come l’aveva guardato.
«Più o meno. Abbiamo frequentato la stessa facoltà: lui è un bravo ragazzo, un po’ timido e sulle sue, ma molto disponibile e in gamba. Un po’ noioso, se devo dirla tutta.»
«Ero sicura che l’avresti detto.» Mi faceva piacere sentire quelle cose su Massimo: anche a me era sembrata una brava persona, ma averne una conferma era rassicurante.
«Tutto il contrario di suo padre, insomma. Anche lui è avvocato come il mio, ma si dice che sia corrotto. Ti ricordi il concorso per avvocato che risultò truccato, qualche anno fa?»
Certo che me lo ricordavo: fu un grande scandalo, anche se non stupì nessuno.
«Si dice che lui sia stato uno dei promotori dell’imbroglio. Non hanno mai trovato prove a suo carico, ma ne sono tutti convinti, anche i suoi colleghi.»
Ne fui sorpresa. Claudia non ne aveva mai parlato, ma c’è da dire che non sono argomenti che si prendono volentieri; sospettavo anzi che lui non gliel’avesse neanche raccontato.
«Un po’ mi dispiace per lui: non è facile emergere quando tuo padre ha una macchia del genere e, infatti, dopo quell’episodio si è impegnato ancora di più per dimostrare a tutti che non è come lui. Non mi meraviglia che voglia andar via da questo Paese.»
Lo guardai sconvolta. «Come?»
Ricambiò il mio sguardo sorpreso. «Non lo sapevi? Parteciperà al tirocinio a cui mio padre mi ha iscritto. Conoscendolo, non avrà alcuna difficoltà a superare la prova preselettiva. È strano che la tua amica non te ne abbia parlato.»
«Forse… forse non l’ha ritenuto importante» cercai di minimizzare, ma mi resi conto che stavo tremando. Avevo l’orribile sospetto che, invece, Claudia non ne fosse proprio al corrente. Era per questo che era così restio a impegnarsi? Avrei voluto parlarne con Andrea e mi ripromisi di chiamarlo il prima possibile.
Come avevo previsto, poco più di due ore dopo, parcheggiavamo di fronte a casa mia. La palazzina era composta da quattro appartamenti: quello di mia nonna si trovava al primo piano, mentre io abitavo al secondo.
Mi feci coraggio ed estrassi le chiavi dalla borsa: «Coraggio, Lucia: ormai sei in ballo, perciò, balla!» mi dissi per farmi coraggio e aprii il portone.


«La mia Lulù!» squittì mia nonna appena mi vide.
Mi chinai ad abbracciarla: non la vedevo da poco più di un mese, ma questa volta mi era mancata più del solito.
«Come stai? Com’è andato il viaggio?»
«Sto bene, nonna. Anche il viaggio non è stato male: non abbiamo trovato quasi nessuno per strada.»
«Per fortuna! Non sono mai tranquilla finché non arrivi, lo sai.»
Mia nonna si scostò da me per studiare Molinari con attenzione; lui, composto, aspettò che il nostro scambio di saluti terminasse.
«E tu devi essere il fidanzato.»
Lui si fece avanti sfoderando un sorriso gentile e caldo. «Buongiorno, signora. Sono Giulio Molinari. È un vero piacere conoscerla, sua nipote mi ha parlato moltissimo di lei.»
Lo studiai per un attimo: era così che conquistava le ragazze, dunque.
«Oh, Lucia è sempre troppo buona con me! Ma prego, entrate, entrate!»
La nonna si spostò di lato per lasciarci passare: nell’aria si sentiva già un ottimo profumino.
«Che cucini di bello?»
«Niente che ti riguardi, per ora» tagliò corto, guidandoci verso il salottino che si trovava dalla parte opposta della cucina.
«Lo sai che non voglio che ti stanchi senza motivo,» la rimproverai.
Mia nonna scosse una mano: «Mia nipote si preoccupa sempre troppo.» commentò rivolgendosi a Molinari. «Allora dimmi: siete venuti subito qui?»
«Sì. Era inutile passare prima da casa. Lo sai com’è fatta la mamma.»
Mia madre mi aveva vietato di mettere piede in casa nostra prima dell’ora di pranzo perché “doveva rendere la casa presentabile, visto che avevamo ospiti”; non che la nostra abitazione non lo fosse già, ma quando c’erano visite lei diventava paranoica. Io la prendevo in giro, ma in realtà ero esattamente come lei.
«Quindi non sei ancora andata a...»
«No.» La bloccai. «Ci andrò domani.» Sperai che avesse colto il perché del mio brusco passaggio alla prima persona singolare, ma non ci contai molto.
«Avevo sentito una voce conosciuta!» commentò all’improvviso qualcuno alle mie spalle: mi voltai e sulla soglia della stanza c’era Emanuele. «Ciao Lulù! E tu devi essere il famoso fidanzato» si avvicinò affabile per stringere la mano di Molinari.
«Sono Giulio. E tu la voce al telefono!» lo riconobbe.
«Indovinato!» E si strinsero la mano, complici.
In quel momento, con mio sommo orrore, realizzai che quei due avrebbero potuto essere ottimi amici. E questo non prometteva nulla di buono.
«Ciao Lele. Ho saputo che hai trovato lavoro. Congratulazioni.»
«Grazie, grazie! L’azienda di Bari non mi ha fatto sapere più nulla, ma per fortuna un amico di mio padre aveva bisogno di un magazziniere. Comincerò lunedì.»
Ah, ecco!” non potei fare a meno di pensare con un pizzico di cattiveria. «E Laura come sta?» m’informai.
«Benissimo. La pancia comincia a vedersi.» Avvertii una nota di orgoglio nella sua voce che mi fece sorridere. «A proposito, se non avete già impegni, mi ha detto di invitarvi a cena questa sera.»
Scambiai una rapida occhiata con Molinari; lui sollevò le spalle, lasciando la decisione finale a me. «Perché no?» decisi «È da po’ che non ci vediamo.»
«Perfetto, allora. Nonna, tutto a posto con il rosmarino.»
«Sì? Grazie caro!»
Mi accigliai: «Cos’è successo al signor Rosmarino?» inquisii turbata: nonostante prendessi in giro mia nonna per l’amore incondizionato che riservava a quella pianta, mi innervosiva l’idea che le fosse successo qualcosa; senza rendermene conto, mi ci ero affezionata un po’ anche io.
«Oh, nulla di grave, cara. L’altro giorno è passata a trovarmi Giuseppina con la piccola Lia. Una bambina adorabile, non so se te la ricordi, ma un po’ pestifera, secondo me. Ci siamo distratte un secondo, e lei con il triciclo è finita dritta dritta contro la pianta. Lei non si è fatta male, per fortuna, ma il vaso si è rotto. Emanuele è stato così gentile da comprare un altro e trapiantare il rosmarino.»
«Già.» Emanuele pareva molto soddisfatto del proprio operato. «Ora sta anche più comodo.»
«Sul serio? Me lo fai vedere?» gli chiesi, cogliendo al volo l’occasione per avere una conversazione a quattrocchi con lui.
«Cosa?»
«La nuova sistemazione del signor Rosmarino.» Lo fissai con intensità. Non so se colse l’urgenza nella mia voce oppure volle solo mostrarsi gentile davanti alla nonna e a uno sconosciuto, ma annuì e ci avviammo sul terrazzo.
«Mi raccomando, non farla entrare in cucina!» gridò la nonna.
Emanuele alzò gli occhi al cielo. «Sì, nonna, lo so! Allora,» si voltò verso di me appena fummo lontani da orecchie indiscrete «che c’è? Sei arrabbiata per il mio piccolo scherzo innocente?»
«Innocente?» dovetti fare uno sforzo per tenere basso il tono della voce. «Hai idea del casino che hai combinato?»
«Oh, andiamo Lucia, sei sempre così esagerata! D’accordo, non pensavo che la nonna l’avrebbe invitato a venire con te, ma non mi sembra un problema così grave.»
«Proprio non ci arrivi, eh? Te lo ricordi che giorno è domani, vero
Emanuele sembrò cominciare a intuire a cosa mi stessi riferendo, perché sgranò gli occhi, sconvolto. «Ma come, non gli hai detto nulla? E perché?»
«Perché lui non è il mio fidanzato, quante volte te lo devo ripetere? È solo un amico che si è gentilmente offerto di accompagnarmi, dopo che tu avevi creato tutto il pasticcio!»
All’improvviso, Emanuele colse tutte le implicazioni che il suo stupido scherzo portava con sé.
«Ma… perché non l’hai detto prima?»
Indicai la stanza in cui gli altri due erano rimasti: dal punto in cui ci trovavamo, sentivamo in modo chiaro la voce squillante della nonna che raccontava a Molinari la storia di come aveva cresciuto i suoi figli da sola dopo la morte del marito.
«Tu ne avresti avuto il coraggio?»
La risposta era più che ovvia. Emanuele chinò il capo, arrossendo per l’imbarazzo. «MI dispiace Lu’. Non pensavo...»
«No, appunto. È questo il tuo problema. Non pensi mai.» lo fulminai e tornai dagli altri, prima che la nonna iniziasse a tirar fuori foto imbarazzanti di quando eravamo piccoli.


L’accoglienza che la mia famiglia riservò a Molinari per fortuna fu molto differente, cosa che mi fece tirare un sospiro di sollievo; sospettai però che non sarebbe stata molto diversa da quella ricevuta dalla nonna se avessi presentato un vero fidanzato, almeno da parte di mia madre. Mio padre, probabilmente, si sarebbe limitato a stringergli una mano, come fece quella volta; mia madre, invece, si prodigò in mille ringraziamenti per essersi prestato a tutto questo.
«Grazie per essere venuto, Giulio, lo apprezziamo moltissimo. Ormai io ho perso le speranze, ma mia madre continua ad avere fiducia nel fatto che un giorno Lucia si sposi e si crei una famiglia.»
Sbuffai. Possibile che ogni volta che tornavo a casa dovesse ricominciare con la stessa storia?
«Non si preoccupi, signora. Per me è un piacere. Sua madre è una persona squisita.»
«A proposito,» mia madre si voltò verso di me «Laura mi ha detto che vi ha invitato a cena. Ricordati di portare qualcosa.»
«Sì, non temere, ci avevo già pensato. Oggi pomeriggio faccio un salto al supermercato.»
«Mi raccomando, ricordati che Emanuele è allergico...»
«Lo so benissimo, mamma!» esplosi. Non era possibile: non ero arrivata neanche da dieci minuti e già mi aveva descritto come una zitella acida agli occhi di un tizio che vedeva per la prima volta in vita sua e aveva iniziato a farmi raccomandazioni su come evitare di ammazzare mio cugino, come se la sua allergia fosse una novità. «Non c’è bisogno che me lo ricordi ogni volta. Ciao comunque, eh. Anche io sto bene, grazie, apprezzo tantissimo il tuo interessamento.»
Un pesante silenzio calò nella stanza, ma mia madre riprese quasi subito la parola, come se non fosse successo niente.
«Beh, penso che sai meglio di me com’è fatta mia figlia. Hai tutta la mia comprensione.» Mi lanciò una lunga occhiata di rimprovero, ma io la ignorai.
Molinari incrociò per un attimo il mio sguardo, ma lo distolse subito. «Mi creda, siamo molto più simili di quel che pensa.»
Avevo capito benissimo cosa intendesse e questa volta non potevo dargli torto, anche se la situazione era molto, molto diversa.
«Giulio, immagino che sarai stanco dopo il viaggio,» intervenne allora mio padre «Lucia, perché non gli mostri la camera degli ospiti?»
Annuii, grata per aver interrotto quella conversazione surreale e colsi al volo l’occasione per uscire da quella stanza che era diventata ormai asfissiante. Mentre mi avviavo, però, mio padre mi prese un attimo in disparte.
«Sei sicura che voi due…?» mi bisbigliò.
«Sì, papà. Non c’è nulla tra noi.» Da quando ci si metteva anche lui con quella storia? Era l’unica persona in tutta la famiglia a non farmi pressioni di quel tipo, perché aveva cominciato proprio adesso?
Lui colse la durezza nella mia voce e tentò di giustificarsi: «È solo che non mi sembra male.»
«Non c’è niente tra noi.» ripetei ancora più decisa, andandomene; tuttavia, il mio genitore mi mise una mano sulla spalla e mi fece voltare di nuovo verso di lui. «Lo sai che non tutti gli uomini sono uguali, vero? Che ci sono anche bravi ragazzi al mondo?»
«Certo che lo so» mi divincolai e raggiunsi Molinari.
Lo trovai che guardava alcune fotografie disposte su una consolle nell’ingresso. Accidenti a mia madre perché, invece di pensare alle allergie di mio cugino e alla mia vita sentimentale, non faceva più attenzione a ciò che lasciava in giro?
«Questa sei tu, vero?» Indicò una foto di una quindicina d’anni prima: c’eravamo io e mio padre sulla spiaggia; sullo sfondo il mare cristallino di Torre dell’Orso, una delle località balneari più incantevoli del Salento. «Certo che da piccola eri molto carina, Lulù
Gli strappai con violenza il portafoto dalle mani. «Non azzardarti più a chiamarti così!»
«Scusa, scusa, prof.» Alzò le mani in segno di resa.
«Non chiamarmi neanche prof!» stavo per ribattere, quando lui prese un’altra fotografia. «E questa ragazza chi è?»
Avessi potuto, avrei iniziato a bestemmiare in tutte le lingue del mondo, morte o vive che fossero.
«È mia sorella» risposi atona, cercando di recuperare anche quella foto, ma questa volta la tenne più in alto.
«Ha un’espressione così dolce e gentile. Dovresti prendere esempio da lei.»
«Già, me lo dicono tutti» borbottai. «Adesso me la dai, per favore?»
Ma lui mi ignorò: «Mi piacerebbe molto conoscerla. Ci sarà anche lei domani?»
«No.» tagliai corto.
«E come mai? Vive anche lei fuori oppure…?»
«Mia sorella è morta molti anni fa.» Rivelai non potendone più. Avrei preferito evitare l’argomento, ma Molinari era parecchio bravo a tirar fuori tutto quello che preferivo tenere per me.
Sgranò gli occhi e mi restituì subito la foto. «Scusa. Non lo sapevo.»
«Non fa niente» liquidai la questione, ma evitai accuratamente di guardarlo. «Andiamo adesso?»
Per uno strano gioco del destino, la stanza degli ospiti era accanto alla mia. Conoscendolo, avevo immaginato che se ne sarebbe uscito con qualche battuta infelice su quella sistemazione ma, contro tutte le mie previsioni, quella volta non disse nulla e mi ringraziò soltanto. Sospettavo che quel repentino cambiamento fosse dipeso dalla notizia che gli avevo dato e mi ritrovai mio malgrado a tirare un sospiro di sollievo: in quel momento non avevo alcuna voglia di stare ai suoi scherzi.


Nella mia famiglia, Laura aveva fama di essere una cuoca coi fiocchi e in effetti, quella sera, la cena che ci preparò era sublime. Mia nonna mi aveva insegnato tutto quello che conosceva sulla cucina, perciò mi ritenevo anche io una persona che se la cavava ai fornelli; eppure, quella volta, rimasi davvero sorpresa dalla sua maestria: era stata capace di creare sapori completamente nuovi riunendo ingredienti che avevamo tutti i giorni nelle nostre cucine.
Quel pomeriggio Emanuele era passato a trovarci e aveva decretato che avrebbe mostrato lui a Molinari la zona, perché era sicuro che io l’avrei portato in giro solo per chiese e altri posti noiosissimi. Ridacchiai sotto i baffi, ben sapendo che invece era proprio il tipo che avrebbe visitato volentieri quei luoghi che lui aborriva tanto, ma avevo fatto finta di niente e avevo replicato che, per me, non c’erano problemi e che Giulio era libero di fare quello che voleva con chi voleva.
In realtà, ero quasi grata dell’arrivo di Emanuele: dopo la mia rivelazione di quella mattina e la sua conseguente reazione, avevo sempre il timore che Molinari desiderasse che gli raccontassi qualcosa di più su mia sorella, perciò avevo evitato di rimanere sola con lui. Avrei potuto rispondergli che non erano affari suoi, certo, ma visto che si era offerto di prestarsi a quella sceneggiata, non mi sembrava giusto nei suoi confronti.
Avevo quindi approfittato della loro assenza per andare al supermercato per comprare una bottiglia di prosecco e in pasticceria per prendere un semifreddo per la cena. Visto che mi ero sbrigata prima di quanto avessi previsto, ero riuscita anche trovare un attimo per telefonare ad Andrea. Mi aveva risposto dopo parecchi squilli, tanto che per un attimo avevo pensato che avesse dimenticato il cellulare da qualche parte.
«Lu’?»
«Ciao, Andrea. Tutto bene?» gli domandai: aveva una voce strana, come se avesse il fiatone.
«Io? Sì, sì, tutto ok. E tu? È successo qualcosa con Molinari?» chiese impaziente.
«No, no» lo tranquillizzai «Senti, hai tempo? Avrei bisogno di un consiglio.»
Ci fu un attimo di silenzio.
«È una questione urgente?»
Ci pensai su. Eravamo rimasti all’oscuro della faccenda per tutti quei mesi, quindi qualche giorno in più non avrebbe fatto alcuna differenza. «A dire il vero no, non credo.»
«Ti dispiace se ne parliamo più tardi? Sono… sono un po’ occupato in questo momento.»
«Oh, scusa. Non… non volevo disturbarti.»
«Ma figurati, Lu’. Mi raccomando, cercate di non sbranarvi nel frattempo, tu e Molinari.»
«Cercherò, ma non te lo garantisco,» promisi.
Mi domandai cosa avesse da fare di tanto urgente, ma il suo tono mi pareva tranquillo, quindi non mi inquietai più di tanto. Il cuore mi si strinse al pensiero del mio amico: a causa delle varie scadenze prima e di quella storia poi, non avevamo più parlato di Antonio e mi sentivo terribilmente in colpa.
«Volevo scusarmi con te per il terribile comportamento di mio marito, Lucia.»
La voce gentile di Laura mi riportò alla realtà: avevamo terminato di cenare e, dopo aver sparecchiato, io mi ero offerta di darle una mano per rassettare, mentre i due ragazzi riportavano in garage tutto l’occorrente per il barbecue: la pancia iniziava a vedersi e non volevo che si stancasse.
La guardai perplessa. Erano molteplici i motivi per cui io potessi avercela con Emanuele.
«Sì, per la faccenda del fidanzato. Mi ha raccontato tutto. Non ho avuto neanche bisogno di arrabbiarmi, si sentiva già in colpa da solo.»
Non riuscivo a immaginare mio cugino che si colpevolizzava per qualcosa, ma in effetti era rimasto abbastanza scosso.
«Sai, Ema è maturato tanto in quest’ultimo periodo» sembrò quasi leggermi nel pensiero «Penso che il fatto di diventare padre gli abbia fatto comprendere tante cose. A proposito, non ti ho ancora ringraziato per averlo ospitato a casa tua, anche se i vostri rapporti non sono idilliaci. So che l’hai fatto per me e questo mi fa piacere.»
«Non mi devi ringraziare.» Il fatto che Laura ne parlasse con tanta leggerezza mi metteva a disagio. «Ti dirò, è stato più divertente di quanto pensassi.» ammisi.
Laura avviò la lavastoviglie e si sedette di fronte a me. Aveva raccolto i lunghi capelli castani in uno chignon semplice che le stava molto bene; gli occhi, anch’essi castani, erano vispi e intelligenti e per un attimo mi chiesi che diavolo ci avesse trovato una persona come lei in Emanuele.
«Sai che da quando è tornato, ha iniziato ad aiutarmi molto di più in casa?» mi rivelò all’improvviso.
«Sul serio?» Ero sbalordita, ma lei non parve né offendersi né stupirsi per la mia reazione.
«Sì. Appena rientrò, mi disse: “Devi insegnarmi a preparare il caffè. Per colpa di Lucia stavo per arrivare in ritardo al colloquio!”»
«Ah sì?» ridacchiai e le raccontai cosa era successo quella mattina e il mio commento sulle sue capacità in cucina.
«Ah, ecco. Allora mi sa che è stato l’orgoglio ferito a parlare.»
Scoppiammo a ridere così forte che i due ragazzi si affacciarono in cucina temendo che fosse successo qualcosa; una volta compreso che stavamo bene e che non eravamo in pericolo di vita, Emanuele assunse un’espressione mortificata, come se gli dispiacesse che non fosse accaduto nulla e che, quindi, non avrebbe potuto mostrare il suo valore di cavaliere senza macchia e senza paura alle pulzelle in pericolo. «Andiamo, dài. Mi sa che queste due stavano solo ridendo di noi.» disse offeso.
«Visto?» rimbeccò Laura. Se possibile, la nostra risata si fece ancora più forte; Emanuele e Molinari si guardarono l’un l’altro perplessi e questo non fece che aumentare la nostra ilarità.
«Giulio però mi piace,» commentò Laura appena ci riprendemmo e fummo di nuovo sole «È un ragazzo così gentile!»
Lanciò uno sguardo al mazzo di rose che Molinari aveva voluto comprarle perché “una donna incinta è un fiore ancora più delicato che va protetto e curato”, come aveva tenuto a spiegare quando glielo aveva consegnato.
Scossi la testa poco convinta. «Si vede che non lo conosci.»
Laura sorrise: «Sei sempre la solita. Io invece penso che stareste davvero bene insieme.»
Adesso ci si metteva anche lei con quella storia? Perché Giulio Molinari faceva sempre lo stesso effetto su tutti e tutte?
«Tra l’altro,» si chinò verso di me «sono convinta che tu già gli piaccia.»
Io? Piacere a Giulio Molinari? Scherzava, vero?
«Sei completamente fuori strada.» Scossi la testa con convinzione.
«Non credo, sai? Pensaci: è venuto fin qui fingendo di essere il tuo fidanzato solo per farti un favore. Anche il più grande amico del cuore ci penserebbe due volte prima di fare una cosa del genere.» La mia mente corse subito ad Andrea. «L’unico che lo farebbe sarebbe una persona che ci tiene tantissimo a te»
Oppure una persona che vuole qualcosa di importantissimo da te, volevo aggiungere, ma non lo feci. «Laura, credimi: Giulio Molinari può essere tante cose, ma non è certo innamorato di me»
Laura non sembrava molto d’accordo con le mie parole, ma non insistette.
   
 
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