When
We Were
Young
«La
prima volta che lo incontrai fu sulla pista di pattinaggio.
I
pattinatori di velocità si allenavano sempre prima di noi e
raramente il ghiaccio
veniva ripulito dopo.
Ammetto
che all’inizio li detestavo tutti»
affermò Sindy, tirando fuori una pallina di
vetro da una piccola scatola decorata.
La
osservai di sottecchi, addobbando l’abete con le decorazioni
che avevo in mano.
Era
il primo Natale che festeggiavamo insieme, da quando mi aveva accolto
nel suo
confortevole appartamento di Rotterdam.
Doveva
essere passato almeno un anno da quando ci eravamo incontrati
l’ultima volta ma,
quando ci rivedemmo, non sembrarono essere passati più di
due giorni.
Nonostante
tutto ciò di cui era stata privata nel corso della propria
esistenza, Sindy era
sempre stata una persona estremamente altruista e generosa.
E
prima ancora che io stesso ne potessi divenire consapevole, lei era
pronta a
offrirmi il suo aiuto.
«In
ogni caso la prima volta che avete parlato è stato al mio
compleanno» la
corressi con un sorriso, aggiungendo un’altra pallina allo
stesso ramo.
Lo
vidi inclinarsi un poco verso il basso, ma non me ne curai.
«Ma
la prima vera volta che lo vidi ero ancora una ragazzina»
ribatté, armeggiando
con qualche statuina del presepe.
«Lo
riconobbi non appena mi fece vedere qualche foto di quando era
bambino»
continuò.
Conoscevo
bene la storia di Sindy e Martin: in fondo ne ero stato testimone dagli
albori
all’epilogo.
Tuttavia,
molti dettagli non mi erano chiari: ad esempio, il motivo per cui la
loro
relazione era improvvisamente stata interrotta, che fu dopotutto la
stessa
ragione per cui Sindy si trasferì lontano dalla
città in cui era cresciuta,
anche se non lo avrebbe mai ammesso apertamente.
Mi
volsi per afferrare altre palline inargentate.
«Ammetti
che ti è sempre piaciuto?» azzardai con un sorriso
ammiccante.
Sapevo
che Sindy aveva un debole per i giovani dai capelli chiari, ma non
avevo dubbi
su quale sarebbe stata la risposta.
La
vidi voltarsi verso di me con uno scatto, facendo scivolare una
statuina
posizionata proprio di fronte al rifugio della natività.
«Ovvio!»
quasi gridò.
Ero
certo che avrebbe negato, invece riusciva sempre a sorprendermi, in
qualche
strana maniera.
«Toccare
i suoi capelli era qualcosa di sublime»
puntualizzò, soccorrendo la statua
ribaltata, poggiandola nuovamente al proprio posto.
Sorrisi:
«Lo so bene» asserii, alludendo alla frequenza con
cui usava scarmigliare la mia
chioma.
«Ammetti
di avere una genuina ossessione per i capelli!» la provocai.
«Sì,
ma solo per quelli chiari».
«Bugiarda!»
gridai, sistemando le ultime sfere argentee sui rami più
alti.
Adoravo
il modesto albero di Natale che i miei genitori mi avevano gentilmente
concesso
di portare via di casa: ogni volta che mi soffermavo a osservarlo,
tornavo bambino.
Scartare
i regali, divertirmi con i miei fratelli e i cugini, festeggiare
l’arrivo di
San Nicola¹
insieme era sempre stato magico.
Lanciai
un’occhiata furtiva alla ragazza accovacciata dinanzi a me,
pensando che lei
non aveva mai vissuto questa gioia; forse, per una volta, avrei potuto
organizzare
un Natale speciale solo per lei.
In
onore di tutto ciò che non aveva avuto occasione di vivere.
«Come
andò a finire poi quel viaggio?» le chiesi.
«Intendi
quello in cui mi dicesti che sapevi pattinare e non era
vero?» mi guardò in
viso.
Annuii,
ridendo di gusto.
Si
trattava dell’unico viaggio che avevamo compiuto insieme, il
giorno di
Capodanno di molti anni prima.
Nonostante
tornai a casa prima di loro, non seppi mai che cosa successe in quei
giorni
passati in solitudine.
Sindy
si tirò in piedi, afferrando l’ennesima scatola in
cui avevo infilato alla
rinfusa gli addobbi natalizi.
«Aspetta!»
la fermai, «non è ancora tempo di porre
Gesù bambino nella stalla» la ripresi.
Lei
si volse nella mia direzione, chiaramente stupita.
«E
dove me la dovrei mettere questa statuina?» rise.
«Gesù
è nato il 25 dicembre, bisogna metterlo quello stesso
giorno» la informai,
osservando la piccola statua che teneva poggiata sul palmo di una mano.
«Rickard,
mi stai chiedendo di nascondere quest’affare?»
borbottò, per poi gettarlo nello
stesso involucro da cui l’aveva sfilato.
Risi
di gusto, aprendo un nuovo cofanetto pieno di palline colorate.
«Questi
addobbi sembrano non finire mai» mormorai.
Dopo
qualche minuto di quiete, Sindy ruppe nuovamente il silenzio.
«Lui
è quel genere di persona che ti ubriaca con la sua
presenza» mormorò
stancamente.
«Quando
ero con lui, all’improvviso i contorni del mondo si
cancellavano e i colori
iniziavano a girare tutti insieme» continuò,
tentando di posizionare un albero colorato
dinanzi le montagne di carta; dopo qualche tentativo, la vidi
accantonarlo,
dedicandosi ad altre decorazioni.
«Fu
così per i primi mesi.
Pensavo
di aver trovato qualcuno disposto ad accettarmi incondizionatamente.
Poi…».
Si
arrestò di colpo; nessuno fiatò fino a quando non
finimmo di addobbare
completamente l’abitazione.
Era
giunto il momento di avvolgere le luci.
«Sei
sicuro che non ci fulminiamo con questi stramaledetti fili?»
la sentii
borbottare alle mie spalle.
Risi
nuovamente, osservandola porre un mazzetto di erbe aromatiche sopra la
capanna del
presepe.
«Da
dove l’hai tirata fuori quella roba? Odio questo profumo!
Mi
fa prudere il naso» bofonchiai prima di esordire in un
magistrale starnuto.
Un
ghigno provocante si dipinse sul volto della giovane di fronte a me:
ormai
conosceva bene ogni mia allergia.
Tentando
di distrarmi da quel terribile odore, cominciai a roteare intorno al
piccolo
abete, poggiando i fili neri sui rami finti e rigogliosi.
Mi
ricordavo con precisione la gran luce che proveniva
dall’albero acceso della
mia modesta casa di Amsterdam: i miei fratelli si divertivano spesso a
terrorizzarmi
nella penombra.
Sbirciai
fuori dalla finestra: la sera stava ormai calando sulla
città.
«Grazie,
Rickard» sentii d’improvviso una voce sussurrare
alle mie spalle.
Mi
volsi, notando che Sindy era accovacciata sul sofà;
d’istinto, abbandonai le
luci e la imitai, accoccolandomi al suo fianco.
«Per
tutto questo» aggiunse, stringendo una mia mano tra le sue.
«Significa
molto per me».
Prese
a sfiorarsi le labbra con l’indice, come faceva sempre quando
nella sua testa
esplodevano in tempesta milioni di pensieri.
«Tu
sei molto più grande del mondo che ho costruito.
Sei
più di qualsiasi sensazione io possa aver provato».
Poi
mi guardò dritto in viso. Poche volte avevo visto i suoi
occhi splendere così
intensamente.
«Ho
l’impressione di non riuscire affatto a esprimere
ciò che provo.
Vorrei
dirti che ti amo, vorrei che sapessi che ti voglio bene, ma mi pare
tutto
troppo poco intenso».
Nei
suoi occhi c’era qualcosa di più di qualsiasi
sensazione possa esistere
nell’universo.
«Esiste
un sentimento così forte da non poter essere chiamato in
alcun nome?» mormorò.
Dalla
strada, i rumori erano molteplici: un vociare feroce si propagava da
sotto la
finestra, le sirene di un’ambulanza inondavano prepotenti le
vie della città.
Sentire
tali parole fluire dalla bocca di Sindy era così raro, che
rimasi paralizzato
per qualche istante, osservando quella chioma corvina incorniciare il
suo
armonioso viso di bambina.
Aveva
deciso di rivelare il suo io più profondo, e non potevo che
accoglierlo di buon
grado.
Le
presi il viso tra le mani, poggiandolo su una spalla.
«Non
so che cosa provassi per Martin» ammise.
«Non
so neanche dirti se lo amassi davvero.
Spero
solo che lui sia felice ora».
Martin
aveva dedicato la sua precoce esistenza al pattinaggio di
velocità.
Si
allenava quotidianamente per ore e riusciva anche a trovare il tempo di
studiare
alla facoltà di Medicina e Chirurgia.
Quello
che un tempo era stato il mio migliore amico, era una persona forte e
determinata, ma anche un individuo pieno di difetti, probabilmente
più di
quanto lui stesso credeva.
«Sono
un’anima libera, e tu lo sai meglio di chiunque
altro».
Fu
un soffio, ma lo sentii chiaramente.
Mi
accorsi che Sindy stava tremando.
Forse
non era vero che non lo aveva amato. Forse lo aveva desiderato molto, e
la
delusione era stata tanta quanto l’amore un tempo offerto.
Ma
le persone cambiano continuamente: si scoprono, si apprezzano, si
detestano e
infine, a un determinato stadio della propria esistenza, necessitano di
qualcosa di diverso.
E
scoprono di stare meglio l’uno senza l’altro.
«Promettimi
che nessuno ci separerà, Rickard».
Le
sue mani erano gelide, forse tanto quanto il suo cuore.
«Non
lo permetterai a nessuno, vero?».
Mi
guardò negli occhi e, in un istante, compresi quanto in
realtà mi fosse mancata
in tutti quegli anni passati lontani.
Vidi
gli errori, le scelte, i sentimenti che avevamo entrambi sacrificato
per poter
divenire chi eravamo.
Lessi
le frasi che si era pentita di aver pronunciato, i gesti che non aveva
compiuto
in tempo.
Potevo
avvertire, nel profondo, la voglia di riabbracciare nuovamente quel
ragazzo dai
capelli dorati che, molto tempo prima, aveva apportato una radicale
svolta alla
sua vita; la sola occasione di poterlo ringraziare sarebbe forse stata
abbastanza.
Ero
consapevole che Sindy non avrebbe mai ammesso nulla di tutto
ciò: ma io avrei
potuto comprendere qualsiasi lemma le sue labbra non mormoravano,
dentro ai
suoi occhi.
¹
Nei Paesi Bassi e in Belgio, il giorno di San Nicola (Sinterklaas)
è considerato
addirittura più importante del giorno di Natale: si
festeggia la sera del 5
dicembre, in cui si usa riunirsi e scambiarsi doni tra familiari e
amici.