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Autore: meiousetsuna    14/12/2019    8 recensioni
Quando socchiudo le palpebre la prima cosa che vedo sei tu, i tuoi capelli di luce e gli occhi di cielo invernale; penso che abbiano quel colore ineffabile dove il celeste s’inchina al grigio perché possa godermi la loro bellezza senza sentire bruciare i miei, e la cosa ha una sua ironia crudele. Dovrebbe essere la fiamma infernale che ha mi da dato le iridi di un rettile a ferire i tuoi, ma non succede, anzi ti incanti e li chiami dei soli in miniatura. Rido prendendoti in giro, ma la verità è che potrei piangere e non posso offrirti così poco; un demone, per giunta in balia di un angelo. Ami di me la mia natura diabolica, la trasgressione che rappresento per i tuoi valori morali, la sfida? Quando te l’ho chiesto con voce incerta hai sorriso sulle mie labbra e hai risposto “amo la tua dolcezza nascosta, come sai farmi ridere, sentire al sicuro, amo quanto siamo uguali”.
Riflessioni di un demone innamorato e dell’angelo che ha catturato il suo cuore.
Un bacio ineffabile, Setsuna
(Credo che il rating arancione sia assolutamente sufficiente, ma se qualcuno si sente disturbato lo passerò al rosso)
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Aziraphale/Crowley
Crowley!centric
Introspettivo, romantico, erotico, malinconico
consiglio di ascoltare, alla fine, la meravigliosa canzone di Patti Smith

Because the night

Non dormo mai profondamente, come si conviene a una creatura dannata abituata a dimorare nell’oscurità; quella che per gli altri è un’ombra avvolgente per me è brillantezza, il buio è la mia dimensione prediletta. Non potrebbe essere diversamente eppure sto riposando così bene, come se fosse semplice, ma ho un segreto. Se chiudo gli occhi e li riapro tu sei ancora qui. È da quando vivi con me che la rabbia e la solitudine mi hanno abbandonato, non trovando più spazio per abitarmi. Non che conducessi una vita da eremita, al contrario! Mi vantavo che fosse tutta una sfida, una scommessa, il divertimento di fare qualcosa di cattivo che lasciava sempre un sottile gusto amaro che si prendeva gioco di me. Non volevo sentirlo, così rincaravo la dose per stordirmi ma la verità era che un vuoto talmente immenso da inghiottirmi mi faceva passare da una trappola all’altra.
Adesso quando socchiudo le palpebre la prima cosa che vedo sei tu, i tuoi capelli di luce e gli occhi di cielo invernale; penso che abbiano quel colore ineffabile dove il celeste s’inchina al grigio perché possa godermi la loro bellezza senza sentire bruciare i miei, e la cosa ha una sua ironia crudele.
Dovrebbe essere la fiamma infernale che mi ha dato le iridi di un rettile a ferire i tuoi, ma non succede, anzi a volte ti incanti e li chiami dei soli in miniatura che rifulgono per tuo uso personale. Rido prendendoti in giro, ma la verità è che potrei piangere e non posso offrirti così poco; un demone, per giunta in balia di un angelo. Ami di me la mia natura diabolica, la trasgressione che rappresento per i tuoi valori morali, la sfida? Quando te l’ho chiesto con voce incerta hai sorriso sulle mie labbra e hai risposto “amo la tua dolcezza nascosta, come sai farmi ridere, sentire al sicuro, amo quanto siamo uguali”. Sono rimasto senza parole e l’hai compreso, perché non mi hai fatto la stessa domanda, mi hai lasciato il mio tempo. Ti ascolto respirare e capisco che sei sveglio, ti muovi appena per aderire meglio col tuo corpo al mio, seta fresca contro la mia pelle ardente. Dormo nudo, e all’inizio ti scandalizzavi tanto che a ogni protesta morivo di desiderio finché non ti strappavo quei pigiami celesti o bianchi e ti facevo rimpiangere di averli indossati, perché niente mi eccita come vederti nella tua versione più pura e ingenua. Ma sotto il mio tocco ti accendi, Aziraphale, e diventi un’estasi assoluta, ogni millimetro della tua pelle bianchissima risponde allo sfiorarsi più lieve, al bacio più delicato come se ti bruciasse fino all’anima. Per tanto tempo non sapevo se ne avevo ancora una,talmente nera e maledetta da starsene rintanata come un mostro ferito, o se ero vuoto. Come avrei fatto però ad amarti tanto? A sentire qualcosa che si lacerava quando non mi hai voluto seguire per metterci in salvo dall’Apocalisse? C’è, dolente e danneggiata, e fa male quando si agita come lava bollente racchiusa in un vulcano che non la lascerà mai affiorare, ma si placa così facilmente se sei tu a farlo. Basta un gesto piccolo, come la volta che ho trovato le piante annaffiate e tu che mi dicevi “le ho già sgridate per benino”, quando so che non l’hai fatto, ma non vuoi vedermi arrabbiato. Non ti spaventa ― non sei un essere soave e debole ― ti dispiace. Per me. O la volta che ti sei seduto al pianoforte ― da quando ne abbiamo uno in casa? ― e hai suonato “Love of my life” in un modo orribile ― perché è come con la magia, vuoi fare da te, senza barare, e non ti scoraggi se sei pessimo ― ma cantando con una voce che mi ha fatto tremare. Forse tutti gli angeli devono avere una voce divina o forse sei solo tu, ma alla fine mi sono seduto ai tuoi piedi come un animale selvatico che vuole essere addomesticato, perché è quello che sono. Ho posato la testa sulle tue gambe e non mi sono mosso finché non ho avuto abbastanza carezze sui capelli, e dolcezza che si riversava su di me, la tua Grazia che non teme di stare vicino a una creatura rinnegata quale sono. La prima volta che abbiamo fatto l’amore morivo di paura all’idea di farti male, e mi hai dovuto rassicurare mille volte, giurando di non essere preoccupato di niente nelle mie mani, che ti fidavi e che eri felice. È stato il momento più bello della mia vita; migliaia di anni in cielo, poi nel baratro infernale, infine sulla terra. Niente è paragonabile a quello che ho provato, ti ho sentito entrare nel mio cuore come io stavo avendo il tuo corpo di cui prendermi cura e da riempire di piacere, era tutto talmente umano che alla fine non ho resistito e ho pianto lacrime silenziose che evaporavano sul tuo collo, e sei stato tu a consolarmi, a prendermi in giro per cercare di farmi reagire. Mi sono risvegliato qualche ora dopo, coperto fino alla vita per non prendere freddo ― in pratica è impossibile, io lo so, tu lo sai, ma l’hai fatto spontaneamente ― e con le tue braccia intrecciate dietro la nuca. Non l’avrei barattato con nessuna eternità, col giardino dell’Eden, con nessun potere. Ogni volta è sempre più bello, e realizzo che anche se le persone sono interessanti, ingegnose, immaginifiche, cadono sulle cose più importanti. Si tradiscono per un nonnulla, per l’illusione di restare giovani, perdendo la loro scintilla di eternità. Io non mi stancherei mai di te, sono solo preoccupato di quanto ogni giorno ti voglio di più e sono più innamorato. Ma non devo temere, so che anche tu sei pazzo di me, e non è solo la mia superbia luciferina ― è normale prendersi qualche licenza quando si gravita intorno al capo supremo ― a farmelo credere.
Sono il vino e i dolci che mi fai trovare a fine giornata, per poi cedere al tuo edonismo e mangiarne la maggior parte, sbuffando perché temi di ingrassare e non piacermi più, ma non per questo smetti prima dell’ultima pralina al cioccolato, l’ultimo macaron rosa. Mi delizio a guardarti e poi divoro te, il tuo corpo morbido che profuma di meringa e vaniglia, ti assaggio tutto, ti assaporo finché non ti faccio chiamare il mio nome, prima con un grido, poi con un sussurro, e non so dire quale mi piace di più.
Sono i libri rari che mi regali, e sei geloso della tua collezione, so cosa significa. Una volta era un’edizione del Kamasutra e ti stavi vergognando mentre commentavo le illustrazioni guardandoti come se potessi… sì, posso in effetti! — darti fuoco agli abiti con uno sguardo. Me l’hai tolto dalle mani con un broncio offeso, bisbigliando un’idiozia come “ora mi vuoi solo per quello”. L’ho ripreso, ti ho fatto arrossire come una scolaretta spiegandoti cosa ti avrei fatto, e poi ho passato la notte a baciarti il viso, e le labbra, e i capelli. Sono le volte in cui fingi di credere a un mio piano diabolico per sprofondare tutta Londra all’inferno seduta stante e mi chiedi di salvare almeno le anatre, le pasticcerie, il Ritz, la biblioteca… e alla fine, da essere celestiale che si arma di sorrisi con le fossette e minacce di non rivolgermi più la parola, mi fai ritrattare, e tutto perché ti chieda una ricompensa che non vedevi l’ora di darmi.
Avrei mai detto che l'oscurità nascondesse tanta chiarezza? Attraverso le persiane chiuse filtrano delle sottili lame di luce che si spengono in confronto alla tua radiosità, e mi offrono una visione differente da quella notturna. Sono di traverso nel letto, la testa sul tuo fianco, una tua mano tra i capelli, che sto facendo allungare perché ti piacciono, che deve essere rimasta così da ieri, come se dovessi proteggermi nel sonno. Ho un bel protestare che il pericolo sono io, che se qualcuno arrivasse ad aggredirci potrei trasformarmi in serpente e farlo a pezzi con i denti o avvelenarlo.
“Se è proprio necessario, ma ti aiuterei”. So che lo faresti, hai un grande potere che reprimi, sei un cherubino* scelto per custodire una spada di fuoco e all’occorrenza saresti un guerriero. Potrei sciogliermi da questo abbraccio delicato e preparare la colazione, ma non ne ho voglia; muovo un braccio senza alcuna convinzione e protesti leggermente.
“Crowley…” C’è ancora il peso del sonno sulle tue ciglia bionde ma come ogni mattino ti svegli appena lo faccio io. E dire che potremmo dormire cento anni come non farlo mai, ma le abitudini umane sono così piacevoli; per quello che riguarda le comodità si sanno trattare bene. E niente è troppo soffice, lussuoso e speciale per te.
“Buongiorno, angelo”. Mi cerchi le labbra con le dita, poi con le tue così rosa da sembrare quelle di un dipinto, venendomi incontro a mezz’aria. Lo sai bene quando questo nome significa “amore mio” e quando è meramente la tua qualifica ― quasi mai, già da tantissimo.
“Stanotte non ho fatto bei sogni”. La voce è quella un po’ affannata che usi quando più o meno velatamente hai da contestare per qualcosa che non è andato secondo i tuoi piani. Potrei ricordarti che noi ― entrambe le specie ― non sogniamo, al limite abbiamo visioni: ma ho capito dove vuoi arrivare e nascondo un sorriso beffardo.
“Forse perché non ti ho messo a letto come avrei dovuto? Sembravi così stanco…”
“Potresti farti perdonare, non è troppo tardi; però dovresti fare una piccola cosa per me”.
“Tutto quello che vuoi”. Ed è vero, e mi sta bene che tu lo sappia, piccolo manipolatore bastardo che sei.
“Tutto, davvero?”
Come farei a dirti di no, se mi guardi come se fosse mio assoluto potere renderti felice o triste?
“Chiedi quello che desideri”.
“Le tue splendide ali, Crowley, posso…”
Non ti do tempo di finire la frase perché non ha alcuna importanza. Puoi strapparle se vuoi, accarezzarle come spero, giocarci come ti va. Le spiego con un gesto maestoso e la loro grande ombra del colore della mezzanotte si allunga su di te. La tua espressione, Aziraphale, mi ripagherà di qualunque cosa, perché sei senza fiato, le pupille che invadono di nero i tuoi occhi sembrano reagire alla mia essenza, sei eccitato e socchiudi le labbra, non dici niente. Sollevi le mani lentamente come per non spaventare un uccellino che potrebbe volare via, e passi i polpastrelli sull’interno riempiendomi di brividi. Poi, senza preavviso, lo fai. Spingi le dita, tutte contemporaneamente, tra le mie piume scure facendoti strada fino a passarci attraverso, piano, teneramente, sussurrandomi versi d’amore all’orecchio, mentre dalla mia gola escono rantoli soffocati perché non mi sono mai sentito penetrare così, non c’è più niente di me che non sia tuo più di quanto mi appartenga. Sei nel sangue, nelle vene, scritto nella carne, nella mia erezione così dura da provare dolore. Quando infine le pieghi per stringermi con dolcezza e fermezza, sento che sto per venire così, e devo mordermi le labbra per trattenere una bestemmia che so ti offenderebbe.
“Crowley… non farti male, tesoro, non importa… adesso anche io ti voglio, ti prego”.
È quello che aspettavo, smaterializzo i tuoi indumenti e in un attimo intrecci le gambe dietro la mia schiena; posso sentire che sei pronto, che non puoi aspettare e mi perdo in te con una spinta leggera che ti fa piegare la testa indietro mentre ritrai piano le dita. Mi stai lasciando il controllo, e l’orgoglio della mia razza ruggisce nel petto quando ti prendo più forte, mi baci le spalle gemendo il mio nome supplicandomi di non fermarmi. Come potrei, Aziraphale? Come, se ora segui l’attaccatura delle mie ali con carezze voluttuose?
“Sei meraviglioso, angelo, è la cosa più bella del mondo”. Sono io che sussurro così, con un filo di voce spezzata dalla dolcezza?
“So come emozionare delle ali angeliche, caro”. Mi fermo come paralizzato, non credo a quello che ho udito.
“Io sono…” La tua mano destra mi preme leggermente sulla bocca per azzittirmi.
“…caduto. Lo so, va bene. Sono le stesse, ma le tue sono più belle. Ti ho ferito?” Mi hai spaventato a morte, ma mi hai riportato in vita, amore mio. Mi guardi con quegli occhi grandi e chiari sbarrati dall’ansia e non sopporto di vederti così preoccupato. Scuoto la testa per tentarti con i miei capelli ramati che ti piacciono tanto e ti prendo il viso tra le mani.
“Al contrario, non credevo… ma com’è che sei così bravo, angelo? Mi ricordo che non avessi esperienza… una bugia? Da te?” Non mi importerebbe niente, voglio solo prenderti in giro, e forse ho intuito la risposta. Un’espressione piena di vergogna mi incoraggia nella mia convinzione.
“Qualche volta… ho dovuto mettere a posto le mie, è giusto averne cura, sai”. Stai annaspando e me la sto godendo, non lo posso negare.
“E mi sei venuto in mente, ecco…”
“Ti sei toccato pensando a me?” In questo momento mi sento pura malizia e mi lecco le labbra in modo inequivocabile.
“È una brutta azione, vero?” Detto da un altro sarebbe ridicolo, ma mi struggi il cuore, che dovrebbe essere solo crudele e sporco.
“È perfetto, come tutto quello che fai. Ne sono fiero e questo è rischioso” mi abbasso per sibilare nel tuo orecchio “reggiti forte”.
Senza chiederti nulla affondo le dita nelle tue cosce piene e ti sollevo i fianchi per prenderti fino in fondo, voglio vederti disfatto, scomposto e affamato di me, così, grida, trema, e fai ancora quella cosa. Mi devi aver sentito, perché adesso con i palmi aperti sei sul centro delle mie ali, e quando spingi piano posso solo morirti dentro al tuo comando, crollando tra le tue braccia.
“Sei prepotente, angelo”. Lo dico col filo di voce che mi è rimasto mentre riprendiamo fiato insieme.
“Però mi ami lo stesso”. Sento che sorridi dalla forma della tua voce, non potrei sbagliare.
“No. Non lo stesso, di più. I tuoi difetti sono la cosa che preferisco in assoluto”.
Mi baci, gli occhi velati di lacrime, e sento che se il mondo finisse un’altra volta forse non me accorgerei.
Ma lo salverei ancora e ancora, per te. Solo per te.


Note:
*Che tipo di angelo sia Aziraphale non si sa, forse perché non cambierebbe. Tutti nel fandom lo considerano un principato, ma che mi risulti a guardia dell’Eden con una  spada fiammeggiante c’era uno dei quattro cherubini di cui non si sa il nome, per cui ho fatto questa scelta, spero di non scontentare nessun senpai, qui #^-^#

 

  
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